Nell’anniversario del pogrom del 7ottobre, Israele e la Diaspora si interrogano: come ritrovare l’unità del Paese e degli intenti? Come uscire da questa impasse, tra guerra totale e imperativo della liberazione degli ostaggi? Che fare davanti all’antiebraismo dilagante? Se lo chiedono Bernard Henri Levy nel suo nuovo libro, l’attivista e attrice Moran Atiase Liliana Segre a cui è dedicato il nuovo lm di Ruggero GabbaiAnno 79 • n. 10 • Ottobre 2024 • Elul 5784 - Tishrì 5785 • Poste italiane Spa • Spedizione in abbonamento • D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, com.1, DCB Milano - contiene supplementi e allegatiSolitudine, speranza, memoria: il mondo ebraico un anno dopoNell’anniversario del pogrom del 7ottobre, Israele e la Diaspora si interrogano: come ritrovare l’unità del Paese e degli intenti? Come uscire da questa impasse, tra guerra totale e imperativo della liberazione degli ostaggi? Che fare davanti all’antiebraismo dilagante? Se lo chiedono Bernard Henri Levy nel suo nuovo libro, l’attivista e attrice Moran Atiase Liliana Segre a cui è dedicato il nuovo lm di Ruggero GabbaiMAGAZINEOttobre/2024 n.10@MosaicoCEMwww.mosaico-cem.itDAL 1945 NELLE VOSTRE CASEATTUALITÀ/ISRAELE Controinformazione, hasbarà, impegno sui media italiani. Gli Italkim in prima lineaShir haMaalot: come pensare alla gioia della festa di Sukkot in un momento così dicile? Goti Bauer compie 100 anni: da Auschwitz a Milano, una testimone instancabile. “Credo nei giovani”CULTURA/SUKKOTCOMUNITÀ/PERSONAGGI
più ampia contro le democrazie e i loro valori fondamentali? Lévy non si limita a cercare ri-sposte, ma analizza anche le complesse alleanze che orbitano attorno ad Hamas, coinvolgen-do potenze come l’Iran, la Russia, la Cina e la Turchia. La risposta israeliana è stata adeguata alla minaccia? È possibile confrontare le vitti-me civili di Gaza con quelle di Mosul, liberata dall’ISIS, o con i bambini gasati dal regime di Assad? Lévy non si ferma qui e pone ulterio-ri domande urgenti: l’antisemitismo, che sta riemergendo in varie parti del mondo, può essere arginato? E soprattutto: la solitudine diplomatica di Israele è una condanna inevita-bile? Attraverso un’analisi minuziosa e lucida, l’autore aronta questioni scomode che vanno ben oltre i conni di Israele, toccando temi uni-versali di giustizia, libertà e il fragile equilibrio della pace mondiale.Partendo da quel 7 ottobre 2023, in cui Israele ha subito il peggiore attacco terroristico della sua storia, ci si sarebbe aspettati una reazione immediata di solidarietà da parte del mondo e una condanna unanime del terrorismo. Invece Israele si è trovato solo, circondato da critiche e accuse, mentre molti hanno minimizzato l’e-vento o, peggio, hanno accusato Israele di es-serne in parte responsabile. Lévy esplora quello che denisce uno strano isolamento morale e descrive una situazione in cui, dopo un attacco così brutale, anziché ricevere supporto, Israele viene criticato, come se la sua stessa esistenza fosse il vero problema. «Ho sentito ovunque nel mondo, in Francia, in America, all’ONU, nel Sud globale, un sussurro molto strano, un moto strano crescere continuamente. Non hanno nemmeno concesso alle vittime, ai sopravvissuti o alle famiglie delle vittime qualche giorno per piangere. Subito c’è stata un’esplosione di antisemitismo che ha travolto gran parte del pianeta, e questo per me è stato un mistero profondo. Un even-i tratta di un attacco esclusivamente contro Israele, o di un assalto ai valori fondamentali delle democrazie e alla nostra coscienza collettiva? Durante la presentazione del suo saggio Solitudine di Israele al Teatro Parenti di Milano, il 23 set-tembre, Bernard-Henri Lévy ha dialogato con Maurizio Molinari, preceduto dai saluti di Andrée Ruth Shammah, tracciando un quadro allarmante di un’aggressione apparentemente locale ma dalle conseguenze globali, che co-stringe a confrontarsi con una verità troppo spesso ignorata o sminuita. Perchè il 7 ottobre non ha segnato solo un dramma per Israele, ma ha rappresentato un vero e proprio tsunami ca-pace di sconvolgere l’intero equilibrio geopoli-tico mondiale. «Quella sera, dopo aver appreso del pogrom, ho deciso di partire, nonostante le dicoltà nel trovare voli - racconta Lévy -. Sono arrivato l’8 ottobre con i combattimenti ancora in corso e ho deciso di descrivere e riettere sull’importanza politica e metasica di quanto è avvenuto. Perché il giorno dell’attentato divide la storia di Israele e degli ebrei del mondo? Ho scritto questo libro anche in uno stato di rabbia e indignazione, per-ché ho visto le ceneri dei kibbutz ancora calde. Ho trascorso notti con le famiglie degli ostaggi, che ancora aspettano. Ero profondamente toccato da quella soerenza e da questo crimine di massa».Tra le numerose domande emergenti, una si impone con forza: quanto accaduto è solo un’altra fase del lun-go conitto israelo-palestinese, o fa parte di una guerra «Come rompere la solitudine di Israele (e la nostra)»IL NUOVO LIBRO DEL FILOSOFO BERNARD HENRI LEVYSto enorme è accaduto, e improvvisamente un secondo evento è sta-to quello di cancellare, dimenticare il primo. Perché? Cos’era in gioco? Quali erano i meccani-smi di questa reazione così crudele di gran parte della comunità in-ternazionale? E perché Israele era di colpo così solo tra le nazioni?».Lo scrittore sottolinea che non si tratta di un fenomeno nuovo. Non è la prima volta che si cer-ca di giusticare le vio-lenze contro Israele con argomenti che ribaltano i fatti, trasformando la vittima in colpevole. A partire dall’antisemiti-smo crescente in tutto il mondo: «Ho visto un gran numero di perso-ne manifestare contro Israele e contro gli ebrei, strade bloccate, slogan antisemiti e proPal, professori americani esultare dopo l’attacco del 7 ottobre, parlamentari dire cose atroci […]. E non par-liamo di quella parte del mondo arabo-musulmano dove hanno danzato per le strade. È stata un’ondata globale, e quel momento di sgomento è stato poi oscurato e cancel-lato».Lo stesso Jean-Paul Sartre, riettendo sull’antisemitismo, lo descriveva come una “passione”, un odio che non si basa sulla ragione, ma su pregiudizi radicati.Oggi, sembra che Israele sia vittima di una versione moderna di questa passione. Invece di riconoscere la legittimità della sua autodifesa, viene trattato come un paria internazionale, come se difendersi fosse in sé un crimine. Amos Oz, a sua volta, aveva spesso sottolineato come il conitto israelo-palestinese venga visto con occhi distorti, in bianco e nero. Per molti, Israele è sempre dalla parte sbagliata. Anche quando è co-stretto a rispondere ad attacchi terroristici, la sua reazio-ne viene giudicata in modo sproporzionato. Oz credeva nella pace, ma sapeva bene che non si può semplicare una situazione così complessa. Purtroppo, è proprio que-sta semplicazione che domina nel dibattito pubblico, dove Israele viene demonizzato, mentre le violenze subite passano in secondo piano.Lévy evidenzia dunque come Israele sia costantemente giudicato con un metro di misura diverso. Mentre altri conitti nel mondo vengono ignorati o minimizzati, ogni Da sinistra: un ritratto di Bernard Henri Lévy (foto Jean-Christophe Marmara); con i soldati in Israele il 9 ottobre; BHL riceve una laurea honoris causa dall’Università di Netanya; nel Kibbutz Kfar Aza, l’11 ottobre 2023 (foto Benjamin Touati,TOI).Bernard Henri Lévy, Solitudinedi Israele, La nave di Teseotrad. Raffaella Patriarca,Le Onde,pp. 176; euro 17,00 (16,15 su Amazon e su IBS; eBook euro 9,99) di MARINAGERSONYazione di Israele viene osservata con una lente amplica-ta. Questo doppio standard è una forma di ostilità ma-scherata da critica politica: «Credo che Israele abbia due obiettivi morali e militari: liberare gli ostaggi e impedire a Hamas di ripetere simili atrocità. Spiego perché queste missioni siano compatibili e perché la vittoria in questa guerra sia possibile, a patto che l’Occidente si schieri al anco di Israele. Sono convinto che questa guerra giusta sarà vinta, se gli alleati naturali di Israele si impegneran-no a sostenere la sua causa».A proposito delle vittime palestinesi, Lévy sottolinea che, da 50 anni, riconosce la tragicità della situazione palestinese e continua a ribadirlo con forza anche oggi: «L’attentato del 7 ottobre non ha nulla a che fare con la Cisgiordania e i diritti legittimi del popolo palestinese. I leader di Hamas, sia militari che politici, non hanno al-cun interesse nei diritti palestinesi; si preoccupano solo di far avanzare la loro causa e non dei civili. Non è accet-tabile la morte dei bambini, sia palestinesi che israeliani. Gli sforzi israeliani per evitare vittime civili, come l’aper-tura di corridoi umanitari e l’evacuazione dei civili, sono notevoli, anche se la situazione rimane insostenibile. Se la comunità internazionale costringesse Israele a fermare la guerra, il rischio è che Hamas venga salvato e ne esca raorzato, con la conseguenza di nuovi attacchi e la per-petuazione della violenza. Non ci sarà uno Stato palesti-nese nché Hamas continuerà a governare, poiché la sua vittoria garantirebbe altri conitti».In conclusione, il losofo invita a considerare Israele con maggiore equità, senza pregiudizi e senza aspettarsi che si comporti in modo diverso da qualsiasi altro paese in condizioni simili. Lévy termina il suo libro con un appello forte e chiaro: «Israele non cerca di essere amato, ma solo di essere trat-tato con giustizia». Non chiede favori speciali, ma sem-plicemente che il mondo riconosca la sua legittima dife-sa come farebbe con qualsiasi altra nazione. In un’epoca in cui il giudizio morale è spes-so distorto, questa richiesta appare più che ragionevole. Lévy osserva: «Non parlo di politica – ognuno può avere la propria po-sizione sulla politica interna di Israele. Per quanto mi riguarda, sono un liberale da 50 anni, e lo sono più che mai, nel senso ingle-se del termine. Ma ho scritto questo libro per rispondere a chi dice continuamente che Israele è uno Stato coloniale. Rispondo precisamente a questo. Rispondo concretamente a chi dice che Israele è uno Stato basato sull’apartheid. Spiego, spero in modo freddo e logico, perché questa accusa non solo è falsa, ma è assurda, sciocca, folle. Provo a spiegare a chi ancora non lo capisce perché Israele dovesse essere creato, perché fu creato e perché Israele è così importan-te, così centrale per l’umanità di oggi. Spiego perché un mondo senza Israele, o con un Israele indebolito, sareb-be un mondo molto peggiore, sull’orlo di disastri senza precedenti».Israele oggi è vittima di una versione moderna, ma non meno irrazionale e pericolosa, della “passione” antisemita dell’OccidenteCULTURALIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREottobre 202416 17
più ampia contro le democrazie e i loro valori fondamentali? Lévy non si limita a cercare ri-sposte, ma analizza anche le complesse alleanze che orbitano attorno ad Hamas, coinvolgen-do potenze come l’Iran, la Russia, la Cina e la Turchia. La risposta israeliana è stata adeguata alla minaccia? È possibile confrontare le vitti-me civili di Gaza con quelle di Mosul, liberata dall’ISIS, o con i bambini gasati dal regime di Assad? Lévy non si ferma qui e pone ulterio-ri domande urgenti: l’antisemitismo, che sta riemergendo in varie parti del mondo, può essere arginato? E soprattutto: la solitudine diplomatica di Israele è una condanna inevita-bile? Attraverso un’analisi minuziosa e lucida, l’autore aronta questioni scomode che vanno ben oltre i conni di Israele, toccando temi uni-versali di giustizia, libertà e il fragile equilibrio della pace mondiale.Partendo da quel 7 ottobre 2023, in cui Israele ha subito il peggiore attacco terroristico della sua storia, ci si sarebbe aspettati una reazione immediata di solidarietà da parte del mondo e una condanna unanime del terrorismo. Invece Israele si è trovato solo, circondato da critiche e accuse, mentre molti hanno minimizzato l’e-vento o, peggio, hanno accusato Israele di es-serne in parte responsabile. Lévy esplora quello che denisce uno strano isolamento morale e descrive una situazione in cui, dopo un attacco così brutale, anziché ricevere supporto, Israele viene criticato, come se la sua stessa esistenza fosse il vero problema. «Ho sentito ovunque nel mondo, in Francia, in America, all’ONU, nel Sud globale, un sussurro molto strano, un moto strano crescere continuamente. Non hanno nemmeno concesso alle vittime, ai sopravvissuti o alle famiglie delle vittime qualche giorno per piangere. Subito c’è stata un’esplosione di antisemitismo che ha travolto gran parte del pianeta, e questo per me è stato un mistero profondo. Un even-i tratta di un attacco esclusivamente contro Israele, o di un assalto ai valori fondamentali delle democrazie e alla nostra coscienza collettiva? Durante la presentazione del suo saggio Solitudine di Israele al Teatro Parenti di Milano, il 23 set-tembre, Bernard-Henri Lévy ha dialogato con Maurizio Molinari, preceduto dai saluti di Andrée Ruth Shammah, tracciando un quadro allarmante di un’aggressione apparentemente locale ma dalle conseguenze globali, che co-stringe a confrontarsi con una verità troppo spesso ignorata o sminuita. Perchè il 7 ottobre non ha segnato solo un dramma per Israele, ma ha rappresentato un vero e