Viaggiare informatiAPPUNTI DI STORIA1914 • 1945
Elena Bissaca Carlo Greppi Alice Ravinale coordinamento del lavoro: Bruno Maida
È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. [Primo Levi]Dodici anni. I lager nazisti non sono stati un incidente della Storia, ma il punto di arrivo di un progetto di annientamento dell’“altro”, un obiettivo consapevolmente cercato e raggiunto. Dodici anni separano l’apertura del primo campo di con-centramento, Dachau, dalla liberazione dell’ultimo, Mauthausen.Auschwitz è diventato il simbolo di tutto questo, nella sua tragica centralità, nella sua unicità, nella sua inedita perfezione. E ad Auschwitz abbiamo deciso di andare, nel 2005, per provare a capire questo baratro apparentemente senza fondo, questa ferita dell’età contemporanea. Questa ferita della Storia, della nostra storia.Il Treno della Memoria oggi è una realtà nazionale. Ogni anno ormai una comunità viaggiante di migliaia di ragazzi da tante regioni italiane vive l’esperienza che abbiamo vissuto noi. Un’esperienza che ci ha cambiati profondamente, che ci ha dato uno strumento in più per capire il nostro passato, per arontare il presente ed essere responsabili del nostro futuro.Negli anni abbiamo camminato al anco di persone che in quei lager hanno passato mesi, anni, e sono tra i pochi soprav-vissuti. Quelli che hanno avuto la forza di testimoniare. Anche per questo abbiamo deciso di prenderci la responsabilità di continuare il racconto anche noi, con loro e dopo di loro. Ma adarsi ai ricordi e alle emozioni non è suciente. Per provare a capire bisogna conoscere, e per questo abbiamo deciso di scrivere queste pagine, questo strumento che vi ac-compagnerà lungo tutto il percorso. Lo abbiamo scritto per voi, i ragazzi del Treno. Buon viaggio.
All’inizio del secondo coro della tragedia di Antigone, Sofocle attribuisce agli esseri umani l’aggettivo deinòs. Questo termine, con il quale i greci si riferivano alle at-tività umane, rappresenta una delle più belle produzioni di senso del greco: signica “terribile”, “terric a nt e”, “p e -ricoloso”, e allo stesso tempo “forte”, “potente”, “sorpren-dente”, “ammirevole”. Attraverso questo aggettivo Sofocle descrive l’essenza umana, la sua terribile capacità di di-struggere e la sua sorprendente capacità di creare.Occorre trovare un limite, un punto zero, che divida que-ste due nature, e trovare un modo per non cedere a quella terribile. Dobbiamo conoscere e sapere di che cosa siamo capaci, occuparci del peggio che siamo in grado di fare, per trovare antidoti e per educarci a non cadervi.Per questo andiamo ad Auschwitz.Il sociologo Zygmunt Bauman ha descritto la Shoah come una “nestra” attraverso la quale si può “cogliere un raro scorcio di molte cose altrimenti invisibili”. Auschwitz è diventato oggi il simbolo del Male, l’immagine per eccel-lenza della distruzione totale dell’“altro”, attraverso quel processo che molti deniscono di “disumanizzazione”, e che pure è stato così umano, pensato da uomini per degli uomini. Auschwitz non fornisce risposte, ma interroga. Provare a capire Auschwitz signica dunque provare a capire noi stessi, indagare i nostri limiti e le nostre poten-zialità, anche quelle che non vogliamo vedere. Per noi di Terra del Fuoco il senso di Auschwitz è racchiuso nel suo insegnamento universale: anni fa abbiamo deciso di far nostra l’espressione “zona grigia”, che Primo Levi riferiva ai lager nazisti, per mostrare ai ragazzi e a noi stessi come Auschwitz sia stato anche il prodotto di un articolato si-stema sociale che, con diversi gradi di responsabilità e consapevolezza, vi ha partecipato.Visitare il lager nazista oggi permette di ragionare sul tempo presente, per attivare un possibile confronto con la contemporaneità. Quello che ci interessa è creare un dialogo che metta a confronto diversi pezzi della nostra società su temi profondi, che ci riguardano da vicino.Fra tutti gli argomenti della contemporaneità - sostiene Alberto Cavaglion -, questo è forse l’unico capace di ac-cendere, sia pure per un solo istante, un dialogo, o anche solo una scintilla di dialogo: ognuno avrà constatato che, almeno all’inizio del cammino, leggendo un libro o ascol-tando un superstite della Shoah, si crea una condizione che non esiterei a denire magica.Questa esperienza sa trasmettere uno slancio che si può tramutare in un ragionamento profondo e consapevole sulla necessità di prendere coscienza nei confronti del presente, della propria responsabilità verso la società che ci circonda.Visitare Auschwitz signica in primo luogo capire che cosa lo ha reso possibile, quali condizioni politiche e so-ciali hanno reso un’intera società complice, più o meno consapevolmente, di quegli avvenimenti. Oggi sono po-LA RESPONSABILITÀ DELLE MEMORIE. IL NOSTRO APPROCCIOLa peculiarità di questo evento è che esso ha segnato lo stesso modo d’essere dell’umanità.Ha pesato sulla sua essenza. In questo senso esso opera sul presente. Quindi pensare Auschwitz signica stare presso noi stessi, oggi. [Luigi Ruggiu, Pensare Auschwitz]
chi gli esempi storici – e pochissimi se ne trovano nella storia recente – che come Auschwitz ci mettono di fron-te alle “possibilità dell’umano” (L. Ruggiu) in modo così evidente. Per questo oggi interroghiamo Auschwitz alla ricerca di antidoti contro l’odio razziale, contro il preva-lere di identità sse ed escludenti, la paura delle diversità, la mancanza di pluralismo e di democrazia.Il Treno della Memoria ha una forte dimensione politica, che risiede nel tentativo di discutere di attualità partendo da una storia già considerata lontana dalle generazioni di oggi e cercando di contestualizzarla nella sua dimensione storica per trarne degli insegnamenti più che mai attuali. Fare il Treno della Memoria signica dunque “fare poli-tica”, nel senso più ampio possibile: si mettono in atto ra-gionamenti e modalità di convivenza che rappresentano il modo in cui oggi vorremmo vivere la nostra comunità, si discute di quali secondo noi debbano essere i valori e i diritti imprescindibili, per i quali lottare. Ci si rende con-sapevoli delle proprie responsabilità.Furio Colombo, presentando la proposta di legge sul Giorno della Memoria il 20 gennaio 2000 alla Camera dei Deputati, ha detto: “[…] Sarà un’occasione per inter-rogarci sul perché simili fatti siano potuti accadere fra il silenzio di tanti, su come e in che modo dobbiamo impe-gnarci anché mai più simili eventi possano ripetersi”. La necessità di istituire un “giorno della memoria” è nata anche dalla volontà di confrontarsi con le responsabilità italiane, con il paradigma culturale che ha reso l’Italia e gli italiani colpevoli delle deportazioni e dello sterminio di migliaia di persone. Prima di questo, Auschwitz non occupava un posto così rilevante nel discorso pubblico, la memoria della depor-tazione (razziale e persino politica) e della Resistenza era-no “divise” e appannaggio di parti politiche o di coloro che ne erano stati vittime o che vi avevano preso parte. Con la ne dell’“era del testimone” (A. Wiewiorka) e con lo svilupparsi dei mezzi di comunicazione che divulga-no attraverso il main stream immagini e messaggi con sempre maggiore facilità, questa è diventata una storia di tutti: delle giovani generazioni, che non hanno memo-ria dell’Italia del dopoguerra e che crescono celebrando il Giorno della Memoria, ma anche di tutti coloro che, negli anni passati, non la percepivano come storia loro, o ne assumevano solo alcuni eventi. Oggi la narrazione di Auschwitz è diventata patrimonio della società intera, per questo diventa importante un confronto anche con colo-ro che se ne sono appropriati solo di recente e che sono cresciuti e vissuti nel paradigma della narrazione della Resistenza ma non di quella dello sterminio.Visitare Auschwitz signica così produrre memorie: chi ha visto, ha ascoltato e a sua volta testimonierà, produce di fatto nuovi contenuti, nuove forme e nuovi strumenti di trasmissione. Come in un gioco di specchi contrappo-sti, che restituiscono l’immagine riessa innite volte, il passato e il futuro dialogano così, riettendosi a vicenda continuamente. Modicandosi.
Indicep.10 - I fascismi. Introduzione storica1. ASCESA DEI FASCISMIp.18 - 1.1 La prima guerra mondialeEvento: La battaglia di CaporettoFocus: La cesura della prima guerra mondialep.20 - 1.2 La rivoluzione russaGlossario: I protagonisti della rivoluzione p.22 - 1.3 Il primo dopoguerra in ItaliaBiograa: Benito Mussolini prima di diventare ducep.24 - 1.4 La repubblica di WeimarBiograa: Adolf Hitler prima di diventare führerp.26 - 1.5 La crisi del ‘29p.28 - 1.6 Il fascismo al potere in Italia Focus: Monarchia e fascismoBiograa: Giacomo MatteottiGlossario: Il connoFocus: Vivere il consenso, morire nel dissensop.34 - 1.7 Lo Stato fascistaGlossario: L’Opera Nazionale BalillaFocus: L’italianizzazione dell’Alto Adigep.38 - 1.8 Il colonialismo italianoIntervista: Angelo Del Boca, storico del colonialismoTestimonianza: Maggio 1915p.40 - 1.9 L’ideologia fascistap.42 - 1.10 Il nazismo al potere in Germaniap.44 - 1.11 L’ideologia nazistaGlossario: Il “Mein Kampf” / La svasticap.46 - 1.12 L’organizzazione della società e dello Stato nazistaGlossario: Gestapo / SS / Wehrmachtp.50 - 1.13 I fascismi europeip.51 - 1.14 La propaganda nei regimi fascistiGlossario: Le Veline Focus: La propaganda in GermaniaBiograa: Joseph Goebbelsp.55 - 1.15 La guerra civile spagnola INDICE
Indice2. LA GUERRAp.58 - 2.1 1920-1939. Verso la guerraGlossario: La Molotovp.60 - 2.2 La guerra totaleTestimonianza: Tutto destrutto p.62 - 2.3 1939-1941. Dalla guerra lampo alla guerra mondialeFocus: Linea MaginotEvento: L’attacco a Pearl Harbor p.64 - 2.4 1942-1943. La controensivaFocus: Il generale Inverno Glossario: Kamikazep.66 - 2.5 1944-1945. La lunga liberazione Evento: L’attentato a Hitler Glossario: Strange daysp.68 - 2.6 La ne della guerra e gli accordi di paceGlossario: L’ONU Focus: La bomba atomicap.72 - 2.7 Il collaborazionismo in Europap.74 - 2.8 L’occupazione nazistap.76 - 2.9 La Resistenza in Europa Testimonianza: Le ultime parole Glossario: Radio Londrap.79 - 2.10 1940-1943. L’Italia in guerraTestimonianza: Vivere la guerra / Tempo di guerra. Torino sotto i bombardamentiFocus: “I 45 giorni”p.84 - 2.11 Gli Italiani e la guerraFocus: Bari dopo il ventennio fascistap.86 - 2.12 L’occupazione tedesca e la Repubblica Sociale ItalianaEvento: Le stragi Glossario: Gli IMI (Internati Militari Italiani) p.89 - 2.13 Le due “zone di operazioni”p.90 - 2.14 La ResistenzaFocus: Le anime della ResistenzaBiograa: Dante di NanniTestimonianza: Un imperativo moralep.94 - 2.15 La Liberazione al SudFocus: La maa, il fascismo e lo sbarco in Sicilia / Le “quattro giornate” di Napoli
Indicep.98 - 2.16 La Liberazione dell’Italia centraleEvento: L’eccidio delle Fosse Ardeatinep.100 - 2.17 La LiberazioneFocus: Le donne nella ResistenzaTestimonianza: 1945. L’Italia è liberaEvento: Piazzale Loreto, agosto 1944; Piazzale Loreto, aprile 1945p.103 - 2.18 La Costituente e la Costituzione3. LA DEPORTAZIONEp.106 - 3.1 Ebrei e antisemitismo in Europa (1900-1930)Glossario: Il sionismop.108 - 3.2 Le leggi razziali in GermaniaEvento: La notte dei cristalliGlossario: Pogrom Testimonianza: La stellap.112 - 3.3 I nemici del nazismoFocus: Classicazione degli internati nei lager nazistip.113 - 3.4 Il sistema concentrazionario nazista - Le fasiBiograa: Anna FrankFocus: Perchè molti lager nazisti si trovano in Polonia?p.116 - 3.5 L’operazione Eutanasia e gli EinsatzgruppenFocus: I gaswagenp.118 - 3.6 La guerra e la conferenza di WannseeFocus: Il genocidio armeno / Il Vaticano e gli ebrei / Il piano Madagascarp.120 - 3.7 I ghettiGlossario: GhettoTestimonianza: Il ghetto di VarsaviaEvento: La rivolta del ghetto di Varsavia p.124 - 3.8 I meccanismi della deportazioneTestimonianza: Il viaggioEvento: Il processo Eichmann Focus: Perchè ucio IV-B-4?p.126 - 3.9 Deportazione razziale e deportazione politicaFocus: I gulagp.128 - 3.10 Konzentrationslager e VernichtungslagerGlossario: Genocidio / Olocausto e Shoahp.130 - 3.11 Porrajmos
IndiceTestimonianza: Le ultime vocip.131 - 3.12 Omocaustop.132 - 3.13 Gli ebrei in ItaliaBiograa: Primo Levip.133 - 3.14 Le leggi razziali in ItaliaTestimonianza: Ebrei o italiani? Glossario: Il manifesto della razzaFocus: La purezza del sanguep.136 - 3.15 La persecuzione degli ebrei italianip.138 - 3.16 I nemici del fascismo e del nazismo in ItaliaTestimonianza: Un rischio diusoFocus: Prima del lagerp.141 - 3.17 I deportati politici italianip.142 - 3.18 I campi di concentramento in ItaliaFocus: I campi di concentramento d’Italia e i criminali di guerra impuniti Biograa: Il boia di BolzanoFocus: Option - Umsiedlung - Weltkrieg 1939 - 45 / Opzione - trasferimento - guerra mondiale 1939-1945p.147 - 3.19 I meccanismi delle deportazioni dall’ItaliaTestimonianza: Il viaggio di Primo Levi / In venti minuti non hai nemmeno il tempo di pensare / L’arrivo in lagerp.151 - 3.20 AuschwitzTestimonianza: Ottobre 1944 Focus: La fuga da Auschwitz-Birkenau Glossario: Sonderkommandop.154 - 3.21 La liberazione dei campiFocus: Gli Alleati e le deportazioni / Israele e memoria della Shoahp.156 - 3.22 Il processo di NorimbergaFocus: Le cifrep.158 - RIFLESSIONI A MARGINE DEL VIAGGIO. MEMORIE LUOGHI PAROLEp.159 - Le ricezioni delle memorie p.161 - Quando non c’era Auschwitz (nella nostra memoria)p.163 - La storia e i luoghi, i luoghi della memoria (1945-2012)p.166 - Il genocidio e i suoi esclusip.169 - CONCLUSIONIp.172 - APPUNTI PER IL VIAGGIOp.187 - BIBLIOGRAFIA E REFERENZE FOTOGRAFICHECREDITS
Introduzione10Nell’Europa tra le due guerre mondiali – e poi nel corso del secondo conitto mondiale – nasce e si sviluppa un fenomeno nuovo: il fascismo. Sono moltissimi i movimenti e i regimi politici che si richiamano alla stessa matrice, i cui tratti caratterizzanti sono, oltre al nazionalismo e alla dottrina dello Stato totale e assoluto, l’antiparlamentarismo (e in generale il riuto della rappresentanza politica), l’antisocialismo e l’antisemitismo. Ma sarebbe fuorviante denire questo fenomeno che ha segnato in profondità il Novecento solo in negativo. È precisa e sempre valida una denizione dei fascismi che ha proposto lo storico Enzo Collotti oltre vent’anni fa, proprio quando stava per crollare il mondo bipolare della Guerra Fredda:La lotta contro il socialismo e contro il pluralismo politico e sociale assume dappertutto la duplice valenza di totalitarismo all’interno – l’unicità del partito di stato, la funzione carismatica del capo come simbolo anche della gerarchizzazione verticale, l’esclusione di ogni “altro”, di ogni diversità; e del totalitarismo verso l’esterno. Ossia della pretesa di superiorità, del primato di potenza e di civiltà nei confronti degli altri, dell’estremismo nazionalista e dell’imperialismo. Il razzismo sempre implicito in ogni nazionalismo è una delle espressioni più radicali del totalitarismo come volontà di annientamento anche sico del diverso; nella sua espressione esteriore più evidente questa manifestazione fu rappresentata nell’epoca del fascismo dall’antisemitismo [che fu] una necessità interna alla natura stessa di movimenti e regimi che per identicare se stessi dovevano identicare anche un comune nemico [...]In alcuni paesi i fascismi arriveranno a prendere il potere, in altri no. Il caso italiano e quello tedesco fanno da apripista, in particolare nel periodo che intercorre tra il 1919 e la metà degli anni Venti.I FASCISMI. INTRODUZIONE STORICALE PREMESSE (1919-1925)Per noi denire il fascismo è anzitutto scriverne la storia.[Angelo Tasca, Nascita e avvento del fascismo, 1938]
11IntroduzioneFRANCIAGERMANIAITALIAJUGOSLAVIAUNGHERIASVIZZERALITUANIALETTONIAESTONIASVEZIAFINLANDIADANIMARCANORVEGIAAUSTRIASPAGNAPORTOGALLOGRECIABELGIOOLANDAGRANBRETAGNAIRLANDABULGARIAUNIONE SOVIETICAALBANIAPOLONIAROMANIACECOSLOVACCHIAFRANCIAGERMANIAITALIAJUGOSLAVIAUNGHERIASVIZZERALITUANIALETTONIAESTONIASVEZIAFINLANDIADANIMARCANORVEGIAAUSTRIASPAGNAPORTOGALLOGRECIABELGIOOLANDAGRANBRETAGNAIRLANDABULGARIAUNIONE SOVIETICAALBANIAPOLONIAROMANIACECOSLOVACCHIAFRANCIAITALIAJUGOSLAVIAUNGHERIASVIZZERALITUANIALETTONIAESTONIASVEZIAFINLANDIADANIMARCANORVEGIASPAGNAPORTOGALLOGRECIABELGIOOLANDAGRANBRETAGNAIRLANDABULGARIAUNIONE SOVIETICAALBANIAPOLONIAROMANIASLOVACCHIAGERMANIAOTTOBRE 1922I FASCISMI AL POTERE IN EUROPA TRA LE DUE GUERREFASCISMIGRANDE REICHMARZO 1933MARZO 1939
Cronologia1223 MARZO.BENITO MUSSOLINI FONDA I FASCI DI COM-BATTIMENTO.11 AGOSTO.PROMULGATA LA COSTI-TUZIONE REPUBBLICANA DI WEIMAR IN GERMANIA.1919192119221923192529 LUGLIO. IN GERMANIA ADOLF HITLER VIENE ELETTO CAPO SUPRE-MO DEL PARTITO (NSDAP).7/10 NOVEMBRE. AL CONGRESSO DI ROMA VIENE FONDATO IL PARTITO NAZIONALE FASCISTA (PNF).24 GIUGNO. IL MINISTRO DEGLI ESTERI DELLA REPUBBLICA DI WEIMAR, APPARTENENTE AL PARTITO DEMOCRATICO TEDESCO, VIENE ASSASSI-NATO DA ESTREMISTI DI DESTRA POCO PIÙ DI UN ANNO DOPO L’OMICIDIO DEL LEADER DEL PARTITO CATTOLICO ZENTRUM. NEL DICEMBRE DELLO STESSO ANNO PRECIPITA IL MARCO.24/28 OTTOBRE. MARCIA SU ROMA. IL 24 OTTOBRE LE CAMICIE NERE SI RADUNANO A NAPOLI E IL 28 IL RE AFFIDA A MUSSOLINI L’INCARICO DI FORMARE UN NUOVO GOVERNO.8 NOVEMBRE. FALLISCE IL “PUTSCH DELLA BIRRERIA”, TENTATIVO DI COL-PO DI STATO GUIDATO DA HITLER SU ESEMPIO DELLA MARCIA SU ROMA ITALIANA. IN CARCERE HITLER SCRIVE IL MEIN KAMPF.13 NOVEMBRE. IL PARLAMENTO ITALIANO APPROVA LA LEGGE ACERBO (DUE TERZI DEI SEGGI ALLA CAMERA VANNO AL PARTITO DI MAGGIORANZA RELATIVA).3 GENNAIO. MUSSOLINI SI ASSUME LA RESPONSABILITÀ “MORALE”, “POLITICA” E “STORICA” DELL’ASSASSINIO DEL DEPUTATO GIACOMO MAT-TEOTTI, AVVENUTO L’ANNO PRIMA. NEI MESI SEGUENTI SI COMPLETERÀ LA TRASFOR-MAZIONE DEL FASCISMO IN REGIME, IN PARTICOLARE CON L’APPROVAZIONE DELLE “LEGGI FASCISTISSIME” TRA IL 1925 E IL 1926.11 NOVEMBRE. SI COSTITUISCE IN FRANCIA LA PRIMA FORMAZIONE POLITICA FASCISTA SORTA AL DI FUORI DELL’ITALIA, IL “FAISCEAU”. ITALIA E GERMANIAALTRI PAESI EUROPEI
13Cronologia192619291930193219286 MAGGIO IN GERMANIA IL PARTITO DI HITLER, LA NSDAP, ARRI-VA AL 2,6% ALLE ELEZIONI PER IL REICHSTAG.11 FEBBRAIO. PATTI LATERANENSI TRA VA-TICANO E ITALIA FASCISTA.24 MARZO. PRIME ELEZIONI PLEBISCITA-RIE A LISTA UNICA IN ITALIA: 98% DEI VOTI AI FASCISTI.14 SETTEMBRE. IN GERMANIA I NAZISTI, CON QUASI SEI MILIONI E MEZZO DI VOTI, SONO IL SECONDO PARTITO DEL PAESE ALLE ELEZIONI PER IL REICHSTAG.10 APRILE. IN GERMANIA ADOLF HITLER SFIORA IL 37% DEI VOTI ALLE PRESIDENZIALI: I NAZISTI SONO IL PRIMO PARTITO DEL REICHSTAG. VINCE HINDENBURG CON OLTRE IL 50%. HITLER NON ACCETTA DI ENTRARE IN UN GOVERNO DI COALI-ZIONE.193112 MAGGIO. UNA MARCIA SU VARSAVIA INSTAURA UNA DITTATURA IN POLONIA.28 MAGGIO. IN PORTOGALLO UN COLPO DI STATO MILITARE PORTA AL POTERE IL GE-NERALE ANTONIO OSCAR CARMONA, CHE DUE ANNI DOPO SI FARÀ ELEGGERE PRESIDENTE DELLA REPUB-BLICA.17 DICEMBRE. IN LITUANIA UN COLPO DI STATO CON L’APPOGGIO DI PARTITI DI DESTRA E DEL PARTITO DEMOCRATICO-CRISTIANO DÀ VITA A UN REGIME CHE PRENDE A MODELLO IL FASCISMO ITALIANO.6-7 GENNAIO. IN JUGOSL AVIA IL RE ALESSANDRO I GUIDA UN COLPO DI STATO. NELLE STESSE ORE VIENE FONDATO IL MOVIMENTO NAZIONALISTA DEGLI USTAŠA (RIBELLI), CHE RICEVE PROTEZIONE E RIFORNIMENTI DALL’ITALIA FASCISTA.12 APRILE. LA SPAGNA MONARCHICA DIVENTA UNA REPUBBLICA.5 LUGLIO. L’ECONOMISTA SALAZAR È NOMINATO PRIMO MI-NISTRO IN PORTOGALLO. L’ANNO SUCCESSIVO UN PLEBISCITO FORMALIZZA L’ESTADO NOVO DI SALA-ZAR. TRA I PRIMI PROVVE-DIMENTI C’È L’ISTITUZIONE DEL PARTITO UNICO E DELLA POLIZIA POLITICA.1 OTTOBRE. IN GRAN BRETAGNA NASCE LA BRITISH UNION OF FASCISTS (B.U.F.).ITALIA E GERMANIAALTRI PAESI EUROPEI
Cronologia1430 GENNAIO. HITLER DIVENTA CANCELLIE-RE IN GERMANIA. A OTTOBRE LA GERMANIA USCIRÀ DALLA SOCIETÀ DELLE NAZIONI.FEBBRAIO/MARZO. IN GERMANIA UN INCEN-DIO AL REICHSTAG VIENE ATTRIBUITO A UN COMPLOT-TO DELLE SINISTRE. SCATTA LA REPRESSIONE: VENGO-NO SOSPESE LE LIBERTÀ POLITICHE E CIVILI E APERTI I PRIMI LAGER (DACHAU E ORANIENBURG). NEI MESI SUCCESSIVI MIGLIAIA DI OP-POSITORI POLITICI VENGONO INTERNATI.23 MARZO. HITLER OTTIENE I PIENI POTERI IN GERMANIA. IN PO-CHE SETTIMANE VENGONO SOPPRESSI TUTTI GLI ALTRI PARTITI.193319341935193619372 AGOSTO. IN GERMANIA, ALLA MORTE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA HINDENBURG, HITLER UNIFICA NELLA SUA PERSONA LE CARICHE DI CANCELLIERE E PRESIDENTE, PROCLAMANDOSI FÜHRER.15 SETTEMBRE. IN GERMANIA LE LEGGI DI NORIMBERGA STABILISCONO CHE GLI EBREI SONO UNA RAZZA INFERIORE.3 OTTOBRE. L’ITALIA FASCISTA AGGRE-DISCE L’ETIOPIA. SETTE MESI PIÙ TARDI, DOPO LA CONQUISTA DI ADDIS ABEBA, VERRÀ PROCLAMATO L’IMPERO.OTTOBRE. NASCE L’ASSE ROMA-BERLINO.11 DICEMBRE. L’ITALIA ESCE DALLA SOCIETÀ DELLE NAZIONI.17/18 LUGLIO. IN SPAGNA, DOPO LA VITTO-RIA DEL FRONTE POPOLARE ALLE ELEZIONI DI FEBBRAIO E L’ARRESTO DEI DIRIGENTI DELLA FALANGE, SCOPPIA LA GUERRA CIVILE. A PROVO-CARLA SONO I MILITARI, GUIDATI DA FRANCISCO FRANCO, CHE INSORGONO CONTRO LA REPUBBLICA. 4 AGOSTO. IN GRECIA IL RE PROCLAMA LA DITTATURA DEL GENERA-LE IOANNIS METAXAS PER PREVENIRE UN’INSURREZIO-NE COMUNISTA. 6 NOVEMBRE. IN SPAGNA IL GOVERNO GOLPISTA DI FRANCO, CHE RIORGANIZZERÀ LA FALANGE, È RICONOSCIUTO DA ITALIA E GERMANIA CHE INVIANO UOMINI E ARMAMENTI. NEI MESI SUCCESSIVI AFFLUIRANNO ANTIFASCISTI DA TUTTA EUROPA PER COMBATTERE QUELLO CHE APPARE A TUTTI UNO SCONTRO EPOCALE TRA IDEOLOGIE. 10 OTTOBRE. UN COLPO DI STATO IN GRECIA INSTAURA UNA DITTATURA CHE ABOLISCE LA REPUBBLICA. IN SEGUITO ALLA VITTORIA DELLA MO-NARCHIA AL REFERENDUM SUCCESSIVO SEGUE UNA BREVE FASE DI STALLO. 6 FEBBRAIO. LA DESTRA RADICALE MAR-CIA CONTRO LA SEDE DEL PARLAMENTO IN FRANCIA, MA VIENE ATTACCATA DALLA POLIZIA. NEL NUOVO GABI-NETTO DI UNITÀ NAZIONALE SONO ESCLUSI COMUNISTI E SOCIALISTI. A NOVEMBRE IL FRONTE POPOLARE, AL GOVERNO, DENUNCERÀ E SVENTERÀ UN VENTILATO COLPO DI STATO DI ISPIRA-ZIONE FASCISTA. 19 MAGGIO. COLPO DI STATO FASCISTA IN BULGARIA.24 APRILE. COLPO DI STATO IN ESTONIA. 14 MAGGIO. IN POLONIA NASCE UN “RAGGRUPPAMENTO” FASCISTA STACCANDOSI DAL PARTITO NAZIONALDEMO-CRATICO, GIÀ DI ORIEN-TAMENTO NAZIONALISTA, CONSERVATORE E ANTISE-MITA. L’ANNO SUCCESSIVO VIENE ISTITUZIONALIZZATA LA DITTATURA DI PIŁSUDSKI. 15 MAGGIO. COLPO DI STATO IN LETTO-NIA. IL PRIMO MINISTRO SCIOGLIE IL PARLAMENTO E SI PROCLAMA VADOMIS (DUCE). 10 LUGLIO. DOPO UNA GUERRA CIVILE TRA IL GOVERNO CLERICO-FASCISTA E I SOCIALISTI, IN AUSTRIA VIENE EMANATA UNA NUOVA COSTITUZIONE CHE CONFERISCE POTERI DITTATORIALI AL CANCELLIE-RE. DUE SETTIMANE DOPO FALLISCE UN TENTATIVO DI COLPO DI STATO NAZISTA. ITALIA E GERMANIAALTRI PAESI EUROPEI
15Cronologia1939194019383-8 MAGGIO. VISITA DI HITLER IN ITALIA. MUSSOLINI DÀ L’ASSENSO ALL’ANNESSIONE TEDESCA DELL’AUSTRIA.3 AGOSTO. LEGGI RAZZIALI IN ITALIA.9-10 NOVEMBRE. IN GERMANIA LA “KRISTAL-LNACHT” VEDE LA DEVA-STAZIONE DEI BENI DEGLI EBREI TEDESCHI E DECINE DI MORTI.19 GENNAIO. IN ITALIA LA CAMERA DEI FASCI E DELLE CORPORAZIO-NI SOSTITUISCE LA CAMERA DEI DEPUTATI.22 MAGGIO.ITALIA E GERMANIA FIR-MANO IL PATTO D’ACCIAIO, IMPEGNANDOSI RECIPROCA-MENTE IN CASO DI CONFLIT-TI OFFENSIVI E DIFENSIVI.ESTATE. CON L’OPERAZIONE EUTANA-SIA LA GERMANIA NAZISTA DECIDE L’ELIMINAZIONE DI TUTTE LE VITE “INDEGNE DI ESSERE VISSUTE”. MUOIO-NO CIRCA SETTANTAMILA PERSONE.1 SETTEMBRE. LA GERMANIA INVADE LA POLONIA, DANDO IL VIA AL SECONDO CONFLITTO MONDIALE. SEGUIRANNO, NEL GIRO DI POCHI MESI, BELGIO, OLANDA E FRANCIA. L’ITALIA, DICHIARATASI IN UN PRIMO MOMENTO ALLEATO “NON BELLIGERANTE”, ENTRA IN GUERRA NEL GIUGNO DEL 1940, ATTACCANDO LA FRANCIA GIÀ PIEGATA DALL’OFFENSIVA TEDESCA.27 SETTEMBRE. IL PATTO TRIPARTITO IMPE-GNA ITALIA, GERMANIA E GIAPPONE AL SOSTEGNO RECIPROCO.12 FEBBRAIO. IN ROMANIA RE CARLO I SCIOGLIE TUTTI I PARTITI E INSTAURA UN REGIME AUTORITARIO DI STAMPO FASCISTA. 11 MARZO. IL CAPO DEI NAZISTI AU-STRIACI DIVENTA IL NUOVO CANCELLIERE. POCHI GIORNI DOPO LA GERMANIA SI ANNETTE L’AUSTRIA, E MENO DI UN MESE PIÙ TARDI UN PLEBISCITO RATIFICA L’ANNESSIONE. 10 OTTOBRE. SI CONCLUDE L’OCCUPAZIO-NE TEDESCA DEI SUDETI, IN CECOSLOVACCHIA, ANCHE GRAZIE A UN ACCORDO DEI NAZISTI CON L’ITALIA FASCISTA, LA FRANCIA E IL REGNO UNITO (CONFERENZA DI MONACO). 26 GENNAIO. CADE BARCELLONA. DUE MESI DOPO I FRANCHISTI ENTRANO A MADRID E TERMINA LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA. 14 MARZO. ESTREMISTI DI DESTRA IN SLOVACCHIA PROCLA-MANO L’INDIPENDENZA DALLA CECOSLOVACCHIA, IN ACCORDO CON I NAZISTI. NEI GIORNI SUCCESSIVI L’ESERCI-TO TEDESCO OCCUPA ANCHE LE RESTANTI PARTI DI BOE-MIA E MORAVIA, RENDENDO-LE PROTETTORATO. ANCHE UNGHERIA E POLONIA SI ANNETTONO PORZIONI DI TERRITORIO CECOSLOVACCO. 6-7 APRILE. L’ITALIA FASCISTA INVADE L’ALBANIA.ITALIA E GERMANIAALTRI PAESI EUROPEI
Introduzione16Il diuso movimento dei collaboratori con gli occupanti, il collaborazionismo, non si può intendere se non pensan-do al retroterra di simpatie per il fascismo che ha rappre-sentato il terreno politico-culturale su cui si è prodotto il reclutamento dei collaborazionisti. Naturalmente non si può neppure schematizzare e ideologizzare il collabora-zionismo secondo parametri troppo rigidi; non tutti i col-laborazionisti si possono denire fascisti in senso stretto. Una parte lo è stata certamente; un’altra parte si è illusa di utilizzare le potenze fasciste come strumento per liquida-re il vecchio regime o per fare i conti con una democrazia fallimentare (questo nelle intenzioni, beninteso, perché le potenze dell’Asse rispetto ai collaborazionisti erano co-munque troppo forti per farsi strumentalizzare); un’altra parte per mero opportunismo, certamente un residuo di situazioni in cui non si era aermata una cultura politica con un fondamento democratico sicuro, di situazioni di crisi di identità non solo di regime ma anche di stato, di nazione, di crisi morale profonda, come quella determi-nata dal crollo della Terza Repubblica in Francia.[Enzo Collotti]Nell’arco di un ventennio la società europea è stata pene-trata in profondità dai fascismi, in una tensione tra il con-senso - e la sua necessaria creazione - e la repressione del dissenso. La possibilità della realizzazione di un’Europa integralmente fascista appare reale nei primi due anni di guerra, e solo a partire dalla ne del 1942 iniziano a ribal-tarsi le sorti del conitto. L’obiettivo dell’Ordine Nuovo fascista non sarà raggiunto, ma la guerra accelera a di-smisura la “volontà di annientamento” del diverso. Prima del ribaltamento che porterà alla scontta della Germa-nia nazista, essa ucializza e organizza lo sterminio siste-matico degli ebrei d’Europa, già cominciato da tempo sul fronte orientale. È il gennaio del 1942.I movimenti e i partiti fascisti dei paesi occupati si ado-perano nell’aiutare sistematicamente i nazisti anche nella loro opera di deportazione. Ancora nell’estate del 1944, quando sembra certa la scontta nazista, dall’Ungheria occupata, nella quale il partito fascista è un partito di massa già da quasi un decennio – è il primo paese euro-peo a discriminare ucialmente gli ebrei già nel 1920 – partono verso i lager nazisti circa mezzo milione di ebrei.L’ESPANSIONE DEL NUOVO ORDINE E L’EPILOGO (1940-1945)
1] L’ascesa dei fascismi171. L’ASCESA DEI FASCISMI
1] L’ascesa dei fascismi18Il 28 giugno del 1914, durante una parata, il giovane indi-pendentista serbo-bosniaco Gavrilo Princip uccide a Sara-jevo con due colpi di pistola l’erede al trono austriaco Fran-cesco Ferdinando e la moglie: è questo l’episodio scatenante della prima guerra mondiale, il più grande conitto com-battuto dall’uomo no a quel momento. Ma quali sono le sue cause profonde? Il primo fattore è il dilagare in tutta Europa delle teorie nazionaliste: è proprio questo il motivo che conduce all’attentato di Sarajevo, ge-sto commesso da un bosniaco contro i regnanti dell’Impero austroungarico in nome dell’indipendenza del suo popolo (l’Impero era composto da dieci stati attuali, tra cui quelli balcanici). A condurre l’Europa in guerra è anche la volontà espansionistica della giovane Germania, che porta all’at-trito con Russia, Gran Bretagna e Francia; contribuiscono inne alla corsa verso il conitto le cause economiche, in particolare la volontà, in primo luogo tedesca ma in gene-rale di tutti i paesi capitalisti, di assicurarsi nuovi mercati. In questo senso è importante il ruolo svolto della grande in-dustria, che caldeggia la guerra comprendendo gli enormi vantaggi economici che ne può ricavare. L’Austria reagisce all’attentato dichiarando guerra alla Ser-bia. Scatta il sistema delle alleanze: la Russia si schiera im-mediatamente a anco dei serbi, provocando la tempestiva reazione della Germania, che – in linea con la sua volontà espansionistica – dichiara guerra a Russia e Francia. An-che la Gran Bretagna scende in campo al anco di russi e francesi, tenendo fede al patto di “Triplice Intesa” siglato nel 1907.La posizione dell’Italia, che vive una delicata fase di tran-sizione dopo la guerra coloniale in Libia, è incerta: benché si assista alla creazione di un fronte interventista, tra cui spiccano i nazionalisti e si mettono in luce personaggi come Mussolini e D’Annunzio, la maggior parte della popolazio-ne è su posizioni neutraliste, rappresentate in parlamento dai cattolici e dai socialisti. Il governo conservatore vede però nell’intervento un modo di aossare il nascente movi-mento operaio e soprattutto di garantire all’Italia l’espansio-1.1LA PRIMA GUERRA MONDIALE
1] L’ascesa dei fascismi19ne imperialista nei Balcani e nel Medi-terraneo. L’Italia entra infatti in guerra solo in seguito al patto segreto di Lon-dra, con cui gli inglesi promettono al governo italiano, in cambio dell’impe-gno militare, l’annessione dei territori di Sud Tirolo, Trentino, Venezia Giu-lia, Istria, una parte della Dalmazia e alcune parti di Albania e Turchia. È il maggio del 1915.Il conitto, cominciato con la rapidis-sima invasione tedesca del nord del-la Francia, si trasforma ben presto in guerra di logoramento. Sia sul fronte occidentale tra Germania e Francia, sia su quello orientale tra Germania, Au-stria e Russia si combatte un’estenuan-te “guerra di trincea”, che ucciderà mi-lioni di soldati. La situazione rimane alquanto statica, benché insanguinata da drammatiche battaglie – Verdun, la Somme, la battaglia navale dello Jut-land – no a che nel 1917 la Germa-nia, per bloccare i rifornimenti ai paesi nemici e isolare la Gran Bretagna, pro-clama la “guerra sottomarina totale”. La nuova tattica tedesca danneggia pe-santemente il commercio americano. Gli Stati Uniti entrano così in guerra. Sempre nel 1917 la rivoluzione bol-scevica porta la Russia, stremata, fuori dal conitto. Intanto l’esercito italiano, dopo la storica scontta inittagli da-gli austroungarici a Caporetto, sferra l’attacco nale al nemico. Nell’ottobre 1918, a Vittorio Veneto, l’Impero au-stroungarico perde la battaglia decisi-va e rapidamente si dissolve. L’Austria, che chiederà l’armistizio il 3 novem-bre, perde il novanta per cento del suo territorio in seguito alla proclamazio-ne di indipendenza dei vari stati che la componevano e nascono Ungheria, Jugoslavia e Cecoslovacchia. La Ger-mania, isolata economicamente, pie-gata dall’incredibile sforzo militare e dal crescente malcontento interno, è costretta ad arrendersi.L’11 novembre si conclude così la pri-ma guerra mondiale. I morti sono al-meno 9 milioni. Gli accordi di pace vengono rmati a Versailles il 28 giu-gno 1919. La Germania perde parte dei suoi ter-ritori e tutte le sue colonie, deve risar-cire i danni di guerra e ridurre perma-nentemente esercito e otta. LA BATTAGLIA DI CAPORETTONell’ottobre 1917 le armate austroungariche e tedesche sfon-dano il fronte italiano sul ume Isonzo, in seguito a un attac-co a sorpresa nei pressi della cittadina di Caporetto (attuale Kobarid, in Slovenia). Stremate da lunghi mesi di sanguinose oensive e controensive, le forze italiane iniziano la ritirata e si arrestano solo sulla linea dei umi Tagliamento e Piave, dove riescono a bloccare l’avanzata. Questa grave disfatta ha notevoli conseguenze: il generale Cadorna, che ha diretto no a quel momento le operazioni militari, viene sostituito dal ge-nerale Armando Diaz e cade il governo. Diversi fattori causano la disfatta: innanzitutto l’eccessiva lunghezza del fronte e la sopravvivenza nei vertici militari di vecchi pregiudizi, come l’ossessione di ogni centimetro di terreno conquistato. Inoltre la dura disciplina che gli stessi vertici impongono all’esercito crea divisioni e malcontento tra i soldati, ormai esausti e sdu-ciati da lunghi mesi passati in trincea. La scontta è così pesante che il termine “caporetto” è entrato nella lingua italiana come sinonimo di disfatta. LA CESURA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALELa guerra cambia la geograa mondiale: l’Impero au-stroungarico e l’Impero ottomano si dissolvono in nu-merosi stati nazionali, l’Impero zarista viene abbattuto dalla rivoluzione d’ottobre e sostituito dall’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Anche l’Impero prussiano cessa di esistere: il kaiser fugge in Olanda e per la Germania si aprono anni molto travagliati. La guerra è un dramma anche a livello economico. Per il vecchio con-tinente è arduo riprendersi dalla Grande Guerra, denita dal papa l’“inutile strage”: tutta l’economia continentale, devastata dallo sforzo bellico, richiede tempo per ade-guare la propria produzione industriale al tempo di pace.Gli Stati Uniti, veri vincitori della guerra, per la prima volta nella storia si sono guadagnati una posizione di assoluto dominio della scena mondiale a livello militare ed econo-mico. Pur rimanendo nel loro tradizionale isolazionismo sono chiari, in prospettiva, i segni di una nuova impronta dell’ordine internazionale: inizia così, sotto la guida del presidente Woodrow Wilson, l’Era Americana.
1] L’ascesa dei fascismi20Alla ne dell’Ottocento l’imperatore russo, lo zar, è a capo di una monarchia assolutistica. In questi anni la Russia vive la sua crescita industriale con un ritardo di quasi un secolo rispetto agli altri paesi europei. Dei 45 milioni di persone che popolano l’Impero, oltre il 70% coltiva terre di diretta proprietà dello zar. La servitù della gleba è stata abolita nel 1861, ma ciò non ha migliorato le eettive condizioni dei contadini: essi si trovano anzi privati della minima tutela giuridica che quello status servile garantiva. Il 1905 è un anno critico per l’impero zarista: il grande esercito russo, dimostrando la sua in-trinseca debolezza, perde infatti la guerra imperialista contro il Giappone (è la prima scontta subita da una na-zione europea ad opera di non europei nell’era moderna). All’interno del paese il movimento populista e le forze socialdemocratiche guidano una ribellione che ottiene la creazione della Duma, una sorta di parlamento elet-to con un sistema di suragio universale che privilegia però le classi ricche. Tuttavia nel giro di appena due anni la Duma viene di fatto svuotata del suo potere. Con lo scoppio della prima guerra mondiale le condizioni di vita si fanno particolarmente di cili per la popolazione ci-vile, alla ne di febbraio viene proclamato uno scioperogenerale, raorzato dalla contemporanea riunione del soviet (un’assemblea che rappresenta soldati e operai) di Pietrogrado. I rivoltosi occupano i luoghi cardine della città, mentre anche a Mosca scoppia la rivolta, che porta in breve la città a cadere in mano agli insorti. Lo zar Nicola II, nella speranza di conservare il suo im-pero, tenta di concedere ampie riforme e un’assemblea costituente, ma i rivoltosi non si accontentano. Il 2 marzo depongono lo zar e istituiscono un governo provvisorio per avviare una fase costituente. Il nuovo governo è for-mato da rappresentanti dei cadetti, dei menscevichi e dei 1.2 LA RIVOLUZIONE RUSSA
1] L’ascesa dei fascismi21socialisti rivoluzionari. Il 4 aprile 1917, alla conferenza dei bolscevichi, Vladimir Uljanov, me-glio noto come Lenin, espone le linee guida del partito per i mesi futuri, conosciute come le “Tesi di Aprile”. Secondo Lenin il proletariato deve abbattere il governo provvisorio, di ispirazione borghese, e trasferire tut-to il potere ai soviet; i contadini devo-no occupare le terre dei grandi lati-fondisti; e il conitto mondiale deve essere immediatamente fermato per giungere a una pace senza protti. Nella notte fra il 6 e il 7 novembre 1917 (24-25 ottobre per il calendario russo), un’insurrezione guidata dai bolscevichi rovescia il governo prov-visorio: è la Rivoluzione d’Ottobre. Il potere viene assunto da un governo rivoluzionario presieduto da Lenin, che rma immediatamente un armi-stizio con gli imperi centrali, facen-do così uscire la Russia dalla prima guerra mondiale, dichiarando una disponibilità alla pace “senza annes-sioni e senza indennità”. Con la pace di Brest-Litovsk, rmata nel marzo 1918, i russi perdono circa un quarto dei loro territori europei. Il secondo atto di Lenin e del Con-gresso stabilisce senza appello che la grande proprietà terriera è “abolita immediatamente e senza alcun in-dennizzo”. Convinti di poter conqui-stare in breve tempo il consenso del popolo, i leader bolscevichi aerma-no di voler costruire rapidamente un nuovo “stato proletario”. In realtà, il regime rivoluzionario si rivela n dal suo inizio autoritario. Già nel 1918 mette fuori legge tutti i partiti di opposizione e in seguito crea il “tribunale rivoluzionario cen-trale” e “l’Armata Rossa degli operai e dei contadini”, reintroducendo la pena di morte abolita dalla Rivolu-zione d’Ottobre. Gli arresti arbitrari dei “nemici della classe” e le esecu-zioni sommarie diventano n da su-bito una pratica del nuovo regime. I PROTAGONISTI DELLA RIVOLUZIONEMENSCEVICHI Questo partito comprende socialisti di tutte le sfumature, convinti che la società debba progredire verso il socialismo per evoluzione graduale. Vi aderiscono numerosi intellettuali.BOLSCEVICHI I bolscevichi, diretti da Lenin, sostengono l’insurrezione proletaria immediata e la presa del potere per arettare la realizzazione del socialismo, che esige il possesso da parte della classe operaia e dei suoi alleati delle industrie, della terra, delle ricchezze naturali e degli istituti nanziari. Questo partito rappresenta soprattutto gli operai delle ocine, ma anche una parte importante dei contadini poveri. SOVIET La parola soviet signica “consiglio”. Dopo la rivoluzione, la parola viene impiegata per designare speciali assemblee, elette dalle organizzazioni economiche operaie: ci sono i soviet dei deputati operai, contadini e soldati. Oltre i soviet locali di ciascuna città o villaggio e i soviet di rione delle grandi città esistevano anche i soviet regionali e provinciali e, con sede nella capitale, il Comitato centrale esecutivo. Quasi ovunque i soviet dei deputati operai e dei deputati soldati si fondono poco dopo la prima Rivoluzione.
1] L’ascesa dei fascismi22La vittoria militare della Grande Guerra, costata all’Italia la morte di oltre seicentomila uomini, non dà i risultati sperati e costituisce una grossa delusione per gli inter-ventisti. Negli accordi di pace di Versailles non vengono infatti riconosciuti all’Italia i territori promessi nel patto di Londra del 1915. Il crollo dell’Impero asburgico, so-gno del Risorgimento italiano, e la vittoria della guerra non soddisfano una parte della popolazione italiana. Sul-la bocca degli studenti e degli uciali tornati dal fronte comincia a circolare un’espressione molto signicativa: la “vittoria mutilata”. Il sentimento nazionale inizia così a esasperarsi soprattutto nell’ambiente della piccola e me-dia borghesia. La prima grande prova armata dell’Italia unita, la Gran-de Guerra, per quanto abbia visto nell’industria e nel commercio, come sempre durante i conflitti, la rapida nascita di nuove fortune, ha colpito duramente a livel-lo economico la vecchia borghesia agiata, gravandola di nuove tasse. La speranza che la fine della guerra porti un benessere diffuso si rivela un’illusione: le imposte e l’inflazione continuano ad aumentare, portando a un innalzamento generalizzato dei prezzi. Inoltre il paese si trova alle prese con i rilevanti mutamenti sociali che la riconversione a un’economia di pace comporta, dalla cessata produzione di armi ai soldati tornati dal fronte che si ritrovano spesso disoccupati e in condizioni di inferiorità rispetto ad altri che non hanno combattuto e durante la guerra hanno fatto affari.Altri cambiamenti si prolano tra le classi popolari: i contadini e gli operai in molti casi vengono colpiti dal-la povertà e dalla disoccupazione. Il “sogno della terra ai contadini” sembra possibile, e nell’estate del 1919 essi occupano le terre dei grandi proprietari. Nelle campa-gne non marciano soltanto i “rossi”, ma esiste anche un movimento di contadini cattolici che occupa, nel 1920, numerose terre nella Valle Padana. Per quanto “rossi” e “bianchi” abbiano obiettivi in parte diversi, dall’Italia me-ridionale a quella settentrionale i contadini marciano per prendere possesso della terra. Anche le masse operaie al termine della guerra formano gruppi organizzati consa-pevoli della propria forza e, cercando di seguire l’esempio russo, ottengono numerose concessioni, dalla giornata lavorativa di otto ore (1919) ad aumenti salariali. Tuttavia in molti casi gli stessi operai, criticando la guerra appena nita, manifestano disprezzo verso chi l’ha combattuta, oendendo l’“amor di patria” di una parte della borghe-sia. Il biennio 1919-1920, passato alla storia come “bien-nio rosso”, ha il suo culmine negli scioperi dell’autunno 1920, quando migliaia di operai occupano le fabbriche del nord Italia, creando nelle classi benestanti la “paura della rivoluzione”. Nell’Italia del dopoguerra si crea così una spaccatura: la volontà rivoluzionaria degli operai e le marce dei conta-dini si contrappongono all’insoddisfazione della borghe-sia che si impoverisce e alle paure dei grandi proprieta-ri e degli industriali, che iniziano a temere un radicale 1.3IL PRIMO DOPOGUERRA IN ITALIA
1] L’ascesa dei fascismi23sconvolgimento del sistema. Inoltre i socialisti, vincitori delle elezioni del 1919 insieme al Partito popolare di Don Luigi Sturzo, alla ne del 1920 hanno il controllo di un complesso potentissimo che, per quanto non abbia intenzione di mettere in pra-tica una rivoluzione violenta, non vuole neanche dividere il potere con i “borghesi”. Inizia inne a crearsi l’impressione che il partito socialista, contrario agli interessi della borghesia e degli indu-striali, sia anche un partito “antina-zionale”. È in questo clima che trova il suo spazio un nuovo movimento: il fa-scismo, che opera contro gli interessi di contadini e operai, trovando l’ap-poggio dei proprietari terrieri e degli industriali. I fascisti e i nazionalisti (i quali si fonderanno con il Partito na-zionale fascista nel 1923) e vari “at-tivisti” antisocialisti, si organizzano in squadre punitive che reprimono con violenza il movimento operaio e contadino. Le “squadracce”, spesso aiutate dalle forze dell’ordine, danno vita nel 1919 al movimento dei Fasci di combattimento, guidato da Benito Mussolini. Alla ne del 1920 il fascismo diventa una forza politica di primo piano, so-stenuto anche dalla piccola borghe-sia, in particolar modo dagli ex u-ciali e dagli studenti dal “sentimento nazionale” oeso. Le paure di proprietari terrieri, in-dustriali e borghesia spianano così la strada a Mussolini. Per il fasci-smo non si tratta più di reagire ai “disordini” delle fabbriche e delle campagne, né di punire gli “antipa-trioti” socialisti. Nel novembre 1921 il movimento dei fasci si costituisce in Partito nazionale fascista (PNF) e conta trecentomila iscritti. Nell’otto-bre 1922 migliaia di fascisti marciano su Roma. Le camicie nere potrebbero essere facilmente disperse dalle trup-pe poste a difesa della capitale, ma il re Vittorio Emanuele II si riuta di rmare lo stato d’assedio, e incarica Mussolini di formare un nuovo go-verno. Il fascismo è al potere.BENITO MUSSOLINI PRIMA DI DIVENTARE DUCEBenito Mussolini nasce a Predappio, in provincia di Forlì, il 29 luglio 1883. Ottiene l’abilitazione di maestro ele-mentare, ma ben presto si dedica alla politica, iscrivendosi al Partito socia-lista. Nel 1912 diventa direttore del giornale di partito, l’“Avanti!”. Quan-do scoppia la prima guerra mondiale si colloca su posizioni interventiste: viene così espulso dal partito, fautore della linea neutralista. Mussolini pro-segue però la sua attività giornalistica – pubblicando “Il popolo d’Italia” – e politica: nel 1919 fonderà il movimen-to dei Fasci di combattimento, dal quale nascerà il partito fascista. Ecco come viene descritto Benito Mussolini in un rapporto dell’ispetto-re generale di pubblica sicurezza Ga-sti redatto nel giugno 1919: “Benito Mussolini è di forte costituzione sica sebbene sia aetto da silide. Questa sua robustezza gli permette un conti-nuo lavoro. Riposa no a tarda ora del mattino, esce di casa sua a mezzogior-no, ma non vi rientra che alle 3 dopo la mezzanotte, e queste quindici ore, meno una breve sosta per i pasti, sono devolute all’attività giornalistica e po-litica. È un sensuale e ciò è dimostrato dalle varie relazioni contratte con don-ne delle quali le più notevoli quelle con la Guidi e colla Dasler […] È un emoti-vo e un impulsivo e questi caratteri lo rendono nei suoi discorsi suggestivo e persuasivo per quanto, pur parlando bene, non possa dirsi un oratore […] È ambiziosissimo. È animato dalla con-vinzione di rappresentare una notevo-le forza nei destini d’Italia ed è deciso a farla valere. È uomo che non si rasse-gna a posti di secondo ordine. Vuole primeggiare e dominare.” NELLA PAGINA A FIANCO28 OTTOBRE 1922: I FASCISTI ENTRANO IN PIAZZA DEL POPOLO AL TERMINE DELLA MARCIA SU ROMAA SINISTRAIL DUCE
1] L’ascesa dei fascismi24Gli stenti patiti dalla popolazione tedesca durante la pri-ma guerra mondiale e il trionfo della rivoluzione russa sfociano in un’adesione di massa a movimenti di stam-po socialista, in particolare il partito socialista tedesco (SPD) che guadagna la maggioranza in parlamento.La Germania esce dalla prima guerra mondiale comple-tamente trasformata: la monarchia cessa di esistere, il kai-ser fugge in Olanda e viene così proclamata la “Repubbli-ca di Weimar”, dal nome della città scelta dall’Assemblea costituente come propria sede.La repubblica si fonda su un sistema semi-presidenziale con un parlamento (il Reichstag) eletto da una rappresen-tanza proporzionale: è un modello di democrazia parla-mentare aperta e decisamente avanzata. Il clima di grande libertà rende così la Germania anche il centro più vivace della cultura europea. Sono tuttavia numerosi gli elementi di debolezza della Repubblica che insidiano la democrazia tedesca. Innan-zitutto la frammentazione dei gruppi politici, che rende instabili i governi e le maggioranze. Gli unici che possono aspirare a un ruolo di egemonia politica sono i socialde-mocratici, che godono del sostegno della classe operaia, numerosa e ben organizzata. Le classi medie si riconosco-no invece nel centro cattolico – che basa il suo consenso sui contadini – o nelle formazioni della destra conserva-trice e moderata. La didenza nei confronti del sistema democratico, tuttavia, coinvolge buona parte della picco-la e media borghesia, oltre ai gruppi di estrema destra. Nel 1921 si presenta il primo vero momento di crisi del-la democrazia tedesca. Le forze alleate stabiliscono l’am-montare delle riparazioni di guerra che la Germania deve pagare ai vincitori: 132 miliardi di marchi-oro, una cifra spaventosa per l’epoca. Si scatenano ovunque ondate di protesta, i gruppi dell’estrema destra nazionalista, fra i quali si sta facendo strada il piccolo Partito nazionalso-cialista di Adolf Hitler, scatenano un’oensiva terroristica contro la classe dirigente repubblicana, che è accusata di tradimento per essersi piegata alle imposizioni dei vinci-tori. Incominciano gli omicidi politici: vengono assassi-nati il Ministro delle nanze e un esponente del Partito democratico.Nel 1923 Adolf Hitler tenta un colpo di stato a Monaco di Baviera, il “putsch della birreria”, ma i tremila uomini da lui guidati vengono fermati dalla polizia. Hitler è ar-restato e condannato a cinque anni di prigione, dei quali sconterà tuttavia solo pochi mesi. Durante la prigionia scriverà il Mein Kampf, manifesto dell’ideologia nazista. Hitler comprende inoltre che la via migliore per conqui-1.4LA REPUBBLICA DI WEIMAR
1] L’ascesa dei fascismi25stare il potere è quella legalitaria: sarà questo il percorso che intraprenderà una volta uscito dal carcere, seguen-do l’esempio di quanto già realizzato dai fascisti in Italia. Nello stesso anno Francia e Belgio, a causa del ritardo da parte della Ger-mania nel pagamento dei debiti di guerra, occupano la regione indu-striale tedesca della Ruhr, impove-rendo ulteriormente la Germania e facendo salire l’inazione. Nel 1924 la crisi comincia a essere superata, dal momento che la Germania rien-tra in possesso della Rhur e riceve aiuti economici americani, con il pia-no Dawes. Nonostante questo, a partire dalle elezioni del 1925 il consenso verso i partiti democratici cala bruscamen-te. Si fanno strada i gruppi estremisti: i comunisti da una parte, i tedeschi nazionalisti dall’altra. ADOLF HITLER PRIMA DI DIVENTARE FÜHRER Adolf Hitler nasce il 20 aprile 1889 a Braunau, sul conne tra Austria e Baviera. Il padre è un modesto impiegato statale, rappresentante della piccola borghesia. Adolf è un pessimo studente: la sua tormentata carriera scolastica si interrompe molto presto. Il giovane Hitler è attratto dall’arte, in particolare dalla pittura. Decide così di recarsi a Vienna per frequentare l’Accademia di Belle Arti: viene però respinto per ben due volte all’esame d’ammissione. Sono anni dicili. Adolf si guadagna da vivere con piccoli lavoretti e dipingendo per un amico cartoline e acquerelli. Nel periodo viennese si forma la visione del mondo di Hitler che riprende i pregiudizi della piccola borghesia conservatrice: l’antisemitismo, l’odio per il proletariato, il nazionalismo aggressivo, il riuto della cultura moderna. Nel 1913, poco più che ventenne, Adolf lascia Vienna, della quale non tollera più il cosmopolitismo. Scriverà di quella decisione: “La grande capitale mi appariva come la personicazione dell’incesto […] Quanto più durava la mia permanenza a Vienna, tanto più aumentava il mio odio contro quel coacervo di popoli stranieri […]. Per tutti questi motivi si faceva sempre più forte in me la nostalgia di recarmi colà, dove sin dall’infanzia mi attiravano desideri segreti, un segreto amore”. La terra agognata è la Germania, lontano da ebrei, slavi e ungheresi. Hitler va così a Monaco dove lavora come pittore e decoratore. Si arruola poi nell’esercito bavarese e si rivela un buon soldato. In guerra viene ferito due volte, e riceve decorazioni militari per il suo valore. Nel 1918 è ricoverato in ospedale per intossicazione da gas e lì trascorre i mesi che portano alla Repubblica di Weimar. Adolf Hitler in questi anni si convince che la sua vera missione è l’attività politica: nel 1920, a Monaco, comincia a frequentare un piccolo partito della destra nazionalista, che tiene le sue riunioni nelle birrerie. In breve tempo entra nel direttivo del partito che, dietro sua proposta, prende il nome di Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi (NSDAP). Grande oratore, Hitler sa trascinare il pubblico di ex militari, piccolo borghesi e proletari a cui si rivolge. L’impressionante crescita della NSDAP, all’inizio degli anni Trenta, consacra Hitler, dal 1926 capo indiscusso del movimento nazista, come campione delle destre nazionaliste europee.
1] L’ascesa dei fascismi26Negli anni che seguono la prima guerra mondiale, men-tre l’Unione Sovietica applica il modello della pianica-zione economica, rimanendo al di fuori della dinamiche del libero mercato, l’Europa – che solo quindici anni prima viveva la sua belle époque, un’era di progresso che pareva illimitata – stenta a riprendersi, sottoposta a forti pressioni economico-sociali. Gli Stati Uniti vivono invece i “ruggenti anni Venti”: anni di ripresa, di investimenti, di tecnologia applicata al benessere, di consumismo di massa, che però si riveleranno in breve tempo una corsa verso la catastro-fe. Gli avvenimenti del 1929 metteranno in luce il gran-de squilibrio creato dal precedente periodo di espansione. La crisi che apre drammaticamente gli anni Trenta nasce come crisi statunitense, ma i suoi eetti saranno devastanti a livello mondiale e a tutti i livelli della società. Il 24 ottobre del 1929 la borsa di New York crolla. La vendi-ta in massa dei pacchetti azionari dei quali gli speculatori si vogliono liberare porta immediatamente a una diminuzio-ne dei prezzi: gli altri investitori, per paura, cercano di di-sfarsi dei propri pacchetti azionari. La “corsa alle vendite” distrugge così in pochi giorni interi patrimoni. Le conse-guenze sono tragiche. Nella sola giornata del 24 si suicida-no a New York undici tra speculatori e agenti di borsa. Tra il 24 ottobre, il “giovedì nero” e il 29, il “martedì nero”, la crisi di Wall Street e il crollo della borsa valori mandano in fumo miliardi di dollari. Le conseguenze sull’economia statunitense sono disastro-se, e l’intero sistema economico mondiale, che dipende in larga parte dagli Stati Uniti, viene coinvolto. Crollano gli investimenti, svaniscono i risparmi di una vita, cala dra-sticamente la domanda dei beni di consumo e, con essa, la produzione industriale: la disoccupazione dilaga.La prima risposta degli Stati Uniti, destinata ad aggra-vare gli eetti della stessa crisi che cerca di risolvere, è il tentativo di difendere la propria produzione cercando di proteggere il mercato interno e sospendendo l’erogazione di crediti all’estero. La crisi diventa così un’epidemia, pre-sentandosi ovunque con le stesse dinamiche: un’industria chiude per mancanza di ordini e licenzia i dipendenti, i la-voratori privi di occupazione sono costretti a ridurre i loro consumi. Il mercato diventa così sempre più immobile, e questo costringe molte imprese al collasso.In Europa la crisi inizia nei paesi che hanno maggiori re-lazioni commerciali con gli Stati Uniti: vengono colpite l’Austria e la Germania, e successivamente il Regno Uni-to. I paesi europei provano l’attuazione delle stesse misure protezionistiche tentate dagli americani: ognuno cerca di salvare se stesso. Dopo un primo tentativo di abbassare le tasse per spingere la ripresa economica, la spesa pubblica viene tagliata drasticamente e allo stesso tempo vengono imposte nuove tasse, dicili da pagare dal momento che cresce la disoccupazione e la recessione rende sempre più dicile qualunque acquisto per le popolazioni colpite dalla crisi.Gli eetti travolgenti della crisi durano a lungo. La fortis-sima inazione e la disoccupazione sono drammatiche per la popolazione europea. Solo la ne degli anni Trenta vede una rinascita dell’economia: la ripresa è tuttavia spesso do-vuta al rilancio generalizzato delle spese militari. È quindi il business della guerra a portare rapidamente l’Europa e il mondo fuori dalla Grande Depressione segui-ta alla crisi del 1929. In molti paesi, la Germania su tut-ti, si aermano regimi autoritari che sembrano garantire quella sicurezza di cui la democrazia non era stata capace, e cominciano la loro “corsa agli armamenti”. Si procede a grandi passi verso la guerra. 1.5LA CRISI DEL ’29
1] L’ascesa dei fascismi27GLI STATI UNITI DOPO LA CRISI DEL ‘29IN ALTOLA CODA DAVANTI A UNA BANCAA DESTRAUN UOMO VENDE I SUOI AVERI PER LE STRADE DI NEW YORK
1] L’ascesa dei fascismi28Il 28 ottobre 1922 i fascisti marciano su Roma, pren-dendo il potere. Il re non rma lo stato d’assedio e il 31 dello stesso mese, con la formazione del primo governo Mussolini, si apre il ventennio fascista. La costruzione del regime non avviene però in un solo momento, o con poche cesure drastiche, ma attraverso una graduale tra-sformazione delle istituzioni democratiche. Mussolini agisce dunque adando agli uomini di maggiore ducia, emanazione diretta del movimento dei Fasci di combatti-mento, ruoli strategici per il controllo del potere politico e amministrativo. Viene creato il Gran Consiglio del Fascismo, organo di-rettivo del partito, che ben presto sostituisce di fatto il go-verno, del quale anticipa le decisioni. Nel 1923 viene poi approvata la Legge Acerbo, riforma elettorale che assegna al partito di maggioranza relativa i due terzi dei seggi in parlamento, azzerando in pratica il peso dell’opposizione. Solo nel 1924, dopo l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti e la reazione sdegnata della pur debo-le opposizione, il fascismo accelera i tempi delle trasfor-mazioni istituzionali e si trasforma di fatto in regime: nu-merosi provvedimenti aboliscono il sistema democratico preesistente e le annesse libertà costituzionali. L’idea guida della fascistizzazione dello stato a livello istituzionale è quella di raorzare sempre di più i poteri dell’esecutivo – il governo – e del suo capo, Mussolini. Con le “leggi fascistissime” del 1925 e del 1926 egli di-venta infatti responsabile solo di fronte al sovrano, che è l’unico soggetto in grado di revocargli il potere. I ministri, proposti dal Gran Consiglio del Fascismo, sono nominati 1.6IL FASCISMO AL POTEREMUSSOLINI NEL 1922
1] L’ascesa dei fascismi29da Mussolini e davanti a lui solo re-sponsabili. Si abilita poi l’esecutivo a emanare norme legislative con decre-tazione d’urgenza. Il parlamento vie-ne così svuotato di ogni potere e non è più nemmeno in grado di sduciare il governo.Viene anche creato il Tribunale spe-ciale per la difesa dello Stato, che mina denitivamente la già scarsa autonomia del potere giudiziario, po-nendolo di fatto alle dipendenze del potere fascista.Le stesse “leggi fascistissime” pre-vedono inoltre dure norme contro l’opposizione interna: si limitano la libertà di associazione, di stam-pa e di espressione, e viene attribu-ito all’esecutivo il potere di scioglie-re associazioni e partiti considerati d’opposizione, che vengono in eetti immediatamente sciolti. Si creano inoltre l’OVRA, la polizia politica, e istituti quali il conno per motivi po-litici, rendendo di fatto impossibile qualsiasi forma di opposizione e de-cretando la ne delle lotte sociali. Negli stessi anni viene poi arontato il tema dell’organizzazione dei lavora-tori: il fascismo si adopera per spez-zare il sindacalismo libero, che tanto peso aveva avuto nel primo dopo-guerra in Italia. Lo sciopero, potente mezzo di lotta sindacale, viene reso illegale dal nuovo codice penale del 1930. In seguito, i lavoratori verranno organizzati in corporazioni, profon-damente integrate nello stato fascista, e dunque anch’esse sottomesse alla volontà del Partito. MONARCHIA E FASCISMO Il ruolo della monarchia durante il fascismo è ambivalente: da un lato la presen-za istituzionale della monarchia, centro alternativo di potere rispetto a Mussoli-ni, rende comunque il fascismo un “totalitarismo imperfetto” (a dierenza di ciò che avviene in Germania, dove Hitler detiene completamente il potere). Dall’altro lato, nei fatti Vittorio Emanuele III è un complice, a tratti anche solo passivo, del regime fascista: già di fronte alla marcia su Roma le sue indecisioni sono determinanti per il successo del colpo di stato di Mussolini. Il re non interviene nemmeno durante la crisi provocata dal delitto Matteotti, probabilmente l’ultima occasione per impedire al regime di consolidarsi de-nitivamente: “Io sono cieco e sordo” dirà commentando il dossier del Ministero degli interni. Come nel 1922, anche in questo caso la passività della monarchia agevola la strategia mussoliniana. Il 3 gennaio del 1925 il duce si presenta alla Camera e chiude la vicenda Matteotti dicendo: “se il fascismo è stato un’asso-ciazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere”. È il trionfo denitivo della trasformazione in regime, sancito di lì a poco da alcune modiche allo Statuto Albertino, la carta costituzionale rimasta in vigore in Ita-lia no al 1948: lo Statuto era una costituzione essibile, e poteva agevolmen-te essere modicata con legge ordinaria (a dierenza dell’attuale Costituzione italiana, che è rigida: per la sua modica occorre una legge costituzionale, che richiede il voto favorevole dei due terzi del parlamento).Da quel momento in poi il re abdica a qualsiasi ruolo politico attivo, riceve Mus-solini due volte alla settimana, sottoscrive decreti e provvedimenti, partecipa alle cerimonie uciali legittimando il regime con la sua presenza.Non si fa mai diretto promotore delle iniziative politiche del Ventennio, ma le avalla tutte con la sua autorità: dalle leggi fasciste restrittive della libertà alle im-prese coloniali, dalla partecipazione alla guerra civile spagnola alle leggi razziali, dall’alleanza con la Germania hitleriana all’entrata in guerra. Le responsabilità storiche del fascismo diventano così anche responsabilità del-la monarchia, che peraltro fuggirà lasciando l’Italia nelle mani dell’occupante.
1] L’ascesa dei fascismi30NELLA PAGINA A FIANCOOPPOSITORI AL FASCISMO IN PIAZZA SUBITO DOPO L’ASSASSINIO DI GIACOMO MATTEOTTIGIACOMO MATTEOTTI Giacomo Matteotti muore a Roma nel 1924, a 39 anni. Laureato in legge, fin da giovane fa parte delle organizzazioni socialiste. Allo scoppio della prima guerra mondiale è apertamente contrario all’intervento dell’Italia. Nel 1919 viene eletto deputato e nel 1922 diviene il segretario del PSU (Partito Socialista Unitario) appena costituito. Oppositore irriducibile del fascismo, ne denuncia con forza le violenze e i soprusi, rifiutando qualsiasi compromesso: alla fine del 1923 pubblica il libro Un anno di dominazione fascista, vero e proprio atto di accusa contro i fascisti. Nel 1924, in un clima di pesante intimidazione, Matteotti denuncia in parlamento i risultati delle elezioni svolte in aprile e vinte dai fascisti grazie alla legge “Acerbo” che assegna il 67% dei seggi alla lista con la maggioranza relativa, azzerando il potere dell’opposizione. Il deputato socialista insiste coraggiosamente per invalidare le elezioni. È la sua condanna a morte: il 10 giugno del 1924 Giacomo Matteotti è aggredito in pieno giorno, percosso, trascinato in un’auto, pugnalato e ucciso con ferocia. Vittima del regime che si sta consolidando in Italia, Matteotti rimane il simbolo di coloro che con questo regime, fin da subito, non vogliono scendere a patti: lapidi, vie e piazze ancora oggi ricordano in ogni città d’Italia “Giacomo Matteotti, caduto per la libertà”.
1] L’ascesa dei fascismi31IL CONFINO“Il governo fascista istituisce il conno, misura di polizia a carattere amministrativo e non penale, con la legge del 6 novembre 1926, all’indomani del presunto attentato del giovane Anteo Zamboni contro la persona di Benito Mussolini. Il conno dava modo di inviare, senza sottoporli a processo, individui colpevoli di attività o di opinioni antifasciste (o sospettati tali) lontano dalla loro residenza, in isolate località delle regioni più povere d’Italia meridionale o su isole (Lipari, Lampedusa, Tremiti, Ustica, Ventotene), obbligandoli a dimorarvi per un periodo da uno a cinque anni. Di fatto, però, la durata della detenzione veniva spesso estesa ben al di là dei cinque anni, in barba alla legge […] Parecchie migliaia di connati furono concentrati a Ponza, Tremiti, Ventotene, isole spoglie e tutt’altro che accoglienti, dalle quali l’evasione era resa impossibile dalla presenza diurna e notturna di appartenenti alla Milizia, che disponevano di imbarcazioni armate di mitragliatrici. I connati avevano l’obbligo di rispettare il coprifuoco (che, per esempio, a Ventotene durava dalle sette di sera alle sette del mattino) e di dedicarsi a un lavoro regolare, prescrizione che nella maggior parte dei casi restava lettera morta, data la povertà dei luoghi. Ai connati privi di risorse personali il governo assegnava una somma di cinque lire al giorno, con cui avrebbero dovuto nutrirsi e vestirsi.” da P. Milza, S. Berstein, N. Tranfaglia, B. Mantelli (a cura di), Dizionario dei fascismi, Milano, Bompiani, 2002.
1] L’ascesa dei fascismi32VIVERE IL CONSENSO, MORIRE NEL DISSENSO La violenza contraddistingue l’operato del fascismo italiano – come degli altri fascismi europei – n dalle sue origini squa-driste, strettamente legate al mito della “vittoria mutilata” e al reducismo della Grande Guerra. Quello che segue la ne del conitto è un clima nel quale la società italiana (ma non solo) è permeata da un alto grado di violenza, la quale è tuttavia per i fascisti qualcosa di più: uno strumento della politica. L’episodio che segna maggiormente il paese – anche a livello simbolico – dopo la presa del potere di Mussolini è l’omicidio Matteotti, del quale il “duce” si assume, nel gennaio del 1925, la responsabilità “politica”, “morale” e “storica”. Inizia così la dittatura, raorzata dalle “leggi fascistissime”. Sebbene la graduale espansione del fascismo dipenda in gran parte dal favore o dalla non opposizione degli agrari, degli in-dustriali e della (piccola e media) borghesia italiana, esso cerca con costanza di allargare la propria inuenza su tutti gli italiani. L’ascesa del fascismo si colloca infatti nella lunga fase di crisi dello stato liberale in Europa nella quale emergono regimi au-tocratici che ricercano un sostegno di tipo plebiscitario nel “po-polo”. Il fascismo investe dopo la presa del potere sul consenso, unendo strumenti innovativi peculiari del “secolo delle masse” a rielaborazioni di tradizioni preesistenti, a partire da una di-chiarata centralità della famiglia, nella quale tuttavia le donne, che avevano scoperto un inedito protagonismo nel corso della prima guerra mondiale – con gli uomini al fronte – vengono spesso deliberatamente retrocesse nel ruolo di casalinghe modello o di massaie, contrapposte all’uomo “virile” fascista. Questo accade sebbene siano coinvolte anch’esse, in misura minore, in una vera e propria ristrutturazione sociale. La società viene separata in compartimenti stagni, inquadrata in organiz-zazioni di categoria o nelle quali è unicante l’età anagraca, come nel caso dell’infanzia: l’Opera nazionale balilla, fondata nel 1926, gioca a anco alla scuola un ruolo fondamentale nell’educazione fascista dei bambini e dei ragazzi.Parallelamente alle organizzazioni di massa, negli anni il regi-me ana vari strumenti, che si rivelano cruciali per il coinvol-gimento della “nazione”, del “popolo” spesso evocato e messo apparentemente al centro delle adunate oceaniche e dei ritua-li fascisti, a comporre una vera e propria “religione civile” che invade la vita quotidiana degli italiani e delle italiane. Gli assi portanti della pervasiva propaganda sono diversi monopoli in-trecciati: l’Istituto Luce e la radio innanzitutto, ma anche l’Agen-zia Stefani e tutta la stampa (si ricordi che Mussolini era un gior-nalista), nonché l’attenta regia di quello che nel 1937 prende il nome di Ministero della cultura popolare (Minculpop). La cul-tura di massa – e in essa lo sport – è al servizio della creazione del consenso per quello che si sviluppa come un vero e proprio “moderno regime mediatico” (A. Gibelli) e lo stesso fa gran par-te dell’élite intellettuale italiana, subordinata agli interessi po-litici del Partito fascista. Due elementi “esterni” contribuiscono tuttavia a dare lunga vita al regime: l’accordo del 1929 con la Chiesa (senza il quale il fascismo non raggiungerebbe il livello di “consenso” che eettivamente raggiunge tra la metà degli anni Venti e la seconda metà degli anni Trenta) e la “conquista dell’Impero”, proclamato il 9 maggio del 1936, che si colloca an-che nel più ampio quadro della politica demograca di un pae-se aamato di terra che ha fatto delle “boniche” un’altra arma della propaganda. È il culmine di un processo che – nonostante evidenti preoccupazioni – mostra un forte appoggio dato dagli italiani al sogno imperiale, sebbene non si possa parlare di de-lirio nazionalistico, come naturalmente fa la propaganda fasci-sta. Il precario e volatile sostegno all’impresa mostra come tra il “consenso” e il “dissenso”, tra il fascismo e l’antifascismo, ci fosse una smisurata gamma di sfumature.A contrastare il diuso consenso – o per lo meno una sorta di “accettazione passiva” – al regime, esiste tuttavia un forte, sep-pur minoritario, dissenso, che non si esaurisce naturalmente in seguito all’assassinio di Matteotti e alla disastrosa “secessione” dell’Aventino. Per la repressione il fascismo crea un apparato tentacolare: le forze di polizia, anche grazie ai loro numerosi informatori, individuano gli oppositori politici contro i quali il Tribunale speciale per la difesa dello Stato emette pene anche pesantissime. In sedici anni di operato processa oltre cinque-mila imputati, in larga maggioranza comunisti, condannan-done la maggior parte. Oltre alla pena di morte e al carcere è reintrodotta nel 1926 anche la misura del “conno di polizia”, che contribuisce a indebolire l’antifascismo organizzato nello stesso anno nel quale, con il passaggio al “partito unico”, gli oppositori cominciano a lasciare il paese: è il fenomeno del “fuoruscitismo”, che in certi frangenti si sovrappone all’esi-lio ebraico, il quale aumenta però in maniera esponenziale a partire dall’emanazione delle leggi razziali nel 1938. E proprio la legislazione antiebraica, insieme al graduale e denitivo al-lineamento dell’Italia alla politica espansionista della Germa-
1] L’ascesa dei fascismi33nia, inizia a minare timidamente il “consenso” degli italiani al regime, più di quanto non avesse fatto la crisi del 1929. Tra il 1933, anno in cui Hitler sale al potere, e la guerra civile spagno-la (1936-1939), gli antifascisti cercano a fasi alterne un’unità di intenti, combattendo spesso anco a anco, come nel conitto ideologico sul territorio iberico, preludio della guerra mondia-le. In questo scorcio nale degli anni Trenta cresce un fastidio “prepolitico” nei confronti del regime e delle sue false promes-se, fatto anche di satira, barzellette, scritte murali e altre forme espressive “leggere”.L’antifascismo attivo rimane però in larga parte un fenomeno elitario o connato nelle carceri o in esilio no all’esasperazione per le condizioni che la guerra impone. Quando, nel corso dei primi anni del conitto, inizia a frantumarsi anche il mito belli-co per i ragazzi cresciuti con il motto “libro e moschetto”, la cre-dibilità del regime è denitivamente infranta. La ritirata di Rus-sia tra la ne del 1942 e l’inizio del 1943 e gli scioperi di marzo sono i due avvenimenti che diondono in maniera capillare un dissenso al regime che si farà per molti dei protagonisti di que-sti due eventi, dopo l’8 settembre del 1943, resistenza armata. L’antifascismo clandestino o esiliato, che aveva perso tanti dei suoi aderenti nel corso del ventennio, organizza un’“unità an-tifascista” anche operativa nella seconda metà del 1943. Inizia una guerra civile sanguinosa, nella quale i giovani cresciuti nell’assenza di libertà scoprono a anco ai vecchi antifascisti una politica che supera denitivamente i meccanismi di propa-ganda e coercizione, e spesso pagano a caro prezzo le proprie scelte. E nella violenza sfuma il fascismo.PARIGI, 19 GIUGNO 1937. FUNERALE DEI FRATELLI ROSSELLI.
1] L’ascesa dei fascismi34Al fascismo, “regime reazionario di massa” secondo l’espressione del leader comunista Palmiro Togliatti, per consolidare il regime servono consenso e mobilitazione. A anco all’immediata repressione del dissenso, il regime cerca così di coinvolgere le masse nella vita pubblica. Ven-gono quindi create nuove strutture sociali per l’inquadra-mento della popolazione: oltre alla fascistizzazione del-la scuola e dell’università, completamente sottomesse ai voleri del PNF, nascono l’Opera Nazionale Balilla (ONB) e i Gruppi Universitari Fascisti (GUF), organismi para-militari rivolti a educare i giovani al fascismo. Vengono contemporaneamente vietate tutte le altre organizzazioni giovanili – ad esempio gli scout – eccezion fatta per la Gioventù Cattolica Italiana, che è però costretta a ridur-re le proprie attività. Un altro passo fondamentale è rap-presentato dai Patti Lateranensi del 1929, che regolano i rapporti tra Stato e Chiesa: la misura più signicativa degli accordi rende la religione cattolica religione di sta-to. L’“alleanza” con la Chiesa, che ha un’inuenza deter-minante, è fondamentale per il fascismo, che si assicura così un ulteriore controllo su buona parte dell’opinione pubblica. A livello istituzionale il passaggio denitivo alla dittatura è la legge elettorale del 1928. Ridotto il numero dei depu-tati a quattrocento, viene stabilito che il Gran Consiglio del Fascismo – un organo di partito e quindi non istitu-1.7LO STATO FASCISTA
1] L’ascesa dei fascismi35zionale – componga una lista unica di candidati che, se ottiene la metà dei voti, viene approvata in blocco. Le elezioni vengono così trasformate in plebiscito. A livello economico, dopo il 1926 il fascismo passa a un deciso interven-tismo statale. Anche a causa degli ef-fetti della crisi del ’29, lo stato fascista interviene pesantemente sull’econo-mia del paese, in particolare attraver-so il salvataggio di buona parte del comparto produttivo e creditizio ita-liano, attraverso vere e proprie opera-zioni di acquisizioni statali.La volontà di Mussolini di rendere l’Italia indipendente a livello econo-mico porta a quella che verrà denita l’“autarchia” fascista: nel 1925 inizia la battaglia del grano, che mira a con-seguire l’autosucienza alimentare del paese. Il fascismo avvia inoltre la bonica (rende coltivabili) le paludi dell’Agropontino. Il regime arriverà a incitare la popolazione alla fusione delle proprie fedi nuziali per lo sforzo bellico della patria: circa un italiano su due donerà il proprio anello.In politica estera, dal 1925 il fascismo comincia a rivelare un volto sempre più aggressivo nei confronti delle altre nazioni europee e a ribadire la neces-sità di un’espansione italiana nel Me-diterraneo. Tale atteggiamento por-terà da un lato a riprendere le guerre coloniali cominciate a inizio secolo in epoca liberale, e dall’altro all’alleanza con Hitler, e alla rovinosa guerra com-battuta al anco dei nazisti. L’OPERA NAZIONALE BALILLA Il nome dell’Opera Nazionale Balilla deriva da Giovanni Battista Perasso, detto Balilla, giovane patriota genovese che diede inizio alla rivolta della città contro gli Asburgo nel 1746: i fascisti vedono nella gura di Balilla un esempio della mobilitazione dell’in-fanzia e dell’impegno virile che vorrebbero nel loro homo novus. L’ONB, istituita nel 1926 dalle “leggi fascistissime”, è “nalizzata all’assistenza e all’educazione sica e morale della gioventù”, che deve crescere nel culto della disciplina e dell’italianità, pronta a essere la generazione di “fascisti del domani”.I vari corpi dell’ONB sono divisi a seconda dell’età: i bambini di sei e sette anni fanno parte dei “gli della lupa”, dagli otto ai quindici anni si diventa “balilla”, dai quindici ai diciotto “avanguardisti”. Le attività per i ragazzi consistono in lezioni, esercitazioni ginniche e parate militari. Nel 1937 la ONB conuirà insieme ai Gruppi Universitari Fascisti nella Gioventù Italiana del Littorio. NELLA PAGINA A FIANCOPARATA FASCISTA ALLA CHIESA DELLA GRAN MADRE A TORINO
1] L’ascesa dei fascismi36IN ALTO E A DESTRARAGAZZI E RAGAZZE DELL’ONB IN UNIFORME
1] L’ascesa dei fascismi37L’ITALIANIZZAZIONE DELL’ALTO ADIGEAl termine della prima guerra mondiale – con il trattato di St. Germain del 1919 – l’Alto Adige entra integralmente a far parte del Regno d’Italia, contro la dichiarata volontà della popolazio-ne di lingua tedesca che abita la regione.Le spinte autonomiste della comunità locale si spengono definitivamente con l’avvento del fascismo. Il Gran Consiglio del Fascismo approva infatti ben presto la linea del fervente nazio-nalista trentino Ettore Tolomei, che prevede la cancellazione della cultura tirolese-germanica a favore di una conseguente “italianizzazione” – e fascistizzazione – del Sud Tirolo storico. Nessun ambito della preesistente realtà locale è risparmiato. Vengono vietate progressivamen-te le scuole tedesche, ladine – lingua parlata da circa 50.000 abitanti dell’area delle Dolomiti – e bilingui. I quotidiani e i libri in lingua tedesca vengono censurati o proibiti. L’architettura e l’urbanistica cambiano: Bolzano viene di fatto ricostruita sul modello architettonico razionalista proprio del fascismo. L’apertura di grandi fabbriche, inoltre, trasforma anche demograficamen-te la città con l’arrivo di operai da altre ragioni dell’Italia settentrionale.L’idea di Tolomei è quella di creare un nuovo Alto Adige fascista, forgiare un territorio italia-nizzato all’interno del quale mostrare, assieme ai muscoli della “rivoluzione fascista” (sono nu-merosi gli episodi violenti nel processo di italianizzazione), l’egemonia che il regime al potere vuole avere in campo culturale. La più efficace e pervasiva operazione promossa dal Tolomei riguarda la toponomastica: tutti i nomi dei luoghi della futura Provincia di Bolzano, che nascerà nel 1927, vengono “tradotti” dal tedesco all’italiano. Dal 23 agosto 1923 viene proibito il nome Tirolo in ogni sua derivazione: è un divieto emblematico che dimostra come il fascismo abbia intenzione di cancellare le tradizioni e gli usi di una comunità che da secoli abita le vallate con percentuali prossime al 90%.A partire dal 1926 è invece la questione dei nomi propri e dei cognomi a essere affrontata con ingerenza autoritaria: sulle basi di una supposta “germanizzazione” di cognomi originariamente latini, gli altoatesini sono “invitati” a italianizzare i propri cognomi. L’operazione ha tuttavia uno scarso successo e, rispetto alla grandiosa opera di creazione e cambiamento imposto ai nomi di luoghi, si rivela fallimentare.
1] L’ascesa dei fascismi38Il giovane Regno d’Italia cerca già nella seconda metà dell’Ottocento di costruire un impero, seguendo l’esem-pio delle altre potenze europee. Fin dall’inizio l’ideologia imperialista italiana si sviluppa su una serie di argomenti comuni a tutti gli imperialismi: quello economico, basato sul bisogno di materie prime; quello politico, per avere un peso a livello internazionale; e quello “umanitario”, ossia la “missione civilizzatrice dell’uomo bianco”. Ma la propa-ganda coloniale italiana, sia a ne Ottocento che successi-vamente, trova la sua forza anche in altri due argomenti, quello “storico” (la romanità, uno dei fattori che aiutano il nascente nazionalismo italiano a crescere) e quello “demo-graco”: già negli ultimi due decenni del secolo infatti il numero degli emigranti italiani aumenta in maniera espo-nenziale. Le terre d’oltremare sono viste come una favolosa fonte di reddito e di prestigio. I politici italiani cercano così di spingere la popolazione ad approvare la politica espan-sionistica. Alla ne dell’Ottocento l’Italia è tuttavia l’unica tra le gran-di e medie potenze europee a non avere mai posseduto una colonia. La penetrazione in Africa Orientale, avvenuta tra l’acquisizione della baia di Assab nel 1882 e la cocen-te scontta di Adua nel 1896, rende chiaro al mondo che l’Italia è la nazione occidentale più debole militarmente. La disfatta italiana scuote talmente il paese che il governo in carica – il governo Crispi – cade. L’Italia attacca in seguito il moribondo Impero ottomano: la guerra italo-turca (1911-1912) porta così gli italiani ad avere il controllo su parte della Tripolitania e della Cirenai-ca, l’attuale Libia. Per circa trent’anni gli italiani manter-ranno il controllo della regione con soprusi, persecuzioni, deportazioni e campi di concentramento. Molti capi arabi non si arrendono all’invasore: su tutti Omar al-Mukthar in Cirenaica e Mohamed Fekini in Tripolitania. All’inizio degli anni ’30, con l’impiccagione del primo e la fuga in esilio del secondo, la resistenza araba è domata da Rodolfo Graziani. Il bilancio nale dell’occupazione italiana della Libia sarà, per i libici, di centomila morti: un libico su otto perderà la vita a causa dell’occupazione italiana. Solo nel 1943, dopo aver scontto le truppe italo-tedesche a El Ala-mein, la Gran Bretagna prenderà in gestione la Libia no alla sua indipendenza, sette anni dopo.La nuova impronta violenta del colonialismo fascista che ha piegato la resistenza ventennale di arabi e berberi in Li-bia, forte anche della propaganda, si prepara al “riscatto” dell’umiliazione di Adua del 1896, all’“impresa coloniale” nell’Africa Orientale. Alla ne del 1935 l’Italia fascista at-tacca l’Etiopia del negus Hailè Selassiè. L’invasione avviene senza dichiarazione di guerra, e le sanzioni della Società delle Nazioni non solo non fermano l’Italia, ma le danno 1.8IL COLONIALISMO ITALIANO
1] L’ascesa dei fascismi39ANGELO DEL BOCA, STORICO DEL COLONIALISMOQuanto la mancanza di una memoria storica accettata - tuttora i libri di testo italiani non menzionano queste atrocità ed è ancora impossibile vedere il lm sull’eroe libico Omar el-Mukhtar giustiziato dalle truppe d’occupazione fasciste guidate da Graziani - ha alimentato [...] il mito di una occupazione italiana bona-ria, alla «brava gente»? Ovviamente su tutto ciò che accadeva di violento e negativo in Libia l’opinio-ne pubblica italiana non veniva informata. La censura era rigidissima sia nel periodo della liberaldemocrazia che durante il ventennio fascista. Ma ciò che sorprende e indigna è che il silenzio sulle deportazioni e le stragi, consumate in Libia come in Etiopia, è stato mantenuto in Italia anche nel secondo dopoguer-ra, a libertà e democrazia ristabilite. Ancora oggi i testi scolastici, salvo poche eccezioni, ignorano quei gravissimi fatti o li minimizzano. E si dà il caso che un lm sulla resistenza libica, “Il leone nel deserto”, sia stato in pratica proibito e vi-sionato soltanto nei cineclub. Ciò che prevale ancora oggi in Italia, nonostante le precise ed assordanti rivelazioni sui misfatti del colonialismo italiano, è una visione mitica e bonaria delle nostre imprese coloniali.da Il manifesto del 28 ottobre 2007 in occasione del convegno “I deportati libici in Italia negli anni 1911- 1912”, intervista di Tommaso di Francesco.MAGGIO 1915 TESTIMONIANZA DI MOHAMMED ABBAS, ALL’EPOCA BAMBINO DI 13 ANNI.“Una famiglia intera. Uomini, donne e bambini. Non ricordo bene: dovevano essere trentasette o trentotto. I soldati italiani erano usciti scontti da una bat-taglia […] Sono passati davanti ad una casa piuttosto grande ed i libici, tutti arrampicati sui muri a vedere rientrare gli italiani scontti, li deridevano. La sod-disfazione da una parte, la gloria ferita dall’altra. Allora gli italiani presero tutti. Uomini, donne e bambini di ogni età. Li portarono dentro la casa e cominciaro-no a sparare per ucciderli tutti. Poi appiccarono il fuoco. Molti, credo, debbono essere morti bruciati vivi.” da E. Salerno, Genocidio in Libia. Le atrocità nascoste dell’avventura coloniale italiana (1911-1931), Roma, Manifestolibri, 2005. addirittura unità interna contro le “inique sanzioni”, occasione nella qua-le il fascismo chiede agli italiani e alle italiane le loro fedi nuziali: l’“oro alla patria”. La feroce campagna in pochi mesi si rivela vittoriosa, e il n egus è costretto a fuggire a Londra. Della campagna d’Etiopia si ricorderà l’uso del gas ipri-te, letale, oltre che per le popolazio-ni, anche per il territorio, nonché lo sterminio metodico della popolazio-ne. La denuncia di Hailè Selassiè dei crimini di guerra italiani alla Società delle Nazioni rimane tuttavia inascol-tata. Nel maggio 1936 il fascismo può così proclamare il suo impero: l’Africa Orientale Italiana (AOI) è composta dalle attuali Eritrea, Etiopia e Somalia. L’AOI avrà vita breve: nel 1941 gli Alle-ati occuperanno i territori controllati dagli italiani. Le “imprese coloniali” italiane sono costate alle popolazioni dominate cir-ca cinquecentomila morti.
1] L’ascesa dei fascismi40“Il fascismo, soprattutto quello delle origini e dei primi anni di regime, non ebbe timore di dichiararsi fondato essenzialmente sull’azione, sulla immediata adesione alla realtà politica, restando libero da ogni remora di carattere teorico. Esemplare di questa tendenza resterà un passo di uno scritto del 1921 in cui Mussolini dichiarò che i fascisti si permettevano ‘il lusso di essere aristocratici e democra-tici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente’. Divenuto saldo detentore del potere, anche il fascismo sentì la necessità di legittimare e nobi-litare le sue origini dando al contempo le motivazioni del suo operare. Questo sforzo, compiuto soprattutto per opera del losofo Giovanni Gentile [ministro dell’istruzione e au-tore, nel 1925, del Manifesto degli intellettuali fascisti] non produsse tuttavia grandi risultati dottrinali. Il fascismo era quello che era e l’unica sua giusticazione risiedeva nel fat-to che era al potere. […] L’aspetto ideologico del fascismo non fu insomma caratterizzato da grande validità, limitan-dosi anche nei tentativi meno illeggibili di chiaricazione ad una denizione fondata sulla negazione di altre espe-rienze politiche in base alla insistente ripetizione di pochi concetti fumosi e inconsistenti.” (Pier Giorgio Zunino, Fascismo e nazionalsocialismo, Tori-no, SEI, 1972) È la premessa indispensabile per comprendere l’ideologia fascista: il fascismo è innanzitutto un movimento d’azione e i proclami ideologici, molte volte incoerenti o addirittura in contraddizione tra loro a seconda “delle circostanze di luogo, di tempo o di ambiente”, spesso hanno solo una fun-zione propagandistica. Alla luce di queste considerazioni, ecco alcuni dei punti fondanti dell’“ideologia” fascista: • la centralità dello Stato rispetto a qualunque altra forma-zione sociale e all’individuo;• l’antidemocraticità: la democrazia è considerata la deca-dente vittoria della “quantità” sulla “qualità” e ad essa è pre-ferito come sistema di governo il culto del capo, che diventa una guida alla quale obbedire ciecamente; • l’anticomunismo;• il culto di Roma e dell’Impero;• il culto della giovinezza e della violenza: il fascismo vuo-le realizzare “l’uomo nuovo”, virile e pragmatico, combatte contro “l’inacchimento” borghese.1.9L’IDEOLOGIA FASCISTA
1] L’ascesa dei fascismi41IN QUESTA PAGINA IL DUCE PARLA ALLA FOLLANELLA PAGINA A FIANCOL’ITALIA AUTARCHICA: COVONI DI GRANO IN PIAZZA DUOMO A MILANO
1] L’ascesa dei fascismi42Le elezioni del settembre 1930 vedono una crescita de-gli schieramenti estremisti (il partito nazionalsocialista di Adolf Hitler e il partito comunista tedesco) a danno dei moderati (la destra conservatrice e la sinistra social-democratica). Due anni dopo gli eetti della depressione spingono la cancelleria (la presidenza) tedesca a conside-rare l’alleanza con i nazisti per formare un nuovo governo, tuttavia essi preferiscono correre da soli. Il partito di Hit-ler non vince le elezioni, ma si aerma come primo par-tito tedesco, con oltre il 30% dei voti. Il successo politico rende i nazisti indispensabili. Il 30 gennaio 1933 Hitler viene convocato dal Presidente della Repubblica e accetta di guidare un governo formato da quattordici ministri, di cui solo tre del partito nazista. Una settimana prima delle nuove elezioni l’incendio del parlamento (Reichstag) ore ai nazisti un pretesto per disfarsi degli avversari. L’accu-sa e il successivo arresto di un militante comunista olan-dese, Marinus Van der Lubbe, consente un’operazione di polizia che incarcera migliaia di militanti e dirigenti del partito comunista, che viene di fatto messo fuorilegge, e viene rapidamente approvata una serie di misure eccezio-nali che limitano o annullano la libertà di stampa e di riunione. È la prima svolta repressiva. Nelle successive elezioni i nazisti ottengono oltre il 35% dei seggi, ma Hitler mira ormai alla totale abolizione del parlamento. Lo stesso Reichstag, appena eletto, lo asse-conda votando una legge che conferisce al governo in carica pieni poteri, compreso quello di legiferare e di modicare la Costituzione. Assenti i deputati comunisti, votano contro soltanto i socialdemocratici, nell’illusione di poter rappresentare almeno un ruolo di opposizione formale. Ma è del tutto inutile. Nel luglio 1933 i nazisti dichiarano illegali gli altri partiti, o fanno pressioni per il loro scioglimento “spontaneo”. Hitler può varare una legge che proclama il Partito nazionalsocialista l’unico consentito in Germania. I nazisti hanno così realizzato in tempi rapidi la prima parte del loro programma di politica interna e si ritro-vano a fronteggiare due soli ostacoli: da un lato l’ala più violenta del nazismo, rappresentata soprattutto dalle SA (Squadre d’Assalto) di Röhm, che vogliono ora abbattere i “poteri forti”, e dall’altro la destra conservatrice del can-1.10IL NAZISMO AL POTERE IN GERMANIA
1] L’ascesa dei fascismi43celliere Hindenburg, che rappresenta il volto ancora moderato del paese. Il colpo di mano contro le SA viene preparato e guidato dallo stesso Hit-ler che, nella notte ricordata come “la notte dei lunghi coltelli” depone, uccide o fa arrestare tutto lo stato maggiore delle SA. La contropartita chiesta e ottenuta da Hitler in cambio dell’epurazione delle SA è l’assenso delle forze armate alla sua candida-tura alla successione di Hindenburg. Quando il vecchio statista muore, nel 1934, Hitler si trova a essere sia can-celliere che presidente della Repub-blica, in virtù di una legge che il suo stesso governo ha varato in prece-denza. Ciò signica, tra le altre cose, l’obbligo per gli uciali dell’esercito di prestare giuramento di fedeltà a Hitler, quindi al nazismo. La conse-guenza di questo, in apparenza una formalità, sarà chiara nel 1938, quan-do il Führer deciderà di assumere personalmente il comando supremo delle forze armate. Con l’assunzione della presidenza da parte di Hitler scompaiono le ultime tracce di ordinamento democratico e nasce il Terzo Reich, ovvero “il Ter-zo Impero” (dopo il Sacro Romano Impero medievale e quello prussiano nato nel 1871). Nel nuovo regime si realizza pienamente il “principio del capo”, che costituisce uno dei pun-ti cardine della dottrina nazista: il capo “carismatico” non è solo colui al quale spettano le decisioni più im-portanti, ma anche la suprema fonte del diritto. Il rapporto fra il capo e il popolo deve essere diretto, con una sola mediazione istituzionale o socia-le, ossia il partito. Durante il nazismo non ha luogo al-cuna forma di opposizione politica. L’e cienza dell’apparato repressivo spiega la mancanza di un esplicito dissenso, ma non l’estensione notevo-le del consenso di cui gode il regime: persino la Chiesa cattolica e quelle luterane niscono per adattarsi alla situazione politica. Tale consenso diuso ha varie cause: i successi in politica estera, la ripresa economica, il raggiungimento della piena occu-pazione e il miglioramento dei servi-zi sociali, il riuto del trattato di Ver-sailles, ma anche il massiccio impiego della propaganda. IN ALTOPROPAGANDA ELETTORALE DEL NSDAP NEL 1932NELLA PAGINA A FIANCOBERLINO. IL REICHSTAG IN FIAMME LA NOTTE DEL 27 FEBBRAIO 1933.
1] L’ascesa dei fascismi44Inizialmente il partito nazista è una forza marginale e minoritaria, che usa la violenza contro gli avversari politici, e in generale si colloca al di là della legalità democratica. Dopo il fallimentare tentativo di colpo di stato di Monaco del 1923, Hitler cerca però di dare una sorta di rispettabilità al partito, mettendo da parte alcune rivendicazioni anticapitaliste presenti nei programmi no al 1920, ad esempio la proposta di riforma agraria (“la terra ai contadini”). Il futuro Führer in seguito a questo cambiamento di rotta ottiene il sostegno e il nanziamento di alcuni ambienti della grande industria, senza però dover rinunciare ai punti fondamentali del suo programma politico: la denuncia del trattato di Versailles, l’unicazione di tutti i tedeschi in una nuova Grande Germania, l’esclusione degli ebrei dalla società e la ne della democrazia. L’“utopia” che il nazismo propone ai tedeschi è reazionaria e ruralista: un mondo popolato di giovani legati alla loro terra, una società patriarcale di contadini-guerrieri, libera dai riferimenti culturali che hanno caratterizzato la Germania dell’Ottocento e intrisa di valori reazionari tra cui, importantissimo, quello dell’obbedienza cieca. I progetti nazisti a lungo termine sono esposti con chiarezza nel Mein Kampf (“la mia battaglia”), scritto dallo stesso Hitler nel 1925. Punti cardine della sua dottrina sono il nazionalismo e il razzismo: acceso antisemita sin dalla sua giovinezza passata a Vienna, Hitler è convinto infatti dell’esistenza di una razza superiore e conquistatrice, la “razza ariana”, che in passato ha perduto progressivamente la sua purezza e la sua grandezza mescolandosi con le “razze inferiori”. Secondo i nazisti i caratteri originari della razza ariana – presenti ormai solo nelle popolazioni nordiche, e in particolar modo in quella tedesca – devono quindi essere preservati e salvati dai nemici interni, innanzitutto dagli ebrei, popolo “senza patria”, a loro parere responsabili dei più grandi misfatti della storia e simbolo vivente della decadenza della civiltà occidentale. Secondo i piani del partito nazista, solo dopo aver schiacciato i nemici interni e aver ricostituito la propria unità in un solo Stato, la Grande Germania, la razza ariana dovrà espandersi a est, ai danni dei popoli slavi, alla ricerca del proprio “spazio vitale”. Lo stesso “spazio vitale” consentirà così di bloccare l’espansione bolscevica della Russia rivoluzionaria. 1.11L’IDEOLOGIA NAZISTA
1] L’ascesa dei fascismi45IL “MEIN KAMPF” “Una razza forte scaccerà le deboli, perché lo slancio vitale nella sua forma denitiva abbatterà le assurde barriere della cosiddetta umanità degli individui, per l’umanità della Natura, la quale distrugge il debole per dare il suo posto al forte” [A. Hitler, Mein Kampf] Adolf Hitler all’inizio dell’inverno del 1925, in una cella del carcere di Landeberg, dove viene rinchiuso a seguito del tentativo di colpo di stato a Monaco – il “putsch della Birreria” – detta al suo compagno di prigionia Rudolf Hess, futuro gerarca nazista, la storia della sua vita e delle sue battaglie politiche. Prende così vita il Mein Kampf (“la mia battaglia”) che, pubblicato nel 1927, costituirà il manifesto ideologico del nazismo. I punti principali sono:• l’esaltazione della razza ariana, cioè la razza tedesca: unica razza pura, deve combattere per salvaguardare la sua assoluta integrità; • l’antisemitismo: negli ebrei sono concentrati tutti i mali della società, l’ebreo si è insediato in Germania e trama contro il popolo tedesco; • il riscatto tedesco: la Germania, scontta e umiliata, potrà risollevarsi adandosi a un capo assoluto, che la governerà interpretan-do le voci più profonde e vere del paese; • l’opposizione al liberalismo democratico che ha portato la società tedesca alla decadenza; • l’opposizione al marxismo: il mondo non è regolato da leggi di uguaglianza, ma dalla competizione tra gli uomini, dalla lotta per la sopravvivenza. LA SVASTICA La svastica non appare per la prima volta in Germania durante il nazismo, ma è un simbolo ricorrente nella storia dell’uomo: la sua forma è probabilmente un rimando al sole. “Svastica” è una parola sanscrita, e il suo significato è grossomodo “porta-fortuna”, “salute”, “felicità”. I primi ritrovamenti di svastiche risalgono addirittura al Paleolitico e al Neolitico; in seguito le si incontrano, anche se a volte leggermente differenti, a Troia, a Roma, presso gli Aztechi e gli Inca, e soprattutto in Cina e in India, dove ancora oggi tale simbolo è presente nelle religioni induista e buddista. È anche un simbolo tradizionale degli indiani Navajo che però l’hanno rinnegato in seguito al nazismo. Tra i vari popoli che hanno utilizzato la svastica ci sono anche gli Arii, popolo asiatico migrato in Europa, nel quale i nazisti vedono le origini della superiore “razza ariana”. Il movimento nazista riprende così il simbolo, già presente nel precedente nazionalismo tedesco: la “croce uncinata” viene adottata perché propria della razza ariana e mai “inquinata” da ebrei o da altri popoli semitici, atta perciò a rappresentare la “purezza” della razza.
1] L’ascesa dei fascismi46I nazisti, con l’obiettivo di formare un “popolo nuovo” sulla base delle loro convinzioni, danno un grande peso all’educazione dei giovani. Nonostante esaltino la sacralità della famiglia e il ruolo della donna come madre, i nazi-sti inseriscono i ragazzi nelle organizzazioni giovanili che formano la Gioventù Hitleriana. I giovani sono sottopo-sti a un intenso addestramento sportivo e militare e così preparati al loro inserimento nei ranghi delle forze armate attraverso una rigida selezione. La totale dedizione al Führer e lo spirito di sacricio sono gli obiettivi da raggiungere con la creazione della Gioven-tù Hitleriana. Alla ne del 1936 un decreto mette fuori legge ogni organizzazione giovanile non nazista, obbli-gando tutti i giovani a entrare nella Gioventù Hitleriana, che nel giro di due anni arriva a contare quasi otto milioni di membri. Il “Giovane Popolo Tedesco” è così suddiviso: i maschi dai 10 ai 14 anni fanno parte del Deutschen Jungvolk (DJ) e le femmine del Jungmädelbund (JM). Successivamente i ra-gazzi dai 14 ai 18 anni compongono la Hitlerjugend (HJ) e le ragazze la Bund Deutscher Mädel (BDM). Nell’idea nazista patriarcale della società le donne, a dif-ferenza degli uomini, sono costrette a rinunciare a ogni aspirazione professionale, si devono dedicare a compiti di ambito familiare come la cura dei mariti, la procreazione e l’educazione dei gli. Nel 1932 viene creata la Frauen-scha, l’“organizzazione delle donne nazionalsocialiste”, che si occupa dell’insegnamento rivolto alle ragazze, alle quali non vengono più insegnati il latino e le scienze, ma le lingue e l’economia domestica: la loro possibilità di ac-cesso all’università è così drasticamente ridotta. La penetrazione del nazismo nella società tedesca è totale, e la struttura sociale che si viene a creare è strettamente legata con l’organizzazione dello stato. Benché nell’im-1.12L’ORGANIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ E DELLO STATO NAZISTA
1] L’ascesa dei fascismi47GESTAPOÈ la polizia segreta di Stato (Geheime StaatPolizei), inca-ricata di sorvegliare la popolazione tedesca, di svolgere attività di spionaggio con ogni mezzo possibile e di re-primere i comportamenti considerati contrari all’interes-se del Terzo Reich e in particolare del Volkgemeinschaft, la “comunità di stirpe”. Per svolgere al meglio tali funzioni la Gestapo ha la fa-coltà di imprigionare chi vuole senza controlli da parte della magistratura; quasi sempre chi viene arrestato vie-ne poi deportato in lager. Dal 1934 l’organo poliziesco è sotto il controllo di Himmler. L’intera organizzazione verrà processata e condannata per crimini contro l’umanità dal Tribunale di Norimberga. maginario collettivo il nazismo rap-presenti il massimo del rigore e della disciplina, la struttura organizzati-va della macchina nazista è in realtà complessa. Hitler capisce che una struttura ge-rarchica ben denita potrebbe essere d’intralcio a lui e ai piani a lungo ter-mine del nazismo. Per questa ragione crea numerose organizzazioni, spesso con compiti non ben deniti, se non addirittura conittuali tra di loro, e favorisce la sovrapposizione di com-petenze tra i suoi sottoposti. Questa peculiare forma di governo, che è stata denita “anarchia autoritaria”, “dop-pio stato”, “policrazia”, è replicata an-che ai livelli inferiori delle gerarchie. Organismi in concorrenza tra di loro e confusioni di competenze formano così una pluralità caotica di centri di potere, ma sarebbe un errore conside-rare la sovrapposizione di competen-ze un intralcio alla politica del Reich. Sebbene talvolta gli approcci pratici ai problemi siano in contrasto, gli obiet-tivi politici non sono minimamente intaccati dal decentramento del pote-re e dalla rivalità tra i capi. Hitler, ar-bitro supremo e indiscusso dello stato nazista, ottiene anche in questo modo un enorme potere. Nel vasto apparato repressivo e di controllo del Reich spiccano per im-portanza le SS, responsabili del servi-zio di sicurezza, e la Gestapo, la po-lizia politica. Queste due istituzioni, dall’enorme potere e con grande liber-tà d’azione, controllano la vita pubbli-ca e privata dei cittadini. Sotto l’aspetto giudiziario la più im-portante delle innovazioni naziste è la creazione del Volksgerichtshof, il Tri-bunale del Popolo, con competenze vastissime. Le sentenze del tribunale sono inappellabili. I giudici del Tri-bunale del Popolo vengono nominati direttamente dal Führer e sono quindi scelti tra i giuristi più dati del parti-to. Anche la giustizia diventa così uno strumento nelle mani dei nazisti.
1] L’ascesa dei fascismi48SS Le SchutzStaeln (Squadre di protezione) nascono nel 1923 come milizia speciale alle dirette dipendenze del Führer, con l’incarico di garantire la sicurezza delle sedi del partito e delle manifestazioni e di fornire le scorte personali ai dirigenti nazisti; presto viene loro adato anche il ruolo di servizio investigativo di partito, con il compito di raccogliere informazioni sui nemici politici. Le uniformi delle SS sono completamente nere, con il simbolo del teschio, e il loro motto è “Il nostro onore si chiama fedeltà”. Sotto la guida di Heinrich Himmler dal 1929, le SS diventano nel corso degli anni una potentissima organizzazione, a cui spesso è lasciata totale autonomia di azione. Le SS, che sin dall’inizio si pongono come custodi dell’ideologia razziale, svolgono un ruolo centrale nello sterminio degli ebrei: gli Einsatzgruppen sono sotto il loro comando, e sotto il diretto controllo delle SS è anche la gestione dei campi di concentramento e di sterminio. Il Tribunale di Norimberga dichiarerà le SS organizzazione intrinsecamente criminale.
1] L’ascesa dei fascismi49WEHRMACHTÈ il nome assunto dall’esercito tedesco nel 1935, quando con due leggi i nazisti ripristi-nano la leva obbligatoria e formano una forza armata di 550.000 eettivi, spezzando i vincoli posti alle forze armate tedesche dai trattati di pace. Gli obiettivi raggiunti da Hitler in questo modo sono due: riconquistare la dimensione di potenza militare agli occhi del mondo e guadagnarsi la riconoscenza delle gerarchie militari.Il capo supremo della Wehrmacht è lo stesso Hitler, e i soldati devono prestargli giu-ramento di fedeltà. Nel 1943 gli uomini della Wehrmacht sono 13.500.000, di cui 9.823.000 combattenti e 3.732.000 ausiliari. La Wehrmacht è in moltissimi casi corresponsabile dei massacri e delle deportazioni operate dalle SS nell’Europa occupata.
1] L’ascesa dei fascismi50Il periodo tra le due guerre vede maturare in Europa la stagione dei fascismi. La crisi colpisce le economie di quasi tutti i paesi usciti dalla prima guerra mondiale. Il fascismo si impone ben presto sulla scena del conti-nente: i vent’anni (1922-1942) che separano la marcia su Roma dal culmine dei successi delle forze dell’Asse nella seconda guerra mondiale vedono una catastro ca ritirata delle istituzioni politiche liberali. I soli paesi europei in cui istituzioni politiche democratiche funzionano duran-te il periodo tra le due guerre sono la Gran Bretagna, la Finlandia, lo Stato libero d’Irlanda, la Svezia e la Svizzera. I manuali di storia spesso si limitano a indicare nell’asce-sa del nazismo tedesco e del fascismo italiano la causa principale della seconda guerra mondiale. I due fenome-ni contribuiscono certo in maniera determinante, tutta-via non bisogna dimenticare il contesto politico europeo e globale che precede l’inizio del con itto. Il nazismo e il fascismo italiano vengono inizialmente strumentalizzati per contenere il successo delle dottri-ne socialista e comunista in Europa e considerati dalla borghesia e dagli industriali – che vedono messi in di-scussione i propri privilegi – l’unica alternativa efficace per garantire una certa stabilità sociale ed economica. La loro ideologia nazionalista e interclassista li rende intanto da subito appetibili anche per gli appartenenti ai ceti popolari.I caratteri comuni ai fascismi europei dell’epoca sono di-versi: il nazionalismo spinto all’estremo, la necessità di in-dividuare una guida sicura per il paese, il dovere di dare una risposta alle speranze frustrate di un’intera genera-zione sconvolta dalla guerra e dalla crisi, gli investimenti massicci nel riarmo e una politica estera aggressiva. In ogni paese un’ala conservatrice e reazionaria di stampo nazionalista preme per acquistare credibilità presso i pro-pri governi. Attraverso un uso abile e innovativo della propaganda, ben presto i connotati discriminatori e xenofobi – in par-ticolare antisemiti – dei fascismi si rinvigoriscono e si fanno spazio nella coscienza dei popoli europei, accom-pagnati da un utilizzo sempre più massiccio della violen-za come strumento per la conquista del potere. All’epoca non c’è ancora una “cultura dei diritti umani”: la garan-zia e il rispetto delle minoranze non sono al primo posto nell’agenda di alcun governo. In Francia, in un clima di profonda instabilità politica dovuto alle tensioni tra con-servatori e radicali, la destra estrema tenta addirittura il colpo di stato, marciando sul parlamento nel 1934; nella stessa Inghilterra la British Union of Fascist rappresenta un pericolo concreto di deriva fascista no all’inizio del con itto. Almeno no al 1942 i paesi europei occupati dall’Asse si reggono spesso sull’alleanza contratta con i locali movimenti di tipo fascista, come le formazioni cat-tofasciste Christus Rex in Belgio, le Guardie di Ferro in Romania, le Croci Frecciate in Ungheria e il movimen-to croato di estrema destra degli Ustascia. Nell’Europa orientale si a ermano regimi ispirati al fascismo italiano, come quello greco del generale Metaxas e quello polacco del generale Pilsudski. 1.13I FASCISMI EUROPEI FRANCIAITALIAJUGOSLAVIAUNGHERIASVIZZERALITUANIALETTONIAESTONIASVEZIAFINLANDIADANIMARCANORVEGIASPAGNAPORTOGALLOGRECIABELGIOOLANDAGRANBRETAGNAIRLANDABULGARIAUNIONE SOVIETICAALBANIAPOLONIAROMANIASLOVACCHIAGERMANIAEUROPA, MARZO 1939
1] L’ascesa dei fascismi51“La propaganda è la causa di tutto. Con la propaganda si forma l’uomo totalitario. Senza di essa, i grandi rivolgimenti della nostra epoca non sarebbero stati concepibili, è ad essa che Hitler ha dovuto le sue vittorie, dalla presa del potere no all’invasione nel 1940.”[J. M. Domenach, La propaganda politica] Una delle caratteristiche fondamentali dei fascismi è la manipolazione dell’informazione – che grazie alla nascita di nuovi potenti mezzi di comunicazione, come cinema e radio, sta diventando sempre più un fenomeno di massa – per gestire e conservare il potere. Anche il fascismo organizza in modo profondo il consen-so dei cittadini, attraverso numerosi strumenti di propa-ganda: • I moderni mezzi di comunicazione, ossia la radio (ge-stita dall’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche nato nel 1927), il cinema (nel 1924 nasce l’Istituto Luce, nel 1932 la Mostra internazionale di arte cinematograca di Ve-nezia, nel 1937 viene inaugurata Cinecittà) e la stampa. Nel 1935 viene istituito il Ministero per la stampa e la propaganda, rinominato due anni dopo Ministero della cultura popolare: ha il compito di censurare e organizzare i mass media. Intanto la Germania è al primo posto per diusione di apparecchi radio. • La creazione di occasioni di partecipazione come le grandi adunate in piazza che esaltano il culto del duce (la scenograa delle cerimonie ha un ruolo fondamentale). L’oralità viene sempre privilegiata: le ideologie espresse a viva voce hanno infatti più potere delle parole scritte. Il fascismo struttura attorno al mito della guerra grandi mo-menti di identità e di senso di appartenenza alla nazione.• La repressione, la censura (è istituita una commissione per la “bonica libraria”, per una revisione dei libri usciti dal 1914 al 1940) e il terrore che “raorza il monopolio del-le comunicazioni di massa e di ogni tipo di comunicazione”. In Germania, come in Italia, il terrore di massa deve dimo-strare al popolo che non c’è potere superiore a quello nazista e fascista. • L’insistenza sulla categoria di “nemico” e sulla creazio-ne di immagini stereotipate, l’elaborazione di teorie cospi-rative (la cospirazione ebraica mondiale è la più ecace invenzione della propaganda nazista, che indirizza così i pregiudizi e gli stereotipi già esistenti, secondo i quali il popolo ebraico è l’immagine della disonestà). Un altro strumento fondamentale per la creazione e l’or-ganizzazione del consenso è l’educazione dei giovani. An-che la scuola viene fascistizzata: il regime controlla i libri di testo e gli insegnanti, la cui valutazione si basa in primo luogo sulle “segnalazioni politiche”, e alla scuola viene a-data la funzione politica di educare un insieme di individui pronti ad inserirsi nel sistema gerarchico fascista, che deve essere accettato e sentito quasi religiosamente. Insieme agli strumenti propagandistici, i regimi fascisti utilizzano poi l’intimidazione, la violenza e la repressione esemplare di qualunque forma di contrapposizione, per creare consenso e sottomissione nelle popolazioni, isti-tuendo spesso veri e propri regimi di terrore. 1.14LA PROPAGANDA NEI REGIMI FASCISTI
1] L’ascesa dei fascismi52LE VELINELa parola “velina” nasce durante il periodo fascista e sta ad indicare un potente mezzo di controllo della stampa. Il regime infatti dal 1935 consegna sistemati-camente ai vari organi di informazione dei comunicati con tutte le disposizioni obbligatorie da seguire nel dare le notizie; i comunicati sono scritti su carta velina perché in tal modo se ne può fare un maggior numero di copie a macchina con-temporaneamente, grazie all’uso di carta carbone. Ecco alcuni esempi di veline fasciste:1931: È un errore politico pubblicare sui giornali fotograe di ricordi socialisti, comu-nisti, ecc. “Il Lavoro Fascista” ha pubblicato una fotograa della testata dell’“Avanti!”, col risultato di richiamare sul giornale sovversivo anche l’attenzione dei giovani che non lo lessero e neanche lo conobbero. 1935: Si fa assoluto divieto di pubblicare fotograe di carattere sentimentale e com-movente di soldati in partenza, che salutano i loro cari. 1938: Entro domani o dopodomani pubblicare qualche bella fotograa di funzionari in uniforme. Non scrivere sotto le fotograe a quale Ministero appartengono. 1939: Ignorare la Francia. Non scrivere nulla su questo paese. Criticare invece sempre e comunque l’Inghilterra. Non prendere per buono nulla che ci venga da quel paese.Il termine è rimasto però nell’uso comune per indicare le comunicazione delle agenzie stampa. Anche le veline di “Striscia la Notizia” prendono nome da qui: il loro compito inizialmente era infatti quello di portare le notizie ai conduttori.