proprio tsunami ca-pace di sconvolgere l’intero equilibrio geopoli-tico mondiale. «Quella sera, dopo aver appreso del pogrom, ho deciso di partire, nonostante le dicoltà nel trovare voli - racconta Lévy -. Sono arrivato l’8 ottobre con i combattimenti ancora in corso e ho deciso di descrivere e riettere sull’importanza politica e metasica di quanto è avvenuto. Perché il giorno dell’attentato divide la storia di Israele e degli ebrei del mondo? Ho scritto questo libro anche in uno stato di rabbia e indignazione, per-ché ho visto le ceneri dei kibbutz ancora calde. Ho trascorso notti con le famiglie degli ostaggi, che ancora aspettano. Ero profondamente toccato da quella soerenza e da questo crimine di massa».Tra le numerose domande emergenti, una si impone con forza: quanto accaduto è solo un’altra fase del lun-go conitto israelo-palestinese, o fa parte di una guerra «Come rompere la solitudine di Israele (e la nostra)»IL NUOVO LIBRO DEL FILOSOFO BERNARD HENRI LEVYSto enorme è accaduto, e improvvisamente un secondo evento è sta-to quello di cancellare, dimenticare il primo. Perché? Cos’era in gioco? Quali erano i meccani-smi di questa reazione così crudele di gran parte della comunità in-ternazionale? E perché Israele era di colpo così solo tra le nazioni?».Lo scrittore sottolinea che non si tratta di un fenomeno nuovo. Non è la prima volta che si cer-ca di giusticare le vio-lenze contro Israele con argomenti che ribaltano i fatti, trasformando la vittima in colpevole. A partire dall’antisemiti-smo crescente in tutto il mondo: «Ho visto un gran numero di perso-ne manifestare contro Israele e contro gli ebrei, strade bloccate, slogan antisemiti e proPal, professori americani esultare dopo l’attacco del 7 ottobre, parlamentari dire cose atroci […]. E non par-liamo di quella parte del mondo arabo-musulmano dove hanno danzato per le strade. È stata un’ondata globale, e quel momento di sgomento è stato poi oscurato e cancel-lato».Lo stesso Jean-Paul Sartre, riettendo sull’antisemitismo, lo descriveva come una “passione”, un odio che non si basa sulla ragione, ma su pregiudizi radicati.Oggi, sembra che Israele sia vittima di una versione moderna di questa passione. Invece di riconoscere la legittimità della sua autodifesa, viene trattato come un paria internazionale, come se difendersi fosse in sé un crimine. Amos Oz, a sua volta, aveva spesso sottolineato come il conitto israelo-palestinese venga visto con occhi distorti, in bianco e nero. Per molti, Israele è sempre dalla parte sbagliata. Anche quando è co-stretto a rispondere ad attacchi terroristici, la sua reazio-ne viene giudicata in modo sproporzionato. Oz credeva nella pace, ma sapeva bene che non si può semplicare una situazione così complessa. Purtroppo, è proprio que-sta semplicazione che domina nel dibattito pubblico, dove Israele viene demonizzato, mentre le violenze subite passano in secondo piano.Lévy evidenzia dunque come Israele sia costantemente giudicato con un metro di misura diverso. Mentre altri conitti nel mondo vengono ignorati o minimizzati, ogni Da sinistra: un ritratto di Bernard Henri Lévy (foto Jean-Christophe Marmara); con i soldati in Israele il 9 ottobre; BHL riceve una laurea honoris causa dall’Università di Netanya; nel Kibbutz Kfar Aza, l’11 ottobre 2023 (foto Benjamin Touati,TOI).Bernard Henri Lévy, Solitudinedi Israele, La nave di Teseotrad. Raffaella Patriarca,Le Onde,pp. 176; euro 17,00 (16,15 su Amazon e su IBS; eBook euro 9,99) di MARINAGERSONYazione di Israele viene osservata con una lente amplica-ta. Questo doppio standard è una forma di ostilità ma-scherata da critica politica: «Credo che Israele abbia due obiettivi morali e militari: liberare gli ostaggi e impedire a Hamas di ripetere simili atrocità. Spiego perché queste missioni siano compatibili e perché la vittoria in questa guerra sia possibile, a patto che l’Occidente si schieri al anco di Israele. Sono convinto che questa guerra giusta sarà vinta, se gli alleati naturali di Israele si impegneran-no a sostenere la sua causa».A proposito delle vittime palestinesi, Lévy sottolinea che, da 50 anni, riconosce la tragicità della situazione palestinese e continua a ribadirlo con forza anche oggi: «L’attentato del 7 ottobre non ha nulla a che fare con la Cisgiordania e i diritti legittimi del popolo palestinese. I leader di Hamas, sia militari che politici, non hanno al-cun interesse nei diritti palestinesi; si preoccupano solo di far avanzare la loro causa e non dei civili. Non è accet-tabile la morte dei bambini, sia palestinesi che israeliani. Gli sforzi israeliani per evitare vittime civili, come l’aper-tura di corridoi umanitari e l’evacuazione dei civili, sono notevoli, anche se la situazione rimane insostenibile. Se la comunità internazionale costringesse Israele a fermare la guerra, il rischio è che Hamas venga salvato e ne esca raorzato, con la conseguenza di nuovi attacchi e la per-petuazione della violenza. Non ci sarà uno Stato palesti-nese nché Hamas continuerà a governare, poiché la sua vittoria garantirebbe altri conitti».In conclusione, il losofo invita a considerare Israele con maggiore equità, senza pregiudizi e senza aspettarsi che si comporti in modo diverso da qualsiasi altro paese in condizioni simili. Lévy termina il suo libro con un appello forte e chiaro: «Israele non cerca di essere amato, ma solo di essere trat-tato con giustizia». Non chiede favori speciali, ma sem-plicemente che il mondo riconosca la sua legittima dife-sa come farebbe con qualsiasi altra nazione. In un’epoca in cui il giudizio morale è spes-so distorto, questa richiesta appare più che ragionevole. Lévy osserva: «Non parlo di politica – ognuno può avere la propria po-sizione sulla politica interna di Israele. Per quanto mi riguarda, sono un liberale da 50 anni, e lo sono più che mai, nel senso ingle-se del termine. Ma ho scritto questo libro per rispondere a chi dice continuamente che Israele è uno Stato coloniale. Rispondo precisamente a questo. Rispondo concretamente a chi dice che Israele è uno Stato basato sull’apartheid. Spiego, spero in modo freddo e logico, perché questa accusa non solo è falsa, ma è assurda, sciocca, folle. Provo a spiegare a chi ancora non lo capisce perché Israele dovesse essere creato, perché fu creato e perché Israele è così importan-te, così centrale per l’umanità di oggi. Spiego perché un mondo senza Israele, o con un Israele indebolito, sareb-be un mondo molto peggiore, sull’orlo di disastri senza precedenti».Israele oggi è vittima di una versione moderna, ma non meno irrazionale e pericolosa, della “passione” antisemita dell’OccidenteCULTURALIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREottobre 202416 17
L’attacco terroristico di Hamas ha stravolto l’esistenza dell’attrice, che ha deciso di mettere in pausa la sua vita e la sua carriera, per dedicarsi interamente al suo popolo e alla sua patria. Nell’ultimo anno Moran si è esposta in prima linea a favore delle famiglie degli ostaggi, fornendo loro supporto psicologico e fungendo da megafono per chiunque volesse far sentire la propria voce, ma non ne avesse i mezzi o le forze.All’81esima Mostra del Cinema di Venezia, l’impegno dell’instancabile attivista israeliana è stato nalmente premiato. Moran Atias è stata insi-gnita del prestigioso riconoscimento “Diva e Donna” per essersi distinta per talento, impegno sociale e capa-cità di inuenzare positivamente la società attraverso il proprio lavoro. L’ennesima dimostrazione che la bellezza che conta davvero, è quella dell’anima. Moran, ti abbiamo vista il mese scor-so sul red carpet della Mostra del Cinema di Venezia. Come sei stata accolta?oran Atias è senza dub-bio uno dei volti israe-liani più noti e apprez-zati al mondo. Modella e attrice di fama internazionale, Moran è nata a Haifa, ma ha trascorso par-te della sua vita a Milano, dove ha imparato perfettamente la lingua, la cultura italiana, ed è diventata il volto delle più grandi case di moda italiane quali Gianni Versace, Roberto Cavalli e Dolce e Gabbana. Stufa di posare, ha oggi trovato la sua vocazione nel cinema, recitando in lm e serie tv e comparendo sui piccoli e grandi schermi di tutto il globo. Tuttavia, anche la carriera di attrice acclamata non ha soddisfatto tutti i suoi biso-gni. Negli ultimi anni, infatti, la bella Moran si è data all’attivismo sociale, coniugando il successo nel mondo dello spettacolo a un impegno uma-nitario di grande rilievo. È diventata così ambasciatrice di pace a sostegno delle comunità più vulnerabili, ma dopo il 7 ottobre tutto è cambiato. Parla l’attivista, attrice, “ambasciatrice” di compassione e verità.«L’odio contro Israele è diventato insopportabile». Un’intervista esclusivaMHo ricevuto abbracci sinceri e critiche di ogni tipo. Gli abbracci sono stati meravigliosi, risanatori, poiché mi hanno permesso di liberare quelle lacrime che ho trattenuto troppo a lungo. Le critiche, invece, ho cercato di tramutarle in dibattiti costruttivi. Ho provato a spiegare ai miei inter-locutori che la guerra che sta com-battendo Israele non è politica, ma esistenziale. Che non importa chi ci sia al governo in questo momento, la destra o la sinistra, poiché Hamas vuole distruggere tutti indistinta-mente. Ti sei sentita ambasciatrice di Israele, date le circostanze?Sì, questa volta però non un’amba-sciatrice di bellezza, ma di compas-sione, che è la capacità di trovare il bello nell’uomo. L’odio a cui stiamo assistendo è diventato insopportabile. Oggi più che mai abbiamo bisogno di essere uniti. Di cercare il bello che è dentro di noi e che ci accomuna.Il vestito che hai indossato, ha un signicato particolare? Certamente. Il vestito era bianco, perché volevo trasmettere un mes-saggio di pura speranza. Lo strasci-co era particolarmente lungo, come a rappresentare il periodo innito nel quale gli ostaggi israeliani si trovano in cattività nei tunnel di Hamas. E poi la collana, simile al simbolo degli ostaggi, stretta stretta alla gola, qua-si a soocarla. D’altronde si sentono così gli israeliani da un anno a questa parte: senza aria. Dopo aver trascorso un anno in un paese in guerra, hai visto Venezia con occhi diversi?Venezia è un sogno. Una favola. Mi sono ricordata del mondo meravi-glioso che abbiamo e nel quale me-ritiamo di vivere. Un mondo fatto di bellezza e di cultura. Il sogno, tut-tavia, è presto diventato un incubo. L’incubo che sta vivendo Israele dal 7 ottobre ad oggi. La tragica notizia delle esecuzioni di Eden, Carmel, Hersh, Uri, Almog e Alex mi ha ri-cordato contro quale nemico stiamo combattendo. Moran, ricordi dov’eri il 7 ottobre? Ero a casa dei miei genitori, a Haifa. Mi sono svegliata prestissimo. Ero ap-CULTURALIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREMoran Atias: «Ho abitato in molti paesi, l’Italia è un sogno, ma Israele è la mia unica casa»di DAVID ZEBULONIpena tornata da Los Angeles con la mia bambina, esausta dal fuso orario. Non ho capito subito cosa stesse suc-cedendo. Chi come me è cresciuto in Israele conosce il terrorismo in tutte le sue sfumature, ma quel giorno la sensazione era diversa. Fortissima. Quello di Hamas non è stato l’ennesi-mo attacco terroristico, ma una vera e propria dichiarazione di guerra. Dopo un anno di combattimenti su fronti diversi, come credi che sia cam-biata Israele?I nostri soldati - i nostri ori, così li chiamiamo - continuano a morire per difenderci. Gli ostaggi non sono più stati liberati. Un anno dopo il 7otto-bre, Israele è ancora in lutto. Perciò è dicile parlare di cambiamento con una certa prospettiva. Io, tuttavia, credo di essere cambiata molto: come madre, come donna, come attrice, come ebrea, come israeliana. Ho soprattutto capito che, nonostan-te io abbia abitato in molti paesi, Israele è la mia unica casa. Credi di concepire la guerra in modo diverso da quando sei di-ventata mamma della piccola Lia? Credo di essere diventata più no-stalgica. Provo nostalgia per perso-ne che non ho mai conosciuto e che non ci sono più. Mi mancano gli ostaggi. Appena mi allontano dal-la mia bambina, anche se per pochi istanti, mi manca in modo viscerale. Lo sento dentro, nello stomaco. A lei come spieghi la guerra, le sirene, le perdite, il dolore? Lia ha solo un anno, non le ho anco-ra spiegato nulla, ma mi vede spesso piangere e quando ciò accade, prefe-risco allontanarmi. Nell’ultimo anno sono venuta in Italia molte volte, per partecipare a diverse manifestazioni, anche per questo motivo: quando non riesco a tenere il dolore dentro, parto. Non voglio che mi veda triste. In eetti sei stata tra i primi, dopo il 7 ottobre, a capire che Israele deve essere raccontata in modo diverso. Hai girato il mondo, hai incontrato migliaia di persone. Ti sei sentita capita?Nessuno può capire la tragedia, se non l’ha vissuta. Il mio obiettivo, dunque, non era quello di trasmet-tere un’emozione o raccontare un frammento di vita, ma di spiegare una realtà in tutta la sua comples-sità. Ho cercato di spiegare che Ha-mas non è un gruppo terroristico proveniente da un pianeta lontano, ma un movimento palestinese glio della cultura jihadista e musulmana. I terroristi non sono extraterrestri, ma comuni palestinesi che hanno deciso di agire nel modo più meschino che esista. Finita la guerra contro Israele, cercheranno altre vittime, e questo gli europei lo capiscono bene, ma non vogliono crederci. Credi che abbiano paura?Sì, hanno molta paura. Ho avuto un importante incontro in Vaticano con un gruppo di vescovi. Non posso fare i loro nomi, ma alcuni di loro aveva-no paura di esprimersi a proposito della guerra. A condannare il terro-rismo di Hamas. E sai perché? Perché sono stati minacciati dai musulmani estremisti, e non vogliono che le loro chiese vengano bruciate. Forse mi sbaglio, ma credo che l’argo-mento a te più vicino sia quello delle violenze sessuali che hanno subito le donne israeliane il giorno della stra-ge. Ne hai parlato in ogni forum al quale sei stata invitata, ricordando la loro doppia soerenza: quella di israeliana e quella di donna. L’argomento a me più vicino è quello degli ostaggi. Di tutti gli ostaggi. Uo-mini e donne. Che madre e che donna sarei se non mi battessi anche per i diritti degli uomini? Io soro a pen-sare che i nostri gli, i nostri mariti, i nostri padri, i nostri nonni, siano lì, a Gaza, tenuti in cattività. Tuttavia, le donne sono vittime anche dell’ipocri-sia, oltre che del terrorismo. Chi grida per i loro diritti? Nessuno, allora lo faccio io. Da donna, come ti spieghi questa ostilità, questa ipocrisia delle orga-nizzazioni femminili mondiali come MeToo o il Dipartimento per i Diritti delle Donne dell’Onu nei confronti delle donne ebree e israeliane? Come ti spieghi questo doppio standard? Doppio standard? Non c’è nulla di doppio qui. Il loro non è uno stan-dard. Non hanno più standard. Da donna, provo solo vergogna.Tutti gli slogan come quelli di Me-Too, oggi non valgono più niente. Si annullano di fronte alla loro incapa-cità di condannare gli atti barbarici di Hamas. Sei ancora ottimista circa il futuro che ci attende, oppure, dopo il 7ot-tobre, non possiamo più permetterci di essere ottimisti? Io sarò sempre ottimista. Se perdia-mo la speranza, perdiamo tutto ciò che ci rende umani.D’altronde esistono ancora gli antise-miti, ma il nazismo come movimento non esiste più. Credo che ciò accadrà anche con il terrorismo. Esisteran-Nella pagina accanto: Moran Atias. Tra le sue interpretazioni, i film e le serie Le rose del deserto, Crash, Tyrant, Third Person, The Resident. In alto: Moran a Venezia con una collana-nastro per ricordare gli ostaggi israeliani. A sinistra: l’attrice israeliana nella serie The Village.PERSONAGGI E STORIEERSONAGGI E STORIE>ottobre 202418 19
L’attacco terroristico di Hamas ha stravolto l’esistenza dell’attrice, che ha deciso di mettere in pausa la sua vita e la sua carriera, per dedicarsi interamente al suo popolo e alla sua patria. Nell’ultimo anno Moran si è esposta in prima linea a favore delle famiglie degli ostaggi, fornendo loro supporto psicologico e fungendo da megafono per chiunque volesse far sentire la propria voce, ma non ne avesse i mezzi o le forze.All’81esima Mostra del Cinema di Venezia, l’impegno dell’instancabile attivista israeliana è stato nalmente premiato. Moran Atias è stata insi-gnita del prestigioso riconoscimento “Diva e Donna” per essersi distinta per talento, impegno sociale e capa-cità di inuenzare positivamente la società attraverso il proprio lavoro. L’ennesima dimostrazione che la bellezza che conta davvero, è quella dell’anima. Moran, ti abbiamo vista il mese scor-so sul red carpet della Mostra del Cinema di Venezia. Come sei stata accolta?oran Atias è senza dub-bio uno dei volti israe-liani più noti e apprez-zati al mondo. Modella e attrice di fama internazionale, Moran è nata a Haifa, ma ha trascorso par-te della sua vita a Milano, dove ha imparato perfettamente la lingua, la cultura italiana, ed è diventata il volto delle più grandi case di moda italiane quali Gianni Versace, Roberto Cavalli e Dolce e Gabbana. Stufa di posare, ha oggi trovato la sua vocazione nel cinema, recitando in lm e serie tv e comparendo sui piccoli e grandi schermi di tutto il globo. Tuttavia, anche la carriera di attrice acclamata non ha soddisfatto tutti i suoi biso-gni. Negli ultimi anni, infatti, la bella Moran si è data all’attivismo sociale, coniugando il successo nel mondo dello spettacolo a un impegno uma-nitario di grande rilievo. È diventata così ambasciatrice di pace a sostegno delle comunità più vulnerabili, ma dopo il 7 ottobre tutto è cambiato. Parla l’attivista, attrice, “ambasciatrice” di compassione e verità.«L’odio contro Israele è diventato insopportabile». Un’intervista esclusivaMHo ricevuto abbracci sinceri e critiche di ogni tipo. Gli abbracci sono stati meravigliosi, risanatori, poiché mi hanno permesso di liberare quelle lacrime che ho trattenuto troppo a lungo. Le critiche, invece, ho cercato di tramutarle in dibattiti costruttivi. Ho provato a spiegare ai miei inter-locutori che la guerra che sta com-battendo Israele non è politica, ma esistenziale. Che non importa chi ci sia al governo in questo momento, la destra o la sinistra, poiché Hamas vuole distruggere tutti indistinta-mente. Ti sei sentita ambasciatrice di Israele, date le circostanze?Sì, questa volta però non un’amba-sciatrice di bellezza, ma di compas-sione, che è la capacità di trovare il bello nell’uomo. L’odio a cui stiamo assistendo è diventato insopportabile. Oggi più che mai abbiamo bisogno di essere uniti. Di cercare il bello che è dentro di noi e che ci accomuna.Il vestito che hai indossato, ha un signicato particolare? Certamente. Il vestito era bianco, perché volevo trasmettere un mes-saggio di pura speranza. Lo strasci-co era particolarmente lungo, come a rappresentare il periodo innito nel quale gli ostaggi israeliani si trovano in cattività nei tunnel di Hamas. E poi la collana, simile al simbolo degli ostaggi, stretta stretta alla gola, qua-si a soocarla. D’altronde si sentono così gli israeliani da un anno a questa parte: senza aria. Dopo aver trascorso un anno in un paese in guerra, hai visto Venezia con occhi diversi?Venezia è un sogno. Una favola. Mi sono ricordata del mondo meravi-glioso che abbiamo e nel quale me-ritiamo di vivere. Un mondo fatto di bellezza e di cultura. Il sogno, tut-tavia, è presto diventato un incubo. L’incubo che sta vivendo Israele dal 7 ottobre ad oggi. La tragica notizia delle esecuzioni di Eden, Carmel, Hersh, Uri, Almog e Alex mi ha ri-cordato contro quale nemico stiamo combattendo. Moran, ricordi dov’eri il 7 ottobre? Ero a casa dei miei genitori, a Haifa. Mi sono svegliata prestissimo. Ero ap-CULTURALIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREMoran Atias: «Ho abitato in molti paesi, l’Italia è un sogno, ma Israele è la mia unica casa»di DAVID ZEBULONIpena tornata da Los Angeles con la mia bambina, esausta dal fuso orario. Non ho capito subito cosa stesse suc-cedendo. Chi come me è cresciuto in Israele conosce il terrorismo in tutte le sue sfumature, ma quel giorno la sensazione era diversa. Fortissima. Quello di Hamas non è stato l’ennesi-mo attacco terroristico, ma una vera e propria dichiarazione di guerra. Dopo un anno di combattimenti su fronti diversi, come credi che sia cam-biata Israele?I nostri soldati - i nostri ori, così li chiamiamo - continuano a morire per difenderci. Gli ostaggi non sono più stati liberati. Un anno dopo il 7otto-bre, Israele è ancora in lutto. Perciò è dicile parlare di cambiamento con una certa prospettiva. Io, tuttavia, credo di essere cambiata molto: come madre, come donna, come attrice, come ebrea, come israeliana. Ho soprattutto capito che, nonostan-te io abbia abitato in molti paesi, Israele è la mia unica casa. Credi di concepire la guerra in modo diverso da quando sei di-ventata mamma della piccola Lia? Credo di essere diventata più no-stalgica. Provo nostalgia per perso-ne che non ho mai conosciuto e che non ci sono più. Mi mancano gli ostaggi. Appena mi allontano dal-la mia bambina, anche se per pochi istanti, mi manca in modo viscerale. Lo sento dentro, nello stomaco. A lei come spieghi la guerra, le sirene, le perdite, il dolore? Lia ha solo un anno, non le ho anco-ra spiegato nulla, ma mi vede spesso piangere e quando ciò accade, prefe-risco allontanarmi. Nell’ultimo anno sono venuta in Italia molte volte, per partecipare a diverse manifestazioni, anche per questo motivo: quando non riesco a tenere il dolore dentro, parto. Non voglio che mi veda triste. In eetti sei stata tra i primi, dopo il 7 ottobre, a capire che Israele deve essere raccontata in modo diverso. Hai girato il mondo, hai incontrato migliaia di persone. Ti sei sentita capita?Nessuno può capire la tragedia, se non l’ha vissuta. Il mio obiettivo, dunque, non era quello di trasmet-tere un’emozione o raccontare un frammento di vita, ma di spiegare una realtà in tutta la sua comples-sità. Ho cercato di spiegare che Ha-mas non è un gruppo terroristico proveniente da un pianeta lontano, ma un movimento palestinese glio della cultura jihadista e musulmana. I terroristi non sono extraterrestri, ma comuni palestinesi che hanno deciso di agire nel modo più meschino che esista. Finita la guerra contro Israele, cercheranno altre vittime, e questo gli europei lo capiscono bene, ma non vogliono crederci. Credi che abbiano paura?Sì, hanno molta paura. Ho avuto un importante incontro in Vaticano con un gruppo di vescovi. Non posso fare i loro nomi, ma alcuni di loro aveva-no paura di esprimersi a proposito della guerra. A condannare il terro-rismo di Hamas. E sai perché? Perché sono stati minacciati dai musulmani estremisti, e non vogliono che le loro chiese vengano bruciate. Forse mi sbaglio, ma credo che l’argo-mento a te più vicino sia quello delle violenze sessuali che hanno subito le donne israeliane il giorno della stra-ge. Ne hai parlato in ogni forum al quale sei stata invitata, ricordando la loro doppia soerenza: quella di israeliana e quella di donna. L’argomento a me più vicino è quello degli ostaggi. Di tutti gli ostaggi. Uo-mini e donne. Che madre e che donna sarei se non mi battessi anche per i diritti degli uomini? Io soro a pen-sare che i nostri gli, i nostri mariti, i nostri padri, i nostri nonni, siano lì, a Gaza, tenuti in cattività. Tuttavia, le donne sono vittime anche dell’ipocri-sia, oltre che del terrorismo. Chi grida per i loro diritti? Nessuno, allora lo faccio io. Da donna, come ti spieghi questa ostilità, questa ipocrisia delle orga-nizzazioni femminili mondiali come MeToo o il Dipartimento per i Diritti delle Donne dell’Onu nei confronti delle donne ebree e israeliane? Come ti spieghi questo doppio standard? Doppio standard? Non c’è nulla di doppio qui. Il loro non è uno stan-dard. Non hanno più standard. Da donna, provo solo vergogna.Tutti gli slogan come quelli di Me-Too, oggi non valgono più niente. Si annullano di fronte alla loro incapa-cità di condannare gli atti barbarici di Hamas. Sei ancora ottimista circa il futuro che ci attende, oppure, dopo il 7ot-tobre, non possiamo più permetterci di essere ottimisti? Io sarò sempre ottimista. Se perdia-mo la speranza, perdiamo tutto ciò che ci rende umani.D’altronde esistono ancora gli antise-miti, ma il nazismo come movimento non esiste più. Credo che ciò accadrà anche con il terrorismo. Esisteran-Nella pagina accanto: Moran Atias. Tra le sue interpretazioni, i film e le serie Le rose del deserto, Crash, Tyrant, Third Person, The Resident. In alto: Moran a Venezia con una collana-nastro per ricordare gli ostaggi israeliani. A sinistra: l’attrice israeliana nella serie The Village.PERSONAGGI E STORIEERSONAGGI E STORIE>ottobre 202418 19