1] L’ascesa dei fascismi53A DESTRAPROPAGANDA A MILANOIN BASSOLE CERIMONIE PUBBLICHE AVEVANO UN’ENORME IMPORTANZA PER L’OPERA DI PROPAGANDA DI JOSEPH GOEBBLES
1] L’ascesa dei fascismi54LA PROPAGANDA IN GERMANIA Anche per il nazismo la propaganda gioca un ruolo fondamentale nel controllo delle masse. Viene addirittura creato un ministero, il Ministero della propaganda, che controlla l’intero flusso di informazioni, sottomette completamente la stampa inglobandola in un unico apparato alle sue dipendenze, e organizza la vita intellettuale attraverso la “Camera di Cultura del Reich”, nella quale tutti gli intellettuali sono inquadrati solo dopo aver fatto atto di totale adesione al regime. Moltissimi sono così gli intellettuali tedeschi che si allontanano dalla Germania insieme ai loro colleghi perseguitati, come Albert Einstein e Thomas Mann. Il Ministero non si limita al controllo della cultura, ma scandisce la vita pubblica nel suo insieme, organizzando numerosissime cerimonie pubbliche monumentali, sfilate militari, esibizioni sportive e soprattutto adunate di massa. Ministro della propaganda è il fedelissimo braccio di Hitler: Joseph Goebbels.JOSEPH GOEBBELS Paul Joseph Goebbels, Ministro della propaganda del Reich dal 1933 al 1945, è uno degli uomini più importanti del sistema nazista: egli capisce il ruolo chiave che può essere svolto dalla comunicazione di massa, e gli innovativi metodi di propaganda che utilizza hanno sicuramente un grosso peso nella formazione del consenso intorno alla gura di Hitler e ai progetti nazisti. Goebbels è un giornalista con aspirazioni da intellettuale. Conquistato dalla retorica nazista, diventa il braccio destro di Hitler già dagli inizi. Quando il nazismo sale al potere Hitler ada a Goebbels il compito di condurre un’intensa azione politica e psicologica sul popolo tedesco, e lo nomina Ministro della propaganda e dell’informazione. Goebbels ha così il controllo totale dei mezzi di informazione e di tutte le componenti della vita culturale tedesca e li sfrutta in ogni modo, portando avanti il suo compito con professionalità mista a fanatismo. È dalle sue idee che nascono i roghi dei libri e gli incendi delle sinagoghe. Rimasto al anco di Hitler no all’ultimo minuto, muore il 1° maggio del 1945 nello stesso bunker in cui si è appena suicidato il Führer. Mentre fuori Berlino brucia e con lei il sogno del Reich, nel bunker cadono vittime del fanatismo di Goebbels persino i suoi giovanissimi gli che egli, con la complicità della moglie, avvelena poco prima di togliersi la vita con un colpo di pistola.
1] L’ascesa dei fascismi55Alla ne dell’Ottocento la Spagna ha perso denitivamen-te tutte le sue colonie. È la ne di un immenso impero. Il paese è ancora retto da una monarchia tradizionalista; i la-tifondisti, l’esercito e la Chiesa godono di enormi poteri; la classe politica è conservatrice e il processo di moder-nizzazione lento e incompleto. L’industria si sviluppa solo in Catalogna e nei Paesi Baschi, mentre il resto della peni-sola rimane un paese contadino. Le condizioni arretrate e le posizioni conservatrici dei governanti creano un vasto malcontento sociale, che negli anni Venti comincia ad es-sere rappresentato da organizzazioni sindacali, da partiti di sinistra e anarchici. Le elezioni del 1931 vengono vinte in modo schiacciante dai partiti favorevoli alla trasformazione del paese in una repubblica: Alfonso XIII di Borbone prende la via dell’esi-lio, e per la monarchia è la ne. Il governo, composto da repubblicani e socialisti, si pone l’obiettivo di laicizzare e modernizzare lo stato. I problemi sorgono quando arriva il momento di applicare la riforma agraria, “il sogno della terra ai contadini”, che crea allarme tra i latifondisti i quali si organizzano subito in strutture partitiche e paramilitari, ispirate per molti versi al fascismo italiano. Questi partiti reazionari vincono le elezioni del 1933, e una volta al potere smantellano tutte le riforme del governo precedente: è il “biennio nero”, il bienio negro. L’abolizione delle riforme progressiste crea un enorme malcontento tra la popolazione: numerose insurrezioni vengono represse nel sangue dal governo di destra. Vista la gravità della situazione, i partiti di sinistra conver-gono in un fronte unitario antifascista, chiamato Frente Po-pular. Questa forza politica vince le elezioni del 1936. Il Frente Popular al potere attua una dura repressione nei confronti dei precedenti governanti, e si consumano nu-merosi episodi di violenza a danno di proprietari terrieri, membri dell’esercito e istituzioni religiose. I partiti di de-stra e le forze dell’esercito passano allora all’azione con un colpo di stato al ne di instaurare una dittatura militare di stampo fascista. Vista l’ostilità della stragrande maggio-ranza della popolazione, le forze golpiste guidate dal gene-rale Francisco Franco non avrebbero alcuna possibilità di successo, se non fosse per l’aiuto immediato che viene loro prestato dal fascismo italiano e dal nazismo. Il governo re-pubblicano chiede a sua volta aiuto ai paesi democratici, che preferiscono tuttavia non intervenire: solo l’Unione Sovietica ore il suo supporto alle forze repubblicane. Im-portante, anche per la sua forte valenza simbolica, è invece il contributo spontaneo di migliaia di antifascisti che da tutto il mondo partono per andare a combattere a anco della repubblica. Sono le Brigate Internazionali: quaranta-mila combattenti tra i quali ci sono anche gli scrittori Er-nest Hemingway e George Orwell, nonché numerosi anti-fascisti italiani. La guerra civile spagnola si protrae sanguinosa no al 1939: la vittoria nale è dei franchisti. Le forze repubblicane pa-gano non solo la carenza di armamenti e di organizzazione militare, ma anche i grossi problemi causati dalle tensioni interne al fronte, tra anarchici, socialisti e comunisti. L’en-tusiasmo rivoluzionario dei combattenti della Repubblica si spegne così contro lo strapotere militare delle potenze nazifasciste e contro l’attendismo delle democrazie, che sembrano non cogliere la gravità della minaccia fascista che incombe sul continente. Dopo una strenua resistenza repubblicana, Franco sooca nel sangue la rivoluzione sociale spagnola e instaura una dittatura che si concluderà solo alla sua morte, nel 1975. La guerra civile spagnola è un passaggio fondamentale nella storia del Novecento. In Spagna nasce il sodalizio tra Hitler e Mussolini e per la prima volta si forma un movimento di resistenza al fascismo, composto da persone provenienti da ogni parte del mondo. La guerra civile spagnola è dunque il primo scontro tra due ideologie. E proprio il carattere ideologico del conitto porta i combattenti a lottare con una ferocia senza pari: basti pensare alla cittadina basca di Guernica, rasa al suolo nel 1937 dai nazisti, alleati di Fran-co, per dissuadere la popolazione civile a schierarsi dalla parte dei repubblicani. La guerra civile spagnola è al con-tempo il tragico preludio e il riassunto degli avvenimenti che nel decennio successivo segneranno il Novecento.1.15LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA
2] Guerra56 Linea GoticaLinea HitlerLinea GustavBovesS. AnnaMarzabottoTorinoMilanoGenovaFirenzeVeneziaRomaNapoliReggio CalabriaSiracusaParmaPerugiaRepubblica Sociale ItalianaStragi nazifascisteLinee di difesa tedescheSbarchi degli Alleati (luglio - settembre 1943)Sbarco di Anzio (22 gennaio 1944) (dal settembre ‘44)(dal gennaio ‘44)SalernoTarantoPalermoRagusa
2] Guerra572.GUERRA
2] Guerra58Gli anni Venti, periodo di ripresa economica mondiale, sono segnati da un clima di distensione tra gli stati: regna la diusa ducia che, dopo la catastrofe della prima guer-ra mondiale, si possano trovare soluzioni alle questioni ancora irrisolte attraverso intese diplomatiche. Tale clima positivo viene normalmente indicato come lo “spirito di Locarno”, dal luogo in cui si tiene un’importante confe-renza internazionale nel 1925. Nel 1929 addirittura 54 paesi – tra cui Germania e Unione Sovietica – rmano il Patto Briand-Kellogg, che sancisce la comune volontà di riutare la guerra come soluzione delle controversie in-ternazionali.La Grande Crisi del 1929 cambia però le carte in tavola. L’impatto della crisi in Francia e Gran Bretagna è attutito dalla copertura economica data dai vasti imperi coloniali, In Giappone, Italia e Germania il crescere del totalitari-smo interno e dell’aggressività in politica estera si rivelano invece ben presto vie d’uscita dalla crisi. L’attacco decisivo alla stabilità internazionale viene pro-prio dalla Germania. La presa del potere da parte di Hit-ler, nel 1933, rende evidente l’obiettivo di creare un vero e proprio impero formato da tutte le popolazioni di lingua tedesca e teso alla conquista di colonie nella stessa Europa. Nel 1936 i tedeschi occupano la Renania, territorio situato al conne francese e smilitarizzato in seguito ad accordi diplomatici post-bellici. La Francia non reagisce. Sempre nel 1936, creando l’Asse Roma-Berlino, Italia e Germania si dichiarano unite dall’anticomunismo. L’anno successivo anche il Giappone entra a far parte dell’intesa, dando vita al denitivo Asse Roma-Berlino-Tokyo. Nel 1938 le truppe naziste invadono l’Austria per an-netterla alla “Grande Germania”. I tedeschi avevano già tentato l’occupazione nel 1934 con un colpo di stato, tro-vando però in Mussolini, che aveva di fatto impedito la 2.1 1920 - 1939. VERSO LA GUERRA
2] Guerra59realizzazione dei piani nazisti invian-do truppe al Brennero, un paladino dell’indipendenza austriaca. Questa volta, forte dell’alleanza con Mussoli-ni stretta nel 1936, la Germania non trova opposizioni. L’obiettivo successivo di Hitler è la Cecoslovacchia, rivendicata a causa della vasta presenza di tedeschi nella regione dei monti Sudeti. A dieren-za di quanto avvenuto in Austria, i cecoslovacchi non si mostrano aatto disposti a subire l’invasione nazista e schierano l’esercito a difesa della pro-pria indipendenza.La crisi sembra spingere l’Europa ver-so la guerra, ma ancora una volta le potenze democratiche decidono di assecondare i desideri nazisti. Nella conferenza di Monaco Francia e In-ghilterra, con la mediazione di Mus-solini, accettano le pretese tedesche sulla Cecoslovacchia.Solo nel 1939 inglesi e francesi capi-scono la pericolosità del fenomeno nazista e cominciano a tessere una se-rie di accordi internazionali per con-tenerlo. Tra gli altri, viene siglato un patto con la Polonia, alla quale viene assicurato sostegno in caso di minac-ce alla sua indipendenza. Il 22 maggio del 1939 Hitler e Musso-lini rmano il Patto d’Acciaio: Italia e Germania si impegnano a fornirsi re-ciprocamente aiuto nel caso di guerra, sia oensiva sia difensiva. Il 23 agosto, inoltre, la Germania na-zista stipula con l’Unione Sovietica, da sempre dichiarata sua acerrima nemica, il patto Molotov-Ribbentrop, che stabilisce una provvisoria non ag-gressione. Le due potenze rivali con-dividono infatti grossi interessi terri-toriali, specialmente nell’area polacca: all’interno dell’accordo un protocollo segreto denisce le modalità di spar-tizione della Polonia.Una settimana dopo Hitler, forte della pace stabilita sul fronte orientale, può dare ordine al suo esercito di varcare la frontiera polacca.LA MOLOTOV La “bottiglia molotov” o “bomba molotov” prende il nome dal sovietico Vjaeslav Michajlovič Molotov, Ministro degli esteri e poi vicepresidente del comitato di difesa nazionale dell’Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale. Ci sono però differenti teorie sulla sua origine. Alcuni sostengono che la bomba si chiami così perché la sua produzione fu ordinata dallo stesso Molotov durante la guerra; secondo altri invece la bottiglia molotov venne inventata dai combattenti fascisti durante la guerra civile spagnola e utilizzata contro i carri armati sovietici, che venivano chiamati Molotov, con riferimento al potente politico russo, dai franchisti. La molotov è un’arma rudimentale utilizzata ancora oggi nelle azioni di guerriglia. Essa è costituita da una bottiglia di vetro riempita di benzina ed è dotata di un rudimentale innesco, comunemente uno straccio acceso. In Italia è illegale. NELLA PAGINA A FIANCODURANTE LA GUERRA SARÀ CRUCIALE IL RUOLO DELLE DONNE CHE SI TROVERANNO SPESSO A SVOLGERE MANSIONI TIPICAMENTE MASCHILI
2] Guerra60La guerra combattuta tra il 1939 e il 1945 sarà un even-to mondiale e totale, che coinvolgerà i cinque continenti e mobiliterà completamente la società e l’economia dei paesi coinvolti. Già la guerra del 1914-1918 aveva contrapposto la maggior parte delle grandi nazioni, ma il teatro princi-pale era stato l’Europa. Ora invece si combatterà ovunque: i bombardamenti risparmieranno in pratica solo il conti-nente americano. La guerra sarà poi una guerra industriale e tecnologica: ad essa parteciperà l’economia nel suo complesso. Le gran-di industrie nazionali saranno presto convertite alla pro-duzione di armi, munizioni e materiali bellici. Milioni di persone saranno costrette a cambiare mestiere e regione e sorgeranno nuove zone industriali che cambieranno per sempre la geograa, umana ed economica. Enorme sarà anche l’impiego di manodopera femminile. L’incessante perfezionamento delle tecniche produttive e i progressi della ricerca scientica diventeranno fattori de-terminanti nella lotta tra gli eserciti: verrà fatto massiccio uso di nuove armi e nuove tecniche, come i radar, i sotto-marini, i carri armati, i bombardamenti aerei e, alla ne del conitto, la bomba atomica. Altra caratteristica fondamentale della seconda guerra mondiale sarà il coinvolgimento delle popolazioni. Il bilancio nale del conitto sarà di 50 milioni di morti di cui almeno la metà civili. La causa principale di morte per i civili saranno i bombardamenti aerei, per la prima volta “a tappeto”, senza cura degli obiettivi militari: intere città verranno rase al suolo. Anche la fame creerà immense soerenze tra le popolazio-ni: negli stati colpiti direttamente dalla guerra o dall’inva-sione nazista, infatti, l’economia andrà in pezzi per l’ina-zione e per i saccheggi, la produzione agricola diminuirà, verranno distrutte strutture di trasporto e vendita e gli ap-provvigionamenti diventeranno molto dicoltosi. I civili saranno poi protagonisti della lotta clandestina tra popoli che si combatterà in tutta l’Europa occupata e alla guerra combattuta dagli eserciti ovunque si aancherà la con-trapposizione tra collaborazionisti e resistenti: la guerra si trasformerà in una guerra civile internazionale. Inne, milioni di civili moriranno per lo sterminio operato dai nazisti nei confronti di chi è considerato nemico: le “raz-ze inferiori”, gli oppositori politici e i prigionieri di guerra saranno ridotti in schiavitù in tutta l’Europa occupata per garantire alla Germania cibo e armi, o direttamente sop-pressi con una ferocia senza pari. La guerra sarà inne conitto tra contendenti che avanza-no opposte giusticazioni ideali ed etiche. Il carattere ide-ologico della guerra porterà all’impiego di tutti i moderni mezzi di comunicazione presenti all’epoca, come cinema e radio. I nazisti nel conitto ideologico aermeranno i dirit-ti di una razza superiore, e vivranno la loro avanzata come una vittoria dell’ordine nazista sulle decadenti democrazie occidentali e contro il pericolo comunista. Un’idea di su-premazia simile sarà anche alla base del fascismo italiano e dell’autoritarismo giapponese. Stati Uniti, Unione Sovieti-ca e Gran Bretagna intenderanno la loro guerra come una lotta di civiltà contro la degenerazione nazi-fascista. 2.2LA GUERRA TOTALE
2] Guerra61IN ALTOTORINO SOTTO LE BOMBENELLA PAGINA A FIANCOCIMITERO DI SOLDATI ALLEATI CADUTI DURANTE LO SBARCOIN NORMANDIATUTTO DESTRUTTO “In quei giorni, i ciornale paesane dicevino che la bella città di Dolsidoffe [Düsseldorf] era tutta distrutta. E io e Paolo, per forzza, la volemmo antare a vedere […] restammo paralezate a vedere tutto destrutto.Le palazate erino tutte butate per terra, le strate non c’erino più. Poi, tutte le nicozia che erino a seconto piano, la merce, i vestite, bicichilette, copertte, ciocatole, e tutta la mer-cie che c’era dentra, era per li strade, immienzo alle pietre e sopra pietre […]Quinte, era peggio del terremoto di Missina. La cetà era tutta distrutta, si passava per forzza delle strade e poi ci voleva uno pratico che conosceva i punte, altremente manco i tedesche si potevino fare capace […]E partiemmo da Düsseldorf tutte 3 stonate. E come revammo nella nostra abitazione, non avemmo forzza di parlare di quello che avemmo visto. Neanche nella offinziva del Piave aveva visto tanta distruzione...”da V. Rabito, Terramatta, Torino, Einaudi, 2007
2] Guerra62La seconda guerra mondiale inizia il 1° settembre del 1939, quando la Germania di Hitler invade la Polonia. Il 3 set-tembre Francia e Inghilterra dichiarano a loro volta guerra alla Germania. Nel frattempo l’Unione Sovietica dà inizio all’occupazione della parte orientale della Polonia, così come è stato concordato segretamente nel patto di non ag-gressione Molotov-Ribbentrop rmato poco tempo prima con la Germania, e che ha l’obiettivo di rimandare lo scon-tro, in realtà inevitabile, tra i due paesi. Anche la Finlandia, secondo quegli accordi, rientra nella sfera sovietica e viene quindi attaccata a novembre. L’iniziativa tedesca riprende a inverno terminato, nell’apri-le 1940, con l’attacco e la conquista di Danimarca e Norve-gia: l’occupazione dei paesi nordici, oltre a essere economi-camente vantaggiosa, è strategica per accerchiare la Gran Bretagna. Sul fronte francese, invece, il conitto viene ri-battezzato drôle de guerre, cioè “strana guerra”, perché i due eserciti si fronteggiano senza di fatto combattere. Solo il 10 maggio Hitler decide di attaccare: l’obiettivo è quello di una blitzkrieg, una “guerra lampo”. Le truppe tedesche in-vadono Belgio, Olanda e Lussemburgo e puntano su Parigi, senza lasciare ai francesi il tempo di organizzare la difesa del proprio territorio. Quella tedesca è una guerra moder-na, con azioni coordinate di panzer e bombardieri, e coglie di sorpresa la Francia, che ha concentrato tutte le sue for-ze di difesa a nord-est, lungo la linea forticata Maginot. Parigi viene occupata il 14 giugno, la Francia si arrende e viene divisa in due parti: il nord è sotto il diretto controllo tedesco; a sud si forma la collaborazionista Repubblica di Vichy, dal nome della città in cui ha sede il governo. I po-chi reparti dell’esercito francese non accerchiati riescono a scappare in Inghilterra imbarcandosi a Dunkerque. Con loro parte il generale De Gaulle, che proprio dall’Inghil-terra dà poi il via al movimento di resistenza France libre. Anche Mussolini porta l’Italia in guerra, desideroso di “se-dersi al tavolo dei vincitori” e convinto che si tratterà di una guerra brevissima: il 10 giugno l’Italia dichiara guer-ra alla Francia, già piegata dalla Germania ma in grado di mettere in dicoltà l’esercito italiano, debole e imprepa-rato. Mussolini cerca di combattere una guerra parallela all’alleato tedesco in Grecia, in Africa e nel Mediterraneo ma in pochi mesi l’Italia viene fermata su tutti i fronti, co-stringendo i tedeschi a correre in suo aiuto.Il facile successo conseguito contro la Francia spinge Hitler a pianicare l’operazione “Leone marino”, ossia lo sbarco in Gran Bretagna, preparato da massicci bombardamenti sulle città inglesi, che iniziano nel luglio 1940. Il piano te-desco è quello di sbarazzarsi rapidamente della questione inglese in modo da potersi dedicare all’attacco all’Unione Sovietica, per la conquista di quello “spazio vitale” che, insieme alla questione razziale, costituisce l’obiettivo pri-mario di Hitler. Il piano fallisce per lo spirito di reazione inglese, incarnato dal primo ministro Winston Churchill, per la superiorità della otta e dell’aviazione britanniche accompagnate per la prima volta dall’uso del radar, e grazie agli aiuti dei dominions e all’appoggio politico ed econo-mico degli Stati Uniti. Il 22 giugno del 1941, infrangendo il patto Molotov-Ribbentrop, la Germania invade l’Unione Sovietica, sperando ancora una volta in una “guerra lam-po” ma, nonostante l’enorme impegno profuso nell’opera-zione – più di 3 milioni di uomini impiegati – i nazisti non riescono a sconggere il nemico prima che sopraggiunga quell’inverno che già aveva scontto Napoleone. Alla ne del 1941 il Giappone, legato alla Germania e all’Italia dal patto Tripartito, attacca la otta americana di stanza a Pe-arl Harbor: gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dichiarano guerra ai nipponici l’8 dicembre del 1941. La guerra europea è diventata mondiale. 2.31939 - 1941. DALLA GUERRA LAMPO ALLA GUERRA MONDIALE
2] Guerra63L’ATTACCO A PEARL HARBORPearl Harbor è un’insenatura nell’isola di Oahu, nelle Hawaii, dove viene costruita tra il 1906 e il 1911 una grande base militare americana.Il 7 dicembre del 1941 Pearl Harbor viene attaccata dai giapponesi. L’oensiva ha lo scopo di eliminare la otta americana dal Pacico, contando principalmente sull’eetto sorpresa, e viene infatti sferrata prima che l’ambasciatore giapponese presenti la dichiarazione di guerra ai diplomatici statunitensi. Il 26 novembre del 1941 sei portaerei, con a bordo 423 aeroplani, partono dalle coste del Giappone; l’attacco viene eettuato do-menica 7 dicembre alle 7 del mattino e dura poco meno di tre ore. La sorpresa è totale e impedisce l’intervento dei caccia difensivi americani. Con la perdita di soli ventinove aerei i giapponesi riescono a mettere fuori combattimento l’intera otta americana del Pacico, oltre a circa duecento aerei militari che stazionano negli aeroporti dell’isola. Le vittime americane sono più di duemila, con migliaia di feriti.In seguito all’attacco a tradimento di Pearl Harbor, che indigna profondamente l’opinione pubblica americana, gli Stati Uniti entra-no in guerra. Secondo alcuni, l’attacco di Pearl Harbor avrebbe potuto essere contrastato ed è invece stato addirittura favorito – con azioni mili-tari ed economiche provocatorie nei confronti del Giappone, allora avversario degli Stati Uniti per il dominio del Pacico – dagli alti comandi americani, in primo luogo dal presidente Francis Delano Roosevelt. Solo un attacco diretto agli Strati Uniti avrebbe infatti potuto scuotere l’opinione pubblica e il Congresso, entrambi no a quel momento su posizioni anti-interventiste. Roosevelt vedeva un tremendo pericolo in un’eventuale vittoria dei fascismi, molto probabile alla ne del 1941, che avrebbe portato alla nascita di una superpotenza nazifascista europea, ma aveva la necessità del supporto popolare per l’ingresso americano in guerra.LINEA MAGINOTLa “linea Maginot” è un sistema di fortificazioni permanenti francesi concepito subito dopo la prima guerra mondiale e costruito tra il 1930 e il 1936 lungo il confine con la Germania. Scopo della linea Maginot, che si estende per circa 400 chilometri, è fronteggiare un eventuale attacco tedesco. I francesi si aspettano infatti un attacco sul modello della “guerra di trincea” della prima guerra mondiale: verranno invece sorpresi dalla “guerra lampo” nazista, nella quale i tedeschi utilizzeranno armi e strategie molto moderne (come l’im-piego di carri armati organizzati in divisioni specializzate in attacchi in profondità) che consentiranno loro un’avanzata rapidissima. Du-rante la campagna di Francia la linea Maginot verrà dunque aggira-ta a nord dai tedeschi, che intrappoleranno così le armate francesi che la presidiano. La linea si dimostrerà dunque, oltre che inutile, anche dannosa per la difesa della Francia. La linea deve il suo nome al francese Andrè Maginot, Ministro delle colonie e della guerra che ne ha ordinato la costruzione nel 1930.
2] Guerra64Il 1942 si apre con le azioni belliche di Giappone e Stati Uniti, entrati in guerra nel dicembre dell’anno precedente. Il Giappone, alleato con le potenze dell’Asse, nell’arco di sei mesi si espande notevolmente, conquistando tutti i territori asiatici aacciati sul Pacico e dimostrando una potenza straordinaria.Gli Stati Uniti ben presto intervengono sia nel Pacico, dove riescono a tenere testa al Giappone, sia nell’Atlantico, dove è necessario agire per evitare l’accerchiamento tedesco della Gran Bretagna. La battaglia dell’Atlantico si rivela particolarmente dura per la marina inglese e per quella americana, a causa dei colpi micidiali inferti dai sottomarini tedeschi e del loro iniziale strapotere. Solo nel 1943 gli Alleati riescono a sconggere la Germania, che ha investito molte più risorse sull’esercito che sulla marina, per decisione dello stesso Hitler. Riguadagnato l’Atlantico, la Gran Bretagna può diventare per gli Alleati il trampolino per sconggere i nazisti in Europa. Aerei, navi e uomini scateneranno l’oensiva dall’isola. Nel frattempo gli anglo-americani sono anche impegnati sul fronte africano per fermare l’avanzata dei nazifascisti che, dopo aver conquistato la Libia, si spingono in Egitto. Lo scontro decisivo tra i due eserciti avviene a El Alamein, in territorio egiziano, tra il 23 ottobre e il 4 novembre del 1942, e per i nazifascisti si rivela una disfatta: essi sono costretti a ripiegare no in Tunisia, perdendo rapidamente il controllo del continente. La battaglia di Stalingrado dura dal luglio 1942 al febbraio 1943 ed è uno dei momenti più duri della guerra: muoiono oltre un milione e mezzo di combattenti e almeno quarantamila civili e la città dovrà essere completamente ricostruita. Al seguito dei tedeschi in Russia c’è anche un contingente italiano, l’ARMIR, composto da oltre duecentomila uomini. Di questi, più di centomila muoiono o sono fatti prigionieri. Stalingrado è un momento di svolta della guerra: è infatti la prima vera scontta dell’esercito tedesco, che non riuscendo più a ottenere un successo signicativo sul suolo russo, comincia la sua tragica ritirata. All’inizio del 1943, con il Giappone scontto nel Pacico dagli Stati Uniti, con la scontta dei nazifascisti a El Alamein e dei tedeschi, il cui esercito è stato considerato no a quel momento imbattibile, a Stalingrado, si assiste a un completo ribaltamento di fronte. La sicurezza del Reich e dei suoi alleati entra così in crisi. Ma non è ancora una vittoria senza appello: alla ne del conitto mancano ancora più di due anni. 2.4 1942 - 1943. LA CONTROFFENSIVA
2] Guerra65IL GENERALE INVERNO C’è una costante nella storia russa: l’invasore viene attirato all’interno e co-stretto a rallentare l’avanzata, in modo che si trovi nel cuore dell’immenso paese all’arrivo dell’inverno. Così fece con gli svedesi lo zar Pietro il Grande nel 1709, nella battaglia della Poltava. Nel giugno 1812 Napoleone invade la Russia. In ottobre è a Mosca, strategicamente abbandonata dai russi in amme. Ordina la ritirata, ma trop-po tardi. Il terribile inverno russo è in anticipo: tra ne novembre e i primi di dicembre, sotto la neve e nel gelo, la Grande Armée napoleonica, stremata e circondata dai russi, viene più volte scontta, no alla tragica battaglia della Beresina, dove il generale Kutuzov ottiene la denitiva vittoria su Napoleone. Il bilancio della disfatta napoleonica in Russia è di mezzo milione di morti. Hitler commette lo stesso errore nel 1941. Invade l’Unione Sovietica in giu-gno e con l’arrivo del terribile inverno i sovietici si ritirano con la strategia della “terra bruciata”. Il 5 dicembre Hitler subisce una cocente scontta, ad opera del generale Zukov, a Borodino: il caso vuole che sia lo stesso giorno in cui anche Napoleone era stato denitivamente scontto. KAMIKAZELa parola kamikaze in giapponese signica “vento divino” e nasce per indicare un leggendario tifone che si narra abbia salvato il Giappone da un’invasione dei Mongoli nel 1218, disperdendo le truppe nemiche. Durante la seconda guerra mondiale i kamikaze sono i piloti d’aereo giapponesi che, come tattica di battaglia, si scagliano vo-lontariamente morendo contro bersagli nemici, normalmente navi. Nel corso del conitto trentaquattro navi alleate vengono aondate da attacchi kamikaze e centinaia di altre danneggiate; nella battaglia di Okinawa i kamikaze iniggono agli Stati Uniti la peggiore scontta della guerra, uccidendo circa cinquemila soldati. Oggi la parola kamikaze è utilizzata a livello internazionale per indicare gli attacchi suicidi.NELLA PAGINA A FIANCOI SOLDATI DELL’ARMATA ROSSA FESTEGGIANO DOPO AVER SCONFITTO LA WEHRMACHT A STALINGRADO
2] Guerra66Nella campagna di Tunisia gli anglo-americani sconggo-no denitivamente ciò che rimane delle truppe dell’Asse in Africa. È l’estate del 1943. Le truppe alleate decidono di utilizzare proprio il Nord Africa come trampolino di lan-cio verso l’Italia, la più importante alleata dei tedeschi in Europa. Gli anglo-americani, dopo aver occupato Pantel-leria, sbarcano sulle coste siciliane nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1943. Nel giro di un mese l’isola viene liberata: gli italiani vengono sbaragliati, i tedeschi riescono invece a sgomberare e a ritirarsi in Calabria. Hitler, preoccupato, si fa promettere da Mussolini che l’Italia terrà duro, ma il regime fascista è ormai alla ne. Il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo toglie la du-cia al duce, e l’8 settembre il generale Badoglio, capo del nuovo governo, rende pubblico l’armistizio rmato cinque giorni prima con gli Alleati. Ha inizio così un travagliato periodo di guerra nella penisola italiana occupata dalle milizie naziste, che si oppongono alla risalita della peniso-la degli anglo-americani. A partire dalla primavera del 1943 anche la battaglia dell’Atlantico volge a favore degli Alleati. I sommergibi-li tedeschi sono sopraatti dalla tecnologia e dalla con-sistenza numerica della marina americana: all’inizio del 1944, quattro milioni e trecentomila soldati, navi e ma-teriali possono partire dagli Stati Uniti, attraversare l’At-lantico in massa e sferrare dalle isole britanniche l’attacco decisivo alla “Fortezza Europa” . Il 6 giugno del 1944 gli anglo-americani sbarcano sulle coste francesi della Normandia, aprendo il secondo fron-te europeo dopo quello italiano. Per l’operazione cruciale vengono impiegati centinaia di migliaia di uomini e una enorme potenza di mezzi. Le linee di difesa tedesche, col-te di sorpresa, vengono presto travolte: comincia la libe-razione della Francia, con gli Alleati che combattono al anco delle forze della Resistenza francese comandate dal generale De Gaulle. Il 26 agosto le forze di liberazione en-trano trionfalmente a Parigi. Intanto, dall’estate del 1943, l’Armata Rossa procede nel-2.5 1944 - 1945. LA LUNGA LIBERAZIONE
2] Guerra67la sua avanzata verso Berlino, sot-traendo ai nazisti i paesi occupati dell’Europa orientale. L’esercito russo, raorzatosi notevolmente, trova la collaborazione delle popolazioni de-gli Stati sottomessi al Reich, che dan-no vita a fondamentali movimenti di resistenza. La Germania si trova così tra due fuochi. Alla pressione degli anglo-americani a ovest e a sud e a quella orientale dei sovietici, si sommano i duri bombardamenti alleati e la crisi interna al paese. La ducia nel regime nazista e nella gura di Adolf Hitler è ormai incrinata, e lo stesso Führer è bersaglio di un attentato fallito, il 20 luglio del 1944. Il Terzo Reich sta per crollare. STRANGE DAYS D-Day e May Day sono due termini militari inglesi entrati nell’uso comune proprio con la seconda guerra mondiale. D-Day sta ad indicare il giorno in cui deve essere sferrato un attacco da un determinato battaglione; l’ora dell’attacco è la H-Hour. Il D-Day per antonomasia è il 6 giugno del 1944, giorno in cui gli Alleati sbarcano sulle coste della Normandia e cominciano la liberazione dell’Europa dal nazismo. May Day viene invece utilizzato per richiedere aiuto via radio da un’imbarcazione o da un velivolo in difficoltà. L’origine è l’espressione francese m’aidez (“aiutatemi”): perché possa essere compresa tranquillamente anche dai non francofoni, negli anni Venti viene traslitterata in inglese nella forma di May Day (che in inglese significa tutt’altro: “giorno di maggio”). L’ATTENTATO A HITLER Dopo un primo tentativo di attentato da cui Hitler esce indenne nel marzo 1943, una vasta congiura di militari tedeschi arriva a un passo dall’impresa. Il 20 luglio del 1944 il colonnello Van Stauffenberg colloca una bomba nel quartier generale del Führer, a Rastemburg, nella Prussia Orientale, ma Hitler, ferito solo leggermente, risale rapidamente ai colpevoli. Due dei congiurati si suicidano, tutti gli altri vengono giustiziati. A SINISTRA E NELLA PAGINA A FIANCODUE MOMENTI DELLO SBARCO ALLEATO IN NORMANDIA NEL GIUGNO ‘44
2] Guerra68Nel marzo 1945 le truppe alleate provenienti dalla Francia entrano nel territorio tedesco superando il Reno. In apri-le gli anglo-americani e i partigiani del Comitato di Libe-razione Nazionale liberano l’Italia dopo quasi due anni di guerra. Nello stesso mese i sovietici arrivano in Austria e Germania. Il 30 aprile Adolf Hitler si suicida. Tra il 7 e l’8 maggio il suo successore, l’ammiraglio Dönitz, rma la resa senza con-dizioni. Già a guerra in corso le potenze vincitrici – Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna – hanno preso gli accordi di massima per ridisegnare il mondo post-bellico. Il primo passo viene fatto nel 1941, quando Stati Uniti e Gran Bretagna rmano la Carta Atlantica, che sancisce la solidarietà ideale e politica tra i due stati, congura il con-itto in corso come lotta antifascista ed enuncia una serie di principi di ordine generale, tra cui il desiderio di un di-sarmo generalizzato e il diritto dei popoli all’autodetermi-nazione. Sulla base della Carta Atlantica, il 1° gennaio del 1942 le potenze impegnate contro l’Asse si impegnano a restare unite una volta terminato il conitto: è la Dichiara-zione delle Nazioni Unite, da cui avrebbe preso vita l’attuale ONU. Nasce così un sistema mondiale che, almeno a livello ideale, perseguirà la pace e la tolleranza, con l’esplicito di-vieto dell’uso della forza. A Teheran, nel dicembre del 1943, si incontrano le grandi potenze alleate – Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bre-tagna – quando ormai la guerra volge a loro favore. Oltre a stabilire azioni per il proseguimento della guerra, il pre-sidente americano Roosevelt, il primo ministro britannico Churchill e il leader sovietico Stalin manifestano i loro pro-getti per il futuro. In particolare Stalin chiede che i paesi connanti con l’Unione Sovietica divengano suoi alleati una volta terminata la guerra, per proteggere l’Unione So-vietica da aggressioni esterne. Si decide inoltre che la Ger-mania venga divisa in “zone di inuenza” sottoposte alla tutela degli Alleati. Il successivo incontro si tiene a Yalta, sul Mar Nero, nel febbraio del 1945. Le decisioni prese sono lo scioglimento dell’esercito tedesco, la “denazicazione” della Germania e il perseguimento dei criminali nazisti; verrà inoltre richiesto alla Germania il pagamento dei danni di guerra. La confe-renza di Yalta è tuttavia importante soprattutto perché con-ferma ciò che militarmente si era ormai prolato in Europa, ossia la costituzione di due diverse aree: quella occidentale sotto l’inuenza americana e quella orientale sotto l’inuen-za sovietica, stabilite in base alla posizione degli eserciti.A guerra conclusa, l’Europa perderà così il suo ruolo di pro-tagonista mondiale. Stati Uniti e Unione Sovietica si sono rivelati durante il conitto le due vere superpotenze, non solo a livello militare, ma anche diplomatico, industriale economico e nanziario, per quanto le devastazioni della guerra abbiano duramente colpito i russi.L’ultimo incontro delle tre potenze vincitrici, quello tenu-tosi a Potsdam, in territorio tedesco, nel luglio del 1945, ri-badisce l’orientamento “bipolare” di Yalta. Dopo il suicidio di Hitler e la resa della Germania, rimane tuttavia ancora da battere il Giappone. Gli Stati Uniti, nonostante l’immi-nente resa giapponese, per dimostrare agli Alleati – e ai sovietici, in vista del prevedibile “mondo bipolare” della Guerra Fredda – la loro superiorità militare e per evitare che la guerra si protragga ancora troppo a lungo, decidono di usare la bomba atomica, frutto delle più avanzate ricer-che dell’epoca. Tra il 6 e il 9 agosto del 1945 vengono rase al suolo le città di Hiroshima e Nagasaki: le vittime sono al-meno centocinquantamila. Il Giappone rma la resa senza condizioni il 2 settembre. Dopo sei anni esatti, nisce dunque la seconda guerra mon-diale. Il bilancio è di circa cinquanta milioni di morti. 2.6LA FINE DELLA GUERRA E GLI ACCORDI DI PACE
2] Guerra69L’ONU“Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali della persona […] a promuovere il progresso sociale [...] abbiamo deciso di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini. “[dal preambolo della Carta dell’ONU] L’Organizzazione delle Nazioni Unite viene costituita il 26 giugno del 1945 a San Francisco da cinquanta Stati, i firmatari della Carta delle Nazioni Unite, con il fine di salvaguardare la pace e la sicurezza mondiali e di istituire tra le nazioni una co-operazione economica, sociale e culturale. L’ONU è in un certo senso la continuazione di quella Società delle Nazioni voluta nel 1919 dal presidente americano Wilson: vista però la fallimentare esperienza della Società, creata per tutelare la pace tra le nazioni e incapace di impedire la guerra peggiore della storia dell’umanità, l’ONU viene dotata di una struttura in grado di renderla molto più efficace. Il presupposto storico-diplomatico della nascita dell’ONU è la stretta alleanza delle potenze democratiche contro il nazismo e i suoi alleati: non per niente, i cinquanta Stati che si riuniscono a San Francisco hanno tutti combattuto contro le forze dell’Asse. Già durante la guerra si comincia il cammino che porterà all’Organizzazione, dalla Carta Atlantica, siglata nel 1941, alla conferenza di Mosca del 1943. In questa occasione i governi di Gran Bretagna, Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina sperano nella nascita di “un’organizzazione internazionale fondata sull’uguaglianza di tutti gli Stati pacifici e aperta a tutti”. La Carta dell’ONU pone i principi fondamentali cui deve essere sempre improntata l’attività dell’organizzazione: “la difesa della dignità e del valore della persona umana, dell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole; il mantenimento del rispetto per le obbligazioni derivanti dai trattati e dalle altre fonti del diritto internazionale; l’impegno a promuovere il progresso sociale e più elevati tenori di vita in una più ampia libertà generale e mediante la crea-zione di appositi organi capaci di stimolare l’avanzamento morale e materiale dei popoli”. Attualmente, 192 stati fanno parte dell’ONU, la quale però si è spesso dimostrata inadeguata a svolgere il ruolo di salvaguar-dia della pace mondiale che i suoi fondatori, nel 1945, le avevano assegnato: grazie al meccanismo del veto gli Stati nazionali, e in particolare potenze quali gli Stati Uniti, e in passato l’Unione Sovietica, continuano a esercitare un’enorme influenza.
2] Guerra70LA BOMBA ATOMICA La bomba atomica, che si basa sul principio della ssione nucleare, vie-ne creata da un gruppo di scienziati e sici nanziato dal governo ame-ricano durante la guerra. Alcuni di loro, tra cui il premio Nobel italiano Enrico Fermi, si sono rifugiati in Ame-rica a causa delle persecuzioni nazi-ste contro gli ebrei. Il programma di studio sulla bomba, tenuto segreto dal governo americano, si chiama Manhattan. La prima bomba atomi-ca, soprannominata “the gadget”, vie-ne testata in New Mexico il 16 luglio del 1945. Neanche un mese dopo, il 6 agosto, il bombardiere americano Enola Gay sgancia su Hiroshima la bomba atomica, questa volta chia-mata “little boy”: 66.000 persone muoiono immediatamente, altre 69.000 rimangono ferite. Il 67% del-la città viene distrutto e l’atomica su Hiroshima devasta in un istante dieci chilometri quadrati di territorio. La seconda atomica, sganciata su Nagasaki tre giorni dopo, uccide anch’essa decine di migliaia di civili giapponesi. Due sono le ragioni che spingono gli Stati Uniti all’uso di quest’arma micidiale: la prima, stra-tegico-militare, è concludere la guer-ra; la seconda è invece una ragione politica: far comprendere all’Unione Sovietica i potentissimi mezzi di cui dispongono. La bomba atomica non sarà mai più utilizzata in azioni di guerra. Coscienti del suo potenziale altamente distruttivo, gli Stati in possesso del nucleare prefe-riscono usarlo come elemento di mi-naccia: sarà il principio alla base della Guerra Fredda, che vedrà il mondo in preda a una vera e propria paranoia nucleare.
2] Guerra71IN ALTOHIROSHIMA IL GIORNO DOPO L’ATTACCOA SINISTRAGLI AMERICANI FESTEGGIANO LA RESA GIAPPONESE E LA FINE DEL CONFLITTO MONDIALE
2] Guerra72In tutti i paesi occupati dai nazisti alcune persone o grup-pi appoggiano, secondo le proprie possibilità, i tedeschi: tale fenomeno prende il nome di collaborazionismo. Goebbels, Ministro della propaganda della Germania, adatta le sue strategie alle “esigenze” di ogni paese, con-trollando i giornali, organizzando manifestazioni, esal-tando i successi dell’invincibile esercito tedesco ed espor-tando l’odio contro i nemici del Reich, in particolare gli ebrei e i bolscevichi. La propaganda tedesca alimenta in questo modo il collaborazionismo. L’“ordine tedesco”, così come diuso dalla propaganda, attrae diverse categorie di persone nei paesi occupati: gli industriali e la borghesia apprezzano la scomparsa dei conitti sociali e la proibi-zione degli scioperi, la Chiesa guarda con sollievo alla cancellazione del materialismo comunista ateo, persino alcuni sindacalisti preferiscono l’idea sociale del nazismo a quella delle democrazie liberali. Un elemento non tra-scurabile è poi la volontà di molti di stare dalla parte dei vincitori che, almeno no a Stalingrado, sembrano senza dubbio i nazisti. La collaborazione con l’occupante, che comporta attività che vanno dalla denuncia di partigiani ed ebrei al ancheggiamento armato dei nazisti, nascon-de dunque molto spesso un evidente opportunismo. I partiti fascisti d’anteguerra, o sorti in seguito all’occu-pazione nazista, prendono il potere in tutti gli Stati sotto-messi dal Reich. Benché ognuno di questi partiti si pro-clami “nazionale”, i loro programmi sono simili e hanno come modello la Germania nazista: governo con a capo un “uomo forte”, ordine sociale nella stabilità politica ed economica, priorità dell’interesse nazionale rispetto a quello individuale, acceso antisemitismo. Anche esteriormente si ricalca il nazismo: nei gesti, nel modo di vestire, nel cerimoniale, nella gerarchia. Il primo esempio di collaborazionismo è quello della Nor-vegia, dove i tedeschi pongono a capo del governo il lo-nazista Vidkun Quisling. Quisling è talmente sottomes-so ai voleri nazisti che il suo nome è rimasto nella storia come sinonimo del più servile collaborazionismo. Poco dopo anche in Olanda e in Belgio occupati si insediano governi lonazisti: per i tedeschi il collaborazionismo 2.7 IL COLLABORAZIONISMO IN EUROPA
2] Guerra73di questi governi è utile a non essere troppo malvisti dalle popolazioni, dal momento che i provvedimenti risul-tano decisi e applicati da governi au-tonomi. L’autonomia rimane ttizia: i governi locali vengono regolarmente esautorati dei loro poteri quando non si dimostrano sucientemente re-missivi e pronti a servire il Reich. In Francia la situazione è particola-re, con il nord del paese direttamente comandato dai nazisti e il sud sotto il legittimo governo francese, con sede a Vichy. Questo governo è formato dai conservatori, che vedono nel col-laborazionismo con i nazisti un buon modo di aermarsi come forza politi-ca dominante in Francia e di elimina-re denitivamente le forze socialiste e radicali, che avevano avuto un grosso peso nel quadro politico francese tra le due guerre. Per questa ragione e per la convinzione che i nazisti vinceran-no la guerra, il governo francese non si oppone ai tedeschi quando comin-ciano ad abusare delle condizioni, già molto favorevoli, dettate dall’ar-mistizio, annettendo al Reich alcuni territori francesi a est, saccheggiando e pretendendo di inuenzare diretta-mente anche la repubblica di Vichy. Sperando poi di entrare nei favori del Führer, il governo di Vichy procede alla fascistizzazione della Francia, con disposizioni repressive e discri-minatorie, l’instaurazione del culto del capo – il maresciallo Pétain – e ri-forme economiche e sociali di stam-po fascista. Anche nei paesi satelliti dell’Europa dell’est il nazismo si appoggia ai par-titi fascisti già esistenti, ponendoli a capo dei governi e sovvenzionando-li. Ciò avviene con il regime di An-tonescu in Romania e con le Croci frecciate ungheresi. Il partito fascista degli Ustascia in Croazia, protetto da Mussolini, instaura un regime di ter-rore di cui sono vittime i serbi che vi-vono in Croazia, i comunisti, gli ebrei e gli zingari. Nonostante la pianicazione e gli sforzi propagandistici dei nazisti, il collaborazionismo non ha tuttavia il successo sperato: ben presto si af-fermano infatti, parellelamente, mo-vimenti di resistenza e liberazione dall’occupante nazista. NELLA PAGINA A FIANCOCITTADINI DI DANZICA FANNO IL SALUTO NAZISTAA DESTRAFASCISTI CON LA BANDIERA DELLA RSI
2] Guerra74Nel Mein Kampf Hitler aveva esplicitato uno dei fon-damenti del suo pensiero: la riunione di tutti i popo-li germanici in una Grande Germania e la conquista di uno “spazio vitale” in Europa. Nel 1942, al massimo dell’espansione del nazismo sul continente, tali propositi si sono praticamente realizzati, con l’occupazione o la ri-duzione a stati satelliti sia dei paesi dell’est che di buona parte dell’Europa occidentale.I saccheggi da parte dei tedeschi sono all’ordine del gior-no, e i nazisti sfruttano ed esportano mano d’opera in Germania, trattando i popoli sottomessi come veri e pro-pri schiavi. L’occupazione nazista presenta comunque ca-ratteri diversi a seconda dell’area geograca. Il trattamento più duro viene riservato a Unione Sovieti-ca e Polonia: la prima è infatti la patria del bolscevismo, mentre la seconda ha il torto di essersi annessa alcuni territori tedeschi in seguito alla prima guerra mondiale. Inoltre, i sovietici e i polacchi sono popolazioni di “razza slava”, dunque inferiori secondo i nazisti. In entrambi i paesi l’amministrazione viene adata direttamente a fun-zionari tedeschi, o al massimo, ai livelli inferiori, a sog-getti comunque scelti dai nazisti: è così azzerata la classe dirigente locale. Le leggi vengono sostituite da una legi-slazione tedesca e il marco sostituisce la moneta locale. Nei territori occupati dell’Unione Sovietica gli abitanti, continuamente sottoposti a umiliazioni da parte dei nazi-sti, devono farsi registrare dalla polizia, nessuno può la-sciare il proprio domicilio senza autorizzazione, e si può uscire di casa solo di giorno. In Polonia le élites vengono sistematicamente eliminate: i nazisti uccidono o depor-tano un milione di intellettuali, industriali, capi politici e sindacali. I polacchi non hanno il diritto di possedere immobili, di riunirsi in associazioni, di frequentare teatri e musei. Qualsiasi loro infrazione è punita con sanzioni severissime, spesso con la pena di morte. Nel resto dell’Europa dell’est l’occupazione avviene invece 2.8L’OCCUPAZIONE NAZISTA
2] Guerra75a mezzo di protettorati e di governi docilmente piegati al volere del Reich: non c’è dunque un governo diretto da parte dei nazisti, che si servono del collaborazionismo dei partiti fascisti locali e della propaganda di Goebbels per esercitare la propria inuenza. Ancora diverso è il modello di oc-cupazione nazista nell’Europa occi-dentale, dove molti stati godono di maggiori “riguardi” grazie alle loro pretese ascendenze germaniche, in particolare l’Olanda, la Norvegia e il sud della Francia (la repubblica di Vichy). L’amministrazione di questi Stati è adata a i governi locali che, nonostante collaborino pienamente con il nazismo, conservano sempre una parvenza di autonomia. I nazisti sfruttano poi la manodopera loca-le nella maggior parte dei casi senza trasferire i lavoratori in Germania, piegando la produzione nazionale agli interessi tedeschi. I vantaggi economici sono smisura-ti per il Reich. L’intera produzione dell’Europa dell’est viene convoglia-ta verso la Germania, e in tutti i pa-esi occupati i nazisti saccheggiano, impongono nuove tasse, rivalutano arbitrariamente il marco per poter comprare a condizioni estremamen-te vantaggiose e acquistano quote di comando delle imprese e delle prin-cipali banche. Lo Stato occupato deve inoltre pagare le esorbitanti spese di occupazione: con quanto versato ogni giorno solo dalla Francia si pos-sono sfamare milioni di soldati.Inizialmente ai comandi dell’esercito, poi direttamente delle SS, le polizie dei paesi occupati vengono utilizza-te dai nazisti per il mantenimento dell’ordine pubblico e per lo svolgi-mento dei compiti più odiosi, tra i quali il rastrellamento degli ebrei de-stinati alla deportazione. IN ALTOLA WEHRMACHT SFILA NELLA PARIGI OCCUPATANELLA PAGINA A FIANCODANZICA, SETTEMBRE 1939. SOLDATI TEDESCHI TOLGONO DA UN PALAZZO LE INSEGNE DEL GOVERNO POLACCO ALL’INDOMANI DELL’INVASIONE
2] Guerra76La Resistenza, al pari del collaborazionismo, è un fenome-no diuso in tutta Europa: in ogni territorio occupato si sviluppa la lotta ai nazisti e ai loro alleati interni, nel nome del riuto del fascismo (causa per la quale persone prove-nienti da tutto il mondo avevano già combattuto durante la guerra civile spagnola, dando vita alla Brigate Internazio-nali) e del patriottismo. La guerra della Resistenza europea è una guerra implacabile, nella quale i partigiani rispon-dono con la guerriglia al terrore utilizzato dagli occupanti come sistema di governo. È una guerra combattuta da un esercito poverissimo, carente di armi, denaro e addestra-mento: i partigiani non hanno la forza per vincere la guer-ra, ma il loro sacricio è un contributo fondamentale alla scontta del nazismo. Prima ancora dello scontro armato, i metodi di lotta della Resistenza sono il sabotaggio e l’in-formazione clandestina. Gli anglo-americani e i russi hanno nei resistenti dei pae-si occupati degli alleati formidabili: la Gran Bretagna or-ganizza dei servizi per il sostegno dei partigiani, anche se mantiene spesso una certa didenza nei loro confronti. A Londra sono inoltre ospitati tutti i governi in esilio dell’Eu-ropa occupata. L’atteggiamento di Stalin è in parte diver-so: i suoi aiuti sono rivolti soltanto ai partiti comunisti dei paesi occupati, ai quali viene chiesto di resistere strenua-mente ai nazifascisti per tenere i tedeschi il più possibile lontano dal territorio sovietico. Nonostante i caratteri essenziali della Resistenza siano i medesimi ovunque, tale movimento non si trova mai a essere unicato o coordinato. Ogni paese ha dunque una storia a sé.In Danimarca, Olanda e Belgio c’è un grande movimento di resistenza morale al collaborazionismo e in particolare alle misure antisemite che vengono prese per conformarsi all’ideologia nazista. Il 95% degli ebrei danesi viene salvato grazie al sabotaggio delle linee ferroviarie e al trasporto in Svezia, mentre in Olanda la prima grande azione popola-re è un gigantesco sciopero in occasione dell’arresto degli ebrei di Amsterdam. Numerosi sono poi gli studenti e gli operai che si riutano di andare a lavorare in Germania. La Resistenza francese nasce intorno alla gura del genera-le Charles De Gaulle. Sottosegretario alla difesa e alla guer-ra al momento dell’attacco tedesco, De Gaulle riesce a ripa-rare in Inghilterra il 15 giugno del 1940. Tre giorni dopo, con la Francia che s’appresta a diventare collaborazionista, attraverso i microfoni della BBC il generale invita i fran-cesi a continuare la lotta. Inizialmente il messaggio resta quasi inascoltato, ma col tempo si crea intorno al generale un piccolo esercito antinazista, France Libre. Sul territorio francese, numerose organizzazioni portano avanti azioni di lotta e la stampa clandestina ha sempre maggiore diu-sione; i gruppi in cui è frazionata la Resistenza francese, di-visioni che potrebbero dare luogo facilmente a pericolose rivalità, vengono unicati da De Gaulle, che grazie all’azio-ne di Jean Moulin crea nel 1942 i “Movimenti di resistenza uniti”. Nasce così il “gollismo” francese: riuto di collabo-razione, non rassegnazione, continuazione con tutti i mez-zi possibili della lotta per la liberazione della Francia. Nei paesi dell’Europa centrale ed orientale, vicini all’Unio-ne Sovietica, la Resistenza si identica soprattutto con il risorgere dei partiti comunisti, sostenuti dai sovietici, che riuniscono intorno a loro i combattenti contro il nazismo. Ciò avviene anche nei Balcani, dove la Resistenza si orga-nizza intorno a Tito, leader del Partito comunista, e in Gre-cia. La lotta assume così al tempo stesso il carattere di guer-ra contro i nazisti e i collaborazionisti locali e di lotta per la rivoluzione marxista. Una situazione particolare si ha in Polonia, dove i sovietici sono considerati degli invasori al pari dei tedeschi (si pensi alla spartizione della Polonia concordata con il patto Molotov-Ribbentropp): i resistenti polacchi saranno dunque abbandonati a loro stessi. L’epi-sodio simbolo della tragica resistenza polacca è la rivolta di Varsavia, nell’agosto del 1944: i russi non intervengono in aiuto dei partigiani che lottano per la liberazione della città dai nazisti. Le vittime, tra civili e partigiani, sono oltre duecentocinquantamila. 2.9LA RESISTENZA IN EUROPA
2] Guerra77LE ULTIME PAROLE “Agonia 12 ore 7 mattina a 6 sera per fucilazione Kostas Manolòpulos maestro Kallithea IX Scuola elementare 16.5.44 Sia avvisata la mia famiglia Muoio per la Libertà”(Parole scritte con il sangue su due tavolette in legno della cella, recapitate alla famiglia dopo la ne della guerra)[Kostantinos Manolòpulos, 39 anni. Maestro di scuola elementare, nella Resistenza greca. Arrestato in classe, portato ad Atene, torturato e fucilato senza processo] “Caro Niko, non so se siete informati che mi tengono a Merlin. Trascorriamo ore terribili. Non vediamo nulla, soltanto sentiamo il rumore della città come da una tomba. Eppure, Niko, da questo buio vediamo chiaramente la luce che viene. Sei soldato e poeta e ci canterai [...] Ciao Niko, non invidio quelli che vivono ma quelli che vivranno in un mondo libero.”[Seram Triantalou, 32 anni. Avvocato greco, membro della direzione del Fronte nazionale di liberazione. Arrestato ad Atene, torturato e condannato a morte. Scrive questa lettera a un amico e compagno di lotta, salta dal camion che lo conduce all’esecuzione, viene inseguito per le vie di Atene e viene fucilato in un giardino dai tedeschi] “Cari genitori, cari amici, è la ne! Sono appena venuti a prenderci per la fucilazione. Morire in piena vittoria è un po’ seccante, ma cosa importa! Il sogno degli uomini diventa realtà. Nano, ricordati di tuo fratello. Sino alla ne, è stato onesto e coraggioso, e davanti alla morte stessa non trema. Addio, mammina cara, perdonami per tutti i guai che ti ho combinato. Ho lottato per una vita migliore. Forse un giorno mi capirai. Addio, mio vecchio papà. Ti ringrazio per essere stato in gamba con me: mantieni un buon ricordo di tuo glio. Nano, sii un bravo glio. Sei il solo glio che a loro rimane. Non fare imprudenze. La vita sarà bella. Noi partiamo cantando. Coraggio. Non è poi così terribile dopo sei mesi di prigione. I miei ultimi baci a voi tutti, vostro Pierrot “[Pierre Benoit, 17 anni. Lettera scritta nel giorno della sua esecuzione. Un professore antifascista di un liceo di Parigi viene arrestato dai tedeschi. Sarà deportato e decapitato. Cinque studenti, già attivi nella stampa clandestina, organizzano una dimostrazione di protesta che coinvolge tutto il liceo. In seguito organizzano diverse azioni partigiane. Arrestati, vengono fucilati l’8 settembre 1943] da Lettere della Resistenza europea, Torino, Einaudi, 1969.
2] Guerra78RADIO LONDRA Nel 1941 la Gran Bretagna si ritrova da sola in guerra contro la Germania di Hit-ler; ovunque nei paesi occupati dai tedeschi si organizzano forme di resistenza, ma è impossibile raggiungere e coordinare materialmente le forze antinaziste. Cominciano allora ad avere un’enorme importanza le trasmissioni radiofoniche, che si rivelano un potente mezzo di guerra psicologica. Il governo inglese ada alla BBC l’organizzazione di trentacinque ore di trasmissioni quotidiane destina-te a diciotto paesi diversi in ventitre lingue. Così le popolazioni che subiscono l’occupazione smettono di vivere nell’ignoranza dello svolgimento del conitto, data dalla faziosità della propaganda e della censura, e vengono messe al cor-rente di quanto avviene nei loro paesi: non si sentono più isolate e impotenti. Le trasmissioni radio sono molto utili anche per la comunicazione delle truppe alleate con le forze partigiane. Il grosso pregio della BBC è quello di prendere le distanze dal tono propagandistico dei totalitarismi: la radio si attiene ai fatti, annuncia le vittorie cosi come le scontte, non mistica. Le popolazioni occu-pate per sei anni ascoltano le trasmissioni inglesi per avere notizie attendibili sull’andamento della guerra. In Italia le trasmissioni della BBC, chiamate “Radio Londra”, cominciano con un quarto d’ora al giorno nel 1938 e arrivano a quattro ore e un quarto nel 1943. Alcuni degli speaker radiofonici diventano personaggi popolarissimi nell’Italia del tempo: tra essi ricordiamo il colonnello Stevens, noto come “colonnello buo-nasera” per la parola con cui iniziava il suo programma. Egli ha una popolarità tale che quando gli Alleati sbarcano in Sicilia trovano sul dorso di una collina, scritto a caratteri cubitali, “ Viva il colonnello Stevens”.
2] Guerra79Quando nel 1939 Hitler invade la Polonia l’Italia si dichiara “non belligerante”, ma i brillanti successi tedeschi e la con-vinzione che il conitto nirà presto portano Mussolini, desideroso di sedersi al tavolo dei vincitori, a intervenire precipitosamente in guerra. L’ingresso italiano nel conit-to avviene nella più completa impreparazione militare ed economica. Il 21 giugno 1940 l’Italia attacca la Francia, ormai sul pun-to di arrendersi alla Germania, e successivamente apre altri fronti in Grecia e in Africa. I limiti di preparazione dell’esercito italiano sono però enormi: ben presto subisce diverse scontte nei Balcani e nel Mediterraneo, e l’Italia si trova a essere totalmente subordinata alle strategie te-desche. Nel luglio 1943, quando gli Alleati sbarcano in Sicilia de-cisi a risalire la penisola per penetrare in Europa, appare ormai evidente come la guerra sia stata una catastrofe per l’Italia. Nessuno degli obiettivi promessi è stato raggiun-to, l’impero è stato perso, la campagna d’Africa e quella di Russia hanno avuto esiti disastrosi, in primo luogo per quanto riguarda le perdite umane, e dopo la conquista anglo-americana della Sicilia l’intera penisola appare total-mente vulnerabile alla controensiva alleata. In soli tre anni la produzione industriale è calata del 35%, quella agricola del 20%, il volume delle importazioni ad-dirittura dell’80%, il debito pubblico è triplicato. I prezzi, nonostante la severa azione di controllo del regime, sono saliti alle stelle, e la popolazione è costretta a rivolgersi al mercato nero per i generi alimentari. Quasi la metà degli italiani sore letteralmente la fame.I rapporti della polizia mettono in evidenza le recrimina-zioni e lo sconforto della popolazione, “che aspira alla pace ad ogni costo”. Grande è il malcontento anche nei confron-ti dell’alleato tedesco che non ha fornito all’Italia gli aiuti promessi. Nel marzo 1943, prima a Torino e poi in tutto il nord Ita-lia, una clamorosa ondata di scioperi delle più importanti industrie scuote il paese: è un evento unico nell’Europa oc-cupata. Con gli Alleati sbarcati sul territorio italiano il re Vittorio Emanuele III e molti tra i più importanti gerarchi fascisti capiscono che l’Italia non è più in grado di con-tinuare la guerra al anco della Germania, e agiscono in modo tale da dissociarsi dal duce e dalla sua disfatta ormai certa. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943 il Gran Consiglio del Fascismo toglie la ducia a Mussolini, e il giorno successivo il re lo fa arrestare, col pretesto di ga-rantirne l’incolumità. L’intero sistema fascista si sgretola e la popolazione festeggia la caduta di Mussolini. L’incarico di formare il nuovo governo viene adato al maresciallo Pietro Badoglio, che prosegue la guerra e, mentre chiede ai nazisti aiuti e truppe per contrastare gli Alleati, intavola trattative segrete con gli angloamericani. La felicità della popolazione, che vive l’illusione della ne del ventennio fascista e che, esasperata anche dai bombar-damenti, spera nella pace, ha vita breve. Il governo dei “45 giorni” è infatti un governo autoritario che non esita a re-primere i primi entusiasmi: “Ogni movimento deve essere inesorabilmente stroncato in origine”, viene ordinato con la “circolare Roatta” già il 26 luglio. Le manifestazioni della popolazione – anche quelle di gioia – vengono represse nel sangue, e migliaia di italiani sono incarcerati. Per tutto agosto, mentre i nazisti dispongono numerose truppe sul territorio italiano, pronti a ogni evenienza, e mentre nascono i primi embrioni di Resistenza non soste-nuti da Badoglio, il generale porta avanti in segreto con gli anglo-americani i negoziati che conducono all’armistizio rmato il 3 settembre in Sicilia, a Cassibile. L’armistizio viene reso noto alla popolazione, via radio, solo l’8 settem-bre. Badoglio, una parte del governo, i vertici delle forze armate e la famiglia reale fuggono senza dare ordini. La pace nella quale gli italiani sperano è ancora lontana. 2.101940-1943. L’ITALIA IN GUERRA VEDI CARTINA ALL’INIZIO DELLA SEZIONE 2.GUERRA
2] Guerra80VIVERE LA GUERRANel corso dei cinque anni di conitto cambia profondamente la percezione che gli italiani hanno degli eventi bellici in corso, pur condividendo quasi tutti un crescente riuto della guerra e una voglia condivisa di pace che verrà sancita dall’art. 11 della Costi-tuzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di oesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle con-troversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordina-mento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.La guerra fascista (1940-1943) è una guerra d’aggressione a tutti gli eetti, nel corso della quale le forze d’occupazione si rendo-no anche responsabili di atrocità. L’esperienza del fronte scolpisce nel vissuto degli uomini che combattono e delle famiglie che li attendono un disagio amaro: il regime che ha cresciuto un’intera generazione con il mito del “moschetto” manda quella stessa generazione al macello.La seconda parte del conitto, cominciata con la grande solidarietà della popolazione italiana ai militari sbandati4, si rivela una sorta di contrappasso per l’Italia: la feroce occupazione dei tedeschi si accanisce contro l’ex alleato. Dalla guerra di liberazione che si combatte, e che è parallelamente una guerra civile e una “di classe” – scaturiranno delle memorie inconciliate, non solo per ragioni politiche ma anche di dierente natura: il conitto è infatti vissuto in maniera profondamente diversa nelle diverse aree geograche e nelle varie comunità locali. È il coinvolgimento della popolazione civile la grande novità della seconda guerra mondiale. Gli italiani condividono una serie di esperienze del tutto inedite già a partire dall’inizio del conitto, che peggiorano ulteriormente con l’andamento della guerra, e quando essa entra loro in casa: “il terrore dei bombardamenti, le sirene d’allarme, l’attesa dentro i rifugi, il fragore delle bombe, la distruzione delle case. E poi la penuria d’ogni bene di consumo, la fame, il freddo d’inverno, le malattie senza medicine, l’oc-cupazione straniera” (W. Barberis, G. De Luna) con la quale comincia una guerra ai civili che insanguina il paese per venti mesi.Al di là del rischio di nire coinvolti dalla lunga scia di sangue che i tedeschi lasciano alle loro spalle, un altro pericolo è costante: l’invio in Germania. Grandi rastrellamenti travolgono la parte occupata della penisola, e la dierenza – a noi oggi evidente – tra internamento militare, lavoro coatto e deportazione nei “campi di eliminazione” (come verranno chiamati nell’immediato dopo-guerra) non è chiara. Essere caricati su un treno può signicare – e spesso signica – andare a morire. Tra le decine di migliaia di civili le cui vite vengono travolte nella seconda fase del conitto, sono oltre trentamila i deportati nei lager nazisti.19 novembre 1942Ieri sera nii di scrivere con l’allarme. Poco dopo spararono e si scese. Il primo grande bombardamento di Torino. Ad un tratto si sentì un fortissimo colpo e si spense la luce. Era stata colpita una parte della casa vicina. I serrami dei negozi infranti. Subito corsero dei ladri che vennero arrestati mentre stavano rapinando fra le macerie. Avranno pena tripla. Poi i soldati circonda-rono i negozi. Tornati su si trovarono i vetri in gran parte rotti, non più luce, non più acqua. Pare che Torino sia stata molto colpita da tutte le parti; alla Spa, alla Fiat, alla ferrovia, alle abitazioni private. Si racconta che gli aviatori inglesi nei giorni scorsi hanno mandato dei manifestini raccomandando alla popolazione di fuggire perché avrebbero bombardato Torino.Curiosa la folla negli allarmi; in molti la paura si accoppia al desiderio che il colpo sia grosso, desiderio che mai confessereb-bero, ma che tradiscono coi loro atti; al caso vero esso sparisce e sono colti dal terrore.[dai diari di Emanuele Artom]Non tardai ad ambientarmi.In pochi giorni di linea tutto mi divenne familiare, anche il villaggio sotterraneo di grotte e camminamenti. Soltanto gli alpini mi restavano estranei, non li riconoscevo più, tanto erano invecchiati.La colpa peggiore del fascismo non è di aver tradito la generazione del littorio, di aver tradito noi che abbiamo gridato “viva la guerra, viva il duce”. È di aver tradito questi poveri cristi, a cui la guerra è caduta sulle spalle come una epidemia.[Nuto Revelli, La guerra dei poveri]
2] Guerra81Questi tre anni di guerra che vanno dal ’40 al ’43 ti mettono di fronte al razionamento, all’oscuramento, ai problemi quotidiani, al furto della tua giovinezza. [...] E allora fai il confronto fra quello che ti hanno raccontato prima e la realtà che ti trovi di fronte adesso., Ma sai cosa vuol dire vederti morire in guerra gente con la quale eri legato, che conoscevi? [...] La guerra voleva dir questo, vedere della gente che piange, della gente che muore e basta.[Lidia Beccaria Rol, partigiana deportata a Ravensbrück]22 gennaio [1943][...] Qui dove tutto è morte, dove basta un niente, una distorsione a un piede, una diarrea, e ci si ferma per sempre, il desiderio di vivere è immenso. Camminare vuol dire essere ancora vivi, fermarsi vuol dire morire. A centinaia sono stesi lungo la pista, gli sniti, i dissanguati: non li degnamo di uno sguardo, sono cose morte; passiamo correndo. I vivi, poiché molti sono ancora vivi, sentono la colonna che urla, che passa, che marcia verso la liberazione, e tentano di seguirci, magari strisciando, come se la linea tedesca fosse lì, a quattro passi.[Nuto Revelli, La guerra dei poveri]12 ottobre [1943]Ritorno sovente al 26 luglio, all’8 settembre. Senza l’esperienza di Russia, non so come avrei scelto. 26 luglio: tutti antifascisti, troppi antifascisti. La verità credo sia questa: che gli antifascisti in Italia erano pochi. Bestemmiare vendendo l’orbace, raccontare barzellette, non era antifascismo, era confusione morale.Senza la Russia, all’8 settembre mi sarei forse nascosto come un cane malato. Se nella notte del 25 luglio mi fossi fatto picchiare, oggi forse sarei dall’altra parte.Mi spaventano quelli che dicono di avere sempre capito tutto, che continuano a capire tutto. Capire l’8 settembre non era facile![Nuto Revelli, La guerra dei poveri][prima metà di novembre 1943]La vita di un bandito è molto complicata e succedono inniti incidenti. Per esempio ieri tre: avevo scritto di un aviatore Guerraz che minacciò colla rivoltella un ragazzo perché era stato asportato un ritratto di Muti. Nella notte cercarono di ucciderlo, senza riuscirci, ma poi si rifugiò presso i carabinieri con tanta paura che ha promesso che se lo si lascia partire, non tornerà mai più: voleva fondare la sede del fascio repubblicano di B[arge]. Altri 2 episodi: un partigiano ubriaco litiga con un carabiniere e vien portato in carcere per qualche ora, poi rilasciato: un altro ingravida una ragazza: bisogna scrivere questi fatti, perché fra qualche decennio una nuova rettorica patriottarda o pseudo-liberale non venga a esaltare le formazioni dei purissimi eroi: siamo quello che siamo: un complesso di individui in parte disinteressati e in buona fede, in parte attivisti politici, in parte soldati sbandati che temono la deportazione in Germania, in parte spinti dal desiderio di avventura, in parte da quello di rapina. Gli uomini sono uomini. Bisogna cercare di renderli migliori e a questo scopo per prima cosa giudicarli con spregiudicato e indulgente pessimismo. In tutte le mie azioni sento un elemento più o meno forte di interesse personale, egoismo, viltà, calcolo, ambizione, perché non dovrei cercarlo anche in quelle degli altri? Perché ritrovandolo dovrei condannarlo severamente?[dai diari di Emanuele Artom]9 marzo [1944][...] La stalla è piena di gente stanca, fradicia di neve e di sudore. Visi disfatti, maledizioni ai ponti di Vernante, alla neve, alla guerra e a chi l’ha inventata.Molti i ragazzi di nemmeno vent’anni. Li guardo, così buttati in mucchio. Sono stanchi, sniti, ma sui loro volti non c’è la disperazione dei miei alpini di Russia, la disperazione di quelle nostre notti all’addiaccio.Erano altri volti quelli dei miei alpini. Invecchiati prima dei tempi, rinsecchiti dagli stenti, mortalmente stanchi, i miei alpini non avevano nemmeno più la forza di gridare che la guerra è bestiale.Anche là erano uno sull’altro, nelle isbe, ma feriti, congelati, amputati, un groviglio di gente senza speranza. Erano i fortunati questi, perché fuori, in cerchio attorno alle isbe e coperti da un velo di ghiaccio, altri alpini a migliaia mo-rivano nel sonno meraviglioso degli assiderati. Su queste montagne le notti passano e torna il sole. Qui si crede in qualcosa. In Russia, invece, anche il sole era freddo, e lottavamo soltanto per non morire.[Nuto Revelli, La guerra dei poveri]
2] Guerra82TEMPO DI GUERRA: TORINO SOTTO I BOMBARDAMENTI “Torino, 21 novembre 1942. Ieri sera, quando suonarono le sirene andammo al rifugio. Dopo mezz’ora di silenzio, le prime bombe. Uno schianto e la luce si spegne. Presosi l’incarico di calmare l’inquietudine, un coinquilino dice a ogni colpo rumoroso: ‘è caduta una bomba, che cosa c’è di speciale?’. Verrebbe voglia di rispondere: ‘niente, è la cosa più naturale del mondo!’. A un certo punto, quando gli spari cessano, qualcuno si aaccia al portone e torna dicendo che tutta Torino brucia. Allora salgo con papà e vedo una visione impressionante. Il cielo tutto rosso per chilometri e chilometri. Le serrande dei negozi divelte e contorte, in terra larghe macchie bianche, il fosforo lasciato cadere dagli inglesi. Sembra che una nuvola di fuoco, resa ancora più luminosa dall’oscurità, gravi su Torino. Così si possono immaginare le ultime ore di Sodoma e Gomorra. Questa notte ho assistito ad uno spettacolo che molti non hanno mai visto: il rogo di una città di 600 mila abitanti. Stamani mi sveglio verso le sette e scendo con la mamma. Le vie cosparse di fram-menti di vetro e biancheggianti di fosforo, i negozi sembrano saccheggiati, ma abbiamo l’impressione che gli incendi di questa notte lasciassero prevedere il peggio. Per la strada grande animazione, crocchi presso i luoghi più colpiti. Sembra che ci sia più gente, perché i tranvai non funzionano. Piazza San Carlo brucia ancora ed è piena di gente.” da E. Artom, Diari, gennaio 1940 – febbraio 1944, a cura di P. De Benedetti ed E. Ravenna, Milano, Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, 1966.
2] Guerra83IN ALTO E NELLA PAGINA A FIANCOTORINO SOTTO I BOMBARDAMENTI: IL CENTRO CITTADINO DEVASTATO DALLE BOMBE E UN CUMULO DI MACERIE IN VIA LODI “I 45 GIORNI”Durante i “quarantacinque giorni” che seguono la caduta del fascismo (25 luglio 1943), in breve tempo si completa la liberazione della Sicilia (17 agosto) e gli inglesi sbarcano in Calabria (1 settembre). Il 9 settembre la famiglia reale, lo stato maggiore e alcuni esponenti del governo scappano a Brindisi, i tedeschi invadono la penisola e inizia così l’occupazione. Lo stesso giorno gli Alleati sbarcano vicino a Salerno e i partiti antifascisti danno vita al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Il 15 settembre Mussolini viene liberato dai tedeschi sul Gran Sasso e forma il Partito Fascista Repubblicano, e il 23 proclama la nascita della Repubblica di Salò. Tra metà settembre e metà ottobre partono i primi convogli di deportati politici ed ebrei verso l’universo concentrazionario nazista.
2] Guerra84Dalla dichiarazione di guerra di Mussolini alla Francia, il 10 giugno 1940, l’Italia è stata per tre anni un paese occupante. Ha subito prevalentemente cocenti scontte ed è stata regolarmente soccorsa dall’alleato tedesco.A partire dai primi sbarchi alleati sulle isole italiane dell’estate del 1943, l’Italia diventa un paese occupato. Sono due le occupazioni (la guerra penetra da nord con la divisa tedesca e da sud con le divise alleate), e alle autorità occupanti si aggiungono n da subito la Repubblica Sociale Italiana, al servizio dei tedeschi, e il governo del sud che il 13 ottobre dichiara formalmente guerra alla Germania.Nella confusione generata da questa peculiare situazione gli italiani, che hanno già condiviso l’esperienza dei bombardamenti, vivono una vicenda bellica collettiva ma diversicata nel territorio e nel tempo: in un’Italia lacerata si combattono diverse guerre con forze in campo, modalità, carico di violenza e tempistiche non paragonabili. In diverse forme e con diversa intensità tutta la penisola viene piegata dalle battaglie, dai bombardamenti, dalle razzie e dalle violenze, e per la maggioranza degli italiani la guerra si rivela una disgrazia, una sorta di calamità naturale: segnati dalla fame, dal freddo e dalla paura conoscono tutti “il tempo di guerra”. Il conitto obbliga la popolazione di un paese vinto – e considerato tale da entrambi gli “occupanti” – a dover scegliere se e come aiutare oppure ostacolare gli eserciti e le formazioni irregolari, le milizie fasciste o gli sbandati, fuggitivi, militari, ebrei o partigiani.La lunga e lenta risalita degli Alleati rallenta la liberazione dell’Italia centro-settentrionale, che rimane segnata da un continuum di stragi e deportazioni di civili e partigiani a opera dei nazifascisti in ritirata. Lo sbarco alleato in Normandia, che apre il fronte francese due giorni dopo la liberazione di Roma, rallenta ulteriormente l’avanzata anglo-americana, rendendo negli ultimi mesi durissimo al nord il conitto tra la Resistenza armata – sostenuta dagli Alleati anche attraverso i rifornimenti – e nazisti, messo in atto prevalentemente dai partigiani attraverso tecniche di guerriglia, mentre si inasprisce la vera e propria guerra civile che parallelamente contrappone gli stessi partigiani ai fascisti di Salò, che combattono a anco all’alleato-occupante tedesco.2.11GLI ITALIANI E LA GUERRAIL ALTOMILANO, 26 LUGLIO 1943. IL POPOLO MILANESE FESTEGGIA L’ANNUNCIO DELLA CADUTA DEL FASCISMO
2] Guerra85BARI DOPO IL VENTENNIO FASCISTADurante “i 45 giorni” che seguono la caduta del fascismo e precedono la notizia dell’armistizio rmato da Badoglio con gli Alleati, la situazione politica è molto confusa. Gli italiani festeggiano la caduta del regime, iniziano a venire rilasciati gli antifascisti incar-cerati, i partiti che comporranno il CLN escono presto dalla clandestinità. Nonostante il governo Badoglio non si dimostri in molti casi all’altezza della situazione, nell’Italia centromeridionale torna poco a poco la libertà, e si possono scorgere i primi embrioni dell’Italia democratica che nascerà nell’immediato dopoguerra. Alcuni eventi che accadono nella città di Bari in questi mesi ben esemplicano questa rinascita, preceduta dall’ambiguità degli atteggiamenti del governo Badoglio.A Bari si sparaSubito dopo la caduta del fascismo, il 28 luglio 1943, a Bari si sparge la voce dell’uscita dal carcere di alcuni antifascisti, tra cui l’intellettuale Tommaso Fiore. In questa occasione si consuma l’eccidio di Bari, che non viene fermato da Pietro Badoglio: soldati e squadristi uccidono in via Niccolò dell’Arca una ventina di cittadini che intendono accogliere i compagni liberati. Tra di essi Grazia-no, glio di Tommaso Fiore.Appena si concludono “i 45 giorni”, lo stesso Badoglio, fuggito a Brindisi, riuta di dar manforte alla battaglia ingaggiata dal gene-rale Bellomo nel porto di Bari con l’obiettivo di far ripiegare i tedeschi occupanti verso nord.Il ritorno della democraziaIl 28 e 29 gennaio 1944 a Bari, al teatro Piccinni, si svolge il primo congresso del CLN, dove si riuniscono, per la prima volta, i maggiori esponenti sindacali, come quelli della Confederazione generale del lavoro (CGL) – ricostituitasi grazie all’appoggio del CLN barese – e i gruppi politici antifascisti: dai comunisti, agli aderenti al Partito d’Azione, no ai socialisti del PSIUP e ai liberali di Benedetto Croce.Una radio liberaUn’importante esperienza di resistenza sperimentata nel capoluogo pugliese è Radio Bari, che dal 1934 era utilizzata dal fascismo per i suoi programmi di propaganda. Subito dopo l’8 settembre, salvata la sede di via Puntignani dalla distruzione nazista, la radio riprende a funzionare grazie a un gruppo di giovani intellettuali locali, e il 10 vengono trasmesse le parole con le quali il re annun-cia agli italiani il suo avvenuto trasferimento nella zona libera del territorio nazionale. Per circa una settimana i baresi utilizzano in modo autonomo la radio, che diventa ben presto uno strumento anche nalizzato alla propaganda degli Alleati che risalgono la penisola. Con la riorganizzazione del Regno del Sud, Radio Bari diventa sempre più autorevole: i programmi, pensati in particolare dagli esponenti del Partito d’Azione a cui si uniscono mano a mano tutte le forze rappresentate nel CLN, utilizzano un linguaggio e hanno un’apertura tale da dimostrare il superamento delle forme comunicative della propaganda fascista che imperversa in Italia da vent’anni. La radio svolge anche un’importante funzione di diusione delle informazioni nell’Italia occupata. Intervista del 6 settembre 1982 a Raaele Cifarelli, che in qualità di esponente del Partito d’Azione è stato membro del primo nu-cleo di antifascisti che ha permesso la ripresa delle trasmissioni di Radio Bari:“Dopo il 25 luglio e l’8 settembre io e altri facevamo parte di un gruppo liberal-socialista, di crociani, del Partito d’Azione, demo-cratici, antifascisti; c’erano giovani, non soltanto gli anziani, di varia estrazione culturale; era già nato il Comitato di Liberazione Na-zionale. Era logico che volessimo fare qualcosa; e una delle cose che doveva essere messa nelle mani della democrazia, con queste forze democratiche, era appunto Radi Bari. […] Alcuni sono venuti perché qui c’era un’oasi di libertà. Fu una raccolta di persone estremamente simpatica, aatata politicamente, dalle idee più varie, dai liberali ai comunisti. […] Anzitutto [era un’occasione] di educazione civica, di educazione politica, poi serviva a presentare tutto quello che poteva essere una democrazia, di come si vive in democrazia, di sistemi elettorali, di partecipazione del popolo: queste cose le abbiamo pure dette in trasmissione. La nostra azione non tendeva a fare una rivoluzione comunista o una radio comunista, ma a fare una radio democratica, un discorso democratico, di democratici, una Puglia, un’Italia che noi volevamo fosse democratica.”L’esperienza di Radio Bari rappresenta in Italia una vicenda unica nel suo genere: vi hanno partecipato politici, intellettuali, artisti, giornalisti, persone che spesso attraversano le linee nemiche per partecipare alle trasmissioni.Testimonianza tratta da: V. A. Lezzi, L. Schinzano, Radio Bari nella Resistenza italiana, Bari, Edizioni dal sud, 2005.
2] Guerra86L’8 settembre, all’annuncio dell’armistizio, sia la popola-zione italiana sia l’esercito ritengono, a torto, che la guerra sia nita, e un’esplosione di gioia attraversa la penisola, provata dai tre anni di conitto. Ma la Germania reagisce immediatamente all’armistizio, che giudica un tradimen-to, prendendo in tre giorni il controllo del territorio tra le Alpi e la Campania: è l’Operazione Alarico, pensata da tempo da Hitler. L’esercito italiano, abbandonato dal re e dal suo stato maggiore, si sgretola rapidamente: “le for-ze armate italiane non esistono più”, annuncia il coman-do supremo tedesco già il 10 settembre. I pochi reparti dell’esercito e i volontari che si oppongono all’invasione nazista vengono facilmente scontti, e oltre seicentomila soldati italiani vengono deportati nei campi di concen-tramento e di lavoro tedeschi. Sono gli Internati Militari Italiani (IMI). Particolarmente grave è la situazione dei contingenti italiani nelle varie missioni estere: sui fronti di guerra di Cefalonia e Corfù le truppe vengono sterminate dai tedeschi per non essersi arrese. Intanto gli anglo-americani, già presenti in Sicilia da lu-glio e in Calabria dai primi di settembre, sbarcano a Saler-no, da dove cominciano la liberazione della penisola, che durerà quasi due anni. L’Italia, con i nazisti al nord e gli angloamericani al sud, è spezzata in due. La popolazione è in preda all’angoscia e all’incertezza, e la guerra investe la quotidianità degli italiani.Dal settembre 1943 il territorio occupato dai tedeschi si estende dall’Italia settentrionale all’Abruzzo, ma nell’estate del 1944 gli Alleati riescono a far ritirare i nazisti no alla Linea Gotica, sull’Appennino tosco-emiliano. Il nord Ita-lia rimane invece per quasi due anni sotto il dominio nazi-sta. Per volere dello stesso Hitler, l’occupante tedesco non detiene direttamente il potere in Italia: il Führer ritiene infatti che si debba riformare un’Italia fascista che man-tenga formalmente l’apparenza di stato sovrano. E così il 12 settembre del 1943 i tedeschi liberano Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso e il duce costituisce, insieme ad altri fedeli del Partito fascista, la Repubblica Sociale Ita-liana (RSI), con sede a Salò, sul lago di Garda. La RSI, no-nostante le adesioni del primo momento, si dimostra alla lunga inconsistente, priva dell’appoggio degli industriali, che preferiscono trattare direttamente con i tedeschi – se 2.12L’OCCUPAZIONE TEDESCA E LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA
2] Guerra87non già con gli anglo-americani – e della popolazione, che la denisce con disprezzo “repubblichina”. La RSI sopravvive solo grazie all’appoggio dei tedeschi, che tuttavia le lasciano ben pochi poteri eettivi su larga par-te del territorio: si inltrano in tutti gli uci di comando, civili e militari, e hanno il vero comando sulla zona occupata. Inizialmente i nazisti cercano di im-prontare l’occupazione alla collabo-razione con la popolazione italiana, della quale ritengono necessario il consenso. Anche per questo non vie-ne trasportata in Germania tutta la manodopera preventivata per l’in-dustria bellica: al posto del milione e mezzo di persone programmato, nel 1944 vengono “trasferiti” nelle im-prese tedesche soltanto settantamila lavoratori italiani, e molti altri conti-nuano a lavorare in patria per le indu-strie belliche tedesche. Ma i risultati non sono quelli sperati e i nazisti non trovano nemmeno il modo di con-trollare il mercato alimentare – con-tinua a proliferare il mercato nero – e non riescono a deportare massiccia-mente la popolazione ebraica, anche se saranno migliaia gli ebrei italiani deportati.Nonostante i tedeschi cerchino di mostrarsi ancora come “occupanti-alleati” la Resistenza contro l’invaso-re cresce, congurandosi sempre più come lotta armata contro i nazisti e i fascisti di Salò. I tedeschi rispondono con violenza inaudita alla lotta partigiana, scate-nando rappresaglie contro la popola-zione civile. Rimangono nella memoria italiana le stragi naziste di Marzabotto, Boves e l’eccidio delle Fosse Ardeatine. L’esca-lation di violenza è inarrestabile negli ultimi mesi della lotta per la libera-zione. I bilanci dell’occupazione tedesca e dei bombardamenti alleati che de-vastano nello stesso periodo il nord Italia sono impressionanti: duecento-mila morti, deportazioni, ed enormi danni a città, paesaggi naturali, mo-numenti e industrie. La dissoluzione della RSI coincide con la morte di Mussolini, fucilato il 28 aprile del 1945, e con la ne della guerra in Europa, la resa incondizio-nata della Germania dell’8 maggio.LE STRAGI Il 19 settembre del 1943, in seguito all’uccisione in combattimento di un soldato tedesco, i nazisti danno fuoco al paese di Boves e trucidano 23 civili. Tra il 31 dicembre e il 3 gennaio del 1944, durante un grande rastrellamento, i nazisti uccidono sedici partigiani e trentasei civili, e danno nuovamente alle amme il paese. L’odore di carne bruciata si sente no alla città di Cuneo, a circa dieci chilometri di distanza.Tra l’estate e l’autunno del 1944 i nazifascisti in ritirata verso l’Italia settentrionale compiono una serie di stragi, in due occasioni di particolare atrocità per il numero di vittime e per la modalità di attuazione. A Sant’Anna di Stazzema, località nei pressi di Lucca, le SS uccidono il 12 agosto 560 civili: il numero esatto delle vittime non è dato di sapere dal momento che molti corpi vengono bruciati. Un mese e mezzo dopo a Marzabotto e dintorni, in provincia di Bologna, i nazisti, guidati in alcuni casi da fascisti, durante un’”operazione militare” (così denita dal feldmaresciallo Albert Kesserling) per tre giorni massacrano alcune centinaia di persone.Le stragi accertate a opera di nazisti (anche di soldati della Wehrmacht) e di fascisti nei “venti mesi” tra l’8 settembre del 1943 e la Liberazione sono centinaia, e non sono classicabili come azioni di guerra ma come crimini in violazione alle leggi vigenti e alle convenzioni internazionali. Solo una decina daranno luogo a un processo, con condanne esemplari come quelle initte a Herbert Kappler per l’eccidio delle Fosse Ardeatine (335 vittime) e Walter Reder per la strage di Marzabotto. La stragrande maggioranza di questi episodi è rimasta impunita.Cifre tratte da E. Collotti, R. Sandri e F. Sessi (a cura di) Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2006.NELLA PAGINA A FIANCOMUSSOLINI LIBERATO DAI TEDESCHI NEL 1943
2] Guerra88GLI IMI (INTERNATI MILITARI ITALIANI)La resa dell’8 settembre coglie le forze armate italiane del tutto impreparate. L’OKW (l’Alto Comando della Whermacht) dichiara: “l’esercito italiano non esiste più. Ciò che invece resterà in eterno è il disprezzo del mondo intero nei confronti dei tradito-ri”. Mentre nei Balcani e in alcune isole greche gli italiani si difendono con coraggio, venendo brutalmente decimati dai tedeschi – oltre venticinquemila soldati perdono in quei giorni la vita – sulla penisola i soldati reagiscono spesso con gioia all’an-nuncio dell’armistizio. L’ex alleato tedesco in pochi giorni cattura oltre seicentomila membri dell’esercito italiano, e solo in alcuni casi hanno luogo episodi di resistenza. I prigionieri vengono deportati, su carri merci stipati all’inverosimile, nei campi di prigionia. Per i tedeschi sono badoghlio, “traditori”. La Wehrmacht tenta subito di reclutare “soldati disposti a cooperare e collaborare”, ma pochissimi accettano: la maggior parte dei militari riuta qualsiasi forma di col-laborazione con l’occupante nazista. Il 20 settembre Hitler ordina il cambiamento di status per i prigionieri italiani: diventano “internati militari”. Le conseguenze della decisione sono gravi: la Croce Rossa Internazionale non può più assistere i prigio-nieri, fornire loro medicinali, né controllare le loro condizioni. Solo dalla primavera del 1944 la RSI nanzia il “Servizio assistenza internati”, che è però del tutto insu-ciente a far fronte alle necessità minime degli internati. Tra tutti i prigionieri militari del Reich solo i sovietici subiscono un trattamento peggiore. Gli “internati” italiani vengono sottoposti a un duro lavoro, soprattutto nell’industria pesante, e n dall’au-tunno del 1943, quando le razioni alimentari vengono bruscamente ridotte, la situa-zione diventa insostenibile. La fame e la denutrizione diventano esperienze comuni di tutti gli “internati”, e i maltrattamenti sono ricorrenti sia all’interno dei lager che sul posto di lavoro. Le aziende sfruttano gli IMI no all’esaurimento, e tra la fame e il duro lavoro, i campi ospedali, completamente inadeguati, diventano presto campi di morte. E, sebbene circa tremila malati gravi vengano rimpatriati dopo mesi di pressioni italiane, molti altri perdono la vita in Germania: si stima che tra loro siano circa quarantamila i morti a causa delle privazioni, della denutrizione, del duro lavo-ro e della malattia. NELLA PAGINA A FIANCOLA RISIERA DI SAN SABBA, CAMPO DI TRANSITO SITUATO NELL’ADRIATISCHES KÜNSTENLAND.
2] Guerra89La RSI, riconosciuta solo da alcuni paesi (innanzitutto l’al-leato tedesco e il Giappone) si vede almeno formalmente attribuita dalla Germania la giurisdizione sull’area della pe-nisola occupata dai nazisti, ma due zone fanno eccezione e sono di fatto, per volere di Hitler, annesse al Reich: l’Al-penvorland – la Zona di operazioni Prealpi – vale a dire le province di Belluno, Bolzano e Trento; e l’Adriatisches Kü-stenland – la Zona di operazioni Litorale Adriatico – e cioè il Friuli e la Venezia Giulia, in particolare le provincie di Istria (Pola) e di Trieste, del Carnaro (Fiume), di Gorizia e di Udine, oltre alla provincia di Lubiana, divenuta italiana in seguito all’invasione del 1941. La massiccia presenza di popolazioni “alloglotte” (che parlano lingue diverse) rende peculiare la situazione di entrambe le regioni interessate al momento dell’invasione nazista.Per quanto riguarda l’Alpenvorland, l’annessione segue il tentativo del fascismo di “italianizzare” la minoranza tede-sca altoatesina, sfociato negli accordi delle “opzioni” che, a cavallo dello scoppio della seconda guerra mondiale (tra l’estate e l’autunno del 1939), concedevano agli abitanti al-toatesini e di alcune parti del Bellunese e della provincia di Trento di scegliere tra la cittadinanza italiana e il trasferi-mento nel Reich. Nonostante oltre i due terzi degli interes-sati avessero optato per la Germania nazista, al momento dell’invasione tedesca della penisola oltre sei su dieci degli optanti si trovano ancora al di qua del Brennero, “conne che la Provvidenza ha posto tra i nostri due popoli” se-condo le parole di Hitler. Il Gauleiter (capo della regione) è, a partire dal settembre 1943, Franz Hofer, il quale, per espandere il consenso nei confronti del nuovo regime, pun-ta molto sull’esasperazione della popolazione nei confronti dello Stato italiano, e in particolare della sua impronta auto-ritaria sviluppatasi durante il ventennio fascista.Nell’Adriatisches Küstenland, zona adata al Gauleiter del-la Carinzia Friedrich Rainer e al generale delle SS Odilo Lotario Globocnik, arrivato in Italia dopo aver organizza-to l’eliminazione di milioni di ebrei nei centri di sterminio polacchi, i tedeschi mettono in atto – nell’anno e mezzo abbondante di occupazione – una sistematica repressione del movimento di resistenza italiano ma anche di quel-lo sloveno e croato, che già combatteva contro gli italiani dall’estate del 1941. Il sanguinario biennio di occupazione fascista pone tra le altre cose le premesse per la vendetta che gli slavi scatenano contro gli italiani nel settembre del 1943, parallelamente all’invasione tedesca: almeno cinquecento persone vengono uccise in particolare con il ricorso alle “foibe”, cavità carsiche nelle quali i condannati sono gettati, in alcuni casi ancora vivi. Il copione si ripete in tutta la Ve-nezia-Giulia con l’arrivo delle truppe jugoslave nel maggio del 1945: sono migliaia le vittime della giustizia sommaria che si scatena (e non tutti fascisti italiani: tra essi anche slavi e membri del CLN) e che prosegue per oltre un mese. Sa-ranno inoltre circa 350.000 gli italiani che nel dopoguerra abbandoneranno le regioni insanguinate da quasi quattro anni di conitto.In entrambe le “zone di operazioni” i nazisti reprimono con estrema durezza gli oppositori – come nel resto della penisola – e da entrambe le aree annesse verranno massic-ciamente deportati nella galassia concentrazionaria nazista prima i militari, in seguito ebrei (la piccola comunità di Me-rano è la prima a essere deportata dall’Italia verso i lager), partigiani, antifascisti, gente comune. Dei quattro campi dai quali transitano i deportati – politici e “razziali” – prima di essere deportati al di là delle Alpi, due si trovano infatti nelle “zone di operazioni” annesse al Reich: Gries-Bolzano (Alpenvorland) e la Risiera di San Sabba, a Trieste (Adriati-sches Küstenland), campo nel quale viene anche praticato lo sterminio diretto degli internati.2.13LE DUE “ZONE DI OPERAZIONI”
2] Guerra90Dopo l’8 settembre, mentre l’Italia meridionale liberata dagli Alleati è amministrata dal governo del re e di Bado-glio, nell’Italia occupata i partiti antifascisti – comunisti, socialisti, democristiani, liberali, rappresentanti del parti-to d’Azione e della Democrazia del lavoro – si organizzano nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), e assumono l’arduo compito di dirigere la lotta contro i nazisti e i fasci-sti. A livello istituzionale il CLN preme sul governo Bado-glio perché sia data alla situazione politica una svolta in senso nettamente antifascista. Un punto fondamentale di discussione è la “questione istituzionale”: bisogna liberarsi della monarchia, dimostratasi indegna per la sua complici-tà con il fascismo, o mantenere l’assetto tale e quale, come preferirebbero gli Alleati, soprattutto la Gran Bretagna? La situazione si risolve solo con l’intervento del carismatico capo del Partito comunista, Palmiro Togliatti, che dichiara prioritaria la lotta al nemico nazifascista: solo dopo la vit-toria il popolo sceglierà se mantenere o no la monarchia. Nel maggio 1944 Badoglio si dimette. Ivanoe Bonomi, li-berale antifascista esponente della Democrazia del lavoro, forma un governo con i partiti del CLN. Gli obiettivi del governo sono la defascistizzazione dello Stato, l’aiuto ai re-sistenti del nord e la maggiore autonomia possibile dagli Alleati. Il governo fatica tuttavia a realizzare questi obiet-tivi a causa delle divisioni interne e delle pressioni anglo-americane. Intanto al nord si costituiscono vari CLN locali, il principale dei quali è il CLN dell’Alta Italia (CLNAI), con sede a Milano. La Resistenza, organizzata in bande parti-giane dai singoli partiti, nel giugno del 1944 viene militar-mente unicata nel Corpo Volontari della Libertà (CVL) al comando del generale Raaele Cadorna, di Ferruccio Parri e di Luigi Longo. Due sono le anime della Resistenza italiana. Da un lato c’è la resistenza armata, organizzata ed egemonizzata dai par-titi antifascisti, che nel tracollo di Mussolini vedono l’oc-casione per riprendere quella battaglia interrotta vent’anni prima, quando l’ascesa del fascismo li aveva costretti in esilio o in prigionia. Il loro obiettivo è quello di segnare una denitiva discontinuità rispetto al regime fascista, alle sue gerarchie, ai suoi valori, ai suoi falsi miti, che hanno condotto l’Italia nel baratro della guerra e dell’alleanza con Hitler. Accanto a questa, c’è anche una Resistenza molto più diusa, che ha le sue radici nella stanchezza, nel riuto della guerra e delle prevaricazioni dell’occupante tedesco, dei rastrellamenti e delle continue violenze a opera dei na-zisti e dei fascisti. 2.14LA RESISTENZA
2] Guerra91È la “resistenza civile”, ossia l’universo di comportamenti conittuali disar-mati che accompagnano o precedono la resistenza armata per diversissime motivazioni. Organizzati o meno, non in posses-so di armi – talvolta semplicemente nell’impossibilità di procurarsele – uomini, religiosi, bambini ma soprat-tutto donne, avvantaggiate dal fatto di destare meno sospetti, combattono così l’invasore. Questo atteggiamento della popolazione, in gran parte fa-vorevole alla Resistenza armata, è un presupposto indispensabile alla lot-ta partigiana ed è presente su tutto il territorio occupato. Dallo sciopero alla protezione verso chi è in perico-lo (partigiani, ebrei, prigionieri alle-ati), dal riuto della leva militare – i “renitenti alla leva” – e del lavoro per i tedeschi al sabotaggio, la mancata collaborazione con i nazisti è l’anima di una Resistenza che ore agli italiani la prima occasione di politicizzazione democratica diusa, sorta dal caos dell’8 settembre e dall’angoscia del-la responsabilità, del dover prendere una decisione dopo vent’anni di regi-me. Sia tra i combattenti delle “bande” partigiane, sia tra la “resistenza civile”, saranno oltre ventimila i “deportati politici” italiani. In molti hanno poi indicato nel riuto degli oltre sei-centomila Internati Militari Italiani di tornare in patria nelle le dell’RSI l’“altra Resistenza”. Solo poche miglia-ia accettano, gli altri restano nei cam-pi di concentramento tedeschi, tra il duro lavoro, la fame e gli stenti. Le bande partigiane entrano in azio-ne subito dopo l’8 settembre: sono composte prevalentemente da operai e contadini, studenti, rappresentanti del ceto medio, ex soldati e renitenti alla leva. Decine di migliaia di parti-giani (la stima è di oltre duecentomila tra il 1943 e il 1945) combattono per venti mesi nell’Italia del nord una vera e propria guerra fatta di azioni di sa-botaggio e scontri armati con le forze nazifasciste. I partigiani iniziano la li-berazione del nord Italia spesso senza aspettare l’intervento delle forze allea-te. Sono oltre settantamila i partigiani italiani caduti durante la Resistenza, nel nome della libertà dal fascismo e dall’invasore tedesco. Il loro contribu-to è essenziale per la liberazione e per la rinascita dell’Italia. È anche grazie alla Resistenza che alla ne della guer-ra l’Italia, nonostante i vent’anni di fascismo, non viene considerata una nazione scontta da punire, ma un paese al quale viene in parte ricono-sciuto di aver lottato a caro prezzo per riacquistare la propria libertà e la pro-pria dignità.LE ANIME DELLA RESISTENZA Partito comunista: è il partito più preparato, dotato ancora durante la guerra di una solida organizzazione. Le bande partigiane comuniste sono denominate Brigate Garibaldi, e raccolgono al loro interno la maggior parte dei combattenti della Resistenza; anche a livello militare, l’organizzazione comunista si rivela superiore. Per i comunisti la lotta partigiana è un primo passo verso l’aermazione di una rivoluzione sociale e politica sul modello sovietico. Partito socialista: fonda la sua forza nell’antica tradizione del socialismo italiano, più che in un’organizzazione politica o militare, ed è indebolito da spaccature interne. I suoi combattenti danno vita alle Brigate Matteotti. Partito d’Azione: in esso conuiscono il pensiero politico di Mazzini, Gobetti e Rosselli. Gli azionisti ritengono indispensabile la ne della monarchia e spesso si trovano politicamente vicini ai comunisti e ai socialisti, di cui però criticano gli aspetti legati al totalitarismo sovietico. I gruppi partigiani azionisti, i più numerosi dopo quelli comunisti, sono chiamati Giustizia e Libertà. Democrazia cristiana: erede del Partito Popolare di Don Sturzo, raccoglie intorno a sé le diverse istanze del mondo cattolico italiano, lontano dalle volontà rivoluzionarie di stampo marxista. Le formazioni militari democristiane sono le Brigate del Popolo. A livello di lotta armata, c’è ancora da segnalare la presenza di bande partigiane dette Autonome, che riutano il comando o l’assimilazione a partiti, ed erano composti perlopiù da militari, e il partito Democrazia del lavoro di Ivanoe Bonomi.
2] Guerra92DANTE DI NANNI Dante Di Nanni è uno degli eroi della resistenza piemontese. Il giovane, torine-se, all’età di 17 anni si arruolò volontario negli avieri motoristi presso la scuo-la di Varese; dopo l’armistizio rimase alla macchia sino al 10 dicembre 1943, quando rientrò a Torino. Attraverso l’amico Francesco Valentino, il giovane en-trò a far parte del Gap [Gruppo di azione patriottica] comandato da Giovanni Pesce. Il 15 febbraio rimase ferito in un’azione contro i nazifascisti nei pressi di corso Francia e fu costretto all’inattività per qualche tempo. La notte del 16 maggio 1944, insieme ad altri compagni, partecipò ad un’azione contro un’an-tenna radio di corso Giulio Cesare. L’assalto riuscì e l’antenna venne distrutta, ma il gruppo di gappisti fu in parte catturato. Di Nanni, riuscito a far perdere le proprie tracce, si rifugiò nella casa di via San Bernardino 14, a Borgo San Paolo, usata come base, ma dopo ventiquattr’ore il suo nascondiglio fu scoperto dai militi fascisti che tentarono di arrestarlo. Di Nanni si difese strenuamente con il lancio di bombe a mano. Solo dopo oltre tre ore i fascisti riuscirono ad aver ragione del giovane che trovò la morte sopraffatto da ingenti forze nel frattempo sopraggiunte. A guerra finita, gli fu attribuita la medaglia d’oro al valor militare. Dalla banca dati Lapidi della città di Torino ai caduti per la liberazione, Torino, Istoreto, 2005.
2] Guerra93UN IMPERATIVO MORALEBruno Cibrario, 21 anni, torinese. Dal marzo del 1944 si unisce alla Resistenza. Catturato nel gennaio del 1945, scrive questa lettera dalle carceri giudiziarie di Torino:“Sandra carissima,dopo appena sette giorni dal mio arresto mi hanno condannato a morte, stamani. Non mi dispero per la mia sorte. Ho agito in piena coscienza di ciò che mi aspettava. Il tuo ricordo è stato per me di grande conforto in questi terribili giorni. Non hanno avuto la soddisfazione di vedere un attimo di debolezza da parte mia.Non mi sarei mai immaginato di scrivere la prima lettera ad una ragazza in queste condizioni. Perché tu sei la prima ragazza che abbia detto qualcosa al mio cuore. Mi è occorso molto tempo per capire cosa eri per me. Il mio carattere, la mia vita di quest’ultimo anno mi hanno impedito di corrispondere subito come avrei voluto il tuo aetto. Solo quando sei stata ammalata ho capito che senza di te mi mancava tutto. Io ti amo, ti amo disperatamente.In questi giorni ho avuto sempre un nome in mente: Sandra; due occhi luminosi – i tuoi – hanno rischiarato la mia cella.Oso dire che il ricordo carissimo, il ricordo di mia Madre, era unito al tuo tanto che io li confondo in un solo grande aetto. Più grande della mia sciagura – perdonami se con questa mia oso turbare la tua pace – la consolazione di scriverti è così grande ed io sono un grande egoista. Ritorno dal colloquio – ti ho veduta ed ho la certezza che non mi hai dimenticato. Adesso voglio vivere – per te – per noi, Sandra, non lasciarmi mai. Perdonami questa mia debolezza, sii forte come voglio e saprò esserlo io.Da buon garibaldino ho combattuto, da buon garibaldino saprò morire. La nostra idea trionferà ed io avrò contribuito un poco – sono forse un presuntuoso –. Sii felice, è il mio grande desiderio […] Ricordami e sii felice. Ti auguro ogni bene, non piangere per me. Non si piangono i caduti per l’Idea. Nel tuo ricordo muoio felice.Bruno”Bruno viene fucilato il 23 gennaio al poligono nazionale del Martinetto. da Lettere della Resistenza europea, Torino, Einaudi, 1969.Giorgio Agosti, tra i fondatori del Partito d’Azione, durante la Resistenza è Commissario Regionale delle formazioni Giustizia e Libertà. Nel 1943 ha 33 anni. Nell’aprile del 1944 Giorgio Agosti scrive al suo amico Dante Livio Bianco, impegnato anch’egli nella lotta partigiana, nel cuneese, come Comandante regionale:“Carissimo, la nostra parte non è facile, il nostro lavoro è il più oscuro, forse infangato. Per gli uni saremo dei pazzi, per gli al-tri dei sovversivi: a cose nite tutto il buon senso listeo ci giudicherà con sucienza o con avversione. L’alternativa di oggi è di lasciarci la pelle in combattimento o di nire [...] al muro o in un campo di concentramento in Germania. L’alternativa di domani è di ritrovare, ignorati o dimenticati, il nostro lavoro o di doverci difendere da nuove persecuzioni, che vengano da destra o da sinistra. Eppure, questa lotta, proprio per questa sua nudità, per questo suo assoluto disinteresse, mi piace. Se ne usciremo vivi, ne usciremo migliori; se ci resteremo, sentiremo di aver lavato troppi anni di compromesso e di ignavia, di aver vissuto almeno qualche mese secondo un preciso imperativo morale”.Giorgio vedrà l’Italia libera. Sarà nominato questore di Torino il 28 aprile del 1945. Morirà nel 1992 a 72 anni.da Giorgio Agosti, Dante Livio Bianco, Un’amicizia partigiana. Lettere 1943-1945, Torino, Bollati Boringhieri, 2007.
2] Guerra94La popolazione del sud Italia ha vissuto no al 1943 tutti i drammi della guerra, primo tra tutti quello dei bom-bardamenti. A partire dal 1940 sono state attaccate in particolare le città di Napoli, Palermo, Catania e Brindisi. Con la preparazione degli sbarchi da parte degli Alleati i bombardamenti assumono una particolare intensità: nel 1943 Catania è colpita dai raid aerei 45 volte, Palermo 43, Messina 32. Gli attacchi avvengono anche durante il giorno e sono colpiti anche obiettivi civili come scuole, ospedali, chiese. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio le forze alleate sbarcano con 150.000 uomini in Sicilia, a Licata – località situata tra Agrigento e Ragusa – nella cosiddetta operazione Husky. Due mesi dopo, tra l’8 e il 9 settembre, sul Tirreno inizia l’operazione Avalanche con lo sbarco guidato dal genera-le Eisenhower nel golfo di Salerno. Venti giorni dopo gli anglo-americani raggiungono Napoli, che nel frattempo è già stata liberata dai civili dopo quattro giorni di resisten-za e duri scontri. Inizia così la lenta risalita della peniso-la degli Alleati, e la liberazione dei territori occupati dai tedeschi: alla ne del 1943 tutto il Mezzogiorno è libero dall’occupazione ad eccezione dell’Abruzzo dove si trova la “linea Gustav”, la linea di difesa più a sud dei tedeschi.La seppur breve occupazione nazista del Mezzogiorno ha portato con sé la violenza delle stragi: i soldati tedeschi considerano la popolazione civile come una potenziale nemica, in quanto fornisce un retroterra concreto a ogni forma di opposizione all’occupante. Durante la ritirata 2.15LA LIBERAZIONE AL SUD
2] Guerra95che segue l’arrivo degli anglo-americani i nazisti compio-no numerosi massacri di civili in tutte le regioni del sud per far trovare “terra bruciata” agli Alleati: in provincia di Catania il 12 agosto sono massacrati 16 civili, e così anche a Potenza, nella provincia di Bari e in Basilicata. Subito dopo la rma dell’armistizio, a causa dei saccheggi, delle deportazioni e delle violenze perpetrate dai nazisti, anche nel Mezzogiorno si vericano numerosi episodi di resi-stenza dei militari (seppur spontanea, non organizzata, ed episodica) alla quale si accosta la partecipazione della popolazione civile, creando veri e propri episodi di guer-riglia: oltre alle “quattro giornate” di Napoli, si ricordano l’insurrezione di Lanciano, la rivolta di Matera, i moti in Terra di Lavoro (Caserta).Nel gennaio 1944 le autorità alleate restituiscono all’am-ministrazione italiana, guidata da Badoglio prima (fuggi-to a Brindisi con il re nelle ore successive all’8 settembre) e da Ivanoe Bonomi poi, tutta la parte di penisola a sud di Foggia e Napoli, ma gli Alleati continuano ad esercitare un controllo di fatto, poiché il governo legittimo non è nelle condizioni di esercitare la sovranità.Nel dicembre 1944 il CLNAI rma un accordo con gli Alleati, accettando di agire come delegato del governo dell’Italia già liberata. Viene inoltre creato un Ministero per l’Italia occupata, con l’obiettivo di sostenere i com-battenti del nord e di collegare il governo del sud con il CLNAI.IN ALTOSICILA, 1943. UN PASTORE INDICA A UN SOLDATO AME-RICANO LA DIREZIONE DELLA RITIRATA DELLE TRUPPE TEDESCHE. LA FOTO È STATA SCATTATA DA ROBERT CAPA, IN UN CELEBRE REPORTAGE SULLA LIBERAZIONE DELL’EU-ROPA DAL NAZIFASCISMONELLA PAGINA A FIANCOSICILIA, LUGLIO 1943. GLI ITALIANI SI ARRENDONO AGLI ALLEATI APPENA SBARCATI
2] Guerra96LA MAFIA, IL FASCISMO E LO SBARCO IN SICILIAIl ruolo della maa italiana durante il fascismo prima e durante la seconda guerra mondiale poi è un tema di particolare interesse e complessità. Uno degli argomenti impiegati spesso per rivalutare il fascismo è quello secondo cui soltanto il regime mussoliniano sarebbe riuscito a “sconggere la maa”, con l’azione del celebre prefetto Mori: questo è vero in parte. Senza dubbio il forte – e violento – controllo del territorio operato dal fascismo ha impedito alla maa di esercitare una delle sue maggiori peculiarità, e cioè di essere un anti-Stato o un para-Stato che opera laddove lo Stato centrale smette – per paura, connivenza, inecienza – di eser-citare la sua funzione pubblica di controllo. Ma nemmeno il fascismo riesce a colpire con ecacia i vertici di Cosa Nostra, che hanno con le gerarchie dello Stato fascista un grado di anità e di connivenza paragonabile a quello avuto nelle altre epoche della storia d’Italia. La maa riesce a sopravvivere al ridimensionamento operato dal fascismo, e addirittura a consolidarsi grazie ai collegamenti con le organizzazioni criminali d’oltreoceano.Altro grande tema è il ruolo della maa durante lo sbarco in Sicilia: l’intelligence americana, infatti, per preparare lo sbarco e poi la risalita della penisola lavora insieme alle cosche siciliane, che meglio di ogni altro hanno il controllo del territorio. Da questo connubio derivano due conseguenze: la prima è la facilitazione dello sbarco americano, la seconda è l’appoggio degli Stati Uniti ai maosi siciliani, che vengono messi in posizioni di potere. Il rapporto tra Stati Uniti e maa, durante la guerra e dopo, in fun-zione di contenimento del comunismo, rimane tuttora un argomento dibattuto e, anche a causa del coinvolgimento dei servizi segreti in tutta la vicenda, non esistono ricostruzioni sistematiche e adabili.Ecco alcune testimonianze in merito:L’ex direttore della Cia William Colby. Il fondatore dell’Oce of Stategic Services (OSS, antenato della CIA) nel corso della seconda guerra mondiale riconosce che gli Stati Uniti hanno intessuto delle relazioni con la maa “per abolire il fascismo” e per facilitare lo sbarco in Sicilia (precisando tuttavia che “in Sicilia è dicile riuscire parlare con qualcuno che non sia implicato nella maa”). Il pentito di maa Tommaso Buscetta: “[Nel 1956 Lucky Luciano, noto maoso italo-americano] mi parlò del contributo che aveva dato alla sbarco alleato in Sicilia, mettendo a disposizione la sua inuenza su Cosa Nostra siciliana, in modo che 1’operazione avvenisse senza spargimento di sangue. E infatti per gli americani lo sbarco fu una passeggiata”.La storica scozzese Alison Jamieson: “L’avanzata degli Alleati si svolse in maniera rapida e pacica. Per aver reso dei buoni e fedeli servizi, alcuni maosi furono nominati sindaci e amministratori in tutta la Sicilia occidentale. Solo loro potevano detenere le armi – e avevano dunque il compito di garantire l’ordine e di contenere il banditismo. I contatti privilegiati che avevano con le forze di occupazione permettevano loro di accedere a scorte di sigarette, grano, olio d’oliva e pasta, con le quali diedero vita a un orente mercato nero”. La Commissione parlamentare antimaa scrive nel 1976: “È innegabile che la condotta degli Alleati, prima e dopo 1’occupazione, costituì un fattore di prim’ordine nella rinascita delle attività maose sull’isola e che il movimento politico separatista, che il go-verno militare alleato incoraggiò n dal primo momento, rappresentò non soltanto una copertura pratica in grado di permettere alla Maa di inltrarsi ma anche uno strumento, utilizzato dalla classe dominante per difendere i propri interessi”.