villaggio per passare le solen-nità di Rosh Ha-Shanah del 5700 (14-15 settembre 1939) aveva ricevuto le notizie di ciò che stava succedendo dall’al-tra parte della frontiera fra l’Ungheria allargata dal 1938-39 e la Polonia invasa dalla Germania nazista e l’URSS stalinista. Consape-vole degli orrori che minacciavano le popolazioni ebraiche della regione pianse più del solito durante la reci-tazione del Musaf di Rosh Ha-Sha-nah. In quest’occasione Wiesel cita il piyyut dove ven-gono menzionate le varie morti che avrebbero subito coloro che erano condannati a tra-passare nell’anno che appena co-minciava.Il poema U-netan-neh toqef è stato più di recente adattato in modo libero da Leonard Cohen nella sua famosa canzone Who by fire. Il primo verso di questa canzone è una citazione diretta del piyyut: And who by fire, who by water “e chi per il fuoco e chi per l’acqua” come mi ba-mayim, u-mi ba-esh “e chi per l’acqua e chi per il fuoco”. Solo l’or-dine degli elementi viene cambiato. Forse questa struttura rovesciata non riflette solo la volontà di introdur-re una variazione arbitraria. La priori-tà data al fuoco fa pensare al conte-sto della creazione di questo poema composto e performato all’occasio-ne della visita del cantante ai soldati di Tsahal durante la guerra del Kip-pur nell’ottobre del 1973, quando il principale rischio era di morire per il fuoco dei nemici e più concretamen-te di essere bruciato vivo in un carro Nella tradizione ashkena-zita (ed anche in certe tradizioni pre-ashkena-zite dell’ebraismo italiano) si usa cantare solennemente il poema liturgico U-netanneh toqef (u-nsane toykef secondo la pronuncia ashkenazita), letteral-mente “e racconteremo la potenza (della santità di [questo] giorno)”, cantato prima della kedusha durante la ripetizione della ‘amida di Musaf di Rosh Ha-Shanah. Questo poema fu probabilmente composto in Eretz Israel al tempo del poeta liturgico Eleazar Ha-Kallir (settimo secolo dell’era comune) o forse un po’ più tardi, quando la tradizione del piyyut classico (il poema liturgico ebraico) si era trasposta dai centri ebraici di Galilea verso le provincie bizantine dell’Italia meridionale (Apulia) nell’ot-tavo o nono secolo. Molti ashkenaziti pensano che il suo autore fosse Rab-bi Amnon da Magonza (Mainz), la cui morte sarebbe avvenuta durante i massacri perpetrati contro gli ebrei della Renania all’inizio della Prima crociata (1096). Questo commo-vente poema liturgico contiene una strofa terrificante dove si dice che a Rosh Ha-Shanah si scrive e a Yom Kippur si firma (si sigilla) su chi tra i viventi vivrà e chi tra i viventi morirà; e nel caso che uno dovesse morire, viene deciso in questi giorni in che modo morirà: per l’acqua o per il fuo-co; per la spada o per la belva; per la fame o per la sete; per il terremoto o per l’epidemia; per strozzamento o per lapidazione. Questo poema provoca spesso le lacrime dei fedeli. Un’allusione all’usanza di piangere durante quest’orazione si trova nel primo capitolo (Infanzia) della prima parte dell’autobiografia di Elie Wie-sel Tous les fleuves vont vers la mer / Tutti i fiumi vanno al mare pubbli-cata nel 1995 e, nel 2002, in tradu-zione italiana (Bompiani Tascabili). Il nonno materno di Elie Wiesel venuto a Sighet (Máramorossziget) dal suo armato colpito da un razzo egiziano (a dire il vero un razzo sovietico, se si pensa agli istruttori e ai fornitori dell’esercito di Anwar as-Sadat). Nei concerti eseguiti davanti ai soldati di Ariel Sharon, il poeta ebreo canade-se ritrovò l’ispirazione che gli man-cava da tre anni dopo l’uscita dell’al-bum Songs of Love and Hate, nel 1971. La canzone Who by fire che rappresenta una svolta positiva nel-la carriera di Leonard Cohen, fu poi inclusa nell’album New Skin for the Old Ceremony uscito nel 1974, un anno dopo la guerra del Kippur che fece più di 2500 vittime nei ranghi di Tsahal. È rivelatore che il giornalista canadese-israeliano Matti Friedman intitolò il suo libro sulla visita fatidica di Leonard Cohen in Israele in piena guerra del Kip-pur con il titolo della canzione: Who by fire: War, Atonement, and the Resurrection of Leo-nard Cohen (2022), pubblica-to lo stesso anno in traduzione italiana dall’editore Giuntina: Il canto del fuoco. Leonard Cohen e l’incre-dibile tour del 1973 nel Sinai, tradu-zione Rosanella Volponi.Purtroppo la guerra iniziata il 7 otto-bre 2023, esattamente 50 anni dopo la guerra del Kippur, rappresenta probabilmente un pericolo esisten-ziale più grande della guerra del Kippur. In questo contesto le parole del piyyut che ha ispirato Leonard Cohen o forse la sua canzone Who by fire sono ancora più commoventi, ancora più capaci di far spuntare la-crime di tristezza o di teshuvà.[Ebraica: letteratura come vita]“Chi per l’acqua, chi per il fuoco...”: le lacrime di Rosh Ha-Shanah e il canto di Leonard Cohen alla Mostra del Cinema di Venezia, ma è importante ricordare che non siamo qui solamente per noi, ma per il popolo d’Israele - ha spiegato Lior Raz a Bet Magazine Mosaico durante un’intervista a margine dell’antepri-ma -. Per questo motivo indossiamo le spille con il occo giallo: stiamo rappresentando il nostro popolo e non intendiamo dimenticare quello che sta succedendo a casa. È molto dicile al giorno d’oggi essere ebreo o israeliano fuori da Israele, ma è nostro compito parlare anche per chi non può». Ri-guardo al suo personaggio, Shalom, ci ha raccontato: «Attorno a lui c’è solo morte, violenza e rimorso. Tutte le persone a lui vicine stanno sorendo in un modo o nell’altro di depressione per i traumi patiti durante la Shoah e l’arrivo di Ewa nel vicinato porta con sé gioia, risate e un vento di vita che a Shalom mancava da molto tempo. Il mio personaggio si innamora di una donna per la persona che è in quel momento, senza sapere che fosse una kapò, ma semplicemente per quell’a-more nei confronti della vita che lei gli sta facendo riscoprire. Per questo motivo è disposto a lottare con i suoi amici, con sua moglie e con chiunque altro pur di stare con lei».«Non è facile interpretare qualcuno che è davvero esistito ma quando mi calo in un personaggio cerco sempre di non avanzare pretese su di lui, bensì di immedesimarmici completamente - continua -. Cerco di capire il tempo e il luogo in cui ha vissuto e cosa lo ha portato a comportarsi in questo modo. È un processo molto intenso ma incredibilmente stimolante per un attore.»Per leggere l’intervista integrale, visi-tare www.mosaico-cem.it/culturaeso-cieta/spettacolonni Cinquanta: una sto-ria d’amore e di Shoah ambientata in Israele. Siamo nel Dopoguer-ra, il lm Soda racconta la storia di Shalom (Lior Raz), ex membro della Resistenza e coraggioso leader di una comunità di sopravvissuti alla Shoah. Proiettato in anteprima mondiale al Cinema Giorgione di Venezia, il nuo-vo lm di Erez Tadmor è stato pre-sentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, un evento organizzato con impegno mirabile da Franco Modigliani. All’incontro con i giornalisti, hanno partecipato il regi-sta insieme alla glia, Sivan Tadmor, e ai due protagonisti principali del lm, Lior Raz (noto per il suo ruolo nella serie Netix Fauda) e Rotem Sela. Il lm narra un clima carico di traumi che trova nalmente una pausa con l’arrivo nella comunità di due nuove presenze: la bellissima sarta Ewa e sua glia Hanna. Shalom si innamora su-bito di Ewa e i due instaurano una re-lazione clandestina che però non sfug-ge allo sguardo attento della moglie e della glia del protagonista. Il vero dramma scoppierà quando, durante uno dei pranzi della comunità, alcune donne riconosceranno Ewa come una delle ex kapò di Auschwitz, stravol-gendo la vita di Shalom che si vedrà combattuto tra il proteggere l’amata e il rispettare i suoi doveri verso il vi-cinato. La trama è ispirata da una vi-cenda personale della storia famigliare del regista: suo nonno e sua madre, ha spiegato ai giornalisti, negli anni Cin-quanta, conoscevano la glia di una kapò. «È innanzitutto un grande ono-re, come artista, quello di partecipare La star di Fauda al Festival del Cinema per l’anteprima mondiale del nuovo lm Soda Lior Raz a Venezia: “Siamo qui anche per il popolo d’Israele”>no i fanatici, ma non esisterà più una leadership terrorista. Israeliani e palestinesi possono convivere, la condizione è una sola: i palestinesi devono accettare che Israele conti-nuerà a esistere. Che nove milioni di abitanti, non solo ebrei, non se ne andranno da nessuna parte. From the river to the sea, Israele rimarrà qui. Punto.Come immagini il giorno successivo alla guerra?Da mamma voglio immaginare che mia glia andrà in spiaggia, a Tel Aviv, e che i bambini palestinesi andranno nelle spiagge di Gaza. E i cieli saranno pieni di aquiloni colorati. Questo è il mio sogno. Che i due popoli possano godere di questa terra bellissima che Dio ci ha dato, e che noi tutti abbiamo distrutto. In modo più concreto, im-magino un accordo tra i due popoli supervisionato da un’entità che possa accertarsi che nelle scuole palesti-nesi non venga in-s e g n a t o l’odio e la violenza c o n t r o gli ebrei. Non pos-siamo più aver pau-ra di bere il caè al bar perché un fanatico palestinese potrebbe spararci addosso. Non possiamo più accettare il terrorismo. Noi dobbiamo essere sicuri di poter vivere una vita sicura, e loro devono essere sicuri di poter vivere una vita dignitosa. Lo slogan del Memoriale del Nova Festival è We will dance again. Tor-neremo davvero a ballare Moran?Certo che sì. Mai perderò la mia voglia di festeggiare, di celebrare la vita, di essere era di essere ebrea. Mai. Anzi, la vita adesso ha per me un valore ancora più grande. È una scelta, quella di essere felici. Quella di essere luce.Sì, proprio in questi giorni stavo pen-sando che se Dio mi darà di nuovo la possibilità di diventare madre, e mi regalerà un’altra glia, io la chiamerò Luce. Questa sarà la mia, la nostra rinascita. Luce. ADI PIETRO BARAGIOLALIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTRECULTURAdi CYRIL ASLANOVottobre 202420 21
villaggio per passare le solen-nità di Rosh Ha-Shanah del 5700 (14-15 settembre 1939) aveva ricevuto le notizie di ciò che stava succedendo dall’al-tra parte della frontiera fra l’Ungheria allargata dal 1938-39 e la Polonia invasa dalla Germania nazista e l’URSS stalinista. Consape-vole degli orrori che minacciavano le popolazioni ebraiche della regione pianse più del solito durante la reci-tazione del Musaf di Rosh Ha-Sha-nah. In quest’occasione Wiesel cita il piyyut dove ven-gono menzionate le varie morti che avrebbero subito coloro che erano condannati a tra-passare nell’anno che appena co-minciava.Il poema U-netan-neh toqef è stato più di recente adattato in modo libero da Leonard Cohen nella sua famosa canzone Who by fire. Il primo verso di questa canzone è una citazione diretta del piyyut: And who by fire, who by water “e chi per il fuoco e chi per l’acqua” come mi ba-mayim, u-mi ba-esh “e chi per l’acqua e chi per il fuoco”. Solo l’or-dine degli elementi viene cambiato. Forse questa struttura rovesciata non riflette solo la volontà di introdur-re una variazione arbitraria. La priori-tà data al fuoco fa pensare al conte-sto della creazione di questo poema composto e performato all’occasio-ne della visita del cantante ai soldati di Tsahal durante la guerra del Kip-pur nell’ottobre del 1973, quando il principale rischio era di morire per il fuoco dei nemici e più concretamen-te di essere bruciato vivo in un carro Nella tradizione ashkena-zita (ed anche in certe tradizioni pre-ashkena-zite dell’ebraismo italiano) si usa cantare solennemente il poema liturgico U-netanneh toqef (u-nsane toykef secondo la pronuncia ashkenazita), letteral-mente “e racconteremo la potenza (della santità di [questo] giorno)”, cantato prima della kedusha durante la ripetizione della ‘amida di Musaf di Rosh Ha-Shanah. Questo poema fu probabilmente composto in Eretz Israel al tempo del poeta liturgico Eleazar Ha-Kallir (settimo secolo dell’era comune) o forse un po’ più tardi, quando la tradizione del piyyut classico (il poema liturgico ebraico) si era trasposta dai centri ebraici di Galilea verso le provincie bizantine dell’Italia meridionale (Apulia) nell’ot-tavo o nono secolo. Molti ashkenaziti pensano che il suo autore fosse Rab-bi Amnon da Magonza (Mainz), la cui morte sarebbe avvenuta durante i massacri perpetrati contro gli ebrei della Renania all’inizio della Prima crociata (1096). Questo commo-vente poema liturgico contiene una strofa terrificante dove si dice che a Rosh Ha-Shanah si scrive e a Yom Kippur si firma (si sigilla) su chi tra i viventi vivrà e chi tra i viventi morirà; e nel caso che uno dovesse morire, viene deciso in questi giorni in che modo morirà: per l’acqua o per il fuo-co; per la spada o per la belva; per la fame o per la sete; per il terremoto o per l’epidemia; per strozzamento o per lapidazione. Questo poema provoca spesso le lacrime dei fedeli. Un’allusione all’usanza di piangere durante quest’orazione si trova nel primo capitolo (Infanzia) della prima parte dell’autobiografia di Elie Wie-sel Tous les fleuves vont vers la mer / Tutti i fiumi vanno al mare pubbli-cata nel 1995 e, nel 2002, in tradu-zione italiana (Bompiani Tascabili). Il nonno materno di Elie Wiesel venuto a Sighet (Máramorossziget) dal suo armato colpito da un razzo egiziano (a dire il vero un razzo sovietico, se si pensa agli istruttori e ai fornitori dell’esercito di Anwar as-Sadat). Nei concerti eseguiti davanti ai soldati di Ariel Sharon, il poeta ebreo canade-se ritrovò l’ispirazione che gli man-cava da tre anni dopo l’uscita dell’al-bum Songs of Love and Hate, nel 1971. La canzone Who by fire che rappresenta una svolta positiva nel-la carriera di Leonard Cohen, fu poi inclusa nell’album New Skin for the Old Ceremony uscito nel 1974, un anno dopo la guerra del Kippur che fece più di 2500 vittime nei ranghi di Tsahal. È rivelatore che il giornalista canadese-israeliano Matti Friedman intitolò il suo libro sulla visita fatidica di Leonard Cohen in Israele in piena guerra del Kip-pur con il titolo della canzione: Who by fire: War, Atonement, and the Resurrection of Leo-nard Cohen (2022), pubblica-to lo stesso anno in traduzione italiana dall’editore Giuntina: Il canto del fuoco. Leonard Cohen e l’incre-dibile tour del 1973 nel Sinai, tradu-zione Rosanella Volponi.Purtroppo la guerra iniziata il 7 otto-bre 2023, esattamente 50 anni dopo la guerra del Kippur, rappresenta probabilmente un pericolo esisten-ziale più grande della guerra del Kippur. In questo contesto le parole del piyyut che ha ispirato Leonard Cohen o forse la sua canzone Who by fire sono ancora più commoventi, ancora più capaci di far spuntare la-crime di tristezza o di teshuvà.