2] Guerra97LE “QUATTRO GIORNATE” DI NAPOLINapoli è la prima grande città europea a insorgere contro i nazisti: tra il 28 settembre e il 1° ottobre 1943 la sua popolazione si ribella ai tedeschi, costringendoli alla ritirata, durante quelle che sono passate alla storia come le “quattro giornate” di Napoli. Le modalità di azione sono molto diverse da quelle che verranno messe in atto nelle città del nord Italia, dove l’insurrezione seguirà una resistenza di venti mesi, durante i quali le forze antifasciste hanno avuto il tempo e il modo di organizzarsi.Durante l’occupazione, il capoluogo campano è colpito da rastrellamenti della manodopera maschile, e la provincia napoletana da numerose violenze e stragi che si sommano al tentativo dei tedeschi di fare “terra bruciata”. Questi elementi portano prima a ribellioni individuali e di piccoli gruppi e, in un secondo momento, pongono di fatto le premesse per una rivolta collettiva. L’insurrezione si sviluppa in modo autonomo in zone diverse della città. Già il 26 settembre un gruppo di cittadini, in prevalenza donne, assalta un camion dove sono trasportati i rastrellati che devono essere deportati in Germania, e li libera. Gli scontri – che vedono il loro culmine nelle “quattro giornate” tra il 28 settembre e il 1° ottobre – si sviluppano nelle strade del centro e nelle vie d’accesso alla città: ovunque si alzano barricate per impedire l’arrivo di rinforzi tedeschi, le caserme sono assalite, i ribelli rubano le armi e liberano i prigionieri, numerosi sono gli scontri a fuoco. L’insurrezione è per lo più spontanea ma, nonostante i comandi zonali siano autonomi, sviluppano una forma di organizzazione durante la lotta al ne di coordinare le azioni. Il 1° ottobre 1943 gli occupanti lasciano Napoli. Pochi giorni dopo arrivano le truppe alleate in città, e la sottopongono all’ammi-nistrazione del governo militare alleato (AMGOT) no al 1946, a dierenza degli altri territori del Mezzogiorno, che sono restituiti al Regno del sud prima della ne della guerra.IN ALTO A SINISTRASOLDATI BRITANNICI NEL PORTO DI CATANIA DOPO LO SBARCO, 1943IN ALTO A DESTRALUCKY LUCIANO
2] Guerra98Dopo lo sbarco degli Alleati a Salerno, i tedeschi impie-gano tre mesi per ritirarsi fino a Cassino dove, nel gen-naio 1944, si assestano su una striscia di terra definita “linea Gustav”. A causa della conformazione naturale, il fronte di Cassino è arduo da conquistare: gli scontri tra i due eserciti durano tutto l’inverno e buona parte della primavera. Nonostante il 22 gennaio altre divisioni bri-tanniche e americane sbarchino sulle spiagge di Anzio e Nettuno, solo a giugno gli anglo-americani sconfiggo-no i tedeschi e superano la linea Gustav. La popolazione civile che si trova intorno alla linea di divisione tra tedeschi e Alleati subisce pesanti conse-guenze: in particolare i primi, davanti a una popola-zione che sceglie di non collaborare, si distinguono per i continui rastrellamenti e saccheggi. A tutto questo si aggiungono i pesanti bombardamenti con i quali gli anglo-americani cercano di indebolire il fronte tede-sco. Quando finalmente le truppe alleate oltrepassano la linea Gustav e proseguono verso Roma (liberata il 4 giugno 1944), i civili cercano di raggiungere le pro-prie case, abbandonate durante l’occupazione nazista, e spesso le trovano distrutte: molti vengono così trasferiti nei campi profughi che si trovano nell’area napoletana o più a sud. Tra il giugno del 1944 e la primavera del 1945 i tedeschi concentrano le loro forze intorno alla linea Gotica: si assiste quindi a una progressiva ritirata dell’occupante, in particolare nelle zone alpine o dell’Appennino ligure e tosco-emiliano. I nazifascisti controllano con più fa-cilità i grandi centri abitati, e questo permette alle ban-de partigiane, in particolare in alcune zone del nord e dell’Italia centrale, di conquistare alcuni territori nei quali vengono formate “Repubbliche Partigiane”, espe-rienze di governo autonomo e democratico organizzate dalla Resistenza.A questo fermento corrisponde un inasprimento degli attacchi delle forze tedesche contro gli Alleati: è que-sto il momento dei grandi rastrellamenti e delle stragi più efferate, come quella di Sant’Anna di Stazzema (12 agosto 1944, circa 400 le vittime) e quella di Monte Sole (Marzabotto), nell’ultimo autunno di guerra, nella qua-le perdono la vita centinaia di persone.2.16LA LIBERAZIONE DELL’ITALIA CENTRALEIN ALTOMAGGIO 1944, VALLE DEL LIRI (LAZIO). TRUPPE ALLEATE SI SPOSTANO A NORD DOPO LA CADUTA DELLA LINEA GUSTAVNELLA PAGINA A FIANCOROMA, VIA RASELLA. I NAZISTI SELEZIONANO I CIVILI ITALIANI CHE VERRANNO UCCISI ALLE FOSSE ARDEATINE
2] Guerra99L’ECCIDIO DELLE FOSSE ARDEATINEOltre alla razzia del ghetto di Roma, avvenuta il 16 ottobre 1943, in seguito alla quale i nazisti deportano 1.023 ebrei dalla capitale verso Auschwitz – ne torneranno 17 – un altro episodio marca indelebilmente l’occupazione tedesca della capitale, durata quasi nove mesi.Il 24 marzo 1944 Herbert Kappler, per rappresaglia nei confronti di un attacco sferrato il giorno prima in via Rasella dai partigiani dei GAP, che ha provocato la morte di 33 SS sudtirolesi, ordina la fucilazione di 330 persone prelevate dalle carceri romane (Regina Coeli e via Tasso). La rappresaglia avviene alle Fosse Ardeatine, cave minerarie della via Ardeatina: 335 detenuti vengono assassi-nati con un colpo alla nuca.Nonostante la rappresaglia contro le persone fosse all’epoca largamente praticata – verrà tuttavia espressamente e categorica-mente vietata dalle convenzioni internazionali nel dopoguerra – si trattava già all’epoca di una grave violazione del principio di proporzionalità (oltre dieci persone a uno) e, fatto ancor più grave, non venne operata alcuna distinzione tra partigiani e civili: tra le vittime si trovavano infatti non solo partigiani, già detenuti al momento dei fatti e dunque naturalmente non responsabili del fatto, ma anche ebrei e detenuti comuni. I responsabili individuati (su tutti Herbert Kappler ed Erich Priebke) verranno processati e condannati in una lunga serie di processi dall’immediato dopoguerra a oggi.Per oltre mezzo secolo in Italia circolerà una falsa versione – che ancora serpeggia nel discorso pubblico – secondo la quale i nazi-sti avevano annunciato la rappresaglia con un ultimatum che chiedeva ai responsabili di presentarsi. Il mito è stato smentito a più riprese, dagli storici e dalle sentenze giudiziarie: i nazisti resero pubblico l’eccidio delle Fosse Ardeatine solo dopo aver compiuto la rappresaglia.Si è cercato anche di squalicare l’attacco di via Rasella, e in particolare l’opera di Rosario Bentivegna, il gappista travestito da net-turbino che fece esplodere l’ordigno, ma diverse sentenze hanno riconosciuto come l’operazione militare sia stata senza dubbio un “legittimo atto di guerra contro il nemico occupante”.
2] Guerra100La liberazione dell’Italia dal nazifascismo, cominciata con lo sbarco degli Alleati in Sicilia, nel luglio 1943, è un processo lungo e molto diversicato a seconda delle zone del paese. Dopo un durissimo inverno, a metà aprile 1945 gli anglo-americani riescono a sfondare la Linea Gotica. Tra il 21 e il 30 aprile tutte le grandi città del nord sono liberate. Decisivo è l’operato dei partigiani.Mussolini, riconosciuto mentre tenta la fuga su un camion tedesco, travestito da uciale della Wehrmacht, viene giustiziato dai partigiani il 28 aprile. Il 7 maggio si assiste agli ultimi combattimenti in Veneto e Trentino: la guerra è davvero nita e l’Italia è libera dall’oppressione nazifascista. Il primo governo sale in carica nel giugno 1945 ed è presieduto da Ferruccio Parri, uno dei capi della Resistenza. Il governo è formato dai partiti che hanno dato vita al CLN. Il sogno che la Resistenza possa ricostruire l’Italia dura però solo cinque mesi, al termine dei quali il governo cade, paralizzato dagli scontri interni: l’unità antifascista non riesce a tradursi in programma di governo e le tensioni tra il Partito comunista e la borghesia, rappresentata in parte dalla Democrazia cristiana, sono tante. Saranno i leader dei due partiti, Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi, comprendendo la delicatezza del momento, a trovare il modo di far transitare senza ulteriori scosse l’Italia “dalle armi al voto”, anteponendo agli interessi dei singoli partiti il bene comune. Il nodo da sciogliere è innanzitutto la “questione istituzionale”, rimandata alla decisione degli elettori durante la guerra: il 2 giugno del 1946 gli italiani e le italiane, che per la prima volta possono votare, sono chiamati a decidere tra monarchia e repubblica. Il 54,3% degli italiani sceglie la Repubblica. I Savoia sono costretti all’esilio. Il 2 giugno si vota anche per eleggere l’Assemblea Costituente, chiamata a scrivere il documento fondamentale per la vita dello Stato, la Costituzione, che dovrà denire la forma, l’organizzazione e i poteri dello Stato, e diritti e doveri dei cittadini. All’interno della Costituente vengono eletti i membri dei partiti che hanno dato origine alla Resistenza, in particolare democristiani, socialisti e comunisti. Dopo due anni di lavori, la Costituzione entra in vigore il 1° gennaio 1948: in essa viene sancito che l’Italia è una repubblica fondata su quei valori di libertà, democrazia e antifascismo nel nome dei quali i partigiani hanno lottato. 2.17LA LIBERAZIONE
2] Guerra1011945: L’ITALIA È LIBERA“Poi fu tutta la popolazione di Bologna a riversarsi nelle strade, ad accogliere gli alleati che proseguivano no alla piazza Maggiore, in un tripudio festoso e tra la commozione e l’entusiasmo che prorompeva irrefrenabile in tutto il popolo. In una giornata primave-rile, sotto un sole che scaldava i cuori, 23 anni di dominazione fascista nivano. Una guerra che per cinque anni aveva distrutto ogni risorsa e ogni ricchezza del nostro paese, stava per concludersi ignominiosa-mente per gli eserciti nazifascisti [...] Pareva impossibile convincerci che la dominazione di un regime di oppressione qual era stato il fascismo durante tutti quegli anni della nostra giovinezza, no alla maturità raggiunta, avesse avuto ne. [...] tra la folla che faceva ressa nel salone, cercavamo invano due tra i compagni, tra gli amici che ci erano particolarmente cari, con i quali avevamo lavorato e soerto in tutto quel periodo: Giuseppe Bentivogli e Sante Vincenzi. Tardavano a comparire, ad associarsi a noi, nell’entusiasmo per la riconquistata libertà che accomunava tutta la popolazione bolognese. Qualcuno ci disse esser certo che Bentivogli aveva avuto fretta di raggiungere la sua Molinella; qualche altro era sicuro che Vincenzi, nella notte che precedette la liberazione, si era trattenuto in una base partigiana, aveva voluto seguire quella formazione nell’azione rastrellatrice di fascisti. Potevano essere le 11 del mattino, quando due gappisti ci avvicinarono e ci invitarono a seguirli al piano terreno di palazzo d’Ac-cursio. Nella antisala a destra per chi entra da piazza Maggiore, distesi su due catafalchi improvvisati, i corpi di Bentivogli e Vincenzi, straziati per le torture subite, ci avevano nalmente raggiunti. Le sembianze dei visi erano nell’atteggiamento duro e sdegnoso di chi, sulle soglie della morte, nonostante l’inaudita feroce violenza subita, oppone il suo ultimo disprezzo all’avversario, al nemico spregevole. Fu quella, tra le ultime barbare testimonianze del nemico scontto e già in fuga, la dimostrazione che, no all’ultima ora, la lotta di liberazione aveva voluto i suoi eroi.” da G. Verenin, La liberazione di Bologna in Storia dell’antifascismo italiano (a cura di L.Arbizzani e A. Caltabbiano), Roma, Editori Riuniti, 1964. LE DONNE NELLA RESISTENZALa Resistenza è una grande occasione per l’emancipazione femminile in Italia: sono molte le donne che decidono di mettersi al servizio della causa della liberazione dal nazifascismo. Il loro impegno, oltre che politico (in alcuni casi partecipano all’organiz-zazione delle operazioni) è anche materiale: le donne danno assistenza ai partigiani, fanno le “staette” (portano armi, muni-zioni e notizie), creano squadre di pronto soccorso, preparano atti di sabotaggio, combattono. La resistenza femminile vede la partecipazione diretta di oltre centomila donne anche grazie alla creazione dei “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà” (GDD).Sono oltre diecimila le donne che, in varie forme, pagano a caro prezzo il loro impegno cadendo in combattimento o venendo arrestate, torturate, fucilate o deportate. Sedici donne riceveranno la medaglia d’oro al valor militare e diciassette la medaglia d’argento al termine della guerra.Tuttavia, le donne sono capaci, in Italia come in altri paesi occupati, di opporsi con successo al nazismo, e nel caso italiano an-che al fascismo di Salò, anche senza dover impugnare le armi. È una dimensione civile della Resistenza che non prevede una partecipazione diretta alla guerra, ma comprende tutti quegli atteggiamenti quotidiani, più o meno consapevoli, propri della condivisione di un modello di convivenza che non permette i soprusi, che difende a tutti i costi il valore della vita e del rispetto reciproco, e che non accetta le imposizioni ideologiche del regime. Sono molte le donne che, opponendosi alle regole fasciste, hanno contribuito a mantenere in piedi un sistema sociale che ha protetto e difeso non solo le persone, ma anche tutti quei valori civili che il fascismo ha cercato di eliminare. Subito dopo la ne del conitto le donne acquisiscono il diritto di voto per la prima volta in Italia: malgrado ciò è ancora in corso la lotta per la conquista di una parità sostanziale.
2] Guerra102PIAZZALE LORETO, AGOSTO 1944Il 10 agosto 1944 a Milano, in piazzale Loreto, i fascisti fucilano per rappresa-glia quindici partigiani. In seguito i tedeschi impongono che i cadaveri non siano rimossi dal luogo dell’esecuzione. Il capo della provincia, Parini, scrive al duce che, con il passare del tempo, “cominciarono a transitare per il piazza-le Loreto gli operai che si recavano al lavoro e tutti si fermavano ad osservare il mucchio di cadaveri che era raccapricciante oltre ogni dire perché i cada-veri erano in tutte le posizioni, cosparsi di terribili ferite e di sangue. Avveni-vano scene di spavento da parte di donne svenute e in tutti era evidente lo sdegno e l’orrore”.PIAZZALE LORETO, APRILE 1945Dopo l’esecuzione di Benito Mussolini, avvenuta dopo il 25 aprile 1945, il ca-davere del duce viene esposto, quattro giorni più tardi, proprio a piazzale Lo-reto. Andrea Damiano, un testimone, ricorda: “Ventitre anni di storia italiana, dei quali dieci almeno pieni di aberrazioni senza nome, e gli ultimi due cari-chi di un’immortale vergogna, si erano conclusi in qual carnaio che indovina-vo oltre quella tta siepe di gente che faceva orecchio laggiù, e verso la quale avanzavo a gomitate, sballottato, pesto, grumo nella poltiglia di corpi, mani, bocche aperte o contratte. La folla gridava poco, voleva soltanto vedere…”Testimonianze tratte da: Giovanni De Luna, Il corpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra contemporanea, Torino, Einaudi, 2006.
2] Guerra103Dopo la caduta del fascismo – il 25 luglio 1943 – il mare-sciallo Badoglio ottiene dal re l’incarico di gestire il perio-do di transizione politica: il nuovo governo si costituisce il 26 luglio. Vent’anni di dittatura fascista e il collasso dello Stato italiano, avvenuto dopo l’armistizio dell’8 settembre, rendono tuttavia molto dicile il ripristino del preceden-te regime parlamentare fondato sullo Statuto Albertino del 1848. Già il 16 ottobre del 1943 i partiti rappresentati nel Comitato di Liberazione Nazionale (ovvero la Demo-crazia cristiana, il Partito comunista, il Partito socialista, il Partito d’azione, la Democrazia del lavoro e il Partito liberale) chiedono una consultazione popolare per sce-gliere democraticamente la forma di governo che l’Italia avrebbe dovuto assumere dopo il fascismo.Il 12 aprile 1944 il re Vittorio Emanuele III si ritira (isti-tuendo una luogotenenza del regno a favore del glio Um-berto) e ada a un’Assemblea Costituente, da eleggersi il prima possibile, il compito di scegliere tra Monarchia e Repubblica. Quasi un anno dopo la ne della guerra, nel marzo del 1946, viene deciso di coinvolgere direttamente i cittadini nella scelta attraverso un referendum popolare che si tiene il 2 giugno 1946, data nella quale gli italiani eleggono anche l’Assemblea Costituente.La Costituente, all’interno della quale i partiti antifascisti, nonostante le diversità di ideali e appartenenza politica, riescono a mantenere con grande senso di responsabili-tà l’unità necessaria alla stabilità della nuova Repubblica, viene incaricata di dare al paese una nuova legge fonda-mentale che sostituisca lo Statuto Albertino, ininterrotta-mente in vigore dal 1848. Nella Costituzione si riuniscono tre correnti politiche che sono state fondamentali per il passaggio dalla dittatura alla democrazia: i liberali, che hanno insistito sull’im-portanza dei diritti dell’individuo; i cattolici, con il loro approccio solidaristico; il movimento operaio, da sempre particolarmente attento al tema della giustizia sociale.I lavori iniziano il 24 giugno 1946 e si concludono il 22 dicembre 1947 con l’approvazione a larghissima maggio-ranza del testo costituzionale, che entra in vigore il 1° gen-naio del 1948.La Costituzione italiana si suddivide in una prima par-te sui Diritti e doveri dei cittadini e una seconda parte sull’Ordinamento della Repubblica. I principi fondamen-tali della Costituzione italiana, che costituiscono i criteri guida cui i pubblici poteri devono conformarsi, sono: • Il principio democratico.• Il principio personalista, che assicura il rispetto della persona umana.• Il principio pluralista, che esalta le comunità interme-die e le formazioni sociali fra individuo e Stato.• Il principio lavorista, che colloca il lavoro e i lavoratori al centro della vita politica, economica e sociale del paese. • Il principio solidarista, che invita i cittadini ad adem-piere ai doveri inderogabili di fratellanza e solidarietà po-litica, economica e sociale.• Il principio di eguaglianza, intesa sia in senso forma-le di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, sia in senso sostanziale, ovvero di rimozione degli ostacoli che impediscono il libero sviluppo della personalità dell’indi-viduo.• Il principio dell’unità e indivisibilità della Repubblica, che vieta ogni forma di secessione o cessione territoriale.• Il principio autonomista, che assicura alle collettivi-tà territoriali una forte autonomia dallo Stato, grazie alle quali i cittadini possono partecipare con maggiore incisi-vità alla vita politica del paese.La Carta istituisce un sistema di tipo parlamentare, fonda-to sulla divisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudi-ziario. Il governo, titolare del potere esecutivo, è respon-sabile di fronte alle due camere (la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica) che, elette a suragio univer-sale, sono a loro volta responsabili del potere legislativo. Le camere sono inoltre gli organi incaricati di scegliere, in seduta congiunta, un capo dello Stato (o presidente della Repubblica) con mandato di sette anni. La Carta preve-de inoltre un Consiglio superiore della magistratura che garantisca l’autonomia dell’ordine giudiziario e una Corte costituzionale che vigili sulla conformità delle leggi alla carta costituzionale.2.18LA COSTITUENTE E LA COSTITUZIONE
3] Deportazione104L’UNIVERSO CONCENTRAZIONARIO NAZISTA
3] Deportazione1053.DEPORTAZIONE
3] Deportazione106La popolazione ebraica conta agli inizi del Novecento circa 13 milioni di persone in tutto il mondo, di cui 11 milioni in Europa. Le comunità più numerose si tro-vano a est, nell’impero zarista e nei territori orientali dell’impero austro-ungarico. In molti paesi essi hanno raggiunto l’uguaglianza giuridica, ma ciò non impedirà la massiccia affermazione della propaganda antisemita durante il Novecento. Il nazionalismo delle potenze europee tra Ottocento e Novecento si caratterizza per l’ostilità sia nei confron-ti delle nazioni straniere sia nei confronti del “nemico interno”, ed è proprio negli anni novanta dell’Ottocento che il nemico interno prende la forma dell’ebreo. Nella cultura popolare sono radicati antichi pregiudizi che af-fondano le loro radici nei miti medievali dell’ebreo dei-cida – a causa della crocifissione di Cristo – traditore per denaro, e nell’immagine dell’ebreo avido e usuraio, detentore di ricchezze non sue; nel corso dei secoli, spe-cialmente nel Medioevo, sono state numerose le violen-ze dei cristiani nei confronti degli ebrei, compiute con il benestare se non con l’incitamento della chiesa di Roma (che nel 1215 impone agli ebrei di portare un segno di-stintivo): anche questo è stato causa dell’ulteriore isola-mento delle comunità ebraiche. A cavallo tra Ottocento e Novecento due avvenimenti contribuiscono ad alimentare nuovamente l’ostilità ver-so gli ebrei. Nel 1894 Alfred Dréyfus, ufficiale dello stato maggiore dell’esercito francese è ingiustamente accusato di spionaggio. Egli è l’unico ebreo dello stato maggiore. L’affaire Dréyfus, come viene ribattezzato il caso, divide immediatamente l’opinione pubblica francese ed euro-pea, e con un pretesto di tale portata la propaganda an-tisemita viene alimentata. Nel 1906, quando si dimostra finalmente la falsità delle accuse, Dréyfus è reinserito nell’esercito. È proprio in questo periodo che si sviluppa, a partire dall’attività dell’ungherese Theodor Hertzl, il movimen-to sionista, che esprime la necessità di uno stato nazio-3.1 EBREI E ANTISEMITISMO IN EUROPA (1900-1930)GLI STUDI NAZISTI AFFERMANO UNA PRESUNTA “INFERIORITÀ BIOLOGICA” DEGLI EBREI
3] Deportazione107nale per gli ebrei, identificato da subito nella Terra Santa, le cui basi sono già state poste alla fine dell’Ot-tocento. Il secondo avvenimento che contribuisce ad alimentare l’ostilità nei confronti degli ebrei è la messa in circolazione, prima in Russia e poi in gran parte dei paesi europei, di un documento chiamato I proto-colli dei savi di Sion, falso (è stata la polizia segreta russa a crearlo) ma diffuso come autentico, che svela l’esistenza di un segreto “direttorio” mondiale ebraico, il cui obiettivo sarebbe instaurare il dominio degli ebrei sul globo per mezzo delle idee democratiche, radicali, socialiste e comuniste. Questo documento è fat-to circolare in tutta Europa, in Rus-sia e in America, e alimenta ovun-que la diffidenza nei confronti degli ebrei. Pochi anni più tardi viene ri-conosciuto che si tratta di un falso. Durante il Novecento l’avversione nei confronti dell’ebreo assume però nuovi attributi: esso diventa caratte-rizzato da criteri di “razza”. L’ostili-tà nei confronti degli ebrei si fonda d’ora innanzi non solo su leggende e credenze, ma trova un presunto fon-damento nelle scienze biologiche. I pregiudizi alimentati in tutta Euro-pa e il fondamento scientifico della diversità degli ebrei, benché falsi, porteranno alle politiche razziali, alle deportazioni e allo sterminio. IL SIONISMO Il sionismo è un movimento che coltiva il progetto di ricostruire un “focolare ebraico” in Palestina. Sorto nell’Ottocento a partire dal pensiero dell’ungherese Theodor Hertzl, culmina nel 1948 con la nascita dello Stato di Israele. Il nome deriva da Sion, la col-lina su cui si ergeva il tempio di Gerusalemme, e viene usato per la prima volta da un losofo ebreo austriaco, Nathan Birnbaum, nel 1890. Inizialmente il movimento sionista incontra forti opposizioni tra gli stessi ebrei: i non sionisti lo boicottano perché temono di ro-vinare il rapporto con le nazioni che li ospitano e di cui si sentono ormai cittadini a tutti gli eetti e tra gli stessi sionisti qualcuno si oppone alla Palestina come unica possibile sede di una nazione ebraica, e vengono proposte in alternativa zone dell’America Latina e dell’Africa. Prevalgono però i cosiddetti “sionisti di Sion”, e all’inizio del Novecento una prima ondata migratoria porta in Palestina alcuni gruppi di giovani intenzionati a fondarvi delle colonie agricole. Nel 1917 il movimento sionista ottiene un primo successo con la Dichiarazione di Balfour, con cui il Ministro degli esteri inglese Arthur James Balfour impegna il governo a sostenere gli ebrei nella costruzione del loro Stato. La Dichiarazione ha un notevole valore politico perché dal 1922 in poi è la Gran Bretagna ad amministrare la Palestina sotto forma di mandato. È in questi anni che l’insediamento ebraico in Palestina cresce da cinquantamila a seicentomila coloni. Gli arabi, reagendo a quello che considerano un sopruso, si organizzano per opporsi all’immigrazione massiccia e scatenano fra il 1936 e il 1939 la Grande Rivolta Araba, spingendo l’Inghilterra a impegnarsi a costituire uno Stato palestinese indipendente entro dieci anni. Ma lo scoppio della seconda guerra mondiale rinvia ogni ulteriore decisione.
3] Deportazione108Nella Germania nazista, negli anni che passano tra la pre-sa del potere di Hitler e le deportazioni di massa, la perse-cuzione e la separazione degli ebrei dal resto dei tedeschi è perseguita con costanza, attraverso una continua elabo-razione di norme discriminatorie e di attacchi alle persone e ai beni. Si possono individuare tre fasi della persecuzione razziale nel Reich. La prima va dal 1933 al 1935: i nazisti sono ap-pena arrivati al potere, non godono ancora di totale con-senso e dunque agiscono in modo cauto, per non correre il rischio di perdere il sostegno dei moderati. Essi varano comunque alcune leggi volte a conservare la “purezza del-la razza”: gli impiegati di origine non ariana non hanno più diritto alla pensione, gli ebrei sono allontanati dagli impieghi statali, viene proibito loro l’esercizio dell’avvoca-tura e della professione medica ed è limitata l’iscrizione degli studenti ebrei nelle scuole. Già il 1° aprile del 1933 gli ebrei, indicati dalla propaganda nazista come la causa di tutti i mali della Germania, sono vittime di un boicot-taggio generalizzato delle loro attività. Inoltre nello stesso periodo vengono progressivamente isolati e inne steri-lizzati gli “ariani” portatori di malattie ereditarie e viene tolta l’assistenza ai portatori di handicap per accelerarne la morte. Le “leggi di Norimberga”, approvate nel settembre 1935, sono la prima svolta della legislazione razziale tedesca. Due disposizioni privano gli ebrei dei loro diritti politici: la “legge sulla cittadinanza del Reich” e la “legge sulla dife-sa del sangue e dell’onore tedesco” stabiliscono che l’unica “razza” pura è quella “ariana” della quale fanno parte solo 3.2 LE LEGGI RAZZIALI IN GERMANIA SCHEMA NAZISTA CHE MOSTRA COME NON SIA PERMESSO IL MATRIMONIO TRA TEDESCHI ED EBREI
3] Deportazione109gli individui di comprovata origine tedesca. Tutti coloro che non possono dimostrare tale discendenza entrano a far parte di categorie discriminabili e considerate pericolose. Il ne della restrizione è impedire qualsiasi forma di contatto tra “ariani” e “non-ariani”, dichiarandone illegale l’unione ma-trimoniale. La denizione di “ebreo” è precisa e inappellabile: è ebreo chi discende da tre avi ebrei e chi è nato da genitori entrambi di razza ebraica. Nel 1938, mentre vengono approvate le leggi razziali in Italia, le discrimi-nazioni in Germania si fanno sempre più marcate: nuove disposizioni im-pediscono agli ebrei l’accesso a qual-siasi attività commerciale pubblica o privata e di fatto li estromettono da tutti i ruoli economici e civili della società. Nei mesi successivi vengono allontanati dalle manifestazioni pub-bliche e dai luoghi di svago: cinema-togra, teatri, concerti e conferenze. Dalla ne del 1938 la popolazione ebraica viene privata permanente-mente del diritto all’istruzione. Il popolo tedesco, “educato” da anni di legislazione discriminatoria e da un’incalzante propaganda antisemi-ta, passa all’azione. Nei pogrom del novembre 1938 le vetrine di migliaia di negozi ebrei vengono infrante e le sinagoghe sono date alle amme. È la “notte dei cristalli”, la Kristallnacht. Poco prima dell’inizio della guerra viene imposto ai “non-ariani” il co-prifuoco alle otto di sera. Il piano na-zista è quasi giunto a compimento.Il clima in Germania è ormai di ter-rore: la mossa successiva è trasferire a forza gli ebrei in quartieri ed edici specici facilmente controllabili, in condizioni di vita precarie: i ghetti. La separazione sica dalla popola-zione “ariana” è completata. Nell’au-tunno del 1941 viene inne imposto agli ebrei di portare cucita sugli abiti la “stella di David” di panno giallo, a partire dal sesto anno di età, per mostrare la propria “appartenenza etnica”. Viene inoltre proibita l’emi-grazione e tutti i patrimoni degli ebrei vengono conscati. La guerra, in pie-no svolgimento, costituisce l’occasio-ne per l’ultima svolta della politica razziale tedesca: il Reich inaugura la fase della deportazione e dell’elimina-zione sica degli ebrei.POGROMVocabolo russo (letteralmente: “devastazione”) che veniva usato per indicare le sollevazioni popolari che nella Russia e nei paesi bal-canici prendevano di mira, spesso con vaste e sanguinose esplosioni di violenza, gli ebrei, accusati, anche per antico odio razziale, di sfruttamento economico. Tutta la storia moderna orientale ne è ricca e nell’Ottocento sono state denite con lo stesso nome anche agitazioni cruente delle masse, molto spesso fomentate da interessi politici conservatori, contro gli intellettuali, specialmente gli studenti, colpevoli di nutrire sentimenti liberali. LA NOTTE DEI CRISTALLI “Mi ricordo mia madre in piedi, pallida, e piangeva. Cos’era successo? Ricordo che lei chiamava gli amici non ebrei. Aveva più amici non ebrei che ebrei. Nessuna risposta. Nessuna.” [testimonianza di Z. Bacharach, in To bear witness. Holocaust Remembrance at Yad Vashem] L’assassinio del segretario d’ambasciata tedesco Ernst vom Rath compiuto a Parigi da un diciassettenne ebreo fornisce a Goebbels il pretesto per scatenare il pogrom noto come Kristallnacht (“notte dei cristalli”, ossia delle vetrine rotte): il nome è coniato spontaneamente dalla popolazione berlinese. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938 vengono infrante le vetrine di settemila negozi (per risistemare i vetri il Reich dovrà poi spendere 6 milioni di marchi), abitazioni, scuole e sinagoghe vengono saccheggiate e date alle amme. Un centinaio di ebrei sono assassinati e circa trentamila vengono deportati. La tragedia coinvolge tutta la Germania, senza particolari manifestazioni di disapprovazione da parte del popolo tedesco, che non è in grado o non vuole contrastare la politica nazista. Pochi giorni dopo, un decreto del Reich esclude denitivamente gli ebrei dalla vita economica tedesca.
3] Deportazione110LA STELLA “È una stella gialla, orlata di nero. Quando la mamma l’ha portata a casa, ho pensato: non me la met-terò mai, preferisco morire. Piuttosto rimarrò a casa, non uscirò per strada. La scuola non mi piace più. Non è una vera scuola. Facciamo lezione in una casa privata, ogni settimana in un posto diverso […] A cena mio padre spiega che non c’è nulla di cui vergognarsi […] La mattina dico: « Non la voglio portare!». La nonna si mette a piangere […] Va bene, proverò giusto per una volta. Per vedere che eetto fa. Mi metto il cappotto blu con la stella gialla. Per la strada cammino molto svelta. Vedo un’altra stella che mi viene incontro. È un ragazzo che abita dall’altra parte della strada […] All’angolo vicino alla fer-mata del tram, un’altra stella. Ci guardiamo negli occhi. È una donna giovane. Ci sono altre persone che aspettano il tram. Io sto accanto a lei. Saliamo sull’ultima vettura, perché non abbiamo il permesso di entrare nella prima e nella seconda. Solo nella terza. La vettura è piena di stelle. È un assembramento di stelle. Parlano e ridono e leg-gono il giornale come qualunque altro giorno. E penso: non si sono mai viste tante stelle di giorno. E di notte nessuno le può vedere, non abbiamo il permesso di girare per strada dopo il tramonto. Dopo un paio di settimane non ricordo nemmeno di averla. Ma c’è sempre, cucita sul petto.” L’autrice, Zdena Berger è nata a Praga nel 1925. Dal 1941 al 1945 è stata internata in diversi campi di concentramento: Terezin, Au-schwitz, Bergen Belsen. Dopo la liberazione ha vissuto a Parigi e poi in America. da Z. Berger, Raccontami un altro mattino, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2007.
3] Deportazione111
3] Deportazione112Uno dei principali obiettivi del nazismo è di operare una ristrutturazione politico-etnico-razziale del Reich attra-verso la riunicazione nei territori tedeschi, che per ragio-ni storiche e politiche si trovano al di fuori dei conni della Germania, delle comunità di sangue germanico, Volkge-meinscha, considerate di razza biologicamente superiore. Questa politica delle nazionalità e delle razze mira, dun-que, oltre al rientro dei cittadini di origine germanica nei conni tedeschi, anche all’eliminazione di quei settori di popolazione considerati pericolosi dal Reich. Il nazismo individua due grandi categorie di nemici. La prima è costituita dai nemici ritenuti pericolosi perché operano contro il Reich: sono tutti gli oppositori politici interni ed esterni, come i comunisti e i socialisti, che han-no ideologie dierenti da quelle del nazionalsocialismo, ma anche i cattolici e i testimoni di Geova, che si rifanno a valori dierenti da quelli nazisti. L’altra categoria considerata pericolosa è formata da tutti coloro che costituiscono una minaccia per il solo fatto di esistere, i nemici oggettivi: individui appartenenti a gruppi etnici e razziali diversi da quello “ariano”. Per il Reich è pericolosa la loro stessa esistenza in quanto potrebbero rappresentare un ostacolo alla costituzione della cosiddetta “comunità di stirpe”, basata sull’idea di una razza ariana della quale il Reich deve essere unicamente popolato. Sono considerati impuri e biologicamente inferiori tutti gli ebrei, ritenuti il vero pericolo per il Reich. Secondo le teorie naziste essi non solo minano la purezza della razza a causa del loro livello di integrazione, ma detengono an-che buona parte del potere economico. Sono inoltre con-siderate impure le popolazioni slave, gli zingari, i neri e gli omosessuali. Ostili alla “comunità di stirpe” sono anche coloro che il na-zismo considera pericolosi portatori di valori diversi come gli “asociali”, “categoria” che comprende le persone senza ssa dimora o senza lavoro, le prostitute, i criminali comu-ni e tutti coloro che, volontariamente o involontariamente, si situano al di fuori dei canoni nazisti. 3.3 I NEMICI DEL NAZISMOCLASSIFICAZIONE DEGLI INTERNATI NEI LAGER NAZISTI Ogni prigioniero, oltre a portare il numero di matricola rilasciatogli all’ingresso al campo, deve mostrare un triangolo di stoffa colorato che identifichi la ragione dell’internamento. TRIANGOLO ROSSO: deportati per motivi politici TRIANGOLO VERDE: prigionieri accusati di reati comuni TRIANGOLO NERO: asociali, un gruppo non precisato di internati TRIANGOLO BLU: immigrati, apolidi e i rifugiati all’estero della guerra civile spagnola TRIANGOLO VIOLA: testimoni di Geova TRIANGOLO ROSA: omosessuali TRIANGOLO MARRONE: popolazione di origine zingara, rom e sinti STELLA GIALLA: ebrei. Portano due triangoli sovrapposti in modo da formare una stella a sei punte. Un triangolo (rosso, verde…) indica la distinzione per categorie generali, quello giallo l’appartenenza alla religione ebraica.
3] Deportazione113I campi di concentramento come strumento di detenzione e di privazione della libertà personale non vengono speri-mentati per la prima volta nella Germania nazista. Le prime deportazioni si vericano nel periodo compreso tra il XV e il XVII secolo (quando grandi masse di africani vengono deportate nelle Americhe), il primo campo di concentra-mento risale invece alla ne dell’Ottocento, quando a Cuba un generale spagnolo rinchiuse quattrocentomila contadi-ni sospettati di opporsi al governo coloniale spagnolo. Tale modello, chiamato “modello cubano”, si dionde nelle Fi-lippine, negli Stati Uniti e in Sudafrica. Da allora l’istituto della deportazione e i sistemi concentrazionari vengono spesso utilizzati dalle dittature e dai governi nazionalisti e imperialisti che si instaurano dopo la Grande Guerra. Unico nella storia è però l’uso che il nazismo ha fatto di tali dispositivi: per la prima volta essi sono diventati uno strumento di eliminazione razionale e sistematica dei de-portati. L’evoluzione del sistema concentrazionario nazista si può dividere in più fasi che seguono l’evolversi delle politiche e dell’espansione del Terzo Reich. Durante la prima fase, tra il 1933 e il 1936, l’apparato con-centrazionario è utilizzato come strumento persecutorio e repressivo contro gli avversari politici. In questi anni ven-gono creati i primi campi, in particolare il lager di Dachau (1933), situato vicino a Monaco di Baviera, che diventa un modello per tutti gli altri: la classicazione dei detenu-ti, l’uso del lavoro come strumento di terrore e il sistema graduale di pene no a quella di morte rispondono a un regolamento che si basa sull’arbitrio delle SS e lo istituzio-nalizza. La struttura si radicalizza tra il 1936 e il 1939. Vengono chiusi tutti i campi precedenti tranne Dachau mentre quel-li nuovi vengono costruiti (Sachsenhausen nel 1936, Bu-chenwald nel 1937, Flossenbürg e Mauthausen nel 1938, Ravensbrück nel 1939) in prossimità di cave o miniere, comunque vicini a luoghi legati alla produzione di materie prime. Aumentano le categorie di persone arrestate e invia-te nei campi: coloro che vengono deniti “renitenti al lavo-ro” o “asociali” ma anche gli ebrei che vengono internati in gran numero, dal 1938, dopo la “notte dei cristalli”. Per quanto l’obiettivo non sia il loro sterminio, le condizioni di vita cui sono sottoposti sono decisamente peggiori rispetto a quelle degli altri internati, e la loro mortalità più alta. Con l’inizio della guerra si apre una nuova fase del siste-ma concentrazionario che vede la nascita di numerosi nuovi campi al di fuori della Germania, mentre il numero di deportati aumenta a causa delle deportazioni di massa dai territori occupati. Nel 1940 il campo di Auschwitz, in Polonia, inizia a essere utilizzato come campo di concen-tramento. Dalla ne del 1941, quando dalla “guerra lampo” si passa alla guerra totale, il sistema concentrazionario si trasforma per le nuove necessità che il conitto impone. Intorno ai campi principali nascono moltissimi nuovi sottocampi o campi esterni, e la manodopera schiava viene sfruttata da industrie importanti (i deportati di Auschwitz, ad esempio, “lavorano” per la IG Farben, di cui all’epoca faceva parte l’attuale colosso farmaceutico Bayer; quelli di Ravensbrück per la Siemens). Nel gennaio 1942 la conferenza di Wannsee stabilisce la si-stematizzazione dell’eliminazione sica di ebrei e zingari. È la cosiddetta “soluzione nale”, che comporta la creazione di un subsistema di campi di sterminio, intesi non come spazi di reclusione e lavoro schiavistico, ma come luoghi dotati solo di strutture atte alle uccisioni di massa. Parti-colarmente signicativa è la Aktion Reinhard, la sistemati-ca eliminazione degli ebrei polacchi, avvenuta tra il marzo 1942 e il novembre 1943. L’operazione è così chiamata in onore di Reinhard Heydrich, capo della polizia di sicurez-za nazista e presidente della conferenza di Wannsee, ucciso nel maggio 1942. L’ultima fase del sistema concentrazionario parte dalla li-berazione dei primi campi, in particolare di Auschwitz (27 gennaio del 1945). È il periodo più confuso, durante il qua-le gli schemi di gestione del sistema saltano. I campi vengono evacuati con il trasferimento dei depor-tati sempre più a ovest, attraverso le micidiali marce della morte, per l’incalzare delle truppe sovietiche. 3.4 IL SISTEMA CONCENTRAZIONARIO NAZISTA - LE FASI
3] Deportazione114ANNA FRANK “Il diario di Anna Frank ha inizio nel giugno del 1942. Nel giugno ’42, la sua vita presenta ancora qualche rassomiglianza con la vita di qualunque ragazzina dell’età sua. Ma siamo ad Amsterdam, l’Olanda è in mano ai tedeschi da due anni; e le SS vanno per le case cercando gli ebrei. A tredici anni appena compiuti, Anna conosce e parla con estrema naturalezza la lingua dei perseguitati: sa che lei e i suoi debbon portare la stella giudaica, che non possono frequentare locali pubblici, che non possono prendere il tram […] .Per due anni la famiglia Frank, la famiglia Van Daan e il dentista Dussel hanno abitato in un alloggio segreto senza uscirne mai, senza mai affacciarsi alle finestre, visitati solo dai fedeli amici che conoscono il segreto dello scaffale girevole, che portano dall’esterno cibo, libri, notizie; vi hanno abitato raschiando e cucinando patate, litigando, ascoltando la radio inglese, fra alternative di paura e speranza; ossessionati dalle privazioni alimentari, dalla noia, dai mille problemi di una forzata clausura […] .Noi leggiamo sempre il libro di Anna Frank tenendo presente la sua tragica conclusione; senza poterci fermare a quei precisi momenti che vi son raccontati, ma sempre guardando oltre, sempre cercando di figurarci quel campo di Bergen Belsen, dove Anna è morta, e quegli otto mesi che ha trascorso là, prima della morte, certo penosamente ricordando l’’alloggio segreto’, l’idillio con il ragazzo Peterson, i gattini, le feste per i compleanni, le amiche Elli e Miep che fino all’ultimo han rischiato la vita per la salvezza di lei e i suoi.” dalla prefazione di Natalia Ginzburg, in Anna Frank, Diario, Torino, Einaudi, 1990. “Il 4 agosto 1944 la polizia tedesca fece un’irruzione nell’alloggio segreto. Tutti i rifugiati clandestini furono arrestati e condotti in campi di concentramento tedeschi o olandesi. L’alloggio segreto fu perquisito e saccheggiato dalla Gestapo. In un mucchio di vecchi libri, riviste e giornali rimasti per terra, Elli e Miep trovarono il diario di Anna. Anna morì nel marzo del 1945 nel campo di concentramento di Bergen Belsen, due mesi prima della liberazione dell’Olanda.” dall’epilogo di Anna Frank, Diario, Torino, Einaudi, 1990. PERCHÉ MOLTI LAGER NAZISTI SI TROVANO IN POLONIA? Alcuni dei maggiori lager si trovano sul territorio che prima del settembre 1939 apparteneva alla Polonia. Sono diversi i motivi che spiegano questa scelta: in Polonia c’è una forte presenza di comunità ebraiche e i prigionieri vengono così condotti velocemente ai campi, grazie anche alla buona rete ferroviaria polacca. Il territorio è inoltre ricco di foreste, molte aree sono disabitate e questo aiuta a mantenere segreto lo sterminio. Infine il forte antisemitismo polacco - che affonda le proprie radici nel terreno di un profondo antiebraismo cattolico - è favorevole per i tedeschi: si crede che i polacchi rimarranno indifferenti di fronte al genocidio.
3] Deportazione115IN ALTOIL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI NORDHAUSEN. FOTO SCATTATA AL SUO ARRIVO DA UN SOLDATO AMERICANO
3] Deportazione116L’eliminazione dei nemici del nazismo viene eseguita in modo progressivo, ma è solo nel 1942, con la “soluzione nale”, che lo sterminio degli ebrei diventa sistematico. Nel periodo precedente al 1942 i nazisti sperimentano metodi dierenti per l’eliminazione di coloro che sono considerati dannosi e pericolosi per la costituzione della cosiddetta “comunità di stirpe”. L’Operazione Eutanasia Nell’estate del 1939 la Germania nazista decide l’elimina-zione sica di tutti i malati mentali, le cui vite sono “in-degne di essere vissute” e che costituiscono un pericolo per la nazione secondo i sostenitori dell’ideologia razzia-le. L’operazione prende il nome in codice di “Operazione T4”, dall’indirizzo dell’ucio che la organizza (numero 4 della Tiergartenstrasse di Berlino).In breve tempo le categorie da eliminare aumentano: non più solo malati mentali, ma anche handicappati gravi, portatori di malattie congenite o ereditarie, psicopatici, anziani infermi, asociali. Costoro sono portati in “centri di eutanasia” e assassinati con delle iniezioni di morna o scopolamina, giudicate però poco ecaci. Così viene sperimentato il monossido di carbonio: le vittime vengo-no “gassate” in apposite camere a gas (sperimentate per la prima volta) e i loro cadaveri bruciati nei forni crematori. Le chiese tedesche, protestanti e cattoliche, protestano, ma senza organizzare una vera reazione a quanto mes-so in atto dai nazisti. L’Operazione Eutanasia è interrotta dopo avere provocato la morte di settantamila persone. Gli Einsatzgruppen Il 22 giugno del 1941 la Germania avvia l’Operazione Barbarossa, ovvero l’invasione dell’Unione Sovietica. Durante l’operazione, l’esercito tedesco è accompagnato da piccole unità di SS e di polizia: a questi gruppi, che operano nelle retrovie del fronte, viene dato il nome di Einsatzgruppen. Sono delle unità speciali di massacro: il loro compito è quello di eliminare la popolazione ebraica e i funzionari comunisti che si trovano sul territorio so-vietico occupato. In totale vengono creati quattro Einsat-zgruppen composti in tutto da circa tremila uomini; sono reclutate anche unità di polizia ausiliaria locale tra i li-tuani, gli estoni, i lettoni e gli ucraini. Inoltre le unità tro-vano l’aiuto di alcuni civili che si arruolano nella polizia ausiliaria e collaborano ai rastrellamenti e alle esecuzioni. Raul Hilberg, uno dei massimi studiosi della Shoah, sti-ma che le vittime degli Einsatzgruppen, calcolando anche le fucilazioni dei prigionieri di guerra in Serbia e Roma-nia, siano un milione e trecentomila. 3.5 L’OPERAZIONE EUTANASIA E GLI EINSATZGRUPPEN
3] Deportazione117I GASWAGEN Agli inizi dell’Operazione T4 le uccisioni avvengono mediante asfissia da ossido di carbonio, proveniente da bombole fornite dalla IG Farben. Più tardi vengono sperimentati i Gaswagen, autocarri che immettono i gas di scarico all’interno del cassone. Le persone muoiono in circa die-ci minuti. Nell’agosto del 1941 Himmler invia il per-sonale addetto ai Gaswagen verso i nuovi paesi di conquista nell’est, dove sono in atto le operazioni degli Einsatzgruppen. I Gaswagen possono contenere fino a cen-to persone ed essendo dispositivi mo-bili, offrono molte possibilità d’impiego, di spostamento da una località all’altra e non destano sospetti: l’azione infatti vie-ne sempre presentata come un trasferi-mento di persone. IN ALTOEINSATZGRUPPEN IN AZIONE IN UCRAINANELLA PAGINA A FIANCOBAMBINI PRIGIONIERI DELL’OPERAZIONE EUTANASIA NEL 1934
3] Deportazione118Il 20 gennaio del 1942 si svolge la Conferenza di Wann-see nell’omonima località nei pressi di Berlino. Reinhard Heydrich, capo della polizia di sicurezza e del servizio di sicurezza (SD), alla presenza di rappresentanti delle SS e dei principali ministri del Reich, illustra i piani per la “soluzione finale del problema ebraico”. È la pianifica-zione dello sterminio – già iniziato, in forme “selvagge”, dallo scoppio della guerra – degli undici milioni di ebrei presenti sul territorio europeo. Le idee di risoluzione del problema ebraico sono pro-fondamente connesse agli avvenimenti della guerra. Il primo progetto, studiato ancora prima dello scoppio del conflitto, quando i tedeschi sono certi della vittoria completa sulla Francia grazie alla blitzkrieg (guerra-lam-po) prevede lo spostamento forzato degli ebrei del Reich sull’isola del Madagascar, al tempo colonia francese: il piano si dimostra però irrealistico. Il secondo proget-to invece, messo in atto dopo l’annessione dell’Austria e l’invasione della Polonia, prevede il loro spostamento verso est. Alla fine del 1941 tuttavia la situazione militare tedesca subisce un repentino mutamento: l’8 dicembre il Reich entra in guerra contro gli Stati Uniti e il 10 dicembre la Wehrmacht viene fermata dall’Armata Rossa, subendo la sua prima sconfitta e iniziando la ritirata. Questi due avvenimenti bellici portano la Germania a sentirsi sotto pressione e a cercare una più rapida e sicura soluzione per il “problema ebraico”. La conferenza di Wannsee è convocata proprio per stu-diare una soluzione finale che comporti l’eliminazione fisica di tutti gli ebrei d’Europa. Mentre nei territori sovietici occupati l’eliminazione de-gli ebrei è già iniziata e sta continuando per mezzo degli Einsatzgruppen e delle SS, vengono ultimati i centri del-lo sterminio, e le deportazioni verso i lager diventano sistematiche.Lo sterminio dei quasi due milioni e trecentomila ebrei polacchi si realizza nei quattro campi costruiti per la re-alizzazione dell’Aktion Reinhard: Belzec, Sobibor, Tre-blinka e Chelmno. Questi sono unicamente centri di sterminio (Vernichtungslager), dove non esistono sele-zioni, lavoro e alloggiamenti. Gli ebrei vengono diretta-mente mandati alle camere a gas o, come a Chelmno, sui Gaswagen. Vi si affiancano Auschwitz e Majdanek, cam-pi collegati a fabbriche sia private sia delle SS: qui solo una parte dei deportati è uccisa immediatamente nelle camere a gas, mentre gli altri vengono sfruttati come manodopera fino alla morte, provocata dalla fame, dal freddo e dai ritmi disumani di lavoro. 3.6LA GUERRA E LA CONFERENZA DI WANNSEE
3] Deportazione119IL GENOCIDIO ARMENOSe non si tiene in considerazione il complesso caso dello sterminio di decine di milioni di nativi americani in seguito alla scoperta e alla conquista delle Americhe, uno dei primi genocidi deliberatamente compiuti dal potere statale avviene durante la prima guerra mondiale. Ad esserne vittima sono gli armeni, una minoranza che viveva nell’Impero turco.Lo storico contrasto fra turchi e armeni, basato principalmente sulla differenza di fede religiosa – i primi sono musulmani, i secondi cristiani – esplode durante la guerra: i turchi fanno infatti degli armeni il capro espiatorio delle loro sconfitte belliche, li accusano di disfattismo e, già nel 1915, cominciano a sottoporre le popolazioni civili di Armenia e Cilicia a deportazioni di massa e a massacri. Centinaia di migliaia di persone vengono così sterminate.Il genocidio di oltre un milione di armeni è stato negato dai turchi, che hanno a lungo affermato che i civili che persero la vita furono “semplici” vittime della guerra. La stessa comunità internazionale non ha preso posizione sull’accaduto per molto tempo. Anni dopo il genocidio armeno, questa mancanza non passa inosservata agli occhi dei nazisti in procinto di attuare la “soluzione finale”. Nel 1939 Hitler ordina alle squadre tedesche in partenza per la Polonia di distruggere i nemici del Reich, sterminando senza nessuna compassione uomini, donne e bambini: tanto, afferma in un suo discorso del 22 agosto 1939, “chi, dopotutto, parla ancora oggi del genocidio degli armeni?”IL VATICANO E GLI EBREI La Santa Sede ha un’idea sostanzialmente precisa dello svolgimento dello sterminio nazista, come dimostrano le parole di Pirro Scavizzi, cappellano di un treno ospedale, che il 12 maggio 1942 scrive a papa Pio XII: “la lotta antiebraica è implacabile e va sempre più aggravandosi con deportazioni ed esecuzioni anche in massa. La strage degli ebrei in Ucraina è ormai al completo. In Polonia e in Germania la si vuole portare ugualmente al completo col sistema delle uccisioni in massa”. Nonostante questo, il papa non condanna mai esplicitamente l’operato dei nazisti. Il silenzio del Vaticano solleverà grandi polemiche nel dopoguerra: da una parte alcuni sosterranno che una denuncia delle atrocità naziste avrebbe avuto come unico eetto una netta rottura tra il papa e il Reich, e questo avrebbe potuto persino rendere lo sterminio ancora più crudele, dall’altra si sosterrà che un autorevole intervento del Vaticano avrebbe potuto almeno limitare la strage e le soerenze delle vittime. Inoltre la paura dell’espansione comunista, in aperta lotta con il nazifascismo, gioca un ruolo fondamentale nella presa di posizione della Santa Sede. Mentre la Chiesa istituzionale tace, va però ricordato che i cattolici sono tra coloro che danno maggiore dimostrazione di solidarietà nei confronti degli ebrei perseguitati: in Italia per esempio hanno grande importanza le reazioni delle singole comunità parrocchiali, in cui i sacerdoti condannano la persecuzione in atto.IL PIANO MADAGASCARAlla fine della primavera del 1940 l’esercito tedesco sconfigge la Francia e prende in considerazione una proposta del gerarca Hans Frank per risolvere la “questione ebraica”. L’idea è quella di trasferire, nell’arco di quattro anni, quattro mi-lioni di ebrei sull’isola africana del Madagascar, colonia francese: i deportati dovranno provvedere alle spese del viaggio e ai costi della colonizzazione dell’isola. I nazisti sono certi di poter convincere i francesi a ceder loro il Madagascar, ma l’Impero britannico, che controlla le vie marittime verso l’Oceano Indiano, è un nemico troppo forte. Dall’autunno 1940 il progetto viene accantonato.
3] Deportazione120Prima che venga denito e accolto il progetto della so-luzione nale della Conferenza di Wannsee, i nazisti pianicano l’emigrazione forzata degli ebrei d’Europa verso il Madagascar, colonia francese al largo dell’Africa sud-orientale. Il “piano Madagascar” prevede il concen-tramento degli ebrei in ghetti chiusi, prima di deportar-li nell’isola. Il processo di ghettizzazione procede len-tamente: il muro di cinta del grande ghetto di Varsavia viene terminato solo nell’autunno del 1940, così come il ghetto di Lodz. La costruzione del ghetto di Lublino (an-che questo in Polonia) viene invece conclusa nel 1941. Ogni ghetto costituisce un territorio isolato dal resto del-la città e del mondo: esso è spesso chiuso da alte mura di cinta (il più delle volte costruite dagli stessi ebrei, sotto il controllo dei nazisti), sorvegliate dalla Gestapo. I contatti con l’esterno sono ridotti o vietati. Gli abitanti del ghetto sono a tutti gli eetti prigionieri, e per uscire dalle mura devono essere muniti di uno speciale lasciapassare. Tutto ciò che gli ebrei possiedono va a ingrossare le casse delle forze naziste. Gli ebrei si lasciano alle spalle la loro vita precedente e tutti i loro averi (appartamenti, mobili, oggetti personali), depredati dai nazisti. Allo stesso tempo le loro attività economiche e commer-ciali vengono liquidate o vendute a prezzi irrisori a “tede-schi etnici” della “comunità di stirpe”. I prigionieri sono inoltre costretti a lavorare gratuitamente per il Reich: essi si occupano della raccolta dei riuti, del mantenimento delle strade e di altre mansioni. Nel 1939 i nazisti isti-3.7I GHETTI
3] Deportazione121tuiscono all’interno di ogni ghetto un consiglio di anziani ebrei (normal-mente rabbini o persone che fanno parte di organizzazioni preesistenti), lo Judenrat. La sua funzione è garan-tire l’esecuzione degli ordini nazisti, compresi quelli riguardanti il trasfe-rimento degli abitanti del ghetto in lager: l’operato degli Judenräte è dun-que molto controverso. È estremamente dicile garantire l’alimentazione a migliaia di persone rimaste senza un lavoro redditizio e prive di ogni risorsa: il ghetto è una trappola mortale per chi è costretto a viverci. Migliaia di ebrei muoiono di stenti, uccisi dalla fame e dalle ma-lattie. Tuttavia i nazisti considerano il ghet-to una soluzione transitoria, in previ-sione di un’evacuazione di massa. Dopo il 1942, con la pianicazione della “soluzione nale”, gli ebrei ven-gono rastrellati e i ghetti svuotati con un’altra destinazione: Konzentration-slager e Vernichtungslag er, i campi di concentramento e sterminio del Reich.GHETTOSecondo la versione più accreditata, la parola “ghetto” nasce nella Venezia del Quattrocento: gli ebrei vivono nella zona delle fonderie, chiamate geti in veneziano (probabilmente dal getto di metallo fuso) e pronunciate “gheti” dagli ebrei veneziani, che sono di provenienza nordeuropea. Quello di Venezia è dunque il primo ghetto, e la parola si estende a tutti gli altri quartieri ebraici delle varie città europee. Se invece si vuole ricercare una radice ebraica, la parola potrebbe derivare dal termine guddah, che significa separazione, siepe chiusa (potrebbe esserci qualche relazione con l’inglese gate, cancello) oppure da ghet, atto di divorzio o ripudio: questa versione è la meno credibile, per quanto la chiusura in ghetto fosse in qualche modo frutto del ripudio del resto della popolazione nei confronti degli ebrei.
3] Deportazione122IL GHETTO DI VARSAVIA “Oggi è stato ufficialmente istituito il ghetto. È vietato agli ebrei uscire dai confini formati da certe strade. Sono già cominciati i lavori del muro, che sarà alto tre metri circa. Muratori ebrei, sorvegliati da soldati nazisti, posano un mattone sull’altro. Quelli che non lavorano con sollecitudine vengono frustati dai sorveglianti […] Una dopo l’altra le strade del ghetto sono state chiuse. Per questo lavoro, adesso, vengono usati soltanto polacchi. I nazisti non si fidano più dei muratori ebrei, che lasciano, deliberatamente, in certi punti, mattoni smossi, attraverso i quali la notte vengono introdotti viveri e qualcuno tenta persino di fuggire dall’altra parte. Le mura diventano sempre più alte e non contengono più mattoni mobili. Vengono coperte di uno spesso strato di calcina piena di schegge di vetro, su cui i fuggiaschi dovrebbero ferirsi le mani. Ma gli ebrei non si arrendono. Attraverso i tombini delle fogne, che non sono stati otturati, riescono a procurarsi piccoli sacchi di farina, di zucchero, legumi e altri articoli.” da M. Berg, Il ghetto di Varsavia: Diario 1939-1944, Torino, Einaudi, 1991.
3] Deportazione123LA RIVOLTA DEL GHETTO DI VARSAVIA Il più grande ghetto creato dai nazisti in Europa è quello di Varsavia: 500.000 ebrei, un terzo della popolazione cittadina, vengono ghettizzati nel novembre del 1940. Di questi, 360.000 finiranno in lager. Il ghetto presto si distingue per il tentativo della comunità ebraica di mantenere dei livelli esistenziali “normali” nonostante le terribili restrizioni imposte dalle leggi del Reich: da subito, nonostante le tragiche condizioni di vita, vengono così distribuiti giornali, allestiti momenti culturali comuni, si organizza un efficiente mercato nero, gli insegnanti continuano a fare lezione ai bambini. Probabilmente è proprio grazie a queste basilari forme di resistenza che il ghetto di Varsavia è teatro della più importante rivolta ebraica contro gli oppressori. Nel gennaio del 1943 alcuni comitati di lotta, formatisi all’interno del ghetto, si oppongono con le armi ad un raid nazista e hanno la meglio. Questo infonde un’insperata fiducia agli abitanti del ghetto: l’intera popolazione si prepara alla resistenza di massa. E così, quando il 19 aprile del 1943 i nazisti vogliono trasferire in lager la maggior parte degli ebrei di Varsavia, questi si barricano nel ghetto e cominciano a resistere strenuamente, cogliendo di sorpresa i tedeschi. Dopo lunghe ore di battaglia i nazisti iniziano a dar fuoco agli edifici del ghetto trasformandolo in una trappola mortale. Gli ebrei combattono valorosamente per un mese prima che la loro resistenza venga definitivamente piegata. Quella di Varsavia, oltre ad essere la più importante rivolta in un ghetto, è anche il primo caso di autodifesa armata nell’Europa occupata. IN QUESTE PAGINESCENE DELLA RIVOLTA DEL GHETTO DI VARSAVIA
3] Deportazione124L’attuazione delle deportazioni di massa da parte dei nazisti nei territori occupati costituisce un’impresa amministrativa di vaste dimensioni. Le fasi preliminari del processo di trasferimento forzato, ovvero l’individuazione e la cattura delle vittime, la consca dei beni e la restrizione della libertà di movimento (all’interno dei ghetti o delle carceri), devono essere estese a tutti i territori occupati da cui partono i convogli diretti ai campi di concentramento e di sterminio. Sono due le istituzioni centrali che svolgono funzioni decisive per l’attuazione di tale processo: l’ucio IV-B-4 dell’RSHA (ovvero il Dipartimento Centrale di Sicurezza del Reich), sotto la direzione di Adolf Eichmann, e il Ministero dei trasporti, che ha la responsabilità degli spostamenti in treno in tutta l’Europa occupata. La competenza di Eichmann si estende dagli arresti al trasporto: per l’esecuzione di questi compiti egli fa riferimento agli uci regionali della Gestapo e agli uci centrali dell’emigrazione ebraica. Negli altri paesi satelliti e occupati, dall’Europa dell’est ai Balcani, egli individua invece alcuni esperti della questione ebraica nelle ambasciate tedesche o, in alternativa, alcuni rappresentanti delle SS e della polizia, e li incarica di elaborare sul posto dei programmi per la deportazione. L’arresto degli ebrei non comporta particolari dicoltà a livello burocratico. I rastrellamenti sono di competenza della Gestapo, la quale è aiutata dalla polizia criminale, dalla polizia d’ordine o dalle SS. Per compilare le liste degli ebrei presenti sul territorio, sono spesso utilizzati gli elenchi generali e i registri delle imposte delle comunità ebraiche, nonché, ove disponibili, i censimenti eseguiti negli anni precedenti dai vari regimi fascisti. La partenza e l’arrivo di ogni convoglio costituiscono problemi logistici per gli uci addetti: una volta ottenuto dal Ministero dei trasporti un orario, l’ucio IV-B-4 trasmette le informazioni circa il punto di partenza, il luogo d’arrivo e gli orari agli uci di polizia competenti, i quali si incaricano dell’arresto delle vittime nei territori di partenza e, giunto a destinazione il convoglio, della gestione logistica dei nuovi arrivati al campo. I trasporti sono organizzati dalle ferrovie del Reich che nel 1942 arrivano a contare quasi mezzo milione di funzionari e novecentomila semplici impiegati. Tutte persone che, sebbene non sempre consapevoli, prendono parte in questo modo al meccanismo della deportazione. 3.8I MECCANISMI DELLA DEPORTAZIONEIL VIAGGIO “Per ogni carro si era così oltre 100 […] Ci trovavamo vi-cino a Metz alla frontiera franco-tedesca ed il convoglio della tortura si fermò. Qui fummo fatti scendere a suon di randellate sulla neve. Dovemmo spogliarci nudi completamente e caricare tutti gli indumenti su alcuni carri e sotto una tempesta di botte rientrare nei carri. Così se prima eravamo oltre 100 per vagone ora eravamo 130 e anche 140. Nudi, schiacciati, sanguinanti, semi-asfissiati, reggendoci sulle punte dei piedi per il resto del viaggio.Erano 1500 uomini che lottavano con la morte dispera-tamente con tutte le forze che ancora rimanevano men-tre la pazzia faceva la sua apparizione e si manifestava nelle forme più impensate, stravaganti e raccapriccianti. Solo i già morti, schiacciati tra i vivi non urlavano più.” da E. Baussano, Diario 1903-‘46, Asti, Tipografia San Giuseppe, 1986.
3] Deportazione125IL PROCESSO EICHMANN Adolf Eichmann, nascosto sotto falsa identità, viene cat-turato in Argentina dai servizi segreti israeliani l’11 mag-gio del 1960. Il suo processo, svoltosi davanti alla corte di Gerusalemme inizia l’11 aprile 1961. Le ultime parole di Eichmann sono: “Ho avuto la sfortuna di essere coinvolto in quegli orrori, sebbene non dipesero dalla mia volontà. Non ho mai avuto l’intenzione di uccidere uomini. Soltan-to i dirigenti politici sono responsabili di quell’assassinio collettivo [...] La mia colpa consiste soltanto nell’obbe-dienza, nel rispetto della disciplina, dei doveri militari in tempo di guerra, e del giuramento di fedeltà che avevo prestato in quanto soldato e funzionario [...] L’obbedien-za non era facile. Chiunque si è trovato nella situazione di comandare e obbedire sa che cosa si può esigere da un essere umano. Non ho perseguitato gli ebrei per passione e per piacere, come era il caso del governo. Io come indi-viduo ne ero incapace [...] È per questo che chiedo che si tenga conto del fatto che ho obbedito, e non del fatto che ho obbedito a certe persone.” Il verdetto viene pronunciato il 15 dicembre: “Il tribunale condanna Adolf Eichmann, giudicato colpevole per i cri-mini commessi contro il popolo ebreo, per i crimini com-messi contro l’umanità e per i crimini di guerra, alla pena di morte.” La condanna è confermata in appello. Eichmann viene im-piccato il 31 maggio 1961.La più signicativa cronaca del processo è quella che ne fa la losofa tedesca Hannah Arendt ne La banalità del male. PERCHÉ UFFICIO IV-B-4?“Ciascuno degli uffici centrali delle SS era diviso, al tempo della guerra, in sezioni e sottosezioni, e così anche l’RSHA [l’Ufficio centrale per la Sicurezza del Reich] finì col comprendere sette sezioni principali. La IV Sezione era quella della Gestapo ed era capeggiata da Heinrich Müller, il quale in base alla nuova termino-logia era ora Gruppenführer (maggior generale). Suo compito era combattere ‘gli avversari dello Stato’, e questi erano divisi in due categorie di cui si occupava-no due distinte sottosezioni: gli ‘oppositori’ accusati di comunismo, sabotaggio, liberalismo e omicidio erano di competenza della sottosezione IV-A; la sottosezione IV-B si occupava invece delle ‘sette’, cioè cattolici, pro-testanti, massoni (per questi il posto rimase vacante) ed ebrei. Ciascuna sottosezione aveva a sua volta tanti uffici quante erano queste sottocategorie, le quali era-no indicate con numeri arabi, e così Eichmann fu alla fine assegnato (nel 1941) all’ufficio IV-B-4 dell’RSHA. Poiché il suo diretto superiore, il capo della sottosezio-ne IV-B, era una nullità, il suo vero padrone era sempre Müller. E il superiore di Müller era Heydrich (più tardi Kaltenbrunner), che a sua volta dipendeva da Himm-ler, e quest’ultimo riceveva i suoi ordini direttamente da Hitler.” da H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusa-lemme, Milano, Feltrinelli, 1997.
3] Deportazione126La categoria dei deportati è molto vasta, al suo interno sono comprese persone arrivate nei campi di concentra-mento e sterminio per ragioni diverse e attraverso per-corsi dierenti: i due gruppi principali sono i deportati per ragioni “razziali” e i prigionieri politici. Deportazione politica I deportati politici sono anche deniti “triangoli ros-si” poiché nel campo viene loro cucito sulla casacca un triangolo rosso. Se i primi “triangoli rossi” sono i politici antinazisti, soprattutto comunisti ed esponenti della so-cialdemocrazia tedesca, la categoria si espande presto e diventa più eterogenea: ne fanno parte persone sospettate di compiere attività “contro lo stato”, disertori, sacerdoti e pastori, chiunque sia ritenuto colpevole di aiutare gli ebrei. A partire dall’inizio della guerra, nella categoria dei politici sono inclusi anche i cittadini dei territori occupati accusati di aver attentato alle truppe di occupazione: par-tigiani che lottano per la liberazione del loro paese e anti-fascisti, ma anche comuni “rastrellati” che, anche se non direttamente responsabili, sono catturati a seguito di at-tentati contro l’esercito tedesco e le SS. Consapevolmente o meno, “il deportato è una persona che non è in regola con le direttive emanate dai tedeschi, è un trasgressore a quello che veniva imposto e, in questo senso, coloro che vengono inviati nei campi non sono allineati con gli oc-cupanti e con il regime fascista di Salò” (F. Cereja). I deportati politici vengono arrestati dalle SS o dalla Ge-stapo in Germania e nei territori occupati, e sono solita-mente raccolti nelle carceri locali prima di essere depor-tati sui convogli speciali. Essi arrivano nei lager spesso dopo una sosta nei campi di transito, dove sono raggrup-pati in vista della loro denitiva deportazione. Durante le fasi iniziali del sistema concentrazionario, tra il 1936 e il 1939, i primi campi di concentramento del Reich sono utilizzati come strumenti persecutori e re-pressivi contro gli avversari politici, la vera manodopera schiava di cui si servirà il Reich per compiere gli sforzi bellici richiesti dalla guerra totale. Ai “politici” si aggiun-gono, con l’inizio della guerra e dal 1942 con la soluzione nale, i deportati per motivi razziali. Deportazione razziale Sono deniti deportati razziali coloro che sono perse-guitati in quanto “biologicamente” inferiori: tra questi vi sono in particolar modo gli ebrei e gli zingari. La deportazione razziale segue un percorso dierente ri-spetto a quella politica. Raul Hilberg ne individua quattro fasi. La prima è quella della denizione, durante la quale si sviluppa la politica dell’eugenetica e l’idea di una razza ariana superiore. Ebrei e zingari sono deniti biologica-mente diversi e mano a mano allontanati dalla società. La seconda fase è quella dell’espropriazione. Con le leggi razziali tutti gli ebrei sono licenziati, allontanati dalla vita pubblica e divisi dagli ariani nella vita privata: vengono insomma via via espropriati della loro vita precedente. Il terzo stadio è rappresentato dal concentramento, durante il quale in Germania e nei territori occupati gli ebrei sono privati di tutti i loro beni e raggruppati nei ghetti. L’ul-tima fase, lo sterminio, si sviluppa a partire dalla confe-renza di Wannsee e dall’ideazione della “soluzione nale”: vengono creati i centri di sterminio, verso i quali si diri-gono i convogli di ebrei rastrellati dai ghetti. I deportati razziali sono trasportati direttamente nelle camere a gas e sterminati. Solo in alcuni campi, come Auschwitz e Ma-jdanek, essi vengono anche sfruttati come manodopera insieme alle altre categorie di deportati. 3.9DEPORTAZIONE RAZZIALE E DEPORTAZIONE POLITICA
3] Deportazione127I GULAG “Accanto ad evidenti somiglianze tra i lager sovietici e i lager nazisti mi pare di poter osservare sostanziali dierenze […] La principale consiste nella nalità. I lager tedeschi costituiscono qual-cosa di unico nella pur sanguinosa storia dell’umanità: all’antico scopo di eliminare o terricare gli avversari aancano uno scopo moderno e mostruoso, quello di cancellare dal mondo interi popoli e culture […] I campi sovietici non erano e non sono certo luoghi in cui il soggiorno sia gradevole, ma in essi, neppure negli anni più oscuri dello stalinismo, la morte dei prigionieri non veniva espressamente ricercata: era un incidente assai frequente, e tollerato con brutale indierenza, ma sostanzialmente non voluto […] In questo lugubre confronto tra due modelli di inferno bisogna ancora aggiungere che nei lager tedeschi in generale si entrava per non uscirne: non era previsto alcun termine altro che la morte. Per contro, nei campi sovietici un termine è sempre esistito. Al tempo di Stalin i ‘colpevoli’ venivano talvolta condannati a pene lunghissime […] con spaventosa leggerezza, ma una sia pur lieve speranza di libertà sussisteva. Da questa fondamentale dierenza scaturiscono le altre. I rapporti fra guardiani e prigionieri, in Unione So-vietica, sono meno disumani: […] non sono ‘superuomini’ e ‘sottouomini’ come sotto il nazismo […] La personalità umana non viene denegata e non va totalmente perduta […] Come conse-guenza generale, le quote di mortalità sono assai diverse per i due sistemi. In Unione Sovietica pare che nei periodi più duri la mortalità si aggirasse sul 30 per cento, riferito a tutti gli ingressi, e questo è certamente un dato intollerabilmente alto; ma nei lager tedeschi la mortalità era del 90 – 98 per cento.” da P. Levi, Appendice a Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 1976. La parola gulag, comunemente usata per indicare i campi di lavoro forzato dell’Unione Sovieti-ca, è in realtà una sigla e sta ad indicare la “Direzione principale dei campi di lavoro correttivi”, un particolare ucio della polizia sovietica. I gulag vengono attivati negli anni Venti e utilizzati no alla metà degli anni Cinquanta, poco dopo la morte di Stalin: sono dei campi di lavoro e di detenzione in cui vengono rinchiusi criminali, prigionieri di guerra, oppositori politici, disertori, “nemici della rivoluzione” (grandi industriali, nobili, antichi proprietari terrieri o intellettuali dis-sidenti nei confronti del regime). Molti niscono in gulag sulla base di un semplice sospetto. Il sistema gulag comprende centinaia di campi, principalmente posizionati in aree disabitate della Siberia o dell’attuale Kazakistan. I prigionieri vengono utilizzati per compiere opere utili al regi-me, come la costruzione di canali e ferrovie, o per “colonizzare” nuove zone in cui il regime non è ancora riuscito a spingersi. Le condizioni di vita sono tremende: malnutriti e sfruttati, provati dal freddo degli inverni russi, molti moriranno di stenti. Altri – una percentuale di prigionieri non inferiore al 10% – cadranno invece a causa di esecuzioni sommarie. Non esistono dati certi, ma la stima dei morti in gulag è di circa 12-13 milioni.
3] Deportazione128Il sistema concentrazionario nazista prevede due tipolo-gie di campi, diversi sia nelle strutture sia negli obiettivi: il Konzentrationslager (KL) e il Ver nichtungslager (VL).Il Konzentrationslager (“campo di concentramento”) in un primo momento è concepito come luogo di reclusione e rieducazione e viene utilizzato dal regime nazista con l’obiettivo di allontanare gli oppositori politici dal Reich. In un secondo momento nei KL vengono deportati anche tutti gli oppositori dei territori occupati dalla Germania e coloro che vengono considerati nemici oppure ostacoli alla costituzione della “comunità di stirpe” ariana che do-vrebbe popolare i territori del Terzo Reich. Al loro arrivo, i prigionieri dei KL vengono registrati, ricevono un’uniforme e un numero di matricola, viene loro assegnato un posto dove dormire all’interno di una baracca e vengono destinati a un’unità organizzativa del campo chiamata “blocco”. La disciplina che regola la vita dei deportati è ferrea: essi sono continuamente oggetto di vessazioni, maltrattamenti e torture, che conducono spesso alla morte.I prigionieri sono inoltre costretti a lavorare molto dura-mente, e non sono rari i casi in cui le mansioni sono del tutto inutili. Il lavoro non è infatti concepito solo come attività produttiva, ma come mezzo di punizione e riedu-cazione. Con l’inasprimento del conitto e con il conse-guente bisogno di manodopera per il sostenimento dello sforzo bellico, la forza lavoro dei KL viene asservita alle imprese tedesche per la produzione bellica.Il lavoro è massacrante, e spesso a causa della scarsa ali-mentazione, i prigionieri non sopravvivono più di qual-che mese, ma con l’aumentare delle deportazioni il ricam-bio di manodopera schiava è costante. I nuovi arrivati prendono il posto di coloro che, logorati dai ritmi e dalla vita nel campo, muoiono di fatica o di stenti. Con il termine Vernichtungslager ci si riferisce invece ai “campi di sterminio”, detti anche “fabbriche della morte”. 3.10KONZENTRATIONSLAGER E VERNICHTUNGSLAGER
3] Deportazione129I VL hanno come unico obiettivo lo sterminio immediato e di massa de-gli ebrei. A dierenza dei Konzentra-tionslager, i VL sono dei veri e propri terminali della morte: una volta scesi dal treno, i deportati vengono diret-tamente condotti nelle camere a gas.La creazione di questi campi viene decretata durante la conferenza di Wansee all’inizio del 1942, quando viene stabilita la “soluzione nale del problema ebraico”. In particolare, essi sono creati all’interno dell’Aktion Reinhard, per portare a compimento l’eliminazione degli ebrei polacchi. Nelle camere a gas dei VL i depor-tati vengono stipati e asssiati per mezzo di composti chimici tossici: i due gas utilizzati sono il monossido di carbonio e il cianuro di idrogeno (lo Zyklon B, utilizzato prevalente-mente ad Auschwitz), ed entrambi causano una morte molto dolorosa. Le camere a gas, già utilizzate su sca-la minore dai nazisti durante l’Ope-razione Eutanasia, sostituiscono le fucilazioni per vari motivi: sono più rapide, meno dispendiose (si pensi al numero di munizioni necessarie) e soprattutto molto meno logoranti dal punto di vista psicologico per i nazisti stessi, che non devono spara-re singolarmente a ogni “nemico”. I cadaveri delle camere a gas vengono poi bruciati nei forni crematori e le ceneri disperse. Nei due VL più noti, Sobibor e Treblinka, i nazisti stermi-nano rispettivamente duecentomila e settecentocinquantamila ebrei (se-condo le stime di Raul Hilberg). Uniche eccezioni a tale distinzio-ne tra KL e VL sono due lager: Au-schwitz-Birkenau e Majdanek. Questi campi infatti attuano contemporane-amente entrambe le funzioni: le sele-zioni all’arrivo stabiliscono chi è abile al lavoro e chi no. I non abili vengo-no “gassati” immediatamente, gli al-tri deportati sopravvivono il tempo necessario per lavorare duramente, e morire nelle settimane o nei mesi successivi per la fatica, le violenze su-bite e gli stenti, o anch’essi nelle ca-mere a gas.GENOCIDIODeriva dal greco gènos, stirpe e dal latino caedo, uccidere. Il termine e la sua definizione giuridica si devono in gran parte agli studi e all’impegno militante di Raphael Lemkin: ebreo polacco, egli fugge a causa delle persecuzioni naziste e ripara negli Stati Uniti d’America, dove diventa professore di diritto internazionale a Yale. Il genocidio è stato riconosciuto come crimine internazionale dopo il processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti. L’11 dicembre del 1946 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite definisce con la risoluzione 96 il genocidio come “negazione del diritto alla vita di gruppi umani, gruppi razziali, religiosi, politici o altri, che siano stati distrutti in tutto o in parte”. Il riferimento a “gruppi politici” non è però gradito all’Unione Sovietica, che riesce a far modificare il testo. Il 9 dicembre del 1948 viene adottata la “Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio” che, all’articolo II, definisce così il genocidio: “Uno dei seguenti atti effettuato con l’intento di distruggere, totalmente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso: (a) Uccidere membri del gruppo; (b) Causare seri danni fisici o mentali a membri del gruppo; (c) Influenzare deliberatamente le condizioni di vita del gruppo con lo scopo di portare alla sua distruzione fisica totale o parziale; (d) Imporre misure tese a prevenire le nascite all’interno del gruppo; (e) Trasferire forzatamente bambini del gruppo in un altro gruppo.” OLOCAUSTO E SHOAH Dal greco òlos, tutto, e kàiō, brucio, il termine “olocausto” indica n dall’antichità i sacrici di animali oerti agli dei. Importante è la dimensione antropologica: su questo sacricio rituale si rifonda infatti tutta la comunità. Il termine “Shoah” in ebraico signica “catastrofe” e si riferisce specicamente allo sterminio degli ebrei perpetrato dai nazisti.
3] Deportazione130La parola porrajmos nelle lingue sinta e rom signica “di-voramento” e indica lo sterminio subito dalle popolazio-ni zingare in Europa prima e durante la seconda guerra mondiale. In questi anni viene annientata circa la metà della popolazione rom e sinta europea, considerata ge-neticamente inferiore: essi vengono prima rinchiusi nei cosiddetti “campi sosta” e successivamente deportati nei campi di concentramento e sterminio o sottoposti a ese-cuzioni di massa. Già nel 1934 in Germania viene ordinato un censimen-to di tutti gli zingari presenti nel territorio: in tre giorni sono schedate circa mille persone con rilevamento delle impronte digitali, compresi i bambini al di sopra dei sei anni di età. Nel 1936 iniziano le deportazioni degli zin-gari nel campo di Dachau, creato nel 1933 per “asociali” e oppositori politici. Gli zingari sono inizialmente consi-derati “asociali”, a causa del loro nomadismo, del lavoro irregolare, dell’uso della magia che si ritiene sia una loro abitudine. Solo in un secondo momento, in particolare a causa delle pressioni di Himmler, gli zingari vengono identicati come “razza inferiore”, imputando la loro “asocialità” a una predisposizione naturale. Molti zingari vengono inne deportati ad Auschwitz: qui il dottor Mengele compie esperimenti su oltre sessanta coppie di gemelli zingari. Il sottocampo degli zingari di Auschwitz viene evacuato nella notte tra il 2 e il 3 agosto del 1944, e gli occupanti portati nelle camere a gas e ster-minati in una sola notte. 3.11PORRAJMOSLE ULTIME VOCITestimonianza della liquidazione dello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau, 2 agosto 1944: “Verso mezzanotte lo spogliatoio era pieno di persone. L’inquietudine cresceva di minuto in minuto. Si sarebbe potuto cre-dere di essere in un gigantesco alveare. Da ogni parte si sentivano grida disperate, gemiti, lamenti pieni di accuse: “Siamo tedeschi del Reich! Non abbiamo fatto niente!” […] Moll ed i suoi aiutanti tolsero la sicura alle pistole ed ai fucili e spinsero a tutta forza e senza pietà le persone che intanto si erano spogliate, fuori dallo spogliatoio e dentro le tre camere a gas, dove dovevano essere uccise. Mentre percorrevano l’ultimo corridoio molti piangevano per la disperazione, altri si facevano il segno della croce ed imploravano Dio. […] Anche dalle camere a gas si potevano ancora sentire per un poco grida disperate e richiami, finchè il gas letale non fece effetto e spense anche l’ultima voce.” Isabel Fonseca, giornalista, visita Auschwitz-Birkenau: “Davanti all’esposizione di valigie in pelle marrone, mi chinai per leggere familiari nomi di ebrei, dipinti con cura, con tanto d’indirizzo, in grandi lettere bianche. Di fronte a tutti questi beni, tipici di una vita borghese nella civilissima Europa dell’anteguerra, mi colpì il pensiero che uno dei motivi per cui gli zingari non costituiscono una presenza ad Auschwitz, o nei nostri privati archivi dell’Olocausto, è che niente di tutto ciò apparteneva a loro. Sembrano essere scomparsi senza lasciare traccia.” da Porrajmos, altre tracce sul sentiero per Auschwitz, Mantova, Istituto di cultura sinta, 2006.
3] Deportazione131Con il termine Omocausto si intende la persecuzione e l’uccisione da parte del nazismo di migliaia di uomini e donne omosessuali. Ritenuti un pericolo per la società e per la “purezza della razza”, gli omosessuali tedeschi e dei paesi occupati sono così travolti dalle conseguenze della selezione “razziale”.Già nel 1928 il Partito nazista dichiara ucialmente gli omosessuali propri nemici in quanto intaccano la “sana mascolinità” della razza ariana. Il 1933, anno dell’asce-sa di Hitler al potere, segna l’inizio della distruzione del movimento di omosessuali che si è formato in Germa-nia: viene creato uno speciale reparto della Gestapo che si occupa del “problema” degli omosessuali e che inizia a stilare quelle che vengono chiamate le “liste rosa”, nel-le quali sono raccolti i loro dati. Successivamente inizia-no le deportazioni verso i campi di concentramento (in particolare verso il campo di Sachsenhausen, dove viene internata la maggior parte degli omosessuali), dove essi vengono contrassegnati con i triangoli rosa. In Italia gli omosessuali sono sottoposti a tre tipi di prov-vedimenti: la dida, una sorta di avvertimento pubbli-co ad abbandonare il loro comportamento “criminoso”, l’ammonizione, una sorta di arresto domiciliare della du-rata di due anni, e soprattutto il conno. In molti sono mandati in luoghi lontani, altri vengono costretti al lavo-ro forzato nelle miniere. 3.12OMOCAUSTOLAPIDE COMMEMORATIVA DELL’OMOCAUSTO A BERLINO
3] Deportazione132Nel Novecento gli ebrei, presenti in Italia da circa duemila anni, sono un gruppo assai ristretto che ha conosciuto per-secuzioni, espulsioni e ghettizzazioni, ma che vive ormai in armonia con i concittadini cristiani. Dopo le persecuzioni della Chiesa cattolica, a partire dall’istituzione del ghetto di Venezia nel 1516, gli ebrei hanno acquisito nei secoli piena cittadinanza, in parti-colare nel periodo tra la prima emancipazione, in epoca napoleonica, e la seconda, dal 1848 al 1870. Nel Regno d’Italia, dall’Unità alla prima guerra mondiale, gli ebrei si identicano profondamente con la causa nazionale. Sono e si sentono ormai italiani a tutti gli eetti. Di conseguenza, nei confronti del fascismo – così come dell’antifascismo – essi si comportano fondamentalmente come il resto della popolazione. Agli inizi degli anni Trenta gli ebrei sono circa l’uno per mil-le della popolazione italiana, hanno un alto grado di istru-zione, vivono la religione come un fatto privato, sono attivi in tutti i settori della vita professionale e politica del pae-se e risiedono per lo più in centri urbani nell’Italia centro-settentrionale. Le più grandi comunità ebraiche si trovano a Roma, Milano, Trieste, Torino, Firenze, Venezia e Genova. Le leggi razziali toglieranno agli ebrei italiani molti diritti e saranno il primo tassello della persecuzione degli ebrei italiani, che diventerà vera e propria persecuzione sica tra il 1943 e il 1945. 3.13GLI EBREI IN ITALIAPRIMO LEVIPrimo Levi nasce a Torino il 31 luglio 1919, nella casa di corso re Umberto in cui abiterà per tutta la vita. Frequenta il Liceo D’Aze-glio di Torino, dove per qualche mese ha come insegnante di italiano Cesare Pavese. Nel 1937 si iscrive alla Facoltà di Scienze dell’Università di Torino. Nonostante le leggi razziali emanate nel 1938, Primo riesce a proseguire i suoi studi e nel 1941 si laurea con pieni voti: il suo diploma reca la menzione “di razza ebraica”. Durante gli anni dei suoi studi frequenta circoli di studenti antifascisti. Dopo l’8 settembre si unisce a un gruppo partigiano in Val d’Aosta, ma all’alba del 13 dicembre del 1943 è arrestato presso Brusson con altri due compagni. In quanto ebreo, viene inviato nel campo di concentramento di Fossoli e nel febbraio 1944 trasferito ad Auschwitz. Nel gennaio 1945, con la liberazione del campo, Primo inizia il lungo viaggio di ritorno verso Tori-no, dove arriverà solo il 19 ottobre: racconterà il suo viaggio nel libro La tregua, uscito nel 1963. Nel 1946 lavora presso una fab-brica di vernici ad Avigliana, mentre scrive Se questo è un uomo, che presenta a Einaudi: la proposta viene declinata. Il libro viene allora pubblicato dalla casa editrice De Silva in 2.500 copie ottenendo buone recensioni critiche ma scarso successo di vendita. Nel 1947 sposa Lucia Morpurgo: avranno due gli, Lisa e Renzo. Negli anni successivi Primo si dedica per intero alla professione di chimico: accetta un posto in laboratorio presso la Siva, una piccola fabbrica di vernici tra Torino e Settimo Torinese, e in pochi anni ne diventa il direttore. Nel 1955 ripropone Se questo è un uomo a Einaudi, che questa volta decide di pubblicarlo. Da allora il libro non cesserà di essere ristampato e tradotto in tutto il mondo. Levi si dedica anche alla scrittura di romanzi, vincendo numerosi premi letterari. La sua riessione sull’esperienza del lager cul-minerà invece ne I sommersi e i salvati, del 1986. Muore l’11 aprile 1987, probabilmente suicida, nella sua casa di Torino.
3] Deportazione133Il 22 agosto del 1938 la Demorazza (la Direzione gene-rale per la demografia e la razza) del Ministero dell’in-terno conta 58.412 ebrei italiani e stranieri residenti in Italia. Il censimento di tutte le persone, italiane e stra-niere con almeno un genitore ebreo è una vera e propria schedatura. Comincia così la prima fase della persecu-zione degli ebrei italiani: la discriminazione. La “sche-datura” sarà continuamente aggiornata, e al momento dell’occupazione nazista, nel 1943, tutti gli ebrei saranno già registrati. I dati raccolti saranno fondamentali per l’individuazione, l’arresto e l’avvio ai campi di sterminio. Il 25 ottobre 1936 l’Italia stipula con la Germania un “trattato d’amicizia e cooperazione” che condurrà al “Patto d’acciaio” tra le due nazioni, e quindi all’Asse Roma-Berlino-Tokyo, “patto tripartito”, al quale aderi-ranno anche Ungheria, Bulgaria, Romania e Slovacchia. Stretta l’alleanza, l’Italia fascista segue l’esempio della normativa tedesca la quale, mentre in tutta Europa cre-sce l’antisemitismo, dimostra che è tecnicamente, poli-ticamente e moralmente possibile legiferare contro dei propri cittadini: gli ebrei. Tra il 1938 e il 1942 l’Italia fascista, spinta anche dalle pressioni naziste, produce così alcune leggi finalizzate a separare nettamente gli ebrei italiani dal resto della società. Dal 1938 cresce la propaganda antiebraica in Italia, ma soprattutto vengo-no emanati i primi provvedimenti contro gli ebrei, tutti firmati dal re Vittorio Emanuele III di Savoia. Il 14 luglio viene pubblicato “il Manifesto della Razza” che preclude la cittadinanza italiana a tutti gli ebrei, im-pedisce loro l’accesso a tutte le cariche pubbliche e ai ruoli decisionali in imprese pubbliche e private. Tra il settembre e il novembre 1938 vengono emanati alcuni decreti legge: è la persecuzione dei diritti degli ebrei italiani, la rottura della cittadinanza. Per la prima volta nella storia dell’Italia unita una parte dei cittadini dello Stato è identificata sulla base di caratteristiche ereditarie ineliminabili. Gli “appartenenti alla razza ebraica” sono isolati e l’Italia diventa un paese antisemita. Le leggi razziali sono uno strumento di esclusione spie-tata e di affermazione di un nuovo stadio nel totalitari-smo fascista, che dovrebbe portare verso la realizzazione del “fascismo integrale”, colmo di componenti razziste. Gli studenti e gli insegnanti ebrei vengono espulsi dal-le scuole e dalle università, viene vietato agli ebrei di contrarre matrimoni misti, di avere al proprio servizio domestici non ebrei, di lavorare in settori pubblici e pri-vati di fondamentale importanza: l’esercito, gli impieghi statali, il partito fascista e le sue organizzazioni, le asso-ciazioni culturali e per il tempo libero. Vengono anche stabiliti i criteri per definire l’appartenenza alla “razza ebraica”, che includono anche gli ebrei convertiti ad altre religioni e i figli di matrimonio misto. Sono 51.000 per-sone, delle quali diecimila stranieri. Circa 6.000 si tra-sferiscono all’estero prima della chiusura delle frontiere; principalmente negli Stati Uniti, in America Latina e, se possibile, in Palestina. Negli anni successivi molti altri ebrei si allontanano dall’Italia. Agli inizi del settembre 1943 sono 32-33.000 gli ebrei, italiani e stranieri, pre-senti sul territorio. La definizione italiana di ebreo è legata alle origini fa-miliari e alle scelte personali. È considerato ebreo (a) chi è nato da genitori di cui uno di “razza ebraica” e l’altro straniero (b) chi è nato da madre di “razza ebraica” qua-lora fosse ignoto il padre; (c) chi, pur avendo un solo genitore di “razza ebraica”, abbia compiuto una scelta a favore dell’ebraismo, appartenendo alla religione ebrai-ca, o risultando iscritto a una comunità israelita. Vengono tuttavia individuati ebrei “discriminati”, ebrei che possono godere di certi privilegi, a differenza degli ebrei “non discriminati”, cioè non privilegiati. L’esclusione degli ebrei dalla vita sociale e politica ita-liana permetterà ai nazifascisti, dopo l’istituzione della Repubblica Sociale di Salò (RSI) nel 1943, di procedere in modo sistematico all’internamento e alla deportazio-ne della popolazione ebraica. 3.14LE LEGGI RAZZIALI IN ITALIA
3] Deportazione134EBREI O ITALIANI?“Uno dei miei cari amici mi insultò in spiaggia. Mi disse: ‘Fanno bene a distruggervi a voi giudei!’ E io feci una grande scazzottata. Poi una persona saggia ci chiamò, ci parlò, diventammo amici per la pelle e siamo sempre rimasti amici per la pelle. Le leggi razziali... io pensavo proprio che fosse una buffonata, una cosa che passava. Io che avevo fatto di male? Io ero ebreo, ma che significa? Non ci credevo, e tanti come me non ci hanno creduto. E poi io ero stato fascista fino al giorno avanti... “ (Eugenio Sermoneta) “Gli altri scolari che erano con me in classe, quando fui estromesso dalla scuola, lentamente sparirono dalla circolazione e se mi incontravano per strada giravano la testa.” (Luigi Sagi) “Papà era impiegato alle poste: venne cacciato anche lui per le infami leggi […] Quando sono arrivate queste leggi, noi siamo rimasti sconvolti dal comportamento dei vicini, quelli che coabitavano nello stesso palazzo, nelle stesse strade. Abbiamo visto la gente che guardava da un’altra parte o che ci guardava come se non esistessimo, guardava traverso. Questa è stata la cosa più sconvolgente, più penalizzante e più inspiegabile. Qualcosa che accade al tuo vicino di casa, della porta accanto, quello con cui hai diviso giorni lieti, tristi, quello con cui hai giocato, quello che hai invitato a casa a mangiare, quello col quale hai fatto una gita fuori. Da un giorno all’altro il buio più completo, il silenzio più totale. Era-vamo italianissimi, da parecchie generazioni, e da un giorno all’altro questa italianità è stata calpestata, è stata ignorata e siamo stati trattati peggio che ladri, peggio che criminali. Io ancora non ho una risposta a questa cosa.” (Nedo Fiano) “Alla scuola ebraica di Firenze è stata una crescita accelerata […] Noi eravamo preparati anche per temi d’italiano contro gli ebrei. Mi ricordo che il professor Ventura disse: ‘Voglio che vi prepariate anche per il caso in cui vi venisse proposto un tema razzista.’” (Nedo Fiano) “Subito dopo l’8 settembre mio papà disse: ‘L’avvocato Meda ci consiglia di scappare’. Era la prima volta che avevo sen-tito questa parola: ‘scappare’. Scappare è così terribilmente negativo come termine... è un ladro che scappa, è qualcuno inseguito che scappa. Beh, noi non eravamo ladri, ma certamente eravamo inseguiti.” (Liliana Segre) “Fui svejato da mio nonno, dicendomi che c’erano i tedeschi in casa, ci dovevamo alzà tutti. Ho visto pure il tedesco con questo pezzo di carta in mano, che indicava che dovevamo uscire, portà via l’orao, roba di mangiare, qualche cosa di biancheria e dovevamo andà giù co loro in piazza che c’erano dei camio. Siamo usciti di casa come avevano detto le SS, ma invece di andare verso il ghetto, che ci portavano via, mio nonno fece un’altra strada: andò verso piazza Mattei. Lì fortunatamente nun c’era sorveglianza e ci salvammo. Siamo arrivati fino sulla via Aurelia, che si va verso il mare, ma non ce la facevamo più, avevamo preso tanta acqua, abbiamo deciso di tornare indietro. E siamo tornati nella casa da dove eravamo scappati la mattina. Avevo paura, ma sono uscito e sono andato in cerca di qualcuno dei miei famigliari: il ghetto era tutto vuoto. Lì c’era un silenzio di tomba, avevano portato via tutti.” (Giacomo Moscato) Testimonianze tratte da M. Pezzetti, Il libro della Shoah italiana, Torino, Einaudi, 2009.
3] Deportazione135IL MANIFESTO DELLA RAZZA In Italia, il 14 luglio 1938 viene pubblicato senza rme sul “Giornale d’Italia” il Manifesto degli scienziati razzisti, diviso in dieci paragra: • le razze umane esistono, corrispondono ad una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi; • esistono grandi razze e piccole razze; • il concetto di razza è un concetto puramente biologico; • la popolazione dell’Italia attualmente è ariana e la sua civiltà è ariana; • è una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici, perché dopo l’invasione dei Longobardi non ci sono stati in Italia altri notevoli movimenti di popoli capaci di inuenzare la sionomia razziale italiana; • esiste ormai una “pura razza italiana”; • è tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti; • è necessario fare una distinzione tra i mediterranei d’Europa (occidentali) da una parte, gli orientali e gli africani dall’altra; • gli ebrei non appartengono alla razza italiana; • i caratteri sici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo. LA PUREZZA DEL SANGUE “Basterebbe che ogni italiano, in una di quelle domande rivolte alla propria coscienza che neppure il fascismo può impedirgli di porsi, si chiedesse di che razza è, da dove viene il colore dei suoi occhi o della sua pelle, perché l’’antica purezza del sangue’ proclamata dal Ministero della Cultura Popo-lare prenda un aspetto assurdo.” da F. Venturi, La razza italiana o l’ita-liano allo specchio, in “Giustizia e Libertà”, 29 aprile 1938.
3] Deportazione136Nel 1943 incomincia la persecuzione fisica. Con l’occupazione nazista i nemici del fascismo diven-tano nemici del nazismo. Insoddisfatto dell’atteggia-mento italiano, Hitler dice a Mussolini: “se in Italia gli ebrei continuano a essere rispettati e onorati, voi scon-fessate indirettamente di fronte al mondo la mia opera principale”. I tedeschi, che dopo l’armistizio dell’8 set-tembre subentrano alle autorità italiane in tutti i centri di potere, ricevono immediato appoggio operativo nel-la persecuzione antiebraica da parte della RSI. Cominciano le deportazioni dall’Italia: a metà settem-bre i primi ebrei vengono deportati da Merano, con de-stinazione ultima Auschwitz, in contemporanea con i primi eccidi sul lago Maggiore, e il 18 ottobre vengono deportati, direttamente ad Auschwitz, più di mille ebrei del ghetto di Roma. A novembre il programma del Par-tito fascista repubblicano, sottoscritto dal plenipoten-ziario del Reich Rudolf Rahn, enuncia al punto 7: “gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri, durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”. Con l’“Ordine di polizia n. 5”, un telegramma inviato ai capi delle 67 province di Salò il 1° dicembre, il Ministro de-gli interni Buffarini Guidi ordina l’arresto e l’interna-mento degli ebrei italiani e stranieri “in appositi campi di concentramento” provinciali, nonché il sequestro dei loro beni. Gli ammalati e gli anziani sono inizialmente esentati, contrariamente a quanto avviene in territorio tedesco. I campi provinciali, utilizzati solamente per due mesi, sono almeno 33. Le deportazioni degli ebrei dall’Italia vengono in un primo momento gestite concentrando i deportati nelle carceri di grandi città (Milano, Firenze, Bologna) e gli arresti e le deportazioni sono gestiti dal reparto mobile di Theodor Dannecker, capitano delle SS. Nella seconda fase, dopo il gennaio 1944, con l’apertura di un ufficio antiebraico stabile al comando di Friedrich Bossham-mer, con sede a Verona, gli ebrei vengono concentrati nel campo di raccolta e di transito di Fossoli, l’“anticamera della morte”, sostituito dall’agosto del 1944 dal campo 3.15LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI ITALIANI
3] Deportazione137di Bolzano-Gries. Un meccanismo analogo regola le deportazioni dal Litorale Adriatico (l’Adriatisches Künstenland), un’amministrazione civile tedesca che risponde diretta-mente a Hitler: inizialmente il pun-to di raccolta è il carcere Coroneo di Trieste, e in un secondo momento la Risiera di San Sabba, un campo di transito con pratiche di sterminio dove anche numerosi antifascisti e partigiani, arrestati direttamente dalla polizia tedesca senza interme-diazione italiana, vengono tortura-ti e uccisi. Gli altri ebrei deportati finiscono nei Konzentrationslager e Vernichtungslager tedeschi, princi-palmente ad Auschwitz, ma in alcu-ni convogli eccezionali o per cause particolari anche a Buchenwald, Ravensbrück, Bergen-Belsen e Flos-senbürg. Il numero di vittime della Shoah provenienti dall’Italia fino ad ora accertate ammonta a 8.529 per-sone. Tra i 6.806 e i 7.856 ebrei sono stati deportati: di essi almeno 5.969 hanno trovato la morte nei campi e 322 sono deceduti in Italia in sta-to di detenzione, durante la fuga o morti suicidi. A queste cifre vanno aggiunti i 1.819 ebrei dei possedi-menti italiani del Dodecaneso, de-portati ad Auschwitz, dei quali si sono salvati solo in 180. I dati sono ancora oggi in fase di aggiornamen-to e probabilmente non sarà possi-bile riportare alla luce i nomi di tut-te le vittime: sono ancora centinaia infatti le persone disperse ancora non identificate. IN ALTOLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEGLI EBREI ITALIANI DEPORTATI ARRIVA AD AUSCHWITZ
3] Deportazione138L’opposizione al fascismo, manifestata n dagli anni Venti in varie forme, nonostante la repressione non viene mai del tutto eliminata. Sebbene siano scarse le possibilità di incidere nell’immediato sulla vita politica italiana, sono in questo modo tenuti vivi gli ideali che saranno alla base della fondazione dell’Italia repubblicana. In Italia l’opposizione di operai, contadini, militanti so-cialisti, comunisti e cattolici viene investita dalla violenza dello squadrismo e, con il fascismo al potere, n da subito molti oppositori politici iniziano a lasciare il paese volon-tariamente. È l’“emigrazione politica”: sono circa sessanta-mila i cosiddetti “fuoriusciti”.Il regime fascista, antidemocratico e repressivo, emana nel 1926 le “leggi eccezionali” contro gli antifascisti. Il Tribu-nale speciale, attivo no al 1943, inigge condanne a mor-te, al carcere e la misura del “conno” che colpisce circa quindicimila antifascisti.Inoltre, a parte i comunisti che cercano di conservare una presenza organizzata nel paese, prosegue costante l’emi-grazione politica: molti antifascisti si rifugiano all’estero, in particolare in Francia, Stati Uniti e Unione Sovietica.Oltre ai comunisti, è molto attivo il movimento Giustizia e Libertà (GL), fondato nel 1929 da Carlo Rosselli, che si ispira al liberalismo radicale del torinese Piero Gobetti, morto in seguito alle violenze squadriste. Carlo e il fratel-lo Nello vengono uccisi nel 1937 a Parigi da sicari inviati 3.16I NEMICI DEL NAZISMO E DEL FASCISMO IN ITALIAPARTIGIANI IMPICCATI DAI NAZIFASCISTI SUL CIGLIO DI UNA STRADA
3] Deportazione139dal fascismo. Giustizia e Libertà pre-vede una lotta al fascismo condotta con sistemi rivoluzionari, vista come momento di rinascita morale e politi-ca dell’Italia e come premessa per l’in-staurazione di una società che unisca libertà politica e giustizia sociale. Migliaia di antifascisti italiani com-battono nella guerra civile spagnola (1936-1939) nelle la delle Brigate Internazionali, imparando a com-battere con tecniche di guerriglia, e creando così le basi per la futura Re-sistenza armata. Nel 1938 oltre agli antifascisti colpi-ti dalle “leggi eccezionali”, diventano nemici del fascismo anche gli ebrei, colpiti dalle leggi razziali. Dal set-tembre 1943, con l’occupazione te-desca, sia gli antifascisti che gli ebrei sono considerati anche nemici del nazismo. Il gruppo di deportati dall’Italia nei campi di concentramento e stermi-nio comprende dunque sia coloro che vengono deportati a causa del loro “essere”, quindi per motivi “razziali”, sia coloro che sono stati deniti “po-litici”, deportati in ragione del loro “fare”, almeno in linea teorica.In entrambi i casi sono considerate persone colpevoli, consapevolmen-te o meno, di intralciare in qualche modo – anche semplicemente con il fatto stesso di esistere – i progetti del Reich e l’ideologia nazista. I deportati dall’Italia, “razziali” e “politici”, sono oltre trentamila, dei quali poche mi-gliaia faranno ritorno a casa. UN RISCHIO DIFFUSO La deportazione risulta essere non un evento eccezionale ma possibile della guerra, un rischio diuso. Vi è però sempre un elemento comune: il deportato è una persona che non è in regola con le direttive emanate dai tedeschi, è un trasgressore a quello che veniva imposto e, in questo senso, coloro che vengono inviati nei campi non sono allineati con gli occupanti e con il regime fascista di Salò. [F. Cereja] “Io e mio fratello, sedici e quindici anni circa, eravamo inconsapevoli della gravità della situazione. Uscivamo continuamente dal garage dove eravamo nascosti, mentre i miei genitori erano sempre rintanati dentro. Un giorno decidemmo di andare alle corse dei cavalli, che io ero un grande appassionato... e viziato. Era l’ippodromo di Villa Glori, che oggi non esiste più. E purtroppo lì hanno fatto una spiata che noi eravamo ebrei, perché mica avevo scritto in fronte che io ero ebreo! C’hanno preso in quattro […] Ci hanno venduto ai tedeschi come carne da macello. Questa è la pura verità.” [G. Moscato, ex deportato] “Ti pigliavan magari per la strada durante un rastrellamento, ti mettevan su un vagone e andavi a nire a Mauthausen. Per caso, così, perché eri un disoccupato, perché eri uno che… C’è gente che è arrivata laggiù in pieno gennaio o febbraio in maniche di camicia, perché l’han presa che stava giocando a biliardo. C’era gente che non ne poteva assolutamente niente e che era stata dirottata lì, e che di lì non usciva più: non è che potesse fare i ricorsi per uscire, ormai era lì e seguiva la sorte degli altri.” [G. Fioris, ex deportato] “Prima di portarmi a Pordenone mi fecero passare davanti al municipio di Porcia per farmi vedere tre partigiani impiccati alle grate delle nestre: ‘Questa sarà la tua ne’. A Pordenone […] mi arriva il primo pugno in faccia; poi altri, perché dicevo che non conoscevo nessuno, non avevo contatti con i partigiani. […] Mi facevano dei tagli con un coltello e mi mettevano dentro del sale. Sentivo che bruciava: ogni domanda alla quale io non rispondevo era un taglio. Comunque io non ho parlato. Nella notte dovevo essere impiccato. Il campanile scandiva le ore. […] Alle 9 mi hanno fatto uscire e han detto: ‘No, non lo impicchiamo. Tanto lo mandiamo in Germania’.” [L.Rigardo, ex deportato]
3] Deportazione140PRIMA DEL LAGERQuesta mia testimonianza è uno sfogo, un tentativo di liberare l’animo mio dalla profonda angoscia che da lunghi anni mi opprime e mi perseguita. Spesso mi si dice che sono strano. È forse vero. La mia vita è stata distrutta a Birkenau. Sono trascorsi oltre cinquant’anni da quegli atroci avvenimenti e non sono riuscito ancora, non sono stato capace di reinserirmi nella società civile. Mi trovo sempre dentro quel campo maledetto, non sono mai uscito di lì.[Leone Fiorentino, ex deportato]Il percorso che precede il lager è una sorta di piano inclinato, della cui inedita portata in pochi sembrano rendersi realmente conto contestualmente ai fatti. Sarà la memoria successiva di quegli eventi, nella maggior parte dei casi, a tracciare il contorno di quel baratro senza scampo, provando a restituire a chi sarà disposto ad ascoltarli la violenza dell’impatto con il campo, quasi sempre del tutto inaspettato. Non si deve però di-menticare, nel loro vissuto, anche il tratto delle loro storie di vita che precede il lager: in esso si trovano alcuni elementi che non vanno trascurati. Si può dividere il periodo precedente all’arrivo in lager in tre grandi fasi: la cattura; la prigionia che precede la deportazione; il trasporto.La prima fase non è un avvenimento imprevisto per la maggior parte dei deportati, anzi. Se da un lato gli ebrei italiani hanno vissuto dalle leggi razziali del 1938 nell’atte-sa di una catastrofe, con sempre meno mezzi (motivazionali, concreti, economici) per sopravvivere “alla bufera” (F. Levi), e percepiscono la cattura talvolta quasi come una liberazione; d’altro canto gli antifascisti e i partigiani vivono anch’essi nel pericolo da quando hanno portato la loro scelta di consapevole opposizione alle estreme conse-guenze, in anni più o meno recenti (in prigionia, in esilio, in clandestinità). E spesso lo rivendicano con erezza prima della fucilazione, o della deportazione. Rimane una quantità cospicua di arrestati per altre ragioni – il “rischio diuso” della deportazione valeva per tutti – per i quali invece anche l’arresto giunge parzialmente inatteso. Quasi tutti però faticheranno a dimenticare i volti – spesso italiani – di chi li ha braccati e catturati.Il carcere è indubbiamente un’esperienza che – soprattutto nel caso dei più giovani – segna profondamente i futuri deportati: nelle prigioni non sono rare le torture e le fucilazioni. L’angoscia molto diusa che ne consegue fa sì che in alcuni casi venga accolta con gioia la notizia della futura deportazione, nelle carceri dell’Italia centro-settentrionale come nei campi di transito allestiti dai nazifascisti. Comincia l’appello, i deportati vengono stipati – sovente all’inverosimile – sui treni piombati: carri merci e carri bestiame.Poi il viaggio. L’esperienza del trasporto separa nettamente la vita precedente da quella che verrà. I deportati non vedranno solamente la morte di massa in lager, ma la vivran-no, la “percorreranno da cima a fondo” (J. Semprún).
3] Deportazione141I deportati italiani sono oltre trentamila uomini e don-ne che arrivano nel sistema concentrazionario nazista, dove le condizioni sono talmente brutali che il tasso di sopravvivenza sarà drammaticamente basso. Oltre due terzi di essi sono deportati politici.Tra il settembre 1943 e i primi mesi del 1945 partono dall’Italia numerosi convogli sui quali viaggiano quelli che, in lager, vengono definiti “triangoli rossi”: i depor-tati per motivi politici. La Polizia di sicurezza tedesca deporta in Germania tutti gli italiani colpevoli di disob-bedienza, opposizione e dissenso verso il Reich. Sono comunemente considerati “deportati politici” i partigia-ni, i militanti antifascisti, i militari italiani sotto proces-so, i renitenti alla leva delle classi 1923, 1924 e 1925, i sindacalisti di fabbrica, gli antifascisti emigrati in Fran-cia e poi catturati dalla Gestapo nell’autunno del 1943, i prigionieri angloamericani evasi all’armistizio. Vengono arrestate e deportate anche categorie della società civi-le che non prendono direttamente parte ad attività an-tifasciste o antinaziste: sacerdoti e pastori protestanti, borsaneristi, operai arrestati in seguito agli scioperi del 1944, ostaggi, detenuti comuni in espiazione di pena o in attesa di giudizio, persone prelevate al posto di qual-che familiare, fuggiaschi dal Meridione presi ai posti di blocco, chiunque sia sospettato di aiutare gli ebrei o di attività “ostili allo Stato”, ma anche molte persone ra-strellate a caso, “colpevoli” di trovarsi nel posto sbaglia-to al momento sbagliato. Sono in tanti dunque i deportati che arrivano in lager senza una vera coscienza politica. L’esperienza estrema del lager si rivela in molti casi una vicissitudine che, ol-tre a portare dolore e sofferenza, crea in queste persone un profondo cambiamento e li rende a tutti gli effetti dei “politici”. 3.17I DEPORTATI POLITICI ITALIANI IN ALTOLE CAVE DI PIETRA DEL LAGER DI MAUTHAUSEN, DOVE FURONO COSTRETTI AI LAVORI FORZATI MOLTI DEI DEPORTATI POLITICI ITALIANI ED EUROPEI
3] Deportazione142Borgo San DalmazzoIl campo di Borgo San Dalmazzo, presso Cuneo, ha la fun-zione di campo di raccolta di ebrei italiani e non. È in fun-zione tra l’8 settembre e il 21 novembre 1943 e poi ancora tra il 9 dicembre e il 13 febbraio 1944. Dal campo di Borgo passano circa quattrocento persone, la maggior parte delle quali ha come meta nale il campo di Auschwitz. Il campo è collocato in una caserma degli alpini. Con l’8 settembre viene meno il controllo italiano sui di-partimenti della Francia meridionale occupati nel 1942. In particolare la zona italiana del Nizzardo e delle Alpi ma-rittime ha accolto tra il 1942 e il 1943 diverse migliaia di ebrei non francesi rifugiati nella Francia meridionale con un sistema di “residenze forzate” che hanno assicurato una precaria ma complessiva sicurezza e che ha permesso agli ebrei di scampare alla persecuzione nazista no all’armisti-zio. Dopo l’8 settembre, convinti che l’Italia rappresenti un territorio sicuro, molti ebrei si spostano nei territori della valle Gesso e nei territori circostanti Borgo San Dalmaz-zo. Negli stessi giorni, intorno al 12 settembre, i nazisti occupano Cuneo. Il 18 settembre un bando del comando SS intima agli stranieri intorno a Borgo San Dalmazzo di presentarsi al “Comando Germanico”. Trecentoquaranta-nove persone, soprattutto ebrei polacchi, francesi e tede-schi, si presentano spontaneamente o vengono catturate e rinchiuse nei locali della caserma. Il 21 novembre 1943, su ordine dell’Ucio della Gestapo di Nizza i prigionieri sono condotti alla stazione e avviati verso il campo di transito di Drancy, in Francia, dove vengono caricati su carri bestia-me con destinazione Auschwitz.Il convoglio che il 22 febbraio parte da Fossoli con desti-nazione Auschwitz, sul quale si trova Primo Levi, raccoglie anche ventitre ebrei catturati e rinchiusi dai fascisti a Borgo San Dalmazzo.Risiera di San Sabba Il 5 ottobre del 1943 Friuli e Venezia Giulia, insieme alla zona di Lubiana, vengono annesse al Terzo Reich e co-stituiscono il Territorio del Litorale Adriatico, l’Adriati-sches Küstenland. A Trieste, Friedrich Rainer, esponente dell’ala più ol-tranzista del nazionalsocialismo austriaco, sceglie la Ri-siera di San Sabba, ex stabilimento industriale adibito alla pilatura del riso, come luogo dove istituire un cam-po di concentramento “per i nemici del Reich e per gli e b r e i”.Dall’inizio del 1944 San Sabba diviene così un Polizei-und Durchgangslager, campo di polizia e di transito per i deportati verso Buchenwald, Dachau e Auschwitz, ini-zialmente da Trieste, Udine, Gorizia, Fiume, Pola, Mon-falcone e Abbazia e, sul finire del conflitto, anche da Ve-nezia e Padova. Nelle celle di San Sabba passano tra i sette e gli ottomila arrestati: italiani e slavi, uomini e donne, detenuti “po-litici” e “razziali”. Alla Risiera si pratica anche lo ster-minio: i prigionieri vengono eliminati per gassazione, attraverso automezzi appositamente attrezzati, per fu-cilazione o con un colpo di mazza alla nuca del “boia”, l’SS Otto Stadie. Le esecuzioni di massa avvengono due volte alla settimana, quelle individuali praticamente tutte le notti. I cadaveri vengono poi bruciati nel forno crematorio fatto costruire dall’SS Lambert. I detenuti soppressi e bruciati alla Risiera sono almeno duemila, non tutti identificati. La Risiera viene liberata dai partigiani jugoslavi il 29 aprile del 1945, quando i nazisti hanno già fatto saltare l’edificio del forno crematorio per distruggere le prove dei loro misfatti. I due responsabili del campo saranno processati e condannati da un tribunale italiano. 3.18I CAMPI DI CONCENTRAMENTO IN ITALIA
3] Deportazione143Fossoli Il campo, che si trova a Carpi, in provincia di Modena, vie-ne creato nel 1942 dall’esercito italiano per la detenzione di prigionieri di guerra britannici. Con l’occupazione tedesca dell’Italia settentrionale i prigionieri britannici vengono trasferiti nei lager e Fossoli diventa un Durchgangslager, campo di transito. Dal febbraio 1944 è controllato diretta-mente dai tedeschi e vi sono concentrati sia ebrei sia pri-gionieri politici. Il campo, circondato da una duplice barriera di lo spi-nato e controllato da torrette, può contenere seimila pri-gionieri. È diviso in due settori: “campo nuovo” e “campo vecchio”, dove si trovano un’ottantina di baracche in legno e muratura, le quali possono ospitare no a trecento per-sone ciascuna. Tra l’ottobre 1943 e l’agosto 1944 da Fossoli partono cir-ca cinquemila persone: metà sono prigionieri politici; l’al-tra metà sono ebrei, circa un terzo di tutti quelli deportati dall’Italia. Tra essi c’è anche Primo Levi. Nell’agosto 1944 la guerra investe tutto l’Appennino emi-liano, e la provincia di Modena diviene zona di operazioni. Vengono deportati anche gli ebrei “misti” e il campo vie-ne chiuso. I prigionieri rimasti sono trasferiti nel campo di Gries, a Bolzano. Subito dopo la guerra, nell’autunno del 1945, Fossoli viene convertito in centro di raccolta per pro-fughi stranieri, e continua a svolgere la funzione di area abi-tativa d’emergenza no alla prima metà degli anni Sessanta. Gries-Bolzano Sorto nel luglio 1944, a 280 chilometri dal conne con il Reich, il campo di Gries si estende su un’area di 18.000 me-tri quadrati, ricavata da un agglomerato di capannoni mili-tari e di autorimesse. Il campo è attivo dal 21 luglio del 1944 all’aprile 1945. Gries può contenere no a millecinquecento persone, ma nell’in-tero periodo vengono rinchiusi almeno 11.116 prigionieri e il numero medio di internati giunge a sorare i quattro-mila. Il campo è circondato da un muro invalicabile di lo spinato ed è sorvegliato ai quattro angoli dalle torrette delle sentinelle con mitragliatrici e riettori. Lo stesso sta di Fossoli comanda il campo di Bolzano, in particolare il tenente Titho e il maresciallo Haage. Come Fossoli, Gries è un campo di transito verso i lager del Reich, in particolare per i deportati politici. Quando Gries viene smantellato le SS distruggono tutta la documentazione. A ricordarlo non resterà che una piccola lapide. I CAMPI DI CONCENTRAMENTO D’ITALIA E I CRIMINALI DI GUERRA IMPUNITI L’Italia fascista, dopo essersi già distinta per le proprie crudeli innovazioni (in particolare l’uso dei gas tossici) nel tentativo di creare il proprio impero sul continente africano, si rivela altrettanto spietata anche durante la seconda guerra mondiale. Nell’aprile 1941 il regno jugoslavo è invaso e domato in soli dieci giorni dai tedeschi, aiutati dagli italiani. I nazifascisti si spartiscono i territori conquistati, e all’Italia spetta la regione più vicina alla penisola. Il generale Mario Roatta, denito “la bestia nera” dai suoi stessi uomini, ordina n da subito alle truppe di occupazione di rastrellare, giustiziare e deportare la po-polazione locale. Gli italiani costruiscono più di duecento campi di prigionia tra Italia, Jugoslavia e Albania, nei quali vengono deportati circa centocinquantamila jugoslavi. Tra di essi si trovano quasi tutti gli intellettuali della regione. Nella provincia di Lubiana quasi metà della popolazione è internata, e solo nel campo di Kampor, in funzione per circa dieci mesi, migliaia di uomini, donne e bambini sloveni muoiono di fame e di sete. Migliaia di jugoslavi, compresi i partigiani, vengono sterminati, per lo più a sangue freddo, nei territori di Slovenia, Montenegro e Dalmazia dalle truppe fasciste (cinquecentomila secondo una stima del 1946 della Commissione di stato jugoslava, anche se questa sembra una sovrastima: corrisponderebbe infatti all’80% della popolazione). Alla ne della seconda guerra mondiale la Jugoslavia, l’Etiopia e la Grecia chiedono all’Italia l’estradizione dei suoi criminali di guerra per poterli punire per le atrocità da loro commesse all’estero. I ricercati italiani in Africa, nei Balcani e in Europa am-montano a 1.283. Tuttavia, a causa del nuovo clima della Guerra Fredda, essi non vengono estradati né puniti: i paesi atlantici, comprendendone le posizioni strategiche, vogliono reintegrare totalmente la Repubblica Federale Tedesca e Italia nel “blocco americano”, e per questa ragione aossano numerose indagini per punire i crimini nazisti e fascisti.