[Ebraica: letteratura come vita]“Chi per l’acqua, chi per il fuoco...”: le lacrime di Rosh Ha-Shanah e il canto di Leonard Cohen alla Mostra del Cinema di Venezia, ma è importante ricordare che non siamo qui solamente per noi, ma per il popolo d’Israele - ha spiegato Lior Raz a Bet Magazine Mosaico durante un’intervista a margine dell’antepri-ma -. Per questo motivo indossiamo le spille con il occo giallo: stiamo rappresentando il nostro popolo e non intendiamo dimenticare quello che sta succedendo a casa. È molto dicile al giorno d’oggi essere ebreo o israeliano fuori da Israele, ma è nostro compito parlare anche per chi non può». Ri-guardo al suo personaggio, Shalom, ci ha raccontato: «Attorno a lui c’è solo morte, violenza e rimorso. Tutte le persone a lui vicine stanno sorendo in un modo o nell’altro di depressione per i traumi patiti durante la Shoah e l’arrivo di Ewa nel vicinato porta con sé gioia, risate e un vento di vita che a Shalom mancava da molto tempo. Il mio personaggio si innamora di una donna per la persona che è in quel momento, senza sapere che fosse una kapò, ma semplicemente per quell’a-more nei confronti della vita che lei gli sta facendo riscoprire. Per questo motivo è disposto a lottare con i suoi amici, con sua moglie e con chiunque altro pur di stare con lei».«Non è facile interpretare qualcuno che è davvero esistito ma quando mi calo in un personaggio cerco sempre di non avanzare pretese su di lui, bensì di immedesimarmici completamente - continua -. Cerco di capire il tempo e il luogo in cui ha vissuto e cosa lo ha portato a comportarsi in questo modo. È un processo molto intenso ma incredibilmente stimolante per un attore.»Per leggere l’intervista integrale, visi-tare www.mosaico-cem.it/culturaeso-cieta/spettacolonni Cinquanta: una sto-ria d’amore e di Shoah ambientata in Israele. Siamo nel Dopoguer-ra, il lm Soda racconta la storia di Shalom (Lior Raz), ex membro della Resistenza e coraggioso leader di una comunità di sopravvissuti alla Shoah. Proiettato in anteprima mondiale al Cinema Giorgione di Venezia, il nuo-vo lm di Erez Tadmor è stato pre-sentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, un evento organizzato con impegno mirabile da Franco Modigliani. All’incontro con i giornalisti, hanno partecipato il regi-sta insieme alla glia, Sivan Tadmor, e ai due protagonisti principali del lm, Lior Raz (noto per il suo ruolo nella serie Netix Fauda) e Rotem Sela. Il lm narra un clima carico di traumi che trova nalmente una pausa con l’arrivo nella comunità di due nuove presenze: la bellissima sarta Ewa e sua glia Hanna. Shalom si innamora su-bito di Ewa e i due instaurano una re-lazione clandestina che però non sfug-ge allo sguardo attento della moglie e della glia del protagonista. Il vero dramma scoppierà quando, durante uno dei pranzi della comunità, alcune donne riconosceranno Ewa come una delle ex kapò di Auschwitz, stravol-gendo la vita di Shalom che si vedrà combattuto tra il proteggere l’amata e il rispettare i suoi doveri verso il vi-cinato. La trama è ispirata da una vi-cenda personale della storia famigliare del regista: suo nonno e sua madre, ha spiegato ai giornalisti, negli anni Cin-quanta, conoscevano la glia di una kapò. «È innanzitutto un grande ono-re, come artista, quello di partecipare La star di Fauda al Festival del Cinema per l’anteprima mondiale del nuovo lm Soda Lior Raz a Venezia: “Siamo qui anche per il popolo d’Israele”>no i fanatici, ma non esisterà più una leadership terrorista. Israeliani e palestinesi possono convivere, la condizione è una sola: i palestinesi devono accettare che Israele conti-nuerà a esistere. Che nove milioni di abitanti, non solo ebrei, non se ne andranno da nessuna parte. From the river to the sea, Israele rimarrà qui. Punto.Come immagini il giorno successivo alla guerra?Da mamma voglio immaginare che mia glia andrà in spiaggia, a Tel Aviv, e che i bambini palestinesi andranno nelle spiagge di Gaza. E i cieli saranno pieni di aquiloni colorati. Questo è il mio sogno. Che i due popoli possano godere di questa terra bellissima che Dio ci ha dato, e che noi tutti abbiamo distrutto. In modo più concreto, im-magino un accordo tra i due popoli supervisionato da un’entità che possa accertarsi che nelle scuole palesti-nesi non venga in-s e g n a t o l’odio e la violenza c o n t r o gli ebrei. Non pos-siamo più aver pau-ra di bere il caè al bar perché un fanatico palestinese potrebbe spararci addosso. Non possiamo più accettare il terrorismo. Noi dobbiamo essere sicuri di poter vivere una vita sicura, e loro devono essere sicuri di poter vivere una vita dignitosa. Lo slogan del Memoriale del Nova Festival è We will dance again. Tor-neremo davvero a ballare Moran?Certo che sì. Mai perderò la mia voglia di festeggiare, di celebrare la vita, di essere era di essere ebrea. Mai. Anzi, la vita adesso ha per me un valore ancora più grande. È una scelta, quella di essere felici. Quella di essere luce.Sì, proprio in questi giorni stavo pen-sando che se Dio mi darà di nuovo la possibilità di diventare madre, e mi regalerà un’altra glia, io la chiamerò Luce. Questa sarà la mia, la nostra rinascita. Luce. ADI PIETRO BARAGIOLALIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTRECULTURAdi CYRIL ASLANOVottobre 202420 21
proclamato come omicidio annuale da un concilio di ebrei a Narbona». Le conseguenze di queste accuse sono state nei secoli terribili, con una politica discriminatoria feroce. «Ma tutte le persecuzioni e i mas-sacri a cui sono stati assoggettati gli ebrei non hanno mai suscitato empa-tia, simpatia o reazioni nelle persone a loro vicine. L’indierenza, di cui parla sempre Liliana Segre parlando delle Leggi razziali e della Shoah, è in realtà una storia antichissima».Tutto questo, però, purtroppo non è nito e oggi più che mai assistiamo a un ritorno di elementi antichi. E nonostante abbia cambiato nome nel tempo – da antigiudiaismo come odio di stampo religioso ad antise-mitismo come ostilità antiebraica di stampo razziale – l’odio antiebraico presenta aspetti mai sopiti. «È pre-sente ancora oggi l’accusa di esse-re sanguinari e vendicativi, molto presente in quest’anno di guerra. L’idea è che gli ebrei non stanno combattendo una guerra, ma che si vendicano. Addirittura, sui social c’è chi ci ha accusato di festeggiare, con questa Giornata della cultura, il genocidio di bambini palestinesi! E anche un importante esponente del-la Chiesa ha ripetuto questa accusa infamante. Ma anche il tema del complotto è ancora vivo e vegeto: basti pensare che I protocolli dei savi di Sion è letto e distribuito gratuita-mente in molti Paesi del mondo, e che nello Statuto di Hamas, in cui si dichiara la volontà di annientare Israele, c’è una citazione tratto da questo falso storico. E oggi il nuovo complotto in voga non è forse quel-lo sionista dello Stato di Israele?».Inne, Rav Arbib ha citato Leo Pinsker, intellettuale ebreo di Odessa profondamente assimilato, che dopo l’ondata di pogrom in Russia, che diede vita alla prima immigrazione in terra d’Israele, si rende conto del-la gravità della situazione e arriva a dire: “siamo davanti a una patologia mentale”. Ecco, l’odio verso gli ebrei è una patologia molto antica e mol-to radicata, e oggi molto presente. E dobbiamo rendercene conto».LA MATTINATA AL TEATRO FRANCO PARENTIDurante la XXV edizione del-la Giornata Europea della Cultura Ebraica a Milano, si sono tenuti altri interventi interessanti su diversi ar-gomenti legati al tema della famiglia.La mattinata al Teatro Franco Parenti si è aperta con un primo modulo de-dicato a “la famiglia ebraica e il cine-ma”. Dopo una prima introduzio-ne di Roberto Zadik sulla famiglia ebraica nei lm di Woody Allen - il primo a parlare di questo argomen-to nel cinema -, il giornalista Niram Ferretti ha dialogato con il regista at-tore e produttore Luca Barbareschi, interprete e produttore del lm e Penitent (2023). Con un intervento interessante e intenso, Barbareschi ha raccontato la vicenda del lm, tratta da un dramma di David Mamet: uno psichiatra, Carlos Hirsh, ancorato alle sue radici ebraiche, che vede de-ragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi riutato di testi-moniare a favore di un ex paziente violento ed instabile che ha causato la morte di diverse persone. La go-gna mediatica e l’accanimento del sistema giudiziario si sommano al dilemma morale del professionista.n questo momento storico sta accadendo, nei confronti de-gli ebrei, qualcosa di terribile, che non so quanto riusciamo a comprendere. Siamo davanti a un ri-torno violento di elementi antichi di odio nei confronti del popolo ebrai-co, che ci eravamo illusi fosse nito dopo la Shoah. Ma quello che è suc-cesso dopo il 7ottobre no ad oggi è palese di quanto sia radicato. Per questo dobbiamo stare attenti a tutte le manifestazioni di odio antiebrai-co». Sono parole forti e amare quel-le pronunciate dal Rabbino Capo di Milano Rav Alfonso Arbib durante la Giornata Europea della Cultura Ebraica, nel pomeriggio di domenica 15 settembre nella sinagoga centrale di via Guastalla, durante il suo in-tervento intitolato Facciamo ancora parte della famiglia delle nazioni?.Durante il suo appassionato discorso, Rav Arbib ha catalizzato l’attenzione del pubblico e ha riettuto sull’e-spressione “famiglie delle nazioni” che si ritrova nella Torà. «Quando D-o dice ad Abramo di lasciare la sua terra, gli chiede di separarsi da tutto ciò che ha - ha spiegato -. Quindi la storia ebraica inizia con una sepa-razione. Ma il verso si conclude con la frase “saranno benedette in te le famiglie della terra”. In questi pochi versi è condensata buona parte del-le fondamenta dell’ebraismo: quella ebraica è una cultura che tiene molto a mantenere la propria particolarità, ma allo stesso tempo è una cultura che ha anche un compito verso l’u-manità, quello di essere di benedi-zione per le famiglie della terra, di essere utili al mondo. Questa idea è sempre stata presente nella tradizio-ne ebraica, anche nei momenti più dicili della sua storia. Quando, ad esempio vengono mandati in esilio da Babilonia, il profeta Geremia dice al popolo ebraico: “dovete cercare il bene del paese in cui vi trovate”. Gli ebrei hanno sempre cercato di esse-re di aiuto al mondo in cui vivevano, anche quando quel mondo era a loro ostile». Per potere essere utili agli altri, però, è necessaria una consa-pevolezza profonda di chi si è, con-tinua rav Arbib. «È come con i gli, che costruiscono la propria identità quando si separano dai genitori, e potranno così essere utili al mondo».Questo, però, ha suscitato molte osti-lità nei confronti degli ebrei, che ri-salgono a tempi antichissimi ma che si ripetono anche ai giorni nostri. «Un primo elemento di odio verso gli ebrei è l’accusa di essere crudeli e di essere fedeli al D-o della vendetta, che si contrappone al D-o dell’amo-re nel cristianesimo - ha spiegato -. Da qui è nata l’accusa di omicidio rituale rivolta agli ebrei, di uccidere cioè bambini cristiani in prossimità della Pasqua ebraica per impastare le azzime, e che è stata messa in discus-sione solo in tempi recenti, ma che ha avuto conseguenze terribili (vedi il caso di Simonino da Trento, ndr). Il primo caso documentato si ebbe a Norwich, nel 1144, dopo la prima grande peresecuzione antiebraica in Europa, che comincia con la parten-za della prima crociata. Prima di arri-vare al Santo Sepolcro, nella valle del Reno, vengono massacrate migliaia di ebrei in poche settimane. Questo fatto, secondo lo studioso dell’antise-mitismo Leon Poliakov, sarebbe alla base dell’accusa di omicidio rituale, visto come inevitabile vendetta degli ebrei».Un altro elemento ricorrente nell’o-dio antiebraico è la teoria del com-plotto. «Il falso storico dei Protocolli dei Savi dei Sion dei primi del ‘900 è il prodotto più noto, ma le origini di questa teoria sono antichissime – spiega ancora Rav Arbib -. Lo stesso omicidio rituale si credeva fosse stato «ICULTURAMILANO: LA GIORNATA EUROPEA DELLA CULTURA EBRAICA 2024Nell’arte, nel cinema, nella Torà: la famiglia è da sempre il cuore pulsante della nostra tradizione. Ma con gli ostaggi ancora prigionieri a Gaza, non si può non pensare al dolore di quelle famiglie spezzate. E l’antisemitismo dilagante ci interroga sul nostro ruolo all’interno della famiglia delle nazioni. Con un ricco programma di ospiti, la GECE 2024 si è confrontata sul temaBaci, abbracci e litigate: il caloredella famiglia, nella gioia e nel doloreGIORNATA EUROPEA DELLA CULTURA EBRAICAIORNATA EUROPEA DELLA CULTURA EBRAICA>di ESTERINA DANA,LUDOVICA IACOVACCI,ILARIA MYR, ROBERTO ZADIK Nella seconda conferenza, Alfonso Sassun e Riccardo Sorani hanno parlato di “famiglia ebraica fra arte e Torah”. Facendo una carrellata delle famiglie presenti nella Torah - Caino e Abele, Giacobbe ed Esaù, Giacobbe e i suoi 12 gli - Sassun ha dimo-strato come in ognuna ci fossero tensioni e contrasti. Molto acuta e aggiornata anche l’ana-lisi di Riccardo Sorani sulla famiglia ebraica nell’arte, focalizzandosi sulla rappresentazione del “sacricio di Isacco” e sulle sue interpreta-zioni, spaziando dal III sec. all’epoca moderna e contemporanea. La mattinata si è con-clusa con l’intervento di Ugo Volli e David Piazza sul tema Il ro-manzo familiare dell’i-dentità, fra Torah e Midrash. Piazza ha spiegato: «Secondo la tradizione ebraica esi-ste una Torah scritta e una orale, che è stata promulgata contem-poraneamente a quella scritta, inizialmente tramandata oralmente e successivamente messa per iscritto. Il Midrash aronta le dicoltà del testo scritto, che in alcune parti è stringato». I due hanno poi dedicato il loro intervento all’analisi di due momenti particolari narrati nella Torah, il contrasto tra Nella pagina accanto: Rav Alfonso Arbib. Da sinistra: il Presidente CEM Walker Meghnagi, Andrée Ruth Shammah, Sara Modena, Elena Buscemi, Mustafa Roma, Adam Kieltyk. In basso: Milo Hasbani, Klaus Davi, Niram Ferretti, Luca Barbareschi.ottobre 202422 23