3] Deportazione144IL BOIA DI BOLZANO “Aveva una voce stridula, sottile, da donna, e una risata sadica che ancora oggi mi mette i brividi. Quando seviziava i prigionieri godeva: l’ho visto uccidere un ragazzo per niente.”[Testimonianza di una sopravvissuta del lager di Bolzano] L’ex uciale delle SS Michael Seifert è nato a Landau, in Ucraina, il 16 marzo del 1924. Addetto alla sorveglianza dei detenuti politici del campo di concentramento di Bolzano, tra l’estate del 1944 e la primavera del 1945 si è reso responsabile di una lunga serie di delitti, soprattutto omicidi e torture. Fuggito all’estero subito dopo la guerra, nel 1951 si è rifugiato a Vancouver (Canada), città nella quale è vissuto nell’anonimato no a quando nel 2000 è stato raggiunto e scoperto da un giornalista del Vancouver Sun. Il processo a suo carico (quindici i capi d’accusa) si è celebrato presso il Tribunale militare di Verona, che gli ha initto la pena dell’ergastolo, condanna diventata ormai denitiva. In seguito, la procura ha avviato le pratiche per l’estradizione a cui il Canada ha dato un primo assenso. AUSCHWITZ
3] Deportazione145OPTION - UMSIEDLUNG - WELTKRIEG 1939 - 45OPZIONE - TRASFERIMENTO - GUERRA MONDIALE 1939-1945Der „Anschluss“ Österreichs (13.03.1938) war ein großer Erfolg Hitlers und eine Niederlage nicht nur für die demokratischen Länder wie Frankreich und England, sondern auch für das faschistische Italien. Mussolini, der nun auch einen künftigen Verlust Südtirols befürchtete, begann deshalb trotz der oziell zur Schau gestellten Freundschaft mit Hitler im Rahmen der Achse Rom-Berlin mit dem Bau des gigantischen Befestigungsgürtels, des Vallo Alpino del Littorio, im Grenzgebiet Reschen – Brenner – Innichen.So sahen sich die beiden Diktatoren im Sommer 1939, kurz vor Beginn des bereits geplanten Krieges, veranlasst, den einzigen noch bestehenden Zankapfel des Achsenbündnisses, nämlich Südtirol, denitiv zu lösen.Es wurde die Politik der „ethnischen Säuberung“ durch Option und Umsiedlung vereinbart: das zukünftig rein italienische Ter-ritorium sollte Mussolini verbleiben, während Hitler sein Anspruch auf die „volksdeutschen“ Menschen in Südtirol garantiert werden sollte.Ziel Hitlers war deshalb eine „Totalumsiedlung“, um möglichst viele Menschen aus Südtirol als Arbeitskräfte für die Rüstung-sindustrie und Landwirtschaft des Dritten Reiches, als Soldaten für den Krieg und als „Siedlungsmaterial“ zur Germanisierung der neu eroberten Gebiete im Osten (CSR, Polen, Sowjetunion) zu gewinnen. Mussolinis Interesse hingegen war eine „Teilum-siedlung“, nämlich so viele deutschsprachige Menschen aus Südtirol, vor allem aus den Städten und größeren Zentren, aus-zusiedeln, dass eine Mehrheit von italienischer Bevölkerung geschaen und damit endgültig die Gefahr einer Bedrohung der Brennergrenze gebannt werden sollte.Die in einem Klima massiver Propaganda von Versprechungen bzw. Drohungen und Anwendung physischen und psychischen Terrors stattndende Entscheidung erbrachte Ende 1939 ein Ergebnis von ca. 86% „Optanten“ für die Auswanderung und ca. 14% „Dableibern“ für den Verbleib in Südtirol. Den „Optanten“ war z. B. die Wiederansiedlung in einem „geschlossenen Siedlungsgebiet“ (zuerst im polnisch-tschechischen Grenzgebiet der Beskiden, später im besetzten, französischen Burgund) versprochen, den „Dableibern“ hingegen eine even-tuelle Deportation nach Sizilien angedroht worden. Dieses fast plebiszitäre Ergebnis war nur möglich geworden, weil sich die illegalen Nationalsozialisten des „Völkischen Kampfringes Südtirol“ total für die „geschlossene Auswanderung“ eingesetzt hat-ten. Die Optionsentscheidung bedeutete eine totale Spaltung der Südtiroler Gesellschaft: Streit und politisch-weltanschauliche Gegnerschaft zerbrach oft Freundeskreise und Familien, Hass und Feindschaft spaltete ganze Dörfer bis zur Unversöhnlichkeit. Die kleine Minderheitsgruppe der „Dableiber“ war in den Kriegsjahren 1939 – 1945 einem massiven, sozialen und politischen „mobbing“ von Seiten der Mehrheitsgruppe der „Optanten“ ausgesetzt. Diese Spaltung und Feindschaft hat auch nach Krieg-sende in vielen gesellschaftlichen Beziehungen noch lange nachgewirkt (so war es z.B. in manchen Dörfern unvorstellbar bzw. BEIM UMZUGEMIGRANTI E I LORO BENI
3] Deportazione146unmöglich, dass Kinder aus Optanten- und Dableiberfamilien heirateten!).Von den ca. 210.000 „Optanten“ sind infolge der Kriegsereignisse lediglich etwa 75.000 tatsächlich ausgewandert. Es waren dies vor allem die besitzlosen, sozial niederen Schichten in den größeren Zentren des Landes. Neben dem Ausbau der Industriezone Bozen sind bis 1943 italienische Einwanderer v.a. in diese frei werdenden Arbeitsplätze von Südtiroler Umsiedlern nachgerückt, so dass bei Kriegsende 1945 neben ca. 170.000 deutschsprachigen Südtirolern ca. 100.000 Italiener im Lande wohnten.Nach der Absetzung Mussolinis (25.07.1943) und dem Austritt Italiens aus dem Krieg an der Seite des Dritten Reiches (08.09.1943) wurde Südtirol von den deutschen Truppen besetzt, mit den Provinzen Trient und Belluno zur „Operationszone Alpenvorland“ zusammengeschlossen, dem Dritten Reich angegliedert und dem NS-Gauleiter in Innsbruck unterstellt. Die eigentliche politi-sche Macht in Südtirol übernahmen aber nun die politischen Funktionäre der „Optanten“ von 1939. Viele Südtiroler gaben sich damals der Illusion hin, nun würde Südtirol vom „faschistischen Joch“ befreit. Zwar wurde die unter dem Faschismus verbotene deutsche Sprache in den öentlichen Ämtern und in der Schule wieder eingeführt sowie die bi-sherigen faschistischen Amtsbürgermeister durch deutschsprachige, vom NS-Gauleiter ernannte Bürgermeister ersetzt, aber ansonsten bekam Südtirol nun auch voll die Auswirkungen des „totalen Krieges“ und des NS-Terrors zu spüren.Alle Wehrpichtigen der Jahrgänge 1896 – 1926 wurden einberufen, gegen Deserteure und Wehrdienstverweigerer wurde die „Sippenhaft“ angewendet und in Bozen wurde das Polizeiliche Durchgangslager errichtet. Mindestens 11.000 Personen (Juden, Partisanen bzw. deren Familienangehörige als Sippenhäftlinge, Sinti und Roma) waren in diesem Lager zeitweise inhaftiert und wurden dann in die NS-Vernichtungslager deportiert. Auch Südtiroler – als Aufseher wie als internierte Sippenhäftlinge – befan-den sich in diesem Lager.In beiden Sprachgruppen entstand seit dem September 1943 eine kleine Widerstandsbewegung: der Andreas-Hofer-Bund (AHB) unter der Führung von Hans Egarter und das Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) unter der Führung von Manlio Longon. Die Repression durch den NS-Terror war hart. Im Dezember 1944 wurde die gesamte CLN-Führung durch die Gestapo verhaftet, Manlio Longon wurde zu Tode gefoltert, mehrere Mitglieder wurden ins KZ deportiert. Ebenso wurden mehrere Angehörige des AHB eingesperrt, ins KZ deportiert bzw. hingerichtet.Nach den schlimmen Erfahrungen von 20 Jahren faschistischer (1922 – 1943) und 20 Monaten nationalsozialistischer Herrschaft (September 1943 bis Mai 1945) waren die Beziehungen zwischen den Sprachgruppen in Südtirol ausgesprochen schlecht. Sie standen mehr oder weniger ohne Kommunikation, mit gegenseitigen kollektiven Schuldzuweisungen und Vorurteilen behaftet, mit dem Rücken zueinander. Die Überwindung des schrecklichen Erbes von Faschismus und Nationalsozialismus, die Wiederher-stellung demokratischer Strukturen, eines Klimas des gegenseitigen Vertrauens und der Zusammenarbeit erwies sich als wesen-tlich schwieriger als die Reparierung der materiellen Schäden, die die beiden totalitären Regimes angerichtet hatten.Leopold SteurerUMSIEDLER TRAGEN UMZUGSZUG CONGEDO DEGLI OPTANTI
3] Deportazione147La deportazione politica e razziale dall’Italia è gestita dal-la Reichsbahn (Ferrovie del Reich): i trasporti dei “politici” viaggiano sotto la sigla SIPO-SD (Sicherheitspolizei und Sicherheitsdienst – Polizia di Sicurezza e Servizio di Sicu-rezza), mentre quelli degli ebrei, diretti principalmente ad Auschwitz, sotto la sigla RSHA (Reichssicherheitshauptamt – Ucio Centrale per la Sicurezza del Reich). Per il trasporto dei deportati il RSHA ricorre ai carri bestia-me, a causa della loro grande capienza e della sorveglian-za più agevole e inoltre perché impediscono di scorgere dall’esterno i deportati. In alcuni casi, se non sono disponi-bili carri bestiame, i nazisti ricorrono alle vetture viaggiatori di terza classe. La maggior parte dei convogli dall’Italia parte da Fossoli, dalla Risiera di San Sabba e dal campo di Bolzano, e quando viene organizzato un trasporto i responsabili delle deportazioni devono contattare il responsabile delle Ferro-vie Italiane per stabilire la data e il numero di vagoni neces-sari e decidere con il Comandante della Polizia dell’Ordine quali uomini mettere di scorta al convoglio no al campo di destinazione. È la Polizia di Sicurezza ad occuparsi del carico no alla stazione, dopodiché i deportati passano nelle mani della Polizia dell’Ordine che li attende sul posto. Nel trasporto verso la stazione talvolta viene fatto suonare l’allar-me aereo perché la popolazione locale non veda. I treni utilizzati per la deportazione aspettano i passeggeri alla stazione di partenza, con i portelloni aperti, la paglia per terra e un bidone per i bisogni corporali in ogni vagone. Si parte poi verso l’“ignota destinazione”. Il viaggio è lungo e faticoso, in alcuni casi senza acqua né cibo. Dall’Italia i giorni di viaggio sono in media quattro per raggiungere Auschwitz e Bergen Belsen, due per Bu-chenwald, tre per Ravensbrück. Accade talvolta che i lager non siano pronti a ricevere subito gli arrivi, per cui i convo-gli si trovano a sostare ore, se non giorni interi, sulle rotaie, aspettando il loro turno, con i deportati chiusi all’interno. Sono almeno 123 i trasporti partiti dall’Italia, secondo la ri-costruzione di Italo Tibaldi, partigiano sedicenne deporta-to a Mauthausen nel gennaio 1944 e mancato recentemente. Tibaldi, al suo ritorno, si è dedicato per decenni allo studio della deportazione dall’Italia, ricostruendo ogni trasporto. Le principali destinazioni dei deportati italiani sono Da-chau, Mauthausen, Buchenwald, Flossenbürg, Auschwitz e Ravensbrück, e in ogni lager si prola uno scenario diverso all’arrivo del convoglio. E se a Mauthausen una lunga mar-cia in salita aspetta i deportati dopo il trauma del viaggio, ad Auschwitz avviene la selezione: chi è destinato al gas, chi invece inizia la propria – nella maggior parte dei casi bre-vissima – permanenza di fame, miseria e dolore nel lager. 3.19IL MECCANISMO DELLE DEPORTAZIONI DALL’ITALIAIL VIAGGIO DI PRIMO LEVI “Il mattino del 21 si seppe che l’indomani gli ebrei sarebbero partiti. Tutti: nessuna eccezione. Anche i bambini, anche i vecchi, anche i malati. Per dove non si sapeva. Prepararsi per quindici giorni di viaggio. Per ognuno che fosse mancato all’appello, dieci sarebbero stati fucilati. […] I vagoni erano dodici, e noi seicentocinquanta; nel mio vagone eravamo quarantacinque soltanto, ma era un vagone piccolo. […] Gli sportelli erano stati chiusi subito, ma il treno non si mosse che a sera. Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di signicato, allora e per noi; ma doveva pur corrispondere a un luogo di questa terra. Il treno viaggiava lentamente, con lunghe soste snervanti. […] Fra le quarantacinque persone del mio vagone, quattro soltanto hanno rivisto le loro case; e fu di gran lunga il vagone più fortunato. Sorivamo per la sete e il freddo: a tutte le fermate chiedevamo acqua a gran voce, o almeno un pugno di neve, ma raramente fum-mo uditi. [...] Dalla feritoia, nomi noti e ignoti di città austriache, Salisburgo, Vienna; poi céche, inne polacche. Alla sera del quarto giorno, il freddo si fece intenso: il treno percorreva interminabili pinete nere, salendo in modo percettibile. La neve era alta. Doveva essere una linea secondaria, le stazioni erano piccole e quasi deserte. Nessuno tentava più, durante le soste, di comunicare col mondo esterno: ci sentivamo ormai ‘dall’altra parte’”. da P. Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 1989.
3] Deportazione148IN VENTI MINUTI NON HAI NEMMENO IL TEMPO DI PENSARE “Roma 16 ottobre 1943.La grande razzia cominciò attorno alle 5,30. [...] Oltre duecento SS contemporaneamente si irradiarono nelle 26 zone in cui la città era stata divisa da Dannecker per catturare casa per casa gli ebrei che abitavano fuori dal vecchio Ghetto. Le SS entrarono di casa in casa arrestando le intere famiglie in gran parte sorprese ancora nel sonno. [...] La maggior parte de-gli arrestati erano adulti, spesso anziani e assai più spesso vecchi. Molte le donne, i ragazzi, i fanciulli. Non venne fatta nessuna eccezione né per persone malate o impedite, né per le donne in stato interessante, né per quelle che avevano ancora i bimbi al seno. Per nessuno. Molti romani quella mattina, trattenuti a distanza dalle transenne e dalle SS, furono muti testimoni del rastrellamento. Videro uomini vestiti sommariamente, spesso protetti da una coperta sulle spalle strappata dal letto prima di scendere in fretta le scale tallonati dai militari; bambini infagottati al freddo pungente di quell’alba piovigginosa d’ottobre; donne col cappotto frettolosamente e malamente infilato sopra la camicia da notte; giovani madri che cercavano di quietare il pianto di un bimbo lattante al seno. E udirono grida, richiami, raccomandazioni e singhiozzi. [...] Avevano consegnato a ciascuno un ordine bilingue: 1) Insieme con la vostra famiglia e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti. 2) Bisogna portare con sé viveri per almeno 8 giorni, tessere annonarie, carta d’identità e bicchieri. 3) Si può portare via una valigetta con effetti e biancheria personali, coperte, danaro e gioielli. 4) Chiudere a chiave l’appartamento e prendere la chiave con sé. 5) Ammalati, anche casi gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Infermeria si trova nel campo. 6) Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto, la famiglia deve essere pronta per la partenza.” da G. Debenedetti, 16 ottobre 1943, Milano, Il saggiatore, 1959.
3] Deportazione149MAUTHAUSEN“Quando, addossati a quel muro di pietra,nascosti da una lunga baracca,stremati dal lungo viaggio, dalla fame, dalla setesferzati da un vento gelido e taglientele ore lunghe, eterne.Il freddo, sempre più intensogelava persino i nostri pensieri!”Quinto Osano, “L’arrivo e le acciughe” in Perché ricordare. Ricordi e pensieri di un ex deportato, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1992. “Il nuovo arrivato riceveva la matricola che avevano portato prima di lui tanti altri e vi era sempre un matricola libera. I nuovi arrivati passavano sotto l’arco di entrata su cui troneggiavano tre grandi manichini di internati. Erano vestiti dell’orribile uniforme a righe dei K.L. e guardavano con gli occhi di vetro coloro che avevano pensato che la perdita della libertà fosse la pena loro initta e che si accorgevano subito tra le bastonate degli aguzzini e gli urli dei grossi cani che a Mauthausen si veniva per morire.”Giuliano Pajetta, Mauthausen, Milano, Ed. Orazio Picardi, 1946.“Una tta acquerugiola ci entrava nelle ossa: molti di noi stavano quasi per cedere alla fatica quando, sull’ultima rampa della strada in salita, ci apparve Mauthausen, la fortezza impastata di cemento e del sangue di migliaia di detenuti, il triste edicio la cui visione raggelò tutti. Prima di arrivare al portone, dal quale dicilmente si usciva vivi, notammo un campo di calcio e una piscina. ‘Saranno per noi? È mai possibile che ci riservino attenzioni come queste?’. Qualcuno si pose questa domanda: la risposta non ebbe bisogno di essere formulata. La diede l’ingresso del campo, un portone di legno fra due torri di pietre dove la luce dei riettori illuminava le mitragliatrici delle sentinelle e i li spinati attraversati dalla corrente elettrica. Sempre per sei, aancati e allineati, entrammo nella tomba dei vivi.”Isi Benini, Niemals Vergessen (non dimenticare mai), Udine, Doretti, 1965.“Ma la morte pura e semplice sarebbe stata cosa troppo pulita e umana, e non avrebbe potuto giusticare il macchinoso meccanismo di Mauthausen. Essa perciò era soltanto un punto d’arrivo in fondo a una lunga strada, e il sistema non la mirava direttamente. Il suo obiettivo era più complesso e degno dei tempi moderni e relative losoe: l’avvilimento, la spersonalizzazione, la degradazione, l’imbestiamento dell’uomo. Ridotto verme, lo si schiacciava: non prima.L’uomo arrivava alla stazione di Mauthausen che era ancora un uomo: veniva da una prigione Gestapo, aveva spesso subito interrogatori e percosse, talvolta torture, ma era qualcuno: legato a una determinata vita e gura personale, con un vestito e una coscienza, con un bagaglio proprio materiale e morale. Il peggio che gli era capitato in prigione (il terribile isolamento) aveva riconosciuto codesta sua persona. Ora egli scendeva dalla tradotta, veniva incolonnato, per cinque, con una quantità di gente diversa e sconosciuta; urla di comando: se non si trattava di uno schiao gli faceva volare il cappello, una calcio gli impediva di raccoglierlo.Era già gregge. E via, in marcia, a passo svelto.”Aldo Bizzarri, Mauthausen città ermetica, Roma, Ed. O.E.T. Polilibraria, 1946.RAVENSBRÜCK“A Dachau il convoglio si fermò, e gli uomini scesero. I nostri due vagoni proseguirono. Ci aprirono soltanto alla stazione di Lipsia, se non sbaglio. Circondarono i vagoni, prima di aprirli, con uomini armati di mitra, tennero lontano tutti e ci diedero un po’ di sbobba, che era non una minestra, ma, come posso dire?, una brodaglia, roba calda, ecco. A noi sembrò di risollevarci un poco, però poi ci richiusero di nuovo. Cinque giorni e cinque notti! Finalmente, sporche, assetate, aamate, arrivammo, verso sera, a Ravensbrück. E, devo dire la verità, la prima volta che vedemmo Raven-sbrück, provammo una sensazione quasi di gioia. Perché il posto è meraviglioso, e c’è un lago, che è bellissimo. La ferrovia non arrivava no al campo, ma bisognava passare attraverso un villaggio, Fürstenberg, in cui abitavano, oltre ai civili, anche famiglie delle SS. Certo - ci ho pensato tante volte in seguito - i civili tedeschi sapevano dei campi e anche di quello che avveniva nei campi, però evidente-mente tale e tanta era la paura che avevano di nire anche loro in uno di essi che tacevano. Quando scendemmo dai vagoni dopo quei giorni inauditi, ci sembrò di sognare: non pensavamo mai più di dover entrare in un campo di concentramento: non ne avevamo ancora mai sentito parlare. Ci dicemmo: ‘Forse ci daranno una casa e ci metteranno a lavorare qua. Che bel posto! Che bel lago!’ Entrammo nell’inferno.”Testimonianza di Bianca Paganini Mori in L. Beccaria Rol, A. M. Bruzzone, Le donne di Ravensbruck. Testimonianze di deportate politiche italiane, Torino, Einaudi 1978.L’ARRIVO IN LAGER
3] Deportazione150FLOSSENBÜRG“Mentre ci diamo da fare per aiutare gli ammalati a sollevarsi, a raccogliere quelle poche robe che ci portiamo appresso, un compagno si porta alla nestrella e dà uno sguardo fuori. Chiediamo le sue impressioni, egli ha lo sguardo atterrito e non risponde; insistiamo, ma quello sembra rincretinito.Bisogna ‘spintonarlo’ per allontanarlo dalla nestra; subito un altro lo sostituisce, ma la scena si ripete identica, chi riesce a gettare lo sguardo fuori rimane come colpito dalla folgore; abbassa il capo e perde la favella.Noi che stiamo ancora all’oscuro, veniamo aerrati da uno strano stato di orgasmo e di sconforto: qualche pessimista aveva previsto di approdare all’inferno, ma qua dove siamo?Ora lo stiamo per sapere, perché le grosse portiere si stanno lentamente schiudendo davanti a noi.Dopo sei giorni di buio pesto, ora un’ondata di luce sia pure tetra ci investe, istintivamente gli occhi cercano riparo, le palpebre tendono a serrarsi, ma un urlo che niente ha di umano ci scuote letteralmente: ‘Raus’. Siamo a Flossenburg.”Vito Arbore, “Viaggio infernale: destinazione Flossenburg”, in Vincenzo Pappalettera (a cura di) Nei lager c’ero anch’io, Milano, Mursia, 1973.BUCHENWALD“Sul fondo, tutt’intorno, bosco nero e silente […] Si prosegue la marcia in quest’assurda atmosfera di barbarie e poesia, di operosità e ferocia, di bellezza e di tormento; che sia questa la vera sionomia di quell’Ordine nuovo che dovrebbe durare mille anni in Europa?”Giovanni Longhetto, Buchenwald, gli altri e io, [s.n.], 1980.DACHAU“‘Per favore quella scritta che signic a’.‘Caro ragazzo signica si entra del portone si esce del Camino del crematorio’, molti Italiani siamo attorno a lui e rimaniamo dubbiosi.‘E sicuro signor maggiore che signichi questo?’‘Cari ragazzi sono del trentino e parlo il tedesco’.Risponde uno dei tanti: ‘come possiamo passare del camino?’”.Antonino Garu, Diario di un deportato. Da Dachau a Buchenwald comando Ohrdruf, Palermo, Gelka, 1990.AUSCHWITZ-BIRKENAU“Un sudore freddo mi copriva la fronte, ma gli dissi che non credevo che si bruciassero degli uomini nella nostra epoca, che l’umanità non l’avrebbe più tollerato...– L’umanità? L’umanità non si interessa a noi. Oggi tutto è permesso, tutto è possibile, anche i forni crematori...La voce gli si strozzava in gola.– Papà, – gli dissi – se è così non voglio più aspettare. Mi butterò sui reticolati elettrici: meglio questo che agonizzare per ore nelle amme.Lui non mi rispose. Piangeva. Il suo corpo era scosso da un tremito. Intorno a noi tutti piangevano. Qualcuno si mise a recitare il Kaddìsh, la preghiera dei morti. Non so se è già successo nella lunga storia del popolo ebraico che uomini recitino la preghiera dei morti per se stessi.”Elie Wiesel, La notte, Firenze, Giuntina, 1986.“La prima volta che vidi arrivare un trasporto piansi come una pazza: avevo visto un giovane uomo prendere il suo piccolo bimbo e calarlo dolcemente a terra, e tutto era così triste! C’era tanto amore nel gesto di quest’uomo, che non sapeva ancora cosa signicasse per un bimbo essere ebreo, ad Auschwitz! ma io lo sapevo e tutto era così orribile, così pazzesco, così triste, che io dovevo piangere e piangere, sentendo in me tutto il dolore del mondo.Poi ci abituammo anche a questo.”Luciana Nissim, Ricordi della casa dei morti, in Luciana Nissim, Pelagia Lewinska, Donne contro il mostro, Torino, Vincenzo Ramella Editore, 1946.
3] Deportazione151Il lager di Auschwitz rappresenta il paradigma assoluto della brutalità e della violenza del regime nazista. La sua funzione principale è l’annientamento dei deportati. Auschwitz costituisce una particolarità all’interno del siste-ma concentrazionario nazista: è una via di mezzo tra Kon-zentrationslager e Vernichtungslager (KL e VL), tra i campi di concentramento come Dachau (KL) e i centri dello ster-minio di massa come Treblinka (VL). Ad Auschwitz si per-petra infatti allo stesso tempo sia lo sterminio immediato nelle camere a gas sia quello indiretto, eetto della fame, degli stenti e del lavoro massacrante imposto ai deportati. È possibile dividere la storia del lager in due fasi distinte: • 1940-1941. Auschwitz si sviluppa da un gruppo di ex-caserme polacche, situate presso la cittadina di Oswiecim. Nella fase iniziale, viene utilizzato come campo di quaran-tena e smistamento per detenuti polacchi e ebrei arrestati per motivi politici, da inviare poi nei lager del Reich. In breve tempo diviene però una struttura di detenzione per-manente. • 1942-1945. A partire dal 1942 il campo viene ampliato: nasce Auschwitz II, Birkenau, nel quale vengono costruiti i forni crematori, e successivamente Auschwitz III, Mo-nowitz detto “la Buna” dal nome dell’impresa di lavorazio-ne della gomma che sfrutta la manodopera dei prigionieri. Ad Auschwitz i deportati lavorano anche per la maggiore impresa privata del Reich: la IG Farben, (della quale fa par-te all’epoca l’attuale Bayer). Il lager arriva a comprendere in tutto quaranta sottocampi. Tutti gli ampliamenti sono eettuati grazie alla manodopera schiava dei prigionieri. • Nel 1942, dopo le decisioni prese a Wannsee a proposi-to della soluzione nale, ad Auschwitz vengono eettuate le prime gassazioni con lo Zyklon B. L’alto u ciale delle SS al comando del campo dal 1940 al 1943 è Rudolph Höss: condannato a morte dalla Corte Suprema di Varsavia nel 1947 per i crimini commessi in Polonia, egli verrà impiccato davanti alle camere a gas di Auschwitz. I suoi diari rimangono una delle testimonian-ze più importanti, per quanto discusse, sul funzionamento del campo. 3.20AUSCHWITZ
3] Deportazione152Ad Auschwitz vengono internati e uc-cisi prigionieri “razziali” e “politici”: ebrei e zingari da tutta l’Europa occi-dentale, polacchi e prigionieri di guer-ra sovietici, cechi, bielorussi, iugoslavi e italiani. Il lager è controllato dalle SS, che lo gestiscono sotto gli ordini diretti del comandante. La dignità dei prigionieri (Halinge) viene calpestata n dal loro arrivo al campo. Ad alcuni prigionieri viene adato il controllo degli altri. Sono i kapò, direttamen-te dipendenti dalle SS. Molto spesso brutali ed eerati nei confronti degli internati, godono di un trattamento migliore degli altri, ma possono in qua-lunque momento essere uccisi o man-dati in camera a gas. Preposto alle gassazioni è il Sonder-kommando, ovvero un gruppo di prigionieri a cui viene anche adato il compito di cremare i cadaveri nei forni. I membri del Sonderkommando vengono regolarmente sterminati e so-stituiti, in quanto rappresentano i più diretti testimoni dello sterminio. Dal 1942 i nuovi arrivati sono immediata-mente divisi in due gruppi: gli inabili al lavoro vengono portati nelle camere a gas, mentre gli altri sono mandati a lavorare nel campo. Verso la ne del 1944 le SS iniziano ad eliminare tutta la documentazione più compromettente, a causa dell’avvici-namento dell’esercito sovietico ai terri-tori del Reich. Prima di tutto vengono smantellate le camere a gas, e poi, tra l’estate del 1944 e il gennaio 1945, mi-gliaia di detenuti sono trasferiti più ad ovest, in altri campi di concentramen-to, attraverso lunghe marce a piedi, chiamate “marce della morte”, durante le quali moltissime persone muoiono di stenti. OTTOBRE 1944 “Con tutte le nostre forze abbiamo lottato perché l’inverno non venisse. Ci siamo aggrappati a tutte le ore tiepide, a ogni tramonto abbiamo cercato di trattenere il sole in cielo ancora un poco, ma tutto è stato inutile. Ieri sera il sole si è coricato irrevocabilmente in un intrico di nebbia sporca, di ciminiere e di fili, e stamattina è inverno. Noi sappiamo che cosa vuol dire, perché eravamo qui l’inverno scorso, e gli altri lo impareranno presto. Vuol dire che, nel corso di questi mesi, dall’ottobre all’aprile, su dieci di noi, sette morranno. Chi non morrà, soffrirà minuto per minuto, per ogni giorno, per tutti i giorni: dal mattino avanti l’alba fino alla distribuzione della zuppa serale dovrà tenere costantemente i muscoli tesi, danzare da un piede all’altro, sbattersi le braccia sotto le ascelle per resistere al freddo. Dovrà spendere pane per procurarsi guanti, e perdere ore di sonno per ripararli quando saranno scuciti. Poiché non si potrà più mangiare all’aperto, dovremo consumare i nostri pasti nella baracca, in piedi, disponendo ciascuno di un palmo di pavimento, e appoggiarsi sulle cuccette è proibito. A tutti si apriranno ferite sulle mani, e per ottenere un bendaggio bisognerà attendere ogni sera per ore in piedi nella neve e nel vento [...] Quando abbiamo visto i primi fiocchi di neve, abbiamo pensato che, se l’anno scorso a quest’epoca ci avessero detto che avremmo visto ancora un inverno in Lager, saremmo andati a toccare il reticolato elettrico; e che anche adesso ci andremmo, se fossimo logici, se non fosse di questo insensato pazzo residuo di speranza inconfessabile.” da P. Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 1989. LA FUGA DA AUSCHWITZ-BIRKENAU Nella notte della Pasqua ebraica, il 7 aprile del 1944, due ragazzi slovacchi, Alfréd Wetzler e Walter Rosemberg, riescono a scappare da Birkenau. I due fuggitivi camminano per dieci notti scendendo verso la Slovacchia dove dettano ai capi della comunità ebraica una descrizione dettagliata dello sterminio in atto. La loro testimonianza è ricca di mappe, calcoli e stime su come venga organizzata la soluzione finale nel lager di Auschwitz-Birkenau. I protocolli di Auschwitz sono la prima testimonianza diretta dello sterminio, vengono persino diffusi dalla BBC inglese via radio e poi riportati dal New York Times.
3] Deportazione153SONDERKOMMANDOI Sonderkommando (comandi speciali) sono composti da gruppi di prigionieri, scelti al loro arrivo tra i deportati più forti e abili al lavoro: le SS adano ai prigionieri del Sonderkommando le mansioni più terribili e crudeli legate allo sterminio dei deportati. I membri di tali unità speciali hanno infatti il compito di accompagnare i nuovi arrivati al campo verso le camere a gas, ingannandoli sul loro destino per non creare panico e rallentare così il meccanismo dello sterminio. In un secondo momento i Sonderkommando immettono il gas letale nelle camere a gas, rimuovono i cadaveri e li cremano nei forni, dopo aver recuperato denti d’oro e capelli, beni di commercio utili all’industria tedesca. Sono molti i membri del Sonderkommando che, non reggendo alla drammaticità delle loro mansioni, impazziscono o si suicidano: proprio per questa ragione la gestione dello sterminio non viene adata direttamente alle SS. I membri dei comandi speciali non sopravvivono a lungo: ogni tre mesi il Sonderkommando, unico diretto testimone dello sterminio, viene sterminato nelle stesse camere a gas. “In queste occasioni, lungo il tragitto per la Sauna non pensavamo a niente. Al contrario, era quasi una liberazione per noi. Qualcuno mi ha chiesto se non sarebbe stato meglio farla nita. Forse… Anzi certamente. Ma io non ci pensavo, bisognava andare avanti giorno dopo giorno, senza farsi domande: continuare a vivere, anche se era terribile. Non mi sembra che qualcuno si sia mai suicidato nel Sonderkommando; al contrario alcuni dicevano di voler vivere ad ogni costo. Io, invece, avrei preferito morire, ma ogni volta mi tornava in mente una frase di mia mamma: ‘Finché si respira, c’è vita’. Eravamo così vicini alla morte eppure andavamo avanti. Penso ci sia voluta una forza particolare per sopportare tutto ciò, una forza sica e morale. […] Non ho più avuto una vita normale. Non ho mai potuto dire che tutto andasse bene e andare, come gli altri, a ballare e a divertirmi in allegria… Tutto mi riporta al campo. Qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna sempre nello stesso posto. E’ come se il ‘lavoro’ che ho dovuto fare laggiù non sia mai uscito dalla mia testa… Non si esce mai, per davvero, dal Crematorio.” da S. Venezia, Sonderkommando Auschwitz, Milano, Rizzoli, 2007.
3] Deportazione154L’universo concentrazionario tedesco, negli ultimi mesi della guerra, si comprime: i nazisti evacuano i campi delle zone nelle quali arrivano gli Alleati cercando di distruggere ogni prova dello sterminio e trasferiscono i deportati in ter-ritorio ancora tedesco. I principali campi vengono liberati tra ne gennaio (Auschwitz-Birkenau in Polonia) e inizio maggio (Mauthausen in Austria).L’idea originaria nazista è quella di non lasciare nei lager nessun uomo vivo, ma la rapidità dell’avanzata alleata im-pedisce la realizzazione di questo progetto. Nella maggior parte dei casi, gli internati superstiti vengono evacuati e co-stretti a mettersi in cammino verso occidente per sfuggire all’arrivo dei russi. Sono le cosiddette “marce della morte”, l’ultimo atroce capitolo delle persecuzioni naziste. Duran-te le marce, alle quali si calcola furono costretti duecento-cinquantamila prigionieri, moltissimi muoiono di fame e di freddo; chi è malato o troppo debole per proseguire il cammino viene fucilato sul posto. In altri casi invece le SS scappano lasciando in lager solo qualche centinaia di mo-ribondi. Le truppe liberatrici – i russi a est e gli anglo-americani a ovest – al loro arrivo al campo si trovano di fronte a scenari agghiaccianti. Gli anglo-americani in particolare riprendo-no e fotografano le scene raccapriccianti dei lager abbando-nati dai nazisti, anche con l’intenzione di usare questi mate-riali come prove dello sterminio appena terminato. Tuttavia la tragedia non è ancora terminata. I giorni succes-sivi alla liberazione sono caotici: numerosissimi deportati muoiono ancora per le malattie e gli stenti, o di indigestio-ne, derivata dai primi pasti normali mangiati con foga dopo mesi o anni di estrema sottoalimentazione. La liberazione scatena la vendetta dei deportati. In alcuni casi essi ammazzano anche a mani nude le SS e gli aguzzini responsabili delle loro soerenze ancora presenti nel lager o nei dintorni. Nascono in molti lager dei comitati interna-zionali che, spesso coordinati con gli Alleati, gestiscono il campo in attesa dei rimpatri. I reduci creano inoltre delle squadre per andare alla caccia delle SS nascoste nelle zone intorno ai lager con lo scopo di imprigionarle o di giusti-ziarle sommariamente. Nei mesi seguenti la maggior parte dei deportati non torna a casa, ma si ristabilisce nel lager o nei numerosi campi sorti per volere degli Alleati proprio per portare assistenza agli ex internati. Per i pochi soprav-vissuti il ritorno a casa è un’odissea, che spesso dura molti mesi, se non addirittura anni: la testimonianza più nota ri-mane quella che ha lasciato Primo Levi ne La tregua. 3.21LA LIBERAZIONE DEI CAMPI
3] Deportazione155ISRAELE E MEMORIA DELLA SHOAH L’idea di uno stato d’Israele non è, come molti ritengono, una diretta conseguenza della seconda guerra mondiale e dello ster-minio degli ebrei d’Europa. A partire dal 1917, dalla creazione del “focolare nazionale ebraico”, la comunità israeliana presente in Palestina prima del 1948, l’Ishuv, si radica sul territorio. Le basi dell’attuale stato d’Israele sono state create addirittura a partire dal 1882. Moltissime delle istituzioni israeliane presenti tutt’ora, università, sindacati, istituti di lingua, vengono fondate prima del 1940. Dopo il 1945 da un lato gli orrori della persecuzioni nazista portano gli Alleati a non opporsi alla creazione di uno stato ebraico, dall’altro gli stati arabi del Medio Oriente, riunitisi nella Lega araba (Egitto, Siria, Libano, Giordania e Iraq) contrastano dura-mente la costituzione di uno stato non islamico nella zona. La Gran Bretagna, continuando ad amministrare la Palestina, cerca di salvaguardare i diritti dei palestinesi, ma subisce le pressioni degli Stati Uniti, dove la potente comunità ebraica converte il governo Truman alla causa sionista. Nel 1947 l’ONU vota la spartizione della Palestina in due stati indipendenti. È così che scoppia una vera e propria guerra civile, dove si fronteggiano gli arabi, divisi in gruppi eterogenei, e gli ebrei, che sono organizzati in gruppi militari e paramilitari ben addestrati. Nel 1948 nasce lo stato di Israele. Tra il 1945 e il 1948 circa 60.000 ebrei arrivano in Palestina e vengono male accolti non solo dagli arabi ma dagli stessi ebrei: l’arrivo dei reduci dello sterminio crea un malessere profondo negli altri ebrei, dal momento che in Palestina, nonostante la conoscenza della tragedia in atto e la drammatica impotenza di fronte al colosso nazista, si è sostanzialmente vissuto bene in quegli anni. Nel 1949 un israeliano su tre è un sopravvissuto, e i reduci sono tutti giovani. Per circa vent’anni i sopravvissuti, come in molti altri paesi, non possono o non vogliono parlare: la “memoria pubblica” lo fa al posto loro. Il memoriale (pensato già dal 1942) e le commemorazioni si contrappongono al silenzio privato. Sembra quasi che i sopravvissuti provochino vergogna nel resto della popolazione. Progressivamente la memoria della Shoah diventa però centrale nel giovane stato d’Israele. Il giorno del ricordo viene così nominato “il giorno della Shoah e dell’eroismo”. Nel 1961, con il processo Eichmann, gerarca nazista scovato dagli israeliani in Argentina e processato a Gerusalemme, la memo-ria della Shoah vede una svolta. Il processo si svolge in una piccola sala, ma è l’epoca del transistor: si può seguire alla radio. Tutta Israele assiste così al processo. Mentre al processo di Norimberga un solo reduce della Shoah ha lasciato una testimonianza di pochi minuti, al processo Eichmann 110 sopravvissuti svelano le atrocità naziste. L’impatto sulla società israeliana è profondo. I reduci sono ancora giovani: il più vecchio ha 50 anni. I ricordi dolorosi aorano, e in quell’anno molti sopravvissuti si suicidano, e gli ospedali psichiatrici introducono per la prima volta l’opzione “passato del tempo nel campo di concentramento”. La trage-dia, n lì vissuta nell’intimità di ogni sopravvissuto, diventa così di tutti, parte dell’identità nazionale. La memoria della Shoah è dunque dagli anni Sessanta un potente collante nella società israeliana che si raorza nei decenni successivi, diventando un tema centrale nella scuola, nel servizio militare e nella società civile in generale. GLI ALLEATI E LE DEPORTAZIONI“Nell’ambigua polemica in corso non ha alcuna rilevanza che gli Alleati portino una grave porzione di colpa. È vero che nes-suno Stato democratico ha offerto asilo agli ebrei minacciati o espulsi. E’ vero che gli americani rifiutarono di bombardare le linee ferroviarie che conducevano ad Auschwitz (mentre bombardarono abbondantemente la zona industriale contigua); ed è anche vero che probabilmente l’omissione di soccorso da parte alleata fu dovuta a ragioni sordide, e cioè al timore di dover ospitare o mantenere milioni di profughi o di sopravvissuti. Ma di una vera complicità non si può parlare, e resta abissale la differenza morale e giuridica tra chi fa e chi lascia fare.”P. Levi, Buco nero ad Auschwitz, su “La Stampa”, 22 gennaio 1987.
3] Deportazione156La decisione di processare i criminali di guerra dell’Asse vie-ne presa dalle potenze alleate ancora prima della ne della guerra. Già nell’ottobre 1942 Gran Bretagna e Stati Uniti han-no dichiarato la loro volontà di costituire una commissione di inchiesta sui crimini di guerra. Durante la terza conferen-za di Mosca, svoltasi nell’autunno del 1943, i rappresentanti di Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica stilano un primo elenco di persone da processare e giustiziare al termi-ne della guerra in caso di vittoria, tra cui Adolf Hitler e Be-nito Mussolini. La legge da applicare durante il processo sarà quella del paese in cui sono stati commessi i crimini: solo con la conferenza di Teheran del mese successivo si decide di superare il criterio della punibilità nazionale, creando un tribunale internazionale. Il tribunale per il giudizio e la punizione dei criminali nazisti viene istituito l’8 agosto del 1945 con un patto siglato a Lon-dra dalle potenze alleate, alle quali si è aggiunta la Francia. La sede prescelta per il processo è Norimberga. Benché non sia da sottovalutare il valore simbolico della città, vista la sua importanza durante il Terzo Reich (basta pensare alle leggi di Norimberga), il motivo che spinge alla scelta è fondamen-talmente pratico: il tribunale di Norimberga è infatti l’unico rimasto in piedi dopo i bombardamenti alleati. Il processo ai capi nazisti si svolge tra il 18 ottobre del 1945 e il 1° ottobre del 1946. A questo ne seguiranno altri due, per i criminali tedeschi di guerra che si sono macchiati di crimini “meno gravi”. Anche i criminali di guerra giapponesi saranno pro-cessati al termine della guerra: per giudicarli viene creato il Tribunale di Tokyo. Secondo gli americani i crimini più gravi devono essere i “crimini contro la pace” (cioè i crimini di aggressione bellica), per i sovietici e i francesi, invece i “crimini di guerra”, tra cui l’assassinio, i trattamenti crudeli o disumani, la deportazione per i lavori forzati o altri sco-pi. Compare una nuova categoria di reati: il “crimine con-tro l’umanità”, cioè l’assassinio, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la deportazione e qualunque altro atto disumano contro le popolazioni civili, prima o durante la guerra, così come le persecuzioni per motivi politici, razziali o religiosi. Il crimine di genocidio viene invece riconosciuto dalla co-munità internazionale come particolare specie di crimine contro l’umanità solo nel 1948. A Norimberga vengono condannati numerosi gerarchi na-zisti, e alcuni tra questi giustiziati: Göering (maresciallo del Reich), Von Ribbentrop (Ministro degli Aari Esteri), Frick (Ministro dell’Interno). Altri riescono a fuggire e a nascon-dersi. È passata alla storia la cosiddetta “difesa di Norimberga”: molti degli imputati cercano di discolparsi sostenendo di avere solo eseguito ordini superiori e di non essere i diretti responsabili dello sterminio e dei crimini commessi. 3.22IL PROCESSO DI NORIMBERGALE CIFREGLI EBREI Il numero delle vittime è così alto e la dispersione geografica delle operazioni omicide così grande che non è possibile definire il numero esatto dei morti della Shoah. Si è in grado di arrivare a una valutazione scientifica e attendibile con due metodi diversi che conducono a cifre analoghe. Da un lato alcuni storici procedono per addizione: sommano, facendo riferimento agli archivi tedeschi, il numero delle vittime delle retate, delle fucilazioni, delle deportazioni e delle esecuzioni con il gas. Altri storici procedono per sottrazione: sottraggono per ogni paese il numero degli ebrei superstiti nel 1945 dal numero totale degli ebrei che c’erano agli inizi della guerra. Il tribunale di Norimberga ha fissato la cifra di 6 milioni di vittime della Shoah. GLI ALTRI Guardando alle altre vittime dei nazisti, complessivamente, dal 1933 al 1945 furono deportati nel complesso sistema nazio-nalsocialista tra i 2 milioni e cinquecentomila e i 3 milioni e cinquecentomila esseri umani; circa 2 milioni vi persero la vita.
3] Deportazione157IN ALTOIL BANCO DEGLI IMPUTATI AL PROCESSO DI NORIMBERGA
158MEMORIE LUOGHI PAROLERIFLESSIONI A MARGINE DEL VIAGGIORiessioni a margine del viaggio
Riessioni a margine del viaggio159LE RICEZIONI DELLE MEMORIETornavano i superstiti, uno su cento, dai campi di sterminio. Raccontavano e cominciavano a scrivere cose inimmaginabili sulla disumanità del potere e sull’organizzazione scientica della morte, ma questi racconti non toccavano la nostra gioia di vivere nalmente nella pace.[Vittorio Foa]1Degli oltre duecento testi di memoria della deportazione che hanno visto la luce tra il 1944 – quando viene pub-blicato 16 ottobre 1943 nella Roma appena liberata dagli Alleati2 – e il primo decennio degli anni Duemila, meno di venti vengono dati alle stampe tra il 1945 e il 1947, e hanno scarsissimo successo editoriale, basti pensare che tra questi c’è Se questo è un uomo di Primo Levi, che è in-fatti pubblicato presso un piccolo editore, De Silva. Verrà riedito undici anni dopo da Einaudi, giungendo solo a quel punto alla fama che crescerà in maniera esponen-ziale nei decenni a seguire3. La memorialistica è senza dubbio uno specchio della società che la produce, e in questo caso ci può mostrare come in Italia si sia accettata o riutata la memoria dello sterminio. Esaurita la spinta che, nonostante le dicoltà, induce n da subito alcuni sopravvissuti a raccontare per iscritto (spesso pubbli-cando presso editori poco conosciuti), segue tra il 1947 e i primi anni Sessanta una fase di silenzio assordante (con pochissime eccezioni4) che coincide in gran parte con le “stagioni della memoria” di altri paesi occidentali e di Israele, dove si sono rifugiati molti dei sopravvissuti ebrei – alla ne degli anni Quaranta un israeliano su tre è uno scampato allo sterminio5.Nel 1963, quando La tregua di Levi vince la prima edi-zione del Campiello, è venuta consolidandosi, anche in seguito al processo Eichmann – il primo processo “me-diatico” della storia6 –, una inedita attenzione verso le vicende dei sopravvissuti ai lager nazisti, attenzione che crescerà a dismisura a partire dagli anni Ottanta, no a oggi7, momento nel quale vediamo un’ossessiva ripro-posizione delle memorie scritte, ma anche l’apparire di nuovi “formati” per trasmettere la memoria orale (soli-tamente connata in famiglia, nelle comunità locali, in eventi particolari, o adata al lavoro di ricerca degli sto-rici), basti pensare alle recenti raccolte di testimonianze online, di fatto accessibili a tutti8.
Riessioni a margine del viaggio160La memoria dei deportati politici e quella dei depor-tati “razziali” (gli ebrei) si sono sovente trovate in con-trapposizione in questi decenni, con alterna visibilità: i primi sono stati a lungo considerati dei partigiani “di serie B” (in quanto internati mentre gli altri combatte-vano), e solo in un secondo momento è stato recuperato il profondo valore della loro opposizione – consapevole o meno – al fascismo, a discapito della visibilità dei se-condi, che invece è cresciuta moltissimo solo negli ulti-mi anni, invertendo i “rapporti di forza”. L’unica fase di equilibrio “positivo”, che fa da contraltare all’equilibrio “negativo” condiviso, e cioè il ri uto della società italia-na di ascoltare i reduci nell’immediato dopoguerra, si può probabilmente individuare negli anni Ottanta. È un decennio nel quale la maggior parte dei sopravvissuti – tornati dai lager ancora giovani o giovanissimi – è negli anni della pensione, molti sono diventati nonni: sono maggiormente portati a parlare, e la società appare mag-giormente portata ad ascoltare. Le due memorie vivono così una visibilità paragonabile, ben sintetizzata in que-ste parole di un ex deportato politico, l’operaio Pier Luigi Varoni, in una raccolta di testimonianze che ha un no-tevole successo nel 1986 – con prefazione di Primo Levi – che propone sia testimonianze di “politici” sia di ebrei: “C’è stato un momento che non volevo più saper niente; e invece adesso ci tengo, mi piacerebbe portare la gente a visitare questi campi, e io vorrei guidarli”9.Questo è eettivamente accaduto: da quarant’anni ora-mai i “viaggi della memoria” sono una pratica estrema-mente diusa, in Italia come all’estero – in Israele sono addirittura “parte del programma curriculare nella fascia dell’obbligo”10 – in particolare a partire dall’istituzione, molto più recente e comune a diversi paesi, delle gior-nate della memoria. Sono oramai pochissimi i testimoni ancora in vita che accompagnano questi percorsi nella memoria.
161Riessioni a margine del viaggioQUANDO NON C’ERA AUSCHWITZ (NELLA NOSTRA MEMORIA)Il problema non è se si ritorna a considerare criticamente il passato, ma in che forma e in quali condizioni culturali si compie questa scelta.[Giovanni Levi, Le passé lontain. Sur l’usage politique de l’histoire]1Auschwitz, oltre che essere un luogo della storia e un complesso museale, è un luogo di memoria. La memoria si può considerare come uno specchio nel quale si riflet-te la comunità che la produce: il lager non è sempre sta-to lo stesso luogo né ha sempre rappresentato lo stesso simbolo o tramandato gli stessi contenuti, esso è mutato nel tempo e ha narrato storie diverse.La storia del campo di Auschwitz è profondamente lega-ta alle vicende internazionali e ai conflitti politici e cul-turali in atto tra la fine della seconda guerra mondiale e i giorni nostri. Già nel 1946 si inizia a sostenere che il campo di Au-schwitz debba diventare un luogo di pellegrinaggio e memoria. Questo non accade invece per gli altri luoghi dello sterminio presenti sul territorio polacco come Tre-blinka, Sobibór e Bełzec, che saranno abbandonati2. Nel 1947 la città di Oświęcim (nome polacco di Au-schwitz) si ripopola dei suoi abitanti e ritorna alla vita precedente l’occupazione nazista. Nello stesso anno Au-schwitz vede la prima cerimonia per ricordare il primo internamento di polacchi. In questo periodo alcuni ex deportati tornano a vivere nelle baracche del campo col-tivando patate e allevando capre a Birkenau. Il 2 luglio 1947 il parlamento polacco vota una legge per costituire ad Auschwitz un museo “al martirio del popo-lo polacco e di altri popoli in lotta contro il fascismo”3, definendone una volta per tutte il perimetro ancora at-tuale, che esclude Monowitz poiché i sovietici smantel-lano contestualmente buona parte del complesso indu-striale della IG Farben, per poterlo utilizzare.Durante la Guerra Fredda nel museo del lager prevale la “concezione antifascista internazionale della storia”, che si concentra in particolare su “la Resistenza, la solida-rietà degli internati di nazioni diverse; l’occultamento dell’identità delle vittime (in primo luogo degli ebrei)”4. La data individuata per la commemorazione del decimo
Riessioni a margine del viaggio162anniversario nel 1955 è in aprile, nella ricorrenza della liberazione di Buchenwald, luogo – su territorio tede-sco – di detenzione degli oppositori politici. Da questo momento in poi il sito acquisisce una rilevanza e un’im-portanza internazionali. Nella seconda metà degli anni Cinquanta nasce il progetto del memoriale di Birkenau, che viene inaugurato solo nel 1967 con una cerimonia ancora rivolta a ricordare in primo luogo il popolo po-lacco e i comunisti che lì persero la vita. Gli ebrei non sono menzionati. Nel 1989, anno del crollo del comunismo europeo e delle prime elezioni libere polacche, si costituisce una Commissione internazionale con il fine specifico di sle-gare la memoria del campo dalle istanze (in prevalenza politiche) precedenti: solo in questo momento i membri affermano che il novanta per cento circa delle vittime di Auschwitz erano ebrei. D’ora in avanti il lager diventa a tutti gli effetti luogo di memoria di diversi popoli di va-ria provenienza, e viene allestito così come ancora oggi si può vedere.La storia del campo dimostra come Auschwitz non sia sempre stato l’archetipo dell’oppressione, dello sfrutta-mento e dell’annientamento che l’uomo è stato in grado di fare all’uomo, non è sempre stato quello che oggi è: un monito. Solo tra gli anni Ottanta e gli anni Novan-ta molti paesi europei hanno impegnato un giorno del calendario istituito per assolvere il “dovere della memo-ria”, e nella maggior parte dei casi si tratta proprio del 27 gennaio, data della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa. Questa memoria in Europa e negli Stati Uniti si è polarizzata sullo sterminio degli ebrei, rovesciando completamente la prospettiva precedente.Da allora – in Italia a partire dal 2001 – sono numerosis-simi i visitatori del campo di concentramento e stermi-nio, in particolare tra le nuove generazioni: approfondi-re la Shoah è ritenuto fondamentale per la formazione dei giovani, quasi imprescindibile. Questo dipende an-che dal fatto che l’Europa (intesa anche come Unione Europea) fonda una parte della sua “identità” e dei suoi valori proprio sulle ceneri della seconda guerra mondia-le, e di Auschwitz in particolare.