proclamato come omicidio annuale da un concilio di ebrei a Narbona». Le conseguenze di queste accuse sono state nei secoli terribili, con una politica discriminatoria feroce. «Ma tutte le persecuzioni e i mas-sacri a cui sono stati assoggettati gli ebrei non hanno mai suscitato empa-tia, simpatia o reazioni nelle persone a loro vicine. L’indierenza, di cui parla sempre Liliana Segre parlando delle Leggi razziali e della Shoah, è in realtà una storia antichissima».Tutto questo, però, purtroppo non è nito e oggi più che mai assistiamo a un ritorno di elementi antichi. E nonostante abbia cambiato nome nel tempo – da antigiudiaismo come odio di stampo religioso ad antise-mitismo come ostilità antiebraica di stampo razziale – l’odio antiebraico presenta aspetti mai sopiti. «È pre-sente ancora oggi l’accusa di esse-re sanguinari e vendicativi, molto presente in quest’anno di guerra. L’idea è che gli ebrei non stanno combattendo una guerra, ma che si vendicano. Addirittura, sui social c’è chi ci ha accusato di festeggiare, con questa Giornata della cultura, il genocidio di bambini palestinesi! E anche un importante esponente del-la Chiesa ha ripetuto questa accusa infamante. Ma anche il tema del complotto è ancora vivo e vegeto: basti pensare che I protocolli dei savi di Sion è letto e distribuito gratuita-mente in molti Paesi del mondo, e che nello Statuto di Hamas, in cui si dichiara la volontà di annientare Israele, c’è una citazione tratto da questo falso storico. E oggi il nuovo complotto in voga non è forse quel-lo sionista dello Stato di Israele?».Inne, Rav Arbib ha citato Leo Pinsker, intellettuale ebreo di Odessa profondamente assimilato, che dopo l’ondata di pogrom in Russia, che diede vita alla prima immigrazione in terra d’Israele, si rende conto del-la gravità della situazione e arriva a dire: “siamo davanti a una patologia mentale”. Ecco, l’odio verso gli ebrei è una patologia molto antica e mol-to radicata, e oggi molto presente. E dobbiamo rendercene conto».LA MATTINATA AL TEATRO FRANCO PARENTIDurante la XXV edizione del-la Giornata Europea della Cultura Ebraica a Milano, si sono tenuti altri interventi interessanti su diversi ar-gomenti legati al tema della famiglia.La mattinata al Teatro Franco Parenti si è aperta con un primo modulo de-dicato a “la famiglia ebraica e il cine-ma”. Dopo una prima introduzio-ne di Roberto Zadik sulla famiglia ebraica nei lm di Woody Allen - il primo a parlare di questo argomen-to nel cinema -, il giornalista Niram Ferretti ha dialogato con il regista at-tore e produttore Luca Barbareschi, interprete e produttore del lm e Penitent (2023). Con un intervento interessante e intenso, Barbareschi ha raccontato la vicenda del lm, tratta da un dramma di David Mamet: uno psichiatra, Carlos Hirsh, ancorato alle sue radici ebraiche, che vede de-ragliare la sua carriera e la sua vita privata dopo essersi riutato di testi-moniare a favore di un ex paziente violento ed instabile che ha causato la morte di diverse persone. La go-gna mediatica e l’accanimento del sistema giudiziario si sommano al dilemma morale del professionista.n questo momento storico sta accadendo, nei confronti de-gli ebrei, qualcosa di terribile, che non so quanto riusciamo a comprendere. Siamo davanti a un ri-torno violento di elementi antichi di odio nei confronti del popolo ebrai-co, che ci eravamo illusi fosse nito dopo la Shoah. Ma quello che è suc-cesso dopo il 7ottobre no ad oggi è palese di quanto sia radicato. Per questo dobbiamo stare attenti a tutte le manifestazioni di odio antiebrai-co». Sono parole forti e amare quel-le pronunciate dal Rabbino Capo di Milano Rav Alfonso Arbib durante la Giornata Europea della Cultura Ebraica, nel pomeriggio di domenica 15 settembre nella sinagoga centrale di via Guastalla, durante il suo in-tervento intitolato Facciamo ancora parte della famiglia delle nazioni?.Durante il suo appassionato discorso, Rav Arbib ha catalizzato l’attenzione del pubblico e ha riettuto sull’e-spressione “famiglie delle nazioni” che si ritrova nella Torà. «Quando D-o dice ad Abramo di lasciare la sua terra, gli chiede di separarsi da tutto ciò che ha - ha spiegato -. Quindi la storia ebraica inizia con una sepa-razione. Ma il verso si conclude con la frase “saranno benedette in te le famiglie della terra”. In questi pochi versi è condensata buona parte del-le fondamenta dell’ebraismo: quella ebraica è una cultura che tiene molto a mantenere la propria particolarità, ma allo stesso tempo è una cultura che ha anche un compito verso l’u-manità, quello di essere di benedi-zione per le famiglie della terra, di essere utili al mondo. Questa idea è sempre stata presente nella tradizio-ne ebraica, anche nei momenti più dicili della sua storia. Quando, ad esempio vengono mandati in esilio da Babilonia, il profeta Geremia dice al popolo ebraico: “dovete cercare il bene del paese in cui vi trovate”. Gli ebrei hanno sempre cercato di esse-re di aiuto al mondo in cui vivevano, anche quando quel mondo era a loro ostile». Per potere essere utili agli altri, però, è necessaria una consa-pevolezza profonda di chi si è, con-tinua rav Arbib. «È come con i gli, che costruiscono la propria identità quando si separano dai genitori, e potranno così essere utili al mondo».Questo, però, ha suscitato molte osti-lità nei confronti degli ebrei, che ri-salgono a tempi antichissimi ma che si ripetono anche ai giorni nostri. «Un primo elemento di odio verso gli ebrei è l’accusa di essere crudeli e di essere fedeli al D-o della vendetta, che si contrappone al D-o dell’amo-re nel cristianesimo - ha spiegato -. Da qui è nata l’accusa di omicidio rituale rivolta agli ebrei, di uccidere cioè bambini cristiani in prossimità della Pasqua ebraica per impastare le azzime, e che è stata messa in discus-sione solo in tempi recenti, ma che ha avuto conseguenze terribili (vedi il caso di Simonino da Trento, ndr). Il primo caso documentato si ebbe a Norwich, nel 1144, dopo la prima grande peresecuzione antiebraica in Europa, che comincia con la parten-za della prima crociata. Prima di arri-vare al Santo Sepolcro, nella valle del Reno, vengono massacrate migliaia di ebrei in poche settimane. Questo fatto, secondo lo studioso dell’antise-mitismo Leon Poliakov, sarebbe alla base dell’accusa di omicidio rituale, visto come inevitabile vendetta degli ebrei».Un altro elemento ricorrente nell’o-dio antiebraico è la teoria del com-plotto. «Il falso storico dei Protocolli dei Savi dei Sion dei primi del ‘900 è il prodotto più noto, ma le origini di questa teoria sono antichissime – spiega ancora Rav Arbib -. Lo stesso omicidio rituale si credeva fosse stato «ICULTURAMILANO: LA GIORNATA EUROPEA DELLA CULTURA EBRAICA 2024Nell’arte, nel cinema, nella Torà: la famiglia è da sempre il cuore pulsante della nostra tradizione. Ma con gli ostaggi ancora prigionieri a Gaza, non si può non pensare al dolore di quelle famiglie spezzate. E l’antisemitismo dilagante ci interroga sul nostro ruolo all’interno della famiglia delle nazioni. Con un ricco programma di ospiti, la GECE 2024 si è confrontata sul temaBaci, abbracci e litigate: il caloredella famiglia, nella gioia e nel doloreGIORNATA EUROPEA DELLA CULTURA EBRAICAIORNATA EUROPEA DELLA CULTURA EBRAICA>di ESTERINA DANA,LUDOVICA IACOVACCI,ILARIA MYR, ROBERTO ZADIK Nella seconda conferenza, Alfonso Sassun e Riccardo Sorani hanno parlato di “famiglia ebraica fra arte e Torah”. Facendo una carrellata delle famiglie presenti nella Torah - Caino e Abele, Giacobbe ed Esaù, Giacobbe e i suoi 12 gli - Sassun ha dimo-strato come in ognuna ci fossero tensioni e contrasti. Molto acuta e aggiornata anche l’ana-lisi di Riccardo Sorani sulla famiglia ebraica nell’arte, focalizzandosi sulla rappresentazione del “sacricio di Isacco” e sulle sue interpreta-zioni, spaziando dal III sec. all’epoca moderna e contemporanea. La mattinata si è con-clusa con l’intervento di Ugo Volli e David Piazza sul tema Il ro-manzo familiare dell’i-dentità, fra Torah e Midrash. Piazza ha spiegato: «Secondo la tradizione ebraica esi-ste una Torah scritta e una orale, che è stata promulgata contem-poraneamente a quella scritta, inizialmente tramandata oralmente e successivamente messa per iscritto. Il Midrash aronta le dicoltà del testo scritto, che in alcune parti è stringato». I due hanno poi dedicato il loro intervento all’analisi di due momenti particolari narrati nella Torah, il contrasto tra Nella pagina accanto: Rav Alfonso Arbib. Da sinistra: il Presidente CEM Walker Meghnagi, Andrée Ruth Shammah, Sara Modena, Elena Buscemi, Mustafa Roma, Adam Kieltyk. In basso: Milo Hasbani, Klaus Davi, Niram Ferretti, Luca Barbareschi.ottobre 202422 23
con la propria moglie. Con citazioni dal Talmud, rav Colombo ha fatto riettere sull’importanza che la rela-zione con la moglie ha nell’ebraismo. «Questa è la regola ebraica: il sorriso della moglie non può essere sostitu-ito da niente. Che si studi di meno, che si lavori meno, l’importante è che si rimanga accanto alla propria moglie. Questo è ciò che il Talmud ci insegna. In un momento del genere, come quello che sta vivendo il popolo ebraico oggi, mi au-guro che tutto questo dolore non inuenzi il rapporto fa-miliare», ha dichiarato. La giornata alla sinagoga si è conclusa con l’incon-tro Lo Shidduch: il ruolo dei matchmakers e dei siti di in-contri online. Moderato e presentato dalla consigliera comunitaria Manuela Sorani, l’evento tutto al femminile ha concluso il vasto programma della GECE 2024 a Milano. L’iniziativa ha riunito tre protagoniste del mondo de-gli shidduchim come Shana Tibi, collegata da Israele, di-rettrice dell’agenzia Curated Connection che si occupa della for-mazione di nuove coppie in tutto il mondo, Rivki Hazan, direttrice del Merkos, organizzatrice di shid-duchim, e Michal Sharabani, che ha creato la piattaforma Instagram Shidduchgram che organizza incon-tri zoom dopo aver vericato la serie-tà dei partecipanti. Tre approcci e tre mondi diversi che si sono confronta-ti partendo dal concetto di Shidduch e dalle relative risposte al quesito “su cosa si basa un buon shidduch?”.La giornata si è conclusa con un ot-timo cocktail realizzato da Tuv Taam e oerto dalla Comunità Ebraica di Milano.Giacobbe e Esaù e la gura della -glia del Faraone, fornendo per ognu-no i commenti dei Midrashim.IL POMERIGGIO AL TEMPIO CENTRALE«Mai come quest’an-no è importante par-tecipare alla Giornata europea della cultura ebraica. La famiglia è ancora più fondamen-tale dopo quello che è successo il 7 ottobre, quando delle famiglie sono state sterminate e divise, con membri ancora oggi prigionie-ri. Grazie quindi a tutti per essere qui». Così Walker Meghnagi, pre-sidente della Comunità ebraica di Milano, ha salutato i presenti nel-la sinagoga centrale di via Guastalla, durante il pomeriggio GECE dedicato alla fami-glia, dopo la mattina-ta al Teatro Parenti e le visite alla sinagoga condotte dalla bravis-sima Esther Nissim. Una giornata in cui si è respirata un’at-mosfera partecipata e sentita. Milo Hasbani, vicepresidente dell’U-nione delle Comunità Ebraiche Italiane, dopo avere portato i saluti della presiden-tessa Noemi Di Segni, ha ribadito l’impor-tanza del parlare di famiglia dopo il 7otto-bre e di come i media non raccontino quasi mai storie positive su Israele, rappresentan-dolo piuttosto come “invasore”. «Regna il silenzio dei giornali-sti e della autorità su quanto di buono viene da Israele. Quindi mi sento di lanciare un CULTURAappello: occorre, oggi più che mai, che si raccontino esattamente come stanno le cose». Sara Modena, as-sessore alla Cultura della Comunità ebraica, ha dichiarato: «Nella Torà siamo deniti Bené Israel, gli di Israel/Giacobbe; chiamiamo suo nonno Abramo nostro padre e Mosè nostro maestro: siamo tutti fratelli o cugini o compagni, uniti da una parentela non formale, ma eredi at-tivi di valori millenari che discendono dai Patriarchi e vengono trasmessi di genera-zione in generazione (le dor va dor)».Elena Buscemi, presiden-te Consiglio Comunale di Milano, Mustafa Roma del Coreis e Don Adam Kieltyk della Diocesi di Milano han-no portato la propria vici-nanza alla Comunità ebraica e alle vittime del 7ottobre. Una grande famiglia ebraica, i Rothschild fra storia e mito era il titolo della conferen-za tenuta da Niram Ferretti e Yehoshua Bubola Lévy de Rotschild, moderata dal giornalista Michael Soncin. Ferretti si è concentrato sul rapporto fra antisemitismo e la storia di que-sta famiglia che è stata, nei duecen-to anni della sua storia, sinonimo in senso spregiativo di ebreo. Yehoshua Bubola Lévy de Rothschild, discen-dente non solo dei Rothschild ma bisnipote di Mimì Franchetti, glia di Alberto Franchetti, ha illustrato le sue prestigiose parentele con una serie di fotograe e ricordi d’epoca, ricordando l’unione delle due fami-glie, Rothschild e Franchetti, e i ma-trimoni fra cugini che permisero la loro sopravvivenza per “endogamia”.Quando i rabbini litigavano con le mogli è invece il titolo dell’intervento tenuto da Rav Roberto Colombo: un appassionante e appassionato rac-conto, ricco di fonti, incentrato sul rapporto che c’è tra l’essere rabbino e studiare Torah rispetto alla relazione >Questi giorni, questi mesi, questi ultimi due anni saranno ricordati, nell’ebraismo di ogni luogo e tempo, come tra i peggiori ri-spetto a quelli vissuti dalla fine della Seconda guerra mondiale fino ad oggi. Ossia, dalla “scoperta” della Shoah in poi. Non solo, si intende, in Italia. Semmai, piuttosto, nel mondo intero. Molte cose sono infatti accadu-te. Non stiamo a farne il riepilogo. Non è questo che ci interessa. Semmai ci importa dire che tante di esse sono let-teralmente precipitate sulla testa del-le persone, così come della famiglie. Quindi, delle comunità ebraiche. Que-ste ultime, peraltro, non sono organismi separati dalle società circostante. In America, poi, si parlerebbe soprattutto di congregazioni. Semmai costituisco-no l’organo collettivo rispetto al quale ci si riferisce nel momento della con-divisione così come dello smarrimento, quindi della speranza al pari della de-lusione. Ci si cerca reciprocamente e quindi ci si trova nella gioia, così come nell’angoscia, nell’enfasi al pari del mo-mento del dolore. L’ebraismo non è in nulla e per niente un soggetto compat-to, unitario, quindi una sorta di falange di potere che si ripete inesorabilmente nel tempo, come invece i suoi detrattori fingono di sapere che sia. L’ebraismo – infatti - non contrassegna una “razza” (cosa vorrebbe dire, a conti fatti, tutto ciò?) come neanche una rigida ap-partenenza di campo. Non è un mero sodalizio endogamico (tutti eguali poiché omologhi). Come tale, allora, non si risolve neanche in una qualche improbabile ibridazione (tutti “plurali” e, quindi, ancelle della “differenza”, qualsivoglia cosa ciò intenda indica-re). Alla favola di un ceppo inconta-minato non si può affiancare la fiaba di una finzione, ossia la convinzione che il perdurare di un gruppo nel tem-po sia il prodotto dell’adesione ad un cliché astorico, basato sull’ossessiva ripetizione di un medesimo canone. Se tutto ciò può eventualmente vale-[Storia e controstorie]di CLAUDIO VERCELLI“Ci sentiamo soli”. Il tempo dell’incertezza e dell’isolamentore per i suggestionati - di ogni genere e risma - da un’idea di sé stessi statica, monumentale, sacralizzante, fondata sull’os-sessione dell’uniformità, la re-altà dei fatti da sempre ci dice che quello che muta nel tempo, adattandosi alle trasformazioni del mondo, è alla radice stessa dell’esse-re umano. Posto che la sopravvivenza dell’ebraismo, nel corso del tempo, è stata semmai garantita proprio dal fatto di essere “poroso”, ovvero capa-ce di confrontarsi alle condizioni date senza per una tale ragione annullarsi, così come dalla destrezza nel naviga-re tra fondamentalismo e assimilazio-nismo, quindi tra i richiami al proprio annichilimento del pari ai rimandi ad una “tradizione” che, nel momento stesso in cui viene pronunciata, non esiste mai come un mero monolito. Semmai, si mate-rializza come una sorta di ancora di mosaico fatto di tanti tasselli. Ognuno di noi, affrontando la propria esisten-za, cerca ciò che ritiene essergli più prossimo. Ossia coloro che possono ascoltarlo. Anche per questo non esiste l’ebreo, inteso come una sorta di immutabile cliché, bensì gli ebrei, una pluralità di indivi-dui, pensieri, atteggiamenti, condotte alla perenne ricerca di un comune de-nominatore.Ad oggi, quest’ultimo è divenuto il duplice rimando all’incertezza e alla solitudine. Incertezza dettata da un tempo, quello corrente, che sembra contrassegnato dall’imponderabilità di quello in divenire così come dall’estre-ma fragilità di quei già precari equilibri che hanno retto la vita degli ebrei dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Un tale quadro pare infatti esse-re contrassegnato dalla facile rever-sibilità, dalla repentina revocabilità di quel che si era faticosamente costrui-to nel mentre. Gli scenari del conflitto israelo-palestinese, a tale riguardo, vanno ben oltre i protagonisti regionali, allungando la loro ombra, in un gioco di cerchi concentrici, sull’esistenza di persone, gruppi e società molto diffe-renti e distanti. Le rifrazioni di quel con-flitto irrisolto sono tossiche, inquinano come delle scorie radioattive qualsiasi discussione, qualsivoglia dibattito. Ali-mentandosi d’ira e generando furore frantumano ogni forma residua di co-municazione e scambio. Anche per questa ragione subentra allora il senso della solitudine. Una condizione assai poco romantica, per nulla estetizzante. La solitudine è soprattutto il risultato dell’isolamento sociale per via della ricorrente stigmatizzazione. Se non c’è alcuna interlocuzione possibile, ri-mane solo la sconsolante immagine di sé dinanzi a uno specchio appannato. Qualcosa, per l’appunto, che si con-suma nella più assoluta estraneità da parte degli “altri”. Con un non so che dall’eco minacciosa.Anche per questo motivo, francamente non importa quale sia stato il passato. Non almeno in maniera esclusiva. Poi-ché chi pensa solo a ciò che fu, non sarà mai capace di intendere quello che potrà essere. Semmai, detto tut-to ciò, conta l’incerta navigazione nel presente. Essere minoranza, a tale riguardo, non rimanda in alcun modo al privilegio di una qualche “elezione” bensì alla cognizione della transitorietà degli ordinamenti umani. In alto: ebrei al Muro del piantoCOMMENTI RIFLESSIONI IDEEOMMENTI RIFLESSIONI IDEEDall’alto: Rav Roberto Colombo, Roberto Zadik, Alfonso Sassun, Riccardo Sorani, Ugo Volli, Davide Romano, David Piazza, Yehoshua Bubola Lévy de Rothschild, Michael Soncin, Manuela Sorani, Michal Sharabani, Rivki Hazan.Tutte le cronache e i video integrali degli interventi sono su Mosaico-cem, sezione Giornata europea della cultura ebraicaottobre 202424 25
con la propria moglie. Con citazioni dal Talmud, rav Colombo ha fatto riettere sull’importanza che la rela-zione con la moglie ha nell’ebraismo. «Questa è la regola ebraica: il sorriso della moglie non può essere sostitu-ito da niente. Che si studi di meno, che si lavori meno, l’importante è che si rimanga accanto alla propria moglie. Questo è ciò che il Talmud ci insegna. In un momento del genere, come quello che sta vivendo il popolo ebraico oggi, mi au-guro che tutto questo dolore non inuenzi il rapporto fa-miliare», ha dichiarato. La giornata alla sinagoga si è conclusa con l’incon-tro Lo Shidduch: il ruolo dei matchmakers e dei siti di in-contri online. Moderato e presentato dalla consigliera comunitaria Manuela Sorani, l’evento tutto al femminile ha concluso il vasto programma della GECE 2024 a Milano. L’iniziativa ha riunito tre protagoniste del mondo de-gli shidduchim come Shana Tibi, collegata da Israele, di-rettrice dell’agenzia Curated Connection che si occupa della for-mazione di nuove coppie in tutto il mondo, Rivki Hazan, direttrice del Merkos, organizzatrice di shid-duchim, e Michal Sharabani, che ha creato la piattaforma Instagram Shidduchgram che organizza incon-tri zoom dopo aver vericato la serie-tà dei partecipanti. Tre approcci e tre mondi diversi che si sono confronta-ti partendo dal concetto di Shidduch e dalle relative risposte al quesito “su cosa si basa un buon shidduch?”.La giornata si è conclusa con un ot-timo cocktail realizzato da Tuv Taam e oerto dalla Comunità Ebraica di Milano.Giacobbe e Esaù e la gura della -glia del Faraone, fornendo per ognu-no i commenti dei Midrashim.IL POMERIGGIO AL TEMPIO CENTRALE«Mai come quest’an-no è importante par-tecipare alla Giornata europea della cultura ebraica. La famiglia è ancora più fondamen-tale dopo quello che è successo il 7 ottobre, quando delle famiglie sono state sterminate e divise, con membri ancora oggi prigionie-ri. Grazie quindi a tutti per essere qui». Così Walker Meghnagi, pre-sidente della Comunità ebraica di Milano, ha salutato i presenti nel-la sinagoga centrale di via Guastalla, durante il pomeriggio GECE dedicato alla fami-glia, dopo la mattina-ta al Teatro Parenti e le visite alla sinagoga condotte dalla bravis-sima Esther Nissim. Una giornata in cui si è respirata un’at-mosfera partecipata e sentita. Milo Hasbani, vicepresidente dell’U-nione delle Comunità Ebraiche Italiane, dopo avere portato i saluti della presiden-tessa Noemi Di Segni, ha ribadito l’impor-tanza del parlare di famiglia dopo il 7otto-bre e di come i media non raccontino quasi mai storie positive su Israele, rappresentan-dolo piuttosto come “invasore”. «Regna il silenzio dei giornali-sti e della autorità su quanto di buono viene da Israele. Quindi mi sento di lanciare un CULTURAappello: occorre, oggi più che mai, che si raccontino esattamente come stanno le cose». Sara Modena, as-sessore alla Cultura della Comunità ebraica, ha dichiarato: «Nella Torà siamo deniti Bené Israel, gli di Israel/Giacobbe; chiamiamo suo nonno Abramo nostro padre e Mosè nostro maestro: siamo tutti fratelli o cugini o compagni, uniti da una parentela non formale, ma eredi at-tivi di valori millenari che discendono dai Patriarchi e vengono trasmessi di genera-zione in generazione (le dor va dor)».Elena Buscemi, presiden-te Consiglio Comunale di Milano, Mustafa Roma del Coreis e Don Adam Kieltyk della Diocesi di Milano han-no portato la propria vici-nanza alla Comunità ebraica e alle vittime del 7ottobre. Una grande famiglia ebraica, i Rothschild fra storia e mito era il titolo della conferen-za tenuta da Niram Ferretti e Yehoshua Bubola Lévy de Rotschild, moderata dal giornalista Michael Soncin. Ferretti si è concentrato sul rapporto fra antisemitismo e la storia di que-sta famiglia che è stata, nei duecen-to anni della sua storia, sinonimo in senso spregiativo di ebreo. Yehoshua Bubola Lévy de Rothschild, discen-dente non solo dei Rothschild ma bisnipote di Mimì Franchetti, glia di Alberto Franchetti, ha illustrato le sue prestigiose parentele con una serie di fotograe e ricordi d’epoca, ricordando l’unione delle due fami-glie, Rothschild e Franchetti, e i ma-trimoni fra cugini che permisero la loro sopravvivenza per “endogamia”.Quando i rabbini litigavano con le mogli è invece il titolo dell’intervento tenuto da Rav Roberto Colombo: un appassionante e appassionato rac-conto, ricco di fonti, incentrato sul rapporto che c’è tra l’essere rabbino e studiare Torah rispetto alla relazione >Questi giorni, questi mesi, questi ultimi due anni saranno ricordati, nell’ebraismo di ogni luogo e tempo, come tra i peggiori ri-spetto a quelli vissuti dalla fine della Seconda guerra mondiale fino ad oggi. Ossia, dalla “scoperta” della Shoah in poi. Non solo, si intende, in Italia. Semmai, piuttosto, nel mondo intero. Molte cose sono infatti accadu-te. Non stiamo a farne il riepilogo. Non è questo che ci interessa. Semmai ci importa dire che tante di esse sono let-teralmente precipitate sulla testa del-le persone, così come della famiglie. Quindi, delle comunità ebraiche. Que-ste ultime, peraltro, non sono organismi separati dalle società circostante. In America, poi, si parlerebbe soprattutto di congregazioni. Semmai costituisco-no l’organo collettivo rispetto al quale ci si riferisce nel momento della con-divisione così come dello smarrimento, quindi della speranza al pari della de-lusione. Ci si cerca reciprocamente e quindi ci si trova nella gioia, così come nell’angoscia, nell’enfasi al pari del mo-mento del dolore. L’ebraismo non è in nulla e per niente un soggetto compat-to, unitario, quindi una sorta di falange di potere che si ripete inesorabilmente nel tempo, come invece i suoi detrattori fingono di sapere che sia. L’ebraismo – infatti - non contrassegna una “razza” (cosa vorrebbe dire, a conti fatti, tutto ciò?) come neanche una rigida ap-partenenza di campo. Non è un mero sodalizio endogamico (tutti eguali poiché omologhi). Come tale, allora, non si risolve neanche in una qualche improbabile ibridazione (tutti “plurali” e, quindi, ancelle della “differenza”, qualsivoglia cosa ciò intenda indica-re). Alla favola di un ceppo inconta-minato non si può affiancare la fiaba di una finzione, ossia la convinzione che il perdurare di un gruppo nel tem-po sia il prodotto dell’adesione ad un cliché astorico, basato sull’ossessiva ripetizione di un medesimo canone. Se tutto ciò può eventualmente vale-[Storia e controstorie]di CLAUDIO VERCELLI“Ci sentiamo soli”. Il tempo dell’incertezza e dell’isolamentore per i suggestionati - di ogni genere e risma - da un’idea di sé stessi statica, monumentale, sacralizzante, fondata sull’os-sessione dell’uniformità, la re-altà dei fatti da sempre ci dice che quello che muta nel tempo, adattandosi alle trasformazioni del mondo, è alla radice stessa dell’esse-re umano. Posto che la sopravvivenza dell’ebraismo, nel corso del tempo, è stata semmai garantita proprio dal fatto di essere “poroso”, ovvero capa-ce di confrontarsi alle condizioni date senza per una tale ragione annullarsi, così come dalla destrezza nel naviga-re tra fondamentalismo e assimilazio-nismo, quindi tra i richiami al proprio annichilimento del pari ai rimandi ad una “tradizione” che, nel momento stesso in cui viene pronunciata, non esiste mai come un mero monolito. Semmai, si mate-rializza come una sorta di ancora di mosaico fatto di tanti tasselli. Ognuno di noi, affrontando la propria esisten-za, cerca ciò che ritiene essergli più prossimo. Ossia coloro che possono ascoltarlo. Anche per questo non esiste l’ebreo, inteso