163Riessioni a margine del viaggioLA STORIA E I LUOGHI, I LUOGHI DELLA MEMORIA (1945-2012)Il rappresentativo, il simbolico e l’interpretativo hanno loro stessi i propri avvenimenti, una propria cronologia [...][Pierre Nora]1Per arrivare a Fossoli di Carpi si percorre una strada provinciale che si chiama oggi “Via 12 luglio 1944”. In quella data furono trucidati nelle vicinanze del campo di transito 67 partigiani internati, nell’“eccidio di Cibeno”. Percorrere nel presente la campagna modenese significa fare anche i conti con quella storia che è diventata negli ultimi anni memoria collettiva: sono circa 40.000 all’anno i visitatori che arrivano per vedere il campo2. Ma non è stato sempre così3.Smantellato il campo di transito per l’avanzamento della linea del fronte nei primi di agosto del 1944, Fossoli serve ancora per tre mesi a radunare la manodopera in partenza per la Germania. In seguito a una brevissima parentesi nella quale in esso vengono mandati fascisti in attesa dell’epurazione, Fossoli diventa, dopo la Liberazione, un Centro di raccolta profughi stranieri (1945-1947), tra i quali anche ebrei sopravvissuti. Successivamente verrà riadattato: per cinque anni (fino al 1952) sarà la leggendaria “Nomadelfia”, una sorta di città nella quale don Zeno Saltini accoglie orfani da tutta Italia, e poi il “Villaggio san Marco” – che ospita nuovamente profughi, questa volta giuliano-dalmati4 – che chiude nel marzo del 1970. Segue una lunga fase di abbandono e di degrado, nel cui scorcio finale si moltiplicano i progetti per renderlo un “luogo di memoria”, cosa che efficacemente accade con il passaggio in gestione dal Comune di Carpi alla Fondazione Fossoli, nel gennaio del 2000.Ma già dal 1973 a Carpi viene inaugurato, su progetto dell’ex deportato e architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso, il “Museo monumento al deportato politico e razziale nei campi di sterminio nazisti”. Non è così comune trovare, almeno nelle intenzioni, un tentativo di avvicinare memorie inconciliate (come quelle dei “politici” e degli ebrei), talvolta in conflitto, che hanno vissuto fasi diverse con differenti gradi di visibilità5. Oggi Fossoli è sicuramente un tentativo riuscito di creare – con il lavoro nelle scuole in particolare – una memoria pubblica consapevole del ruolo molto più che “di servizio” che il territorio italiano e il secondo fascismo hanno ricoperto nel meccanismo delle deportazioni dall’Italia centrosettentrionale occupata.
Riessioni a margine del viaggio164Questo tentativo è recente e ha visto anche il costituirsi una rete di collaborazioni inedita: all’inaugurazione del Memoriale della Deportazione di Borgo San Dalmazzo, altro campo di transito dal quale sono partiti per Auschwitz oltre 350 ebrei, ha partecipato anche il sindaco di un’altra città il cui territorio ospitava, tra il 1944 e il 1945, un Durchgangslager nel quale sono state internate o dal quale sono passate circa novemila persone (“politici” ed ebrei): Bolzano-Gries6. Nel corso dell’inaugurazione, il 30 aprile del 2006, questa sinergia è stata sottolineata:La cerimonia ha avuto largo seguito di Autorità – tra cui numerosi Sindaci della provincia di Cuneo e il rabbino capo di Torino Alberto Somekh – e di cittadini.Unanime la volontà di ricordare, come sottolineato dal Sindaco della Città di Borgo San Dalmazzo Pier Paolo Varrone, e di “usare” e diffondere a questo scopo le potenzialità di dialogo e di comunicazione che offre la rete delle “Città della Memoria” aperta a tutte le Amministrazioni territoriali che decidano di conservare i luoghi della storia e di tramandarne la memoria documentata alle future generazioni7.Ogni territorio e ogni collettività che a quel territorio appartiene ha vissuto in questi 67 anni un diverso percorso nella memoria dello sterminio nazifascista, nonostante si possano individuare delle fasi comuni, sulla scia delle riflessioni di Henry Rousso, delle possibili parabole della memoria – individuale e collettiva – che accomunano questi luoghi simbolici: a una ricorrente rimozione iniziale è subentrato un recupero della stessa, che è stato seguito da un’insistente
165Riessioni a margine del viaggioriproposizione8, sovente in un’ottica commemorativa.Eppure la volontà, propria degli anni Settanta, di additare – non senza enfasi retorica – le conseguenze del regime fascista e della sua cooperazione con l’occupante nazista, è stata recentemente messa in relazione con l’intenzione di mostrare la stratificazione storica di luoghi che non sono stati solo campi di transito. A Trieste, nell’ex campo di concentramento di San Sabba (nel quale era in funzione anche un crematorio e morirono migliaia di persone), divenuto prima Monumento Nazionale (nel 1965) e poi Civico Museo della Risiera di San Sabba già nel 1975, si lavora anche per recuperare un’altra memoria, proprio come Fossoli: è recentissima l’inaugurazione della mostra fotografica Un tempo pieno di attese. Il campo profughi della Risiera nelle foto di Jan Lukas9. Come emerge dall’approccio di Pierre Nora, curatore della monumentale opera Lieux de memoire, uscita in Francia tra il 1984 e il 1992, si può definire “luogo di memoria” qualunque elemento rilevante – che sia esso materiale o immateriale – che è diventato elemento simbolico per una data comunità. Per questa ragione si può incorrere nel paradosso che un luogo fisico dove è stata affissa una targa in memoria di un dato evento non venga considerato e non contribuisca dunque a “fare memoria” (si pensi alla targa alla stazione di Torino, in contrapposizione con i siti memoriali di Bolzano10), mentre assumono diversa rilevanza “oggetti” di altra natura, come i vestiti degli ex deportati, il tatuaggio dei reduci di Auschwitz, e persino la stella gialla, simbolo che in Italia non è stato usato per identificare gli ebrei ma che oggi veicola un groviglio di significati da non ignorare anche nello spazio pubblico italiano.In tempi recenti le tendenze sono molteplici ma – considerando anche le commemorazioni come dei “luoghi di memoria”11 – il Giorno della Memoria è a tutti gli effetti un luogo simbolico del nostro presente, e in molti territori prosegue o rinasce l’urgenza di ricordare questo tratto e non altri della nostra storia, per ragioni spesso diverse e talvolta inedite. La collaborazione tra la Comunità di Sant’Egidio, la Comunità ebraica torinese e la Città di Torino ha portato all’istituzione nel 2012 di una ricorrenza dal titolo Una marcia per ricordare. Non c’è futuro senza memoria, in occasione dell’anniversario dell’arresto di Emanuele Artom, partigiano ebreo torturato e ucciso nell’aprile del 1944. Questo “pellegrinaggio della memoria” nella quotidianità di Artom ha voluto ricordare “una persecuzione razzista e antisemita che ha devastato la Comunità Ebraica torinese e la coscienza civile di una convivenza plurisecolare nella città di Torino”12. Proprio a sottolineare la ferita che le leggi razziali prima e la persecuzione fisica poi hanno inferto a un’idea di convivenza di lungo periodo che vuole essere rinnovata per “le nuove generazioni”, all’evento erano presenti decine di “nuovi italiani”, rifugiati politici o semplici migranti. A ricordare ancora una volta, a chi in quell’occorrenza c’era, come la memoria parli sempre del nostro presente, e alle domande del nostro presente provi a rispondere.
Riessioni a margine del viaggio166IL GENOCIDIO E I SUOI ESCLUSIA Norimberga il termine “genocidio” ancora non esisteva nella giurisprudenza (e nello Statuto del Tribunale Militare Internazionale): “I fatti erano davvero così orrendi che nessuna legge, per quanto presciente, avrebbe potuto anticiparli. Ma questo non era un caso in cui non esisteva alcuna legge; piuttosto nessuna legge specifica era stata elaborata a proposito. E come avrebbe potuto? Nessuna legge può divinare l’assurdo, il grottesco, il disumano”1.Il termine “genocidio” – che deriva dal greco ghenos (razza, stirpe) e dal latino caedo (uccidere) – viene coniato per la prima volta nel 1944 da Raphael Lemkin2 per definire quanto accaduto durante l’“Olocausto”. Nel 1947 lo stesso Lemkin ne dà la prima definizione giuridica: Per genocidio intendiamo la distruzione di una nazione o di un gruppo etnico [che] intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, per annientare questi gruppi stessi. […] Il genocidio è diretto contro il gruppo nazionale in quanto entità. E le azioni che esso provoca sono condotte da individui, non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale3.Il 9 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio, entrata in vigore il 12 gennaio 1951. Nell’articolo 2 della Convenzione si trova la definizione del crimine di genocidio, che viene assunta anche dallo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale in vigore attualmente, art. 6:[...] per genocidio s’intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo4 nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:a) uccidere membri del gruppo;b) causare gravi danni fisici o mentali a membri del gruppo;c) sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;d) imporre misure dirette a impedire nascite all’interno del gruppo;e) trasferire con la forza bambini del gruppo in un altro gruppo5.Identica definizione è stata adottata negli anni Novanta negli Statuti dei Tribunali Penali Internazionali per l’ex Jugoslavia e il Ruanda. Se con questa definizione si è voluto rendere punibile il cosiddetto “crimine dei crimini”, restano tuttavia alcune questioni aperte: la prima è che cercare di definire, sebbene in senso ampio, il genocidio, porta al rischio che altre tipologie di stermini possano sfuggire alla categoria. Per valutare la presenza di atti di genocidio è dunque necessario stabilire in primo luogo se le singole vittime siano da considerarsi appartenenti a un gruppo preciso tra quelli riconosciuti dalla Corte Internazionale, in seguito bisogna valutare se gli individui siano eliminati in quanto appartenenti a quel preciso gruppo e, infine, se sia presente una forma di intenzionalità da parte dei perpetratori. Ad esempio, le vittime dello sterminio avvenuto in Cambogia da parte dei Khmer Rossi non rientrano in nessuno dei gruppi menzionati dallo Statuto di Roma, eppure si è anche parlato di genocidio, perché esse erano individuate come “target” in quanto gruppo dai perpetratori. Al contrario in Darfur, dove le vittime erano individuate su basi economiche e sociali dai carnefici, la commissione d’inchiesta sul genocidio ha stabilito che questo non era sufficiente, e che il gruppo può essere ritenuto tale solo quando sia i membri dello stesso sia i perpetratori ne riconoscono i confini. Questo ha indotto Antonio Cassese, presidente della
167Riessioni a margine del viaggioCommissione di inchiesta sul Darfur – e già presidente per il Tribunale ad hoc per l’ex Jugoslavia – a non catalogare come genocidio quanto avvenuto in Sudan e quindi non imputare questo capo d’accusa ai colpevoli dei massacri. La Commissione Cassese ha tuttavia sottolineato come i crimini contro l’umanità siano “crimini non meno odiosi del genocidio”.Per quanto necessaria, una definizione giuridica del crimine di genocidio rischia di non essere sufficiente per un intervento ex-ante, preventivo. Non bastano le definizioni: i vuoti lasciati dalle parole scritte devono essere riempiti dalla volontà politica di intervento. L’esempio del Ruanda, e in particolare la conversazione che avvenne il 10 giugno 1994 tra Christine Shelly (portavoce del Dipartimento di Stato USA) e Alan Elsner, corrispondente dell’agenzia Reuters, è emblematico di come un ritardo nella categorizzazione giuridica dei crimini in corso abbia impedito di fermare quanto stava accadendo:Elsner: “Come descriverebbe gli eventi che stanno accadendo in Ruanda?”Shelly: “Basandoci sulle prove che riceviamo dall’osservatorio sul terreno, abbiamo tutte le ragioni per credere che atti di genocidio siano accaduti in Ruanda”.E. “Qual è la differenza tra ‘atti di genocidio’ e ‘genocidio’?”S. “Beh, penso... come sa, c’è una definizione giuridica per questo... chiaramente non tutte le uccisioni in Ruanda sono uccisioni cui si possa applicare tale etichetta... ma, per quel che riguarda la distinzione tra parole, noi cerchiamo di chiamare al meglio che possiamo ciò che abbiamo visto finora e, basandoci ancora sulle prove, abbiamo ogni ragione di credere che atti di genocidio siano avvenuti”.E. “Quanti atti di genocidio ci vogliono per fare un genocidio?”S. “Alan, questa non è proprio una domanda cui io sia nella posizione di rispondere”6.In Ruanda sono state uccise quasi un milione di persone in quattro mesi circa. Se si fosse parlato di genocidio la pressione dell’opinione pubblica avrebbe potuto influire sulla decisione di intervento della comunità internazionale che, si ricordi, è una decisione squisitamente politica. In ottobre dello stesso anno è stato istituito dal Consiglio di Sicurezza un Tribunale Penale Internazionale ad hoc con l’obiettivo di punire i colpevoli di genocidio. Quanto accaduto durante la Shoah ha fatto sì che la comunità internazionale ponesse tra i suoi obiettivi primari la difesa delle minoranze e dei “diritti umani”, concetto che nasce proprio dopo la seconda guerra mondiale. Sono ancora però moltissimi i punti deboli nella capacità di intervento per la difesa di questi principî. Pronunciare le parole “mai più” davanti ad Auschwitz rischia di essere un gesto vano, se non ipocrita, se poi la nostra comunità non è in grado di riconoscere le eliminazioni di massa laddove stanno avvenendo, di nuovo.Fino a oggi gli stermini che sono stati qualicati come “genocidi” sono quello – discusso7 – degli Armeni nel corso della prima guerra mondiale, la Shoah e il Ruanda, oltre al massacro di Srebrenica (Bosnia, luglio 1995). Sono stati istituiti anche tribunali “misti”, in accordo tra ONU e i singoli governi, come nel caso della Sierra Leone o delle Camere per la Cambogia. Lo Statuto di Roma del luglio 1998 riprende per l’ennesima volta la denizione del crimine di genocidio di mezzo secolo prima. La giustizia internazionale prevede altre tre categorie di crimini “secondo il diritto internazionale”: crimini di guerra, crimini contro l’umanità e il recente crimine d’aggressione (“crimini contro la pace”), i quali però giuridicamente si distinguono dal genocidio non in base all’estensione dello sterminio, ma in base alle intenzioni dei perpetratori, che per il genocidio sono quelle di eliminare un gruppo in quanto tale (as such in inglese).
Riessioni a margine del viaggio168Le ricezioni delle memorie 1 Ne Il cavallo e la torre, cit., pp. 69-70.2 Cfr. Debenedetti G., 16 ottobre 1943, Sellerio, Palermo 1993 [I ed. 1944].3 Due ricognizioni bibliograche si sono occupate della memoria della deportazione: Bravo A., Jalla D. (a cura di), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall’Italia 1944-1993, Angeli, Milano 1994; Vaglio G. (a cura di), Le parole e la memoria. La memorialistica della deportazione dall’Italia 1993-2007, EGA, Torino 2007.4 Su tutti un libro di grande successo: Cale P., Si fa presto a dire fame, L’Avanti!; Milano-Roma 1954.5 Si veda il focus “Israele e la memoria della Shoah”.6 Oltre a essere lmato, fu infatti integralmente trasmesso per radio. Si veda anche il focus “Il processo Eichmann”.7 Sessanta testi autobiograci vengono pubblicati tra il 1980 e il 1994, e la produzione si impenna letteralmente nell’ultimo quindicennio: oltre settanta pubblicazioni tra il 1995 e la ne degli anni Duemila. Per una ricognizione sempre utile si veda Cereja F., «La deportazione italiana nei campi di sterminio: lettura storiograca e prospettive di ricerca», in Cereja F., Mantelli B. (a cura di), La deportazione nei campi di sterminio nazisti. Studi e testimonianze, Angeli, Milano 1986, cit. in Carpinelli G. e Maida B., Memoria e deportazione, cit., pp. 55-70.8 Su tutte le interviste dello Shoah Foundation Institute for Visual History and Education di Steven Spielberg, 433 delle quali italiane, ora disponibili. Si veda Ti racconto la storia: voci dalla Shoah al link http://www.shoah.acs.beniculturali.it/.9 In Bravo A., Jalla D. (a cura di), La vita oesa, cit., p. 375.10 Si veda Bidussa D., «Introduzione» in Greppi C., L’ultimo treno, cit., p. XVI.Quando non c’era Auschwitz (nella nostra memoria) 1 Cit. in Bidussa D., Dopo l’ultimo testimone, cit., p. 37.2 Rimane insuperato il lavoro di quasi trent’anni fa di Claude Lanzmann: si veda Id., Shoah, Einaudi, Torino 2007, dvd + libro [ed. or. Shoah, Fayard, Paris 1985]3 Sessi F., Saletti C., Visitare Auschwitz. Guida all’ex campo di concentramento e al sito memoriale, Marsilio, Venezia 2011, p. 61.4 Ibid., p. 63.La storia e i luoghi, i luoghi della memoria (1945-2012) 1 «Présentation», in Id. (sous la direction de), Les lieux de mémoire, Gallimard, Paris 1997 [I ed. 1984-1992], tomo I, p. 20 [traduzione nostra].2 Conversazione con Silvia Mantovani, maggio 2011.3 Si vedano le varie sintesi proposte da Anna Maria Ori, a partire da Il campo di Fossoli. Da campo di prigionia e deportazione a luogo di memoria 1942-2004, Nuovagraca, Carpi 2004. Si veda anche: http://www.deportati.it/fossoli.html.4 Si veda ad esempio Malavasi, A.. e Piuca, M., I gatti di Pirano. Dal mare istriano al campo di Fossoli, Aliberti, Torino 2011.5 Si veda anche, all’interno di questa pubblicazione, il capitolo “Le ricezioni delle memorie”.6 A proposito dell’inaugurazione del Memoriale si veda il seguente link: http://comune.bolzano.it/events_detail.jsp?IDAREA=21&ID_EVENT=1280>EMPLATE=cultura_home.jsp.7 Comunicato in Ibid.8 Si veda Rousso H., Le syndrome de Vichy. De 1944 à nos jours, Paris, Seuil, 1990 [I ed. 1987], pp. 18-20.9 Si veda: http://www.retecivica.trieste.it/triestecultura/new/musei/risiera_san_sabba/.10 La targa di Torino reca la seguente scritta: “Partirono da questa stazione / i deportati politici per i campi di sterminio nazisti / A chi rimaneva lasciarono la consegna / di continuare la lotta contro il nazifascismo / per l’indipendenza e la libertà” (cfr. http://www.museotorino.it/view/s/9d35107137e24b878382ac486844ae6d). Per Bolzano si veda: http://comune.bolzano.it/cultura_context.jsp?ID_LINK=2626&area=11.11 Si veda la sezione Commémorations in Nora P., Les lieux de mémoire, cit., pp. 349-515.12 http://www.comune.torino.it/infogio/ric/2012/pub19792.htm.Il genocidio e i suoi esclusi 1 Bassiouni C., Crimes against Humanity in International Criminal Law, Kluwer, L’Aja 1999, p.40.2 Raphael Lemkin (1900-1959) avvocato polacco, già prima del secondo conitto mondiale si interessa al genocidio armeno e propone alla Società delle Nazioni di bandire questo crimine in modo denivo.3 Lemkin R., Genocide as a Crime under International Law (http://www.preventgenocide.org/lemkin/freeworld1945.htm).4 Corsivo nostro.5 Si veda la traduzione degli autori in Greppi E., Venturini, G., Codice di diritto internazionale umanitario, Giappichelli, Torino 2012.6 Cit. in Power S., Bystanders to Genocide, in «e Atlantic Monthly», settembre 2001.7 La Turchia continua a sostenere che non si trattò di un “genocidio” e la comunità internazionale, per ragioni politiche, economiche e strategiche, non ha portato il governo turco ad assumersi le responsabilità storiche del massacro degli armeni. La questione è spesso di stringente attualità in Francia, paese nel quale è presente una numerosa comunità armena.NOTE
169ConclusioniCONCLUSIONI
Conclusioni170Torino, ottobre 2009 Di solito sono gli adulti a educarci, a insegnarci le responsabilità, a raccontarci la Storia – il nostro passato – e i suoi ammonimenti. Sono gli insegnanti, i genitori, i nonni, che ci raccontano che tanti anni fa, nel cuore dell’Europa, si è consumata una tragedia di dimensioni apocalittiche, che esistevano centri di sterminio e campi di concentramento, che milioni di esseri umani sono diventati schiavi, aamati, assetati, torturati, e che la maggior parte di loro non ha mai fatto ritorno alla propria casa. Il passato è passato, non ritorna. Gli adulti, spesso saggi ma così lontani da noi, con le loro vite che sembrano immobili, ci raccontano che noi dovremmo imparare da quello che è successo, dovremmo “trarne insegnamento”. Sembra impossibile che tanti anni fa, in Europa, sia successo tutto questo. Eppure, nonostante sembri impossibile che possa succedere un’altra volta, regolarmente, nel mondo di oggi, nuovi fascismi prendono il potere, la gente viene ancora sterminata senza ragione, la schiavitù esiste ancora. “È avvenuto, quindi può accadere di nuovo”, ha scritto Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz. Anche qui, anche da noi, anche domani. Ogni volta che qualcuno si volta dall’altra parte, ogni volta che le istituzioni democratiche scricchiolano, ogni volta che una gura carismatica cerca di alzare la voce e schiacciare il dialogo, ogni volta che si strumentalizza la gente, ogni volta che si incomincia a fare distinzioni fra cittadini “di serie A” e cittadini di “serie B”, si muove un passo verso un futuro che non possiamo prevedere. E il futuro siamo noi giovani, noi e voi, noi forse “un po’ più adulti” di voi. Per anni abbiamo portato ragazzi come voi a vedere il passato, a respirare il gelo di Auschwitz, a farsi rapire dalla sterminata follia di Birkenau. Oggi, con queste pagine, abbiamo provato a raccontarvi la Storia in poche parole, in poche immagini, fedeli alla Storia ma anche ai lettori, voi, migliaia di giovani ai quali, forse, il Treno della Memoria lascerà la voglia di non essere sordi, ciechi e muti. I ragazzi e le ragazze di Terra del Fuoco
171Conclusioni[...] allora chi decide è l’occasione; basta l’occasione a trasformare la vittima in carnece: qualsiasi uomo, in qualsiasi momento. Felici quelli che sono morti senza aver mai dovuto domandarsi: “Se mi strappano le unghie, parlerò?” Ma più felici quelli che non sono stati costretti, usciti appena dall’infanzia, a porsi l’altra domanda: “Se i miei amici, i miei compagni d’armi, i miei capi strappano le unghie a un nemico dinnanzi ai miei occhi, che cosa farò?” [Jean-Paul Sartre, prefazione a La tortura di Henri Alleg] “La vendetta non mi interessava; ero stato intimamente soddisfatto dalla (simbolica, incompleta, tendenziosa) sacra rappresentazione di Norimberga, ma mi stava bene così, che alle giustissime impiccagioni pensassero gli altri, i pro-fessionisti. A me spettava capire, capirli. Non il manipolo dei grandi colpevoli, ma loro, il popolo, quelli che avevano creduto, che non credendo avevano taciuto, che non avevano avuto il gracile coraggio di guardarci negli occhi, di gettarci un pezzo di pane, di mormorare una parola umana. Ricordo molto bene quel tempo e quel clima, e credo di poter giudicare i tedeschi di allora senza pregiudizi e senza collera. Quasi tutti, ma non tutti, erano stati sordi, ciechi e muti: una massa di “invalidi” intorno a un nocciolo di feroci. Quasi tutti, ma non tutti, erano stati vili.” [Primo Levi, I sommersi e i salvati, 1986]
Appunti per il viaggio172173APPUNTI PER IL VIAGGIO
Appunti per il viaggio172173LA PROPAGANDA FASCISTAIL RUOLO DELLA PROPAGANDA POLITICA NEL REGIME FASCISTA «La propaganda è la causa di tutto. Con la propaganda si forma l’uomo totalitario. Senza di essa, i grandi rivolgimenti della nostra epoca non sarebbero stati concepibili». Il totalitarismo è fenomeno del ‘900 proprio perché in questo secolo la manipolazione dell’informazione diviene uno dei più importanti strumenti per gestire il potere.Per “totalitarismo” si intende un sistema in grado di penetrare in ogni aspetto della vita politica e civile e di controllare ogni ma-nifestazione della vita dei cittadini. Il fascismo tenta di organizzare in modo profondo il consenso. Gli strumenti di cui si avvale la propaganda fascista sono:- i moderni mezzi di comunicazione, ossia la radio (gestita dall’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche), il cinema (nasce nel 1924 l’istituto Luce, nel 1937 viene inaugurata Cinecittà), la stampa, le adunate in piazza che esaltano il culto del duce (dove la sceno-graa delle cerimonie assunse un ruolo fondamentale). L’oralità è sempre privilegiata perché le ideologie espresse a viva voce acquisiscono un potere maggiore delle parole scritte. Nel 1935 viene istituito il Ministero per la stampa e la propaganda, che nel ‘37 viene chiamato Ministero della cultura popolare. - La creazione di occasioni di partecipazione: il fascismo attorno al mito della guerra crea grandi momenti di identità e di senso di appartenenza alla nazione.- La repressione, la censura (è istituita una commissione per la «bonica libraria», per una revisione dei libri usciti dal ‘14 al ‘40) e il terrore. Quest’ultimo «raorza il monopolio delle comunicazioni di massa e di ogni tipo di comunicazione»; - l’insistenza sulla categoria di “nemico” e sulla creazione di immagini stereotipate, l’elaborazione di teorie cospirative (cospirazio-ne ebraica mondiale è la più ecace invenzione della propaganda nazista, che attecchisce su un suolo fertile, fatto di pregiudizi e stereotipi).- l’educazioneLA “FASCISTIZZAZIONE” DELLA SCUOLAL’educazione dei giovani assume un’importanza vitale per un governo che si vanta di rovesciare tutti i criteri convenzionali di moralità, giustizia e civiltà. L’obbiettivo è di inserire l’individuo nel sistema gerarchico, accettato e sentito quasi religiosamente. Il fascismo concepisce la scuola quale strumento diretto per:- educare un popolo di disciplinati scolari, attraverso l’opera del maestro-duce, quale gura ideale- controllare le generazioni in crescita La pedagogia fascista si fonda principalmente sulla componente emotiva, rappresentata dalla sapiente utilizzazione di ideali e desideri tipicamente giovanili e dallo studio mnemonico e ripetitivo, più consono ad una scuola di conformismo che di spirito critico.La riforma Bottai del 1939 e le 29 dichiarazioni, che modicarono la riforma Gentile del 1923, si caratterizzano per:- adare alle scuola una funzione politica e allo Stato una funzione educativa;- semplicare ulteriormente il sistema degli studi, degli esami e dei concorsi;- il controllo dei libri di testo, alle elementari si adotta il libro di Stato;- il controllo degli insegnanti, la cui valutazione si basa in primo luogo sulle «segnalazioni politiche». Il fascismo, oltre a “fascistizzare” la scuola, tende ad adare l’educazione dei giovani alle sue organizzazioni, ossia l’Opera Nazio-nale Balilla e la Gioventù Italiana del Littorio.
Appunti per il viaggio174175COSTRUIRE IL NEMICOSfruttando gli stereotipi e le immagini già esistenti che denigravano gli ebrei, la propaganda nazista dipingerà gli ebrei come “un corpo estraneo” alla nazione, un corpo che vive come un parassita alle spese della collettività e che trama, di nascosto, per sovvertire l’ordine e impadronirsi del potere, oltre ad essere un pericolo in senso biologico per il rischio di imbastardimento della “razza ariana”. Per Hitler e per i nazisti gli ebrei sono qualcosa di molto diverso da una razza inferiore, sono l’incarnazione del male, del demonio, del virus che infetta il sangue puro, sono fuori dal genere umano e, pertanto, vengono denigrati, bollati come “nemici del popolo tedesco” e dell’umanità intera attraverso un lessico che appartiene al campo semantico dell’animale (ratti, porci) e della malattia (virus,cancro, metastasi, batterio). Poiché gli ebrei non sono distinguibili sicamente dai non ebrei – malgrado quello che tenta di dimostrare l’antisemitismo – occorre de-formarne l’immagine, renderla caricaturale, bestiale, per farle perdere ogni parvenza di umanità, suscitando nella popolazione tedesca un senso di ribrezzo, ma anche di indierenza (“in fondo non stiamo facendo del male a persone come noi”).E nel momento in cui si accredita l’idea che l’ebreo sia la metafora della malattia sociale e politica, “il cancro” che rischia di far morire il progresso dell’umanità, diventa più facile far passare, tappa dopo tappa, l’idea che allontanare, discriminare e uccidere gli ebrei non solo non costituisca un fatto poi così grave, ma che sia addirittura legittimo e necessario. “O loro o noi”, sostengono gli antisemiti nazi-sti, individuando nella morte degli ebrei la soluzione a ogni problema.[Laura Fontana e Paolo Pagliarani, La costruzione del consenso]In Auschwitz è racchiusa la storia del processo di annullamento del “diverso”, una sorta di modello potenzialmente applicabile a diversi contesti e in diversi gradi, che dall’individuazione di un “nemico” porta alla sua eliminazione sistematica e denitiva. É un processo che già si è ripetuto nella nostra storia: per questo andare ad Auschwitz per noi signica andare sui luoghi della memo-ria anche di altri stermini, di altri genocidi, di altri crimini del passato e del presente.Ognuno è identico solo a se stesso, e nel momento esatto in cui si pensa.La diversità, come la somiglianza, non esiste in quanto criterio oggettivo: è un fatto culturale. È simile ciò che riconosciamo o che fa parte delle nostre abitudini ed è diverso ciò che non abbiamo mai visto o che non appartiene alla nostra quotidianità.La diversità si può creare e, allo stesso modo, distruggere. Allo stesso modo le “identità”: esse si sovrappongono e si modicano nel tempo, sono il frutto delle percezioni culturali di noi stessi e degli altri, a noi vicini o lontani. Tra gli uomini prevalgono sempre le somiglianze – basti pensare alle caratteristiche costitutive dell’essere umano e ai bisogni primari – piuttosto che le dierenze, il problema è cosa si sceglie di – o si è portati a – guardare.La costruzione del nemico è un processo quasi sempre attivato da qualcuno in maniera razionale, i cui passaggi si possono descrivere e ritrovare con impressionanti similitudini in diversi momenti della storia, e che si susseguono tendenzialmente in questo ordine:
Appunti per il viaggio174175Si segna un conne (territoriale, culturale, sico) per dividere un noi da un loro. Si creano delle identità sse ed escludenti alle quali si appartiene o non si appartiene. Le caratteristiche in base alle quali si identicano i gruppi devono essere evidenti: la religione, per esempio, permette di individuare pratiche culturali dierenti e, nel caso dell’ebraismo, di assegnare addirittura una colpa originale, come l’uccisione di Dio. Si classicano le vittime attraverso la caratteristica principale. Bisogna saper riconoscere chi appartiene al gruppo degli altri, per questo è necessario trovare dei criteri riconoscibili, ad esempio veniva considerato ebreo chi aveva almeno un genitore ebreo. Il criterio è totalmente arbitrario e denito dal gruppo discriminante. Infatti per la religione ebraica è ebreo colui che nasce da madre ebrea, ma questo non aveva alcuna importanza per i nazisti.Si crea uno stereotipo – o se ne sfrutta uno già esistente – al ne di identicare il bersaglio (gruppo target) e metterne in risal-to le presunte caratteristiche negative. Questo serve a creare e fomentare un immaginario collettivo escludente.Il gruppo target viene tacciato di essere una minaccia all’ordine e alla sicurezza pubblici. In questo modo può essere conside-rato un nemico, pericoloso e dannoso per noi.Si disumanizza il nemico attraverso un linguaggio e un immaginario specici al ne di identicarlo come una minaccia. Si utilizzano termini che lo rendano non umano, collegati alle bestie o alle malattie o alla sporcizia. Si attribuiscono dei riconoscimenti per identicare i nemici (questo dimostra tra l’altro l’impossibilità di distinguere gli esseri umani a priori): alcuni strumenti possono essere il contrassegno sui documenti o addirittura sul corpo (ad esempio la stella di David). In questo modo si dà visibilità: è necessario rendere riconoscibile la minaccia perché tutti la possano individuare.Grazie alla disumanizzazione anche verbale precedentemente messa in atto si suscitano ribrezzo e indierenza nel resto della popolazione, deformando l’immagine, rendendola caricaturale e bestiale, per farle perdere ogni parvenza di umanità.Il disprezzo porta con sé alcune conseguenze necessarie per l’esclusione e l’eliminazione del nemico: il senso di titolarità (il privilegio del diritto a controllo, dominio e abuso su un altro essere non più riconosciuto come umano); l’intolleranza verso le dierenze, diverso è uguale a inferiore, e quindi non è degno di rispetto; la licenza di esclusione, la “caccia alle streghe” per isolare e segregare il presunto nemico, no all’eventuale momento della “soluzione nale”. Specialmente nelle guerre del No-vecento – nel corso delle quali si ribalta completamente il rapporto militari/civili nel conteggio delle vittime – la presenza di un conitto armato è la condizione ideale per poter passare all’eliminazione sica di massa dei “nemici”.Sebbene si tratti di un “piano inclinato” che non necessariamente porta all’eliminazione sica del “nemico”, ogni sterminio, compreso quello degli ebrei d’Europa e degli altri nemici del Reich, si sviluppa – in diverse misure e con tempi diversi – se-condo questi passaggi. ---------
Appunti per il viaggio176177Il testo, pubblicato nel 1938, è dedicato a Mussolini, alla “rivoluzione fascista” e alle istituzioni e organizzazioni del regime.Il “Primo Libro del Fascista” è rivolto agli studenti delle scuole elementari e medie. Costruito su asserzioni brevi e lapidarie e su domande e risposte, il sistema diindottrinamento fascista utilizzato nel volume è stato paragonato ai testi di catechismo diusi nelle parrocchie alla ne dell’Ottocento.Il testo in questione fu ripetutamente indicato dal Ministro per l’Educazione Nazionale Bottai ai Provveditori e, per loro tramite, ai Presidi in modo da favorirne la diusione di massa. Il libro divenne uno dei best seller del regime.
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Appunti per il viaggio178179Le strisce a fumetti sono tratte da “La Stampa”, edizione dell’autunno 1938. L’immagine “Come ricorderemo gli ebrei nel 2000” è tratta da “Libro e Moschetto”, Milano 1940.LA PROPAGANDA SUI GIORNALI
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Appunti per il viaggio180181LA DEPORTAZIONE E LE RESPONSABILITÀ PERSONALIDi seguito sono riportate alcune testimonianze che ripercorrono i diversi ruoli e le responsabilità di tutti coloro che, in un modo o nell’altro, hanno preso parte o hanno assistito (mettendo in atto diversi atteggiamenti) alle deportazioni verso i lager nazisti.Prima del lager: responsabilità italiane e tedescheOrdine di polizia n. 530 novembre 1943A tutti i Capi delle Province LibereNr. 5Comunicasi, per la immediata esecuzione, la seguente ordinanza di Polizia che dovrà essere applicata in tutto il territorio di codesta Provincia:A) Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni, mobili ed immobili, debbono essere sottoposti ad immediato sequestro, in attesa di essere conscati nell’inte-resse della Repubblica Sociale Italiana, la quale li destinerà a benecio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche.B) Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazione delle leggi razziali italiane vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi di polizia. Siano per intanto concentrati gli ebrei in campi di concentramento provinciali in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati.Ministro Interno Buarini.In un primo tempo, molti Ebrei furono soppressi in autocarri ermeticamente chiusi, dove venivano immessi i gas di scarico. Non si poteva sbirciare oltre i vetri, che erano abbrunati, per vedere cosa succedeva nel sottostante cortile, senza contare che gravissime sarebbero state le punizioni in caso di trasgressioni.Verso la ne di marzo, forse il 29 o il 30, pochi giorni dopo l’arrivo del trasporto, una mattina verso le quattro fecero irruzione nella nostra camerata due SS che gridando ci imposero di alzarci e con una lista in mano cominciarono a urlare i nostri nomi.Il mio fu il primo. Marta Ascoli, Auschwitz è di tutti (1998)“Ne ammazzano ogni notte qualcuno. Li portano nel cortile e poi li ammazzano con un colpo alla nuca. Dopo ogni sparo i cani urlano. Li sentirai anche questa notte: forse per me, forse per quell’altro, là. In una settimana, da quando sono qua dentro, ne ho sentiti uccidere trenta. Tutti partigiani”. Bruno Piazza, Perché gli altri dimenticano (1956)Le corresponsabilitàEsci dalla stanza della tortura pieno di odio contro il carnece, passi tra i tuoi che non fanno niente, ma capisci che non possono agire. Sei sul camion che dalla prigione ti porta al treno con destinazione campo di concentramento. Guardi con odio le guardie SS che ti tengono prigioniero. E guardi la gente in strada che ti vede passare prigioniero e non può fare niente, e capisci. Ma vedi anche alcuni dei tuoi amici, vedi una parte del tuo popolo che lavora per i carneci. Fossero dei collaboratori che credono nelle idee del nemico, potresti capirli e giusticarli. Stanno dall’altra parte, ti sono nemici anche se fanno parte della tua gente.Invece no, lavorano e collaborano per puro servilismo. E tu non puoi che accomunare al tuo odio per il carnece anche un sordo rancore verso il tuo popolo, capace di essere un “popolo servizievole” pronto a chinare il capo, ubbidire e servire, appena uno si
Appunti per il viaggio182183presenta con un grosso cappello in testa, o sa fare la voce tonante. Il più abietto e spregevole servilismo, alla ricerca di un torna-conto mercantile o di un vantaggio concreto ma precario.Sono con te sul camion, sono con te sul treno, prigionieri come te. Non sai chi, ma alcuni hanno dentro questa maledizione: il servilismo.Carlo Slama, Lacrime di pietra. Gli orrori del Lager segreto dove si costruivano le V2 (1980)Perno i poliziotti ci appaiono diversi da come li avevamo immaginati. Ci osservano con una certa indierenza, ma non si spa-zientiscono.Roberto stava dicendo loro: “Prendete noi uomini e lasciate stare le donne. Mia madre è vecchia. La guardi” ingiunge a un poli-ziotto. “Dove vuole portarla, in galera?...”Il poliziotto si stringe nelle spalle. Hanno avuto l’ordine di arrestare tutti i membri della famiglia. Una famiglia di ebrei, sottoli-nea con un risolino a or di labbra. E prosegue subito che lui non capisce tanto dramma. Parla con un accento meridionale che deforma le parole. Un altro poliziotto lo interrompe e interloquisce come parlasse tra sé e sé: “Ebrei... veramente ebrei. Hanno inchiodato Nostro Signore Gesù Cristo, gli ebrei”. Si rivolge a noi, anch’egli con un risolino a or di labbra. “In che guaio vi siete messi da allora. In che guaio. E chi può darvi retta dopo quello che avete fatto?”.Piera Sonnino, Questo è stato. Una famiglia italiana nei lager (a cura di Giacomo Papi) (2004)Poi sperimentammo anche il viaggio in treno, in uno scompartimento speciale, prenotato appositamente per noi dai carabinieri che ci avevano ammanettato – uno a uno – e che ci accompagnavano. Ubbidivano senza ferocia o acredine, anzi con un non ben dissimulato rispetto e forse anche con una certa compassione. Ma ubbidivano, come comanda la loro Arma, anche quando l’ubbidienza li trascinava in percorsi delinquenziali. Soltanto parecchi anni dopo don Milani apriva gli occhi agli ignari scrivendo L’ubbidienza non è una virtù.Gilberto Salmoni, Una storia nella Storia. Ricordi e riessioni di un testimone di Fossoli e Buchenwald (a cura di Anna Maria Ori) (2005)Certamente, partivano la mattina, salivano sul tram con gli operai e gli impiegati e, mentre questi entravano nelle fabbriche e negli uci, timbravano i cartellini e si mettevano a lavorare, chi alle macchine, chi alle scrivanie, i torturatori entravano a S. Vitto-re, staccavano le catene, i nerbi di bue ed altri arnesi del mestiere dai chiodi che li reggevano, e giù sulla schiena di tanti poveri cristi che nono conoscevano nemmeno. Così dalla mattina alla sera, e forse ci facevano anche gli straordinari. Chissà cosa raccontavano alle loro mogli ed ai loro bambini, tornando a casa stanchi morti. Roberto Camerani, Il bel sogno. Amare dopo lo sterminio (1998) Gli spettatoriCade la sera. Ci sono persone a spasso sulla strada, lungo la ferrovia. Vanno verso il piccolo villaggio incoronato da tranquille vo-lute di fumo. Forse gettano uno sguardo verso quel treno, uno sguardo distratto, è solo un treno merci come ne passano spesso. Vanno verso le loro case, non sanno che farsene di quel treno, hanno la loro vita, le loro preoccupazioni, le loro storie private. Im-provvisamente mi rendo conto, a vederli camminare su quella strada, come se fosse una cosa semplicissima, che io sono dentro e che loro sono fuori.Jorge Semprùn, Il grande viaggio (1963)Con il gran movimento che si creò intorno al campo [di Fossoli], possibile che nessuno si sia mai chiesto chi fossero quei civili giunti alla spicciolata con le loro famiglie, che cosa ci facessero là, perché partissero a scaglioni, che cosa fossero quei vagoni fermi a Carpi con paglia per terra e un bidone, perché partissero con treni merci come animali inchiavardati all’esterno, dove
Appunti per il viaggio182183fossero diretti? La presenza di numerosi bambini e anziani doveva pur rendere ridicola la comoda illusione che si trattasse di un trasferimento degli ebrei verso campi di lavoro.Liliana Picciotto Fargion, L’alba ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli. 1943-1944 (2009)La città era ancora immersa nel sonno e le vie quasi deserte. Ebbi l’impressione che il popolo milanese o non sapesse della nostra partenza, o, abituato ormai a ogni violenza dei tedeschi, non si interessasse più della nostra sorte. Il popolo italiano, confuso e diviso da contrastanti partiti e da insipienza di governanti, doveva esperimentare altre soerenze e tragedie per ritrovare se stesso e insorgere poi eroicamente alla riconquista della sua libertà e indipendenza. Le carceri, gli internamenti, le fucilazioni che continuarono con terribile crescendo, furono il prezzo della liberazione. Scrisse un autentico eroe della Resistenza, caduto in campo di concentramento: “Non vi sono popoli liberati, ma popoli che si liberano”. Padre Giannantonio Agosti da Ramallo, Nei Lager vinse la Bontà (1960)Coi nostri sacchi e le nostre valige salimmo per la strada che attraversava il paese. Si vedevano al di là dei vetri delle nestre delle tendine e dei ori. Poca gente per strada e nessuno che si voltasse a guardarci, incrociammo poche occhiate fredde e sfuggenti.Sergio Sarri, La scatola degli spaghi troppo corti (1999)Piccoli grandi gestiUn mattino radunammo le nostre cose su un carretto e a piedi partimmo alla volta di Chiavari. Attorno a noi si raccolse un bel po’ di gente tra curiosa e compassionevole per vedere andare via “la famiglia ebrea”. Ci guardarono con qualcosa negli occhi che non dimenticherò più. Se i miei fratelli lo avessero chiesto sono certa che ci avrebbero aiutato a mettere le valigie sul carretto e avreb-bero stretto la mano a tutti purché, per primi, l’avessimo tesa. Mentre ci allontanavamo non potemmo fare a meno di pensare a quella gente e al fatto che, seppure ognuno di noi valeva una taglia di duemila lire, nessuno ci aveva denunciato.Gente umile, gente sconosciuta, poverissima, quella che lasciavamo alle spalle, gente che non possedeva assolutamente nulla e che ci aveva donato altri mesi di vita.Piera Sonnino, Questo è stato. Una famiglia italiana nei lager (a cura di Giacomo Papi) (2004)Per oltre un mese vivemmo ai margini di una zona controllata in buona parte dai partigiani e lo ignorammo. Avevamo la salvezza a portata di mano senza saperlo. Soltanto al mio ritorno appresi che cosa racchiudessero allora i monti che avevamo attorno. E appresi anche quali legami ci fossero tra quei monti e i contadini che protessero anche noi con il loro silenzio.Piera Sonnino, Questo è stato. Una famiglia italiana nei lager (a cura di Giacomo Papi) (2004)Mi trovo ancora presso il mio giaciglio e sto preparando il piccolo fardello, quando ricevo una inaspettata visita dell’infermiera.− Prenda questi medicinali per il viaggio – mi dice con voce un po’ oca l’angelo del campo.Mi consegna anche qualche cosa per ristorarmi in tradotta ed una sciarpa di lana. Il suo gesto mi commuove. La guardo silenzioso negli occhi castani.Sono febbricitante e snito eppure la generosità della giovane donna mi comunica un’energia nuova, per cui mi sento ancora forte da combattere la morte più brutta e terribile... la morte di fame e di stenti in un carrozzone bestiame.Pino Da Prati, Il triangolo rosso del deportato politico N 6017 (1946) A rischio della vitaCompletato il carro, prima che chiudano i vagoni, si avvicinano alcuni ferrovieri della stazione di Carpi, ci consegnano un asco di vino e una grossa parte di una forma di formaggio parmigiano. Scopriremo subito dopo che nel asco di vino è nascosto un fascetto di seghe da ferro.Alberto Todros, Memorie (1920-1952) (1999)
Appunti per il viaggio184185Quando toccò a me vidi un repubblichino di servizio che andava su e giù: era molto giovane, sembrava un bambino, visto dall’alto; senza pensare due volte gli chiesi se gli piaceva il lavoro che stava facendo. Non rispose nulla, ma nel tornare indietro si accorse che ero ancora lì. Mi disse, senza alzare la testa: “Se vuoi avvisare qualcuno butta un biglietto, io lo recapito”.Le mie compagne (le più anziane naturalmente) mi sconsigliarono di farlo, ma io non ascoltai nessuno, presi dal mio zainetto un pezzo di carta e scrissi soltanto l’indirizzo di mia mamma. Pregai le mie compagne di farmi nuovamente la scala e salii aspettando il suo passaggio: gli dissi: “Ecco il mio biglietto”, lui guardò che nessuno vedesse lo prese e lo mise in tasca. Io in quel momento sperai solo che andasse a buon ne, pensando che fra di loro ci fossero ancora delle persone comprensive. Quando mia madre mi raccontò di quel ragazzo che era andato a portarle mie notizie, che stavo bene, partivo per la Germania, mi disse che poi era scappato dalla Repubblica di Salò ed era andato coi partigiani: ma purtroppo in combattimento rimase ucciso. Mia mamma mi disse che quando l’aveva saputo aveva provato lo stesso dolore come quando era stato fucilato suo glio Giuseppe. Da quel momento ho incominciato ad aver ducia nei giovani: e questa ducia continua tutt’ora, è anche per questo che trovo la forza di continuare a portare avanti il dovere di testimoniare. Anna Cherchi Ferrari, La parola Libertà: ricordando Ravensbrück (a cura di Lucio Monaco) (2004)Chi avrà messo la lima sotto la segatura? Probabilmente sarà stato un ferroviere patriota: benedetta quella ignota mano; cin-que vite umane ripeteranno all’innito “grazie”.Vito Arbore, “Viaggio infernale: destinazione Flossenbürg”, in Vincenzo Pappalettera (a cura di) Nei lager c’ero anch’io (1973)Dopo un poco il treno fece un’altra fermata […] c’era una fontanella, lì, quasi uno spigolo della stazioncina, e gruppi di civili, adulti e bambini, che guardavano verso di noi.Gridiamo che abbiamo sete, da dietro le feritoie agitiamo le gamelle carcerarie; gli uomini, le mamme, spingono i bambini, li incitano ad avvicinarsi al convoglio. Ma i militari tedeschi fanno la scorta lungo i vagoni, imprecano e minacciano. Abbiamo le labbra aride e gone, gli occhi febbricitanti, le braccia nude perché bruciamo di sete e di febbre. Con le voci rau-che di arsura gridiamo ancora – disperatamente – che abbiamo sete, che moriamo di sete. Abbiamo rotto il lo spinato delle feritoie, agitiamo verso i bambini, che non vengono ma che non fuggono, le nostre gamelle: “Acqua!” gridiamo, con la voce disumana degli assetati. “Acqua! Sono due giorni che non abbiamo una goccia d’acqua”.Una ragazza bionda, di quindici o sedici anni, va incontro al soldato ch’è davanti al nostro carro, lo prega, lo supplica, col sor-riso, con le lacrime.I bambini, tutti, si sono fatti intorno ai soldati, gridano insieme ai civili e ai ferrovieri che invocano un sorso d’acqua per noi.All’improvviso la ragazza fa una nta, elude il soldato, che ha spalancato le braccia prolungate dal moschetto per impedirle di passare, corre verso di noi. Protende le mani e noi le buttiamo le nostre gamelle, cinquanta recipienti per due sole mani.L’incanto è rotto, i bambini sono fra i binari, raccolgono le gamelle, corrono alla fontanella, e gli adulti empiono e porgono – ma una sola fontanella, così lontana, non può bastare; i ferrovieri escono dal buet con una vasca piena d’acqua e organizzano i viaggi dei bambini, perché occorre tanta acqua, per centinaia di uomini che da due giorni ardono di sete e che forse non berranno più per molti giorni ancora.I soldati tedeschi gridano, furibondi, e colpiscono, ordinano al macchinista di far ripartire subito, e i bambini si arettano attraverso i binari e il pietrame con l’angoscia nel cuore perché già le gambe più non reggono, troppo poco un gruppetto di bambini per dare acqua a tutto un convoglio di uomini bruciati dalla sete. La ragazza è rimasta ferma dinnanzi al nostro va-gone e tende le braccia e s’alza sulla punta dei piedi per porgerci l’acqua che i bambini portano. La feritoia è in alto, e l’acqua le cade sul viso e sui capelli.[…] Il treno si muove, a scosse. I bambini corrono ancora tra i binari e il pietrame, tendono verso di noi le gamelle piene d’ac-qua. La nostra benefattrice è rimasta a anco dei vagoni che ripartono verso il nord; col braccio alto ci saluta – e sorride. Ma dagli occhi le traboccano le lacrime, e i capelli le si appiccicano sul viso bagnato.Giovanni Melodia, La quarantena. Gli italiani nel Lager di Dachau (1971)
Appunti per il viaggio184185IL VIAGGIOLe seguenti testimonianze raccontano il viaggio dei deportati italiani verso i lager nazisti. Il 12 ottobre 1944 […]. Ricordo ogni istante di quel giorno, ogni sua immagine. Rivedo mia madre e mio padre nel loro grande letto matrimoniale, due vecchi ormai, logorati dall’angoscia, volgere il capo verso di me al mio ingresso per il saluto mattutino e sento, come fossero amme, i loro occhi sul mio volto. Una mattina come un’altra; come milioni di altre che la precedevano e che l’avrebbero seguita. Per noi unica, diversa da qualsiasi altra del passato e dell’avvenire. È quella che racchiude le ultime immagini di ciò che no allora eravamo stati, della mia famiglia, dei miei genitori, dei miei fratelli e delle mie sorelle. Tutto ciò che è avvenuto in quelle ore per noi avveniva per l’ultima volta. E nulla lo faceva presagire.Piera Sonnino, Questo è stato. Una famiglia italiana nei lager (a cura di Giacomo Papi) (2004)[I detenuti] venivano svegliati bruscamente nelle loro celle nel cuore della notte, fatti vestire, preparare il fardello a suon di percosse, poi in autocarrette chiuse erano portati ad una stazione con forte scorta di sbirri armati, ove venivano fatti salire in un carro bestiame, stretti come acciughe, senza paglia, né coperte, né viveri, con la desolazione dell’incognita nel cuore e fatti viaggiare per più giorni.Giovanni Baima Besquet, Deportati a Mauthausen (1943-1945) (1946)Tutto ci sembrava preferibile alla vita in quella mobile prigione, a quell’incertezza spasmodica della sorte cui andavamo in-contro. Niente poteva esistere di più insoribile di quella promiscuità, di più tormentoso di quell’atmosfera pesante, tetra, inquinata dal fetore dei cadaveri e degli escrementi, dall’odore acuto e selvatico del sudore dei vivi. Niente di più inumano di quel lento scorrere di ore, con l’ansietà e la paura che si gonavano dentro di noi, mentre i bambini urlavano e i malati geme-vano, morendoci accanto.Corrado Saralvo, Più morti, più spazio. Tempo di Auschwitz (1969)Settanta uomini in un vagone sono molti.Soltanto venti possono sdraiarsi, mentre gli altri restano in piedi. Nella realtà, i tentativi di organizzare dei turni falliscono. Passiamo così tre giorni e tre notti seduti, uno fra le gambe dell’altro. Sembra una mutua intesa: nessuno parla del futuro. Discorriamo soltanto del nostro passato, eppure non siamo dei vecchi.Per fortuna, la vicinanza non ci dà noia. A nord del Brennero, su un vagone merci in movimento il freddo è intenso.Ogni tanto ci alziamo per saltellare un poco perché occorre riattivare la circolazione paralizzata dal freddo e dall’immobilità.I piedi sorono principi di congelamento.L’angoscioso silenzio durato ore viene talvolta interrotto da una canzone partigiana; avviano il coro acerbe voci piemontesi. Altre volte, nel buio opprimente, una fresca voce veneta attacca un coro, la seguiamo tutti. Cantare infonde coraggio, tiene compagnia, conforta i ragazzi del Cuneese, della Carnia, di Cesate, di Vareto. La maggior parte è al di sotto dei venti anni.Vincenzo Pappalettera, Tu passerai per il camino. Vita e morte a Mauthausen (1965)Saliamo sul carro bestiame fermo a un binario, consegnati a quattro militi della polizia di frontiera “Alpenjaeger”. Qualcuno urla di far partire subito questo strano vagone per sottrarre il suo carico agli sguardi dei viaggiatori del treno a cui è agganciato.Italo Tibaldi, Compagni di viaggio. Dall’Italia ai Lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-1945 (1994)La notte era insolitamente limpida e attraverso un pertugio del vagone potevo ssare, preso da una commozione profonda, gli occhi d’oro delle stelle che brillavano miti e lontane, nella conca scura del cielo, mondi innumerevoli e liberi negli spazi inniti, mentre il mio orizzonte, ormai, era limitato a quella mobile prigione che trascinava nel buio, verso una sorte incerta, il suo carico di miseria e di dolore.Corrado Saralvo, Più morti, più spazio. Tempo di Auschwitz (1969)
Appunti per il viaggio186La mattina del 5 o del 6 di ottobre ci vennero a svegliare presto. Qualcuna imprecò: “Va’ all’inferno, Herbert!” “Non ti preoc-cupare, - fu la risposta, - che oggi all’inferno ci vai tu davvero!” Ci presero, ci portarono alla stazione e ci caricarono su carri bestiame. Sessanta donne su un carro bestiame! Due vagoni di donne, e dietro alcuni vagoni dì uomini. Oltre a mia madre, che era anziana, mi ricordo che c’erano la contessa Valdameri, anche lei anziana, una donna incinta, e altre, malate o non più gio-vani. Donne di tutti gli strati sociali: nobili, borghesi, intellettuali, operaie - per esempio, le operaie della Borletti che avevano scioperato —, contadine, la Livia Borsi, che aveva tre bambini, mamma Rosa di Pavia; e di tutte le correnti politiche. Sessanta, in piedi, in piedi! Sedute non ci si poteva stare. Alle persone anziane cercammo dì lasciare un po’ più di spazio, perché almeno loro si potessero sedere. Però non c’eran servizi igienici, non c’era niente! Fu una cosa bestiale! Chiuse, piombate, praticamente senz’aria, eccetto quella che ricevevamo dalle fessure! Mi ricordo che una disse subito: “Dobbiamo organizzarci”. Decidemmo: “Chi ha da mangiare, mangi poco”, perché il mangiare troppo avrebbe signicato sentirsi male e aver sete. Poi cercammo insieme di fare un buco nel pavimento, per avere un gabinetto provvisorio, e ci riuscimmo, per forza di cose. Non sapevamo quanti giorni saremmo dovute stare in quel vagone. Un giorno e una notte rimanemmo ferme sul binario, e quattro giorni e quattro notti durò il viaggio! A Dachau il convoglio sì fermò, e gli uomini scesero. I nostri due vagoni proseguirono. Ci apriro-no soltanto alla stazione di Lipsia, se non sbaglio. Circondarono i vagoni, prima di aprirli, con uomini armati di mitra, tennero lontano tutti e ci diedero un po’ di sbobba, che era non una minestra, ma, come posso dire? una brodaglia, roba calda, ecco. A noi sembrò di risollevarci un poco, però poi ci richiusero di nuovo. Cinque giorni e cinque notti! Finalmente, sporche, assetate, aamate, arrivammo, verso sera, a Ravensbrück. E, devo dire la verità, la prima volta che vedemmo Ravensbrück, provammo una sensazione quasi di gioia. Perché il posto è meraviglioso, e c’è un lago, che è bellissimo. La ferrovia non arrivava no al campo, ma bisognava passare attraverso un villaggio, Fiirstenberg, in cui abitavano, oltre ai civili, anche famiglie delle SS. Cer-to - ci ho pensato tante volte in seguito - i civili tedeschi sapevano dei campi e anche di quello che avveniva nei campi, però evidentemente tale e tanta era la paura che avevano di nire anche loro in uno di essi che tacevano. Quando scendemmo dai vagoni dopo quei giorni inauditi, ci sembrò di sognare: non pensavamo mai più di dover entrare in un campo di concentra-mento: non ne avevamo ancora mai sentito parlare. Ci dicemmo: “Forse ci daranno una casa e ci metteranno a lavorare qua. Che bel posto! Che bel lago!”Entrammo nell’inferno.L.Beccaria Rol e A.M.Bruzzone, Le donne di Ravensbruck (1978)Purtroppo chi era completamente stremato, doveva soccombere. Nessuno pensava a soccorrere questi poveretti, ognuno pensava solo a se stesso e cercava a qualunque costo di sopravvivere, anche a danno del compagno. Ormai il senso d’umani-tà, in noi, era aevolito se non addirittura scomparso. Sino a quel momento, però, non avevo visto compagni morti, ora però si iniziava a vederne in qualche parte del vagone, nonostante ciò nessuno se ne curava. La morte avveniva soprattutto per asssia, uno dei cadaveri fu accostato alla parete, poi venne dimenticato, anzi servì come sedile. La stessa sorte toccava agli altri, venivano accatastati per guadagnare spazio, tanto non potevano più sentire nulla, non avrebbero più versato lacrime. Forse chi leggerà questo mio diario, dirà che ho voluto dramatizzare [sic!]. Non credo, anche solo perché poco tempo prima ero giovane, libero, con molti progetti per il mio avvenire; ora un tragico destino mi stava conducendo attraverso un profondo baratro, ad un supplizio inevitabile.Guerino Lorenzoni, Ovunque andrai ritornerai (1971)
187BibliograaBIBLIOGRAFIA E REFERENZE
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AUTORI Elena Bissaca, Carlo Greppi, Alice RavinaleCon la collaborazione della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di TorinoCONCEPTMatteo Saccani ILLUSTRAZIONE E DESIGN COPERTINAMarco RolloDESIGN INTERNO Nicoletta OccellaPHOTO EDITING Federico Morando, Alice Ravinale, Carlo Greppi STAMPAGRAFICA 080 – Modugno (BA)RINGRAZIAMENTI Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” Archivio Storico della Città di Torino Stefano Benedetto, Chiara Colombini, Andrea D’Arrigo, Barbara Berruti, Salvatore Tripodi, Valentina Colombi, Alberto Salza, Edoardo Greppi, Daniele Regoli, Martina Resta, Francesco Siccardi, Davide Toso, Francesco Cristarella, Paolo Giannini, Marta Legnaioli, Paolo Angelini, Gianmario Cabras, Maria Marangi, Paolo Saglia, Carla Toso, Giuseppe Toma, Andrea Tua, Fulvio Visentini.Si ringrazia in particolare Sara Razzetti per la redazione di alcuni testi.bicchieri di vino bianco.
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“Tratto da una storia vera, la nostra.”trenodellamemoria.it