come una sorta di immutabile cliché, bensì gli ebrei, una pluralità di indivi-dui, pensieri, atteggiamenti, condotte alla perenne ricerca di un comune de-nominatore.Ad oggi, quest’ultimo è divenuto il duplice rimando all’incertezza e alla solitudine. Incertezza dettata da un tempo, quello corrente, che sembra contrassegnato dall’imponderabilità di quello in divenire così come dall’estre-ma fragilità di quei già precari equilibri che hanno retto la vita degli ebrei dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Un tale quadro pare infatti esse-re contrassegnato dalla facile rever-sibilità, dalla repentina revocabilità di quel che si era faticosamente costrui-to nel mentre. Gli scenari del conflitto israelo-palestinese, a tale riguardo, vanno ben oltre i protagonisti regionali, allungando la loro ombra, in un gioco di cerchi concentrici, sull’esistenza di persone, gruppi e società molto diffe-renti e distanti. Le rifrazioni di quel con-flitto irrisolto sono tossiche, inquinano come delle scorie radioattive qualsiasi discussione, qualsivoglia dibattito. Ali-mentandosi d’ira e generando furore frantumano ogni forma residua di co-municazione e scambio. Anche per questa ragione subentra allora il senso della solitudine. Una condizione assai poco romantica, per nulla estetizzante. La solitudine è soprattutto il risultato dell’isolamento sociale per via della ricorrente stigmatizzazione. Se non c’è alcuna interlocuzione possibile, ri-mane solo la sconsolante immagine di sé dinanzi a uno specchio appannato. Qualcosa, per l’appunto, che si con-suma nella più assoluta estraneità da parte degli “altri”. Con un non so che dall’eco minacciosa.Anche per questo motivo, francamente non importa quale sia stato il passato. Non almeno in maniera esclusiva. Poi-ché chi pensa solo a ciò che fu, non sarà mai capace di intendere quello che potrà essere. Semmai, detto tut-to ciò, conta l’incerta navigazione nel presente. Essere minoranza, a tale riguardo, non rimanda in alcun modo al privilegio di una qualche “elezione” bensì alla cognizione della transitorietà degli ordinamenti umani. In alto: ebrei al Muro del piantoCOMMENTI RIFLESSIONI IDEEOMMENTI RIFLESSIONI IDEEDall’alto: Rav Roberto Colombo, Roberto Zadik, Alfonso Sassun, Riccardo Sorani, Ugo Volli, Davide Romano, David Piazza, Yehoshua Bubola Lévy de Rothschild, Michael Soncin, Manuela Sorani, Michal Sharabani, Rivki Hazan.Tutte le cronache e i video integrali degli interventi sono su Mosaico-cem, sezione Giornata europea della cultura ebraicaottobre 202424 25
contenenti il Nome divino, che quin-di veniva cancellato nelle acque - Be-midbar 5, 11-31), a maggior ragione deve poterlo essere per portare la pace al mondo intero! Disse allora Achitòfel al re: “È permesso!”.David scrisse il Nome divino sul coc-cio, lo gettò negli abissi e le acque calarono di sedicimila cubiti. Ma il pericolo non era passato. Quelle ac-que sotterranee, infatti, avevano an-che la funzione di inumidire i campi e renderli fertili, e la distanza che si era creata dalla supercie della Ter-ra era eccessiva. Fu in quel momento che David recitò i quindici Canti dei gradini - o Canti della salita, che dir si voglia -, che fecero risalire le acque di quindicimila cubiti, mantenendole a una distanza di sicurezza di mille cubiti dalla supercie terrestre.Questa aggadà, per i temi che tratta (gli abissi, le acque inferiori che ri-salgono ai tempi della Creazione del mondo, le fondamenta del Santuario, il rischio della distruzione del mondo e la sua salvaguardia, il potere della preghiera dell’uomo) si presta a essere interpretata su più livelli. Fermandoci a una lettura piana del testo, emergono vano le celebrazioni quando esisteva il Santuario a Gerusalemme. Partico-lare attenzione viene data alla gioia che accompagnava la Simchàt Bet HaShoevà (la festa dell’attingimento dell’acqua). Il quinto capitolo prende il nome dalla prima parola Hechalìl, “Il auto”, uno degli strumenti musicali che con le sue melodie accompagnava i festeggiamenti. Nel testo è descritta con dovizia di particolari la cerimo-nia festosa dell’attingimento dell’acqua dalla sorgente dello Shillòach, a cui seguiva una processione per portarla in libagione sull’altare. La processione era accompagnata dai leviti che sta-vano sui quindici gradini del Santua-rio, suonavano e cantavano i quindici Salmi che iniziano con le parole Shir hama’alòt (“Canto dei gradini” o “delle salite”, capitoli 120-134). La Mishnà ar-riva a stabilire che chi non ha mai visto la Simchàt bet haShoevà, non ha visto una gioia completa in tutta la sua vita. In questo contesto, il Talmud riporta un’aggadà sull’origine dei “Canti dei no dei nomi della fe-sta di Sukkòt è Zemàn Simchatènu, il tempo della nostra gioia. La mitzvà del-la gioia è valida per tutte le feste, ma è prescritta in modo particolare nei ver-setti relativi alla festa di Sukkòt (Deva-rìm 16, 14). Dopo quanto è successo il 7ottobre, è dicile pensare alla gioia della festa di Sukkòt. Da ebrea di ori-gini romane non posso non associare all’evento nefasto altri due terribili momenti indelebili: il 16 ottobre del 1943 e l’attentato al Tempio di Roma del 1982, avvenuti durante i giorni di questa festa. Cercare nelle fonti può aiutare a comprendere il signicato della gioia della festa di Sukkòt e a viverla anche in tempi dicili come quelli che stiamo vivendo.Nel trattato talmudico di Sukkà, dopo aver approfondito gli aspetti delle mitzwòt della sukkà e del lulàv, viene descritto in che modo avveni-Come pensare alla gioia della festa di Sukkot in un momentocosì dicile per Israele e per il mondo ebraico? A un annodal 7ottobre, una narrazione talmudica aiuta a sperare nella salvezza dai pericoli e nella gioia di una preghiera ascoltataUgradini o delle salite” a nome di rabbì Yochanan (TB, Sukkà 53a). Questa ag-gadà allude a un grande pericolo per il mondo intero. È riportata in due ver-sioni, la prima è più breve e concisa, la seconda è più lunga e complessa e, per alcuni aspetti, in contraddizione con la prima.Tutto ha inizio da una domanda che rav Chisdà pone a uno dei maestri che riordinava gli insegnamenti delle aggadòt: in merito a che cosa il re Da-vid aveva composto i quindici Canti delle salite? Il maestro gli rispose che il re, nei preparativi per la costruzio-ne del Santuario, scavò gli Shittìn, le misteriose cavità sottostanti al San-tuario di Gerusalemme, che giunge-vano no agli abissi della Terra, dove si trovano le acque primordiali, uno degli elementi più potenti della natura. Accadde allora che le acque degli abissi si sollevarono al punto che rischiarono di inondare il mondo. David, recitando i “Canti delle salite”, gli Shir hama’alòt, riuscì a farle calare. A questa narrazione dell’origine dei quindici Salmi viene obiettato: Se è così, visto che le acque calarono, do-vrebbero chiamarsi “Canti delle disce-se”, e non “delle salite!”.Il maestro riordinatore delle aggadòt, sentita l’obiezione si rammentò allora che l’aggadà tramandata era diversa e ben più articolata. Secondo la se-conda versione, quando David sca-vò gli Shittìn, le acque degli abissi si sollevarono e stavano per inondare il mondo. David allora chiese ai presen-ti se fosse permesso scrivere il Nome divino su un coccio per poi gettarlo in quelle acque, sapendo che questo gesto le avrebbe fermate, con il rischio però di provocare la cancellazione del Nome divino. Nessuno gli rispose. Al-lora David ribattè: “Chi sa la risposta e non dice nulla, che soochi nel suo silenzio!”. Achitòfel, consigliere di Da-vid, pensò che se per mettere pace tra marito e moglie la Torà prevede che il Nome divino possa essere cancellato (il riferimento è al rituale della Sotà, la donna sospettata di adulterio, a cui venivano fatte bere delle acque amare in cui era stata immersa una perga-mena su cui erano scritti dei versetti CULTURA/FESTEEBRAISMO, FESTE E RICORRENZEBRAISMO, FESTE E RICORRENZEdi GAIA PIPERNOShir haMaalot: la festa di Sukkot, le acque dell’abisso, la potenza dell’ascoltoalcuni spunti interessanti. In un primo momento, il re David cerca una solu-zione “halachika” condivisa: lui ha una soluzione per far calare le acque, ma teme di incorrere nel divieto di can-cellare il Nome divino. In un momento così critico per le sorti del mondo, il re chiede ai presenti un consiglio e non accetta il silenzio di chi sa e non parla, arrivando a maledire chi conosce la risposta alla sua domanda ma tace. A quel punto, l’aggadà ci fa entrare nei pensieri di Achitòfel, personaggio con-troverso ma pur sempre consigliere del re, che fa un ragionamento a fortiori: se è possibile cancellare il Nome divino per mettere pace tra moglie e marito (Shalòm bait, un principio fondamen-tale del pensiero ebraico), tanto più sarà lecito farlo per ottenere la pace su tutta la Terra. Achitòfel si fa avanti e dà a David la risposta che cercava. Il consiglio giusto al momento giusto ha il potere di salvare il mondo. Non bisogna rimanere in silenzio.David getta negli abissi il coccio con su scritto il Nome divino, le acque calano, ma l’equilibrio è ancora instabile: quel-le stesse acque minacciose e pericolose hanno anche un ruolo essenziale nel rendere la terra umida e fertile. David ne riconosce gli aspetti positivi oltre che distruttivi, e solo attraverso la re-citazione degli Shir hama’alòt riesce a ritrovare quell’equilibrio che permette di riportare il mondo al sicuro e sal-varlo dalla catastrofe: quale gioia può essere più grande del successo di una preghiera?David era un combattente. Aveva conquistato Gerusalemme, ma non poteva costruire il Santuario per le troppe guerre e il troppo sangue ver-sato. Questo non gli impedì però di fare i grandi preparativi e le “infra-strutture” che permisero a suo glio Shelomò-Salomone di costruire il Santuario e regnare in pace. Questi preparativi comprendono i quindici Shir hama’alòt, che composti in un momento di pericolo per il mondo intero, diventarono parte integrante del momento più gioioso della festa più gioiosa che la tradizione ebraica conosca. L’aggadà sull’origine degli Shir haMa’alòt ci invita a rileggerli e com-prenderli da una diversa prospettiva, facendoci assaporare la gioia di una preghiera ascoltata e della salvezza del mondo dal pericolo.MERCOLEDÌ 16 OTTOBRE 2023 | ORE 19.00Tempio Scuola di rito italiano e Succà nel Giardino | via Sally Mayer 4INFO E PRENOTAZIONI: PAOLA HAZAN BOCCIA | CELL. 339 4836414 / 393 8683899 | PAOLA.HAZAN@COM-EBRAICAMILANO.ITCena in SuccàDESIGN BYDANIELA HAGGIAGFESTEGGIAMO INSIEMEore 18.15 Minchà e Arvit Tempio Scuola di rito italianoore 19.00 Cena in Succà a cura di Alfonso Sassun e di altri studiosiQUOTA DI PARTECIPAZIONE25€ adulti 15€ fino ai 18 anniA sinistra: Leopold Pilichowski, Sukkot (Ringraziamenti: Christie’s Images).ottobre 202426
contenenti il Nome divino, che quin-di veniva cancellato nelle acque - Be-midbar 5, 11-31), a maggior ragione deve poterlo essere per portare la pace al mondo intero! Disse allora Achitòfel al re: “È permesso!”.David scrisse il Nome divino sul coc-cio, lo gettò negli abissi e le acque calarono di sedicimila cubiti. Ma il pericolo non era passato. Quelle ac-que sotterranee, infatti, avevano an-che la funzione di inumidire i campi e renderli fertili, e la distanza che si era creata dalla supercie della Ter-ra era eccessiva. Fu in quel momento che David recitò i quindici Canti dei gradini - o Canti della salita, che dir si voglia -, che fecero risalire le acque di quindicimila cubiti, mantenendole a una distanza di sicurezza di mille cubiti dalla supercie terrestre.Questa aggadà, per i temi che tratta (gli abissi, le acque inferiori che ri-salgono ai tempi della Creazione del mondo, le fondamenta del Santuario, il rischio della distruzione del mondo e la sua salvaguardia, il potere della preghiera dell’uomo) si presta a essere interpretata su più livelli. Fermandoci a una lettura piana del testo, emergono vano le celebrazioni quando esisteva il Santuario a Gerusalemme. Partico-lare attenzione viene data alla gioia che accompagnava la Simchàt Bet HaShoevà (la festa dell’attingimento dell’acqua). Il quinto capitolo prende il nome dalla prima parola Hechalìl, “Il auto”, uno degli strumenti musicali che con le sue melodie accompagnava i festeggiamenti. Nel testo è descritta con dovizia di particolari la cerimo-nia festosa dell’attingimento dell’acqua dalla sorgente dello Shillòach, a cui seguiva una processione per portarla in libagione sull’altare. La processione era accompagnata dai leviti che sta-vano sui quindici gradini del Santua-rio, suonavano e cantavano i quindici Salmi che iniziano con le parole Shir hama’alòt (“Canto dei gradini” o “delle salite”, capitoli 120-134). La Mishnà ar-riva a stabilire che chi non ha mai visto la Simchàt bet haShoevà, non ha visto una gioia completa in tutta la sua vita. In questo contesto, il Talmud riporta un’aggadà sull’origine dei “Canti dei no dei nomi della fe-sta di Sukkòt è Zemàn Simchatènu, il tempo della nostra gioia. La mitzvà del-la gioia è valida per tutte le feste, ma è prescritta in modo particolare nei ver-setti relativi alla festa di Sukkòt (Deva-rìm 16, 14). Dopo quanto è successo il 7ottobre, è dicile pensare alla gioia della festa di Sukkòt. Da ebrea di ori-gini romane non posso non associare all’evento nefasto altri due terribili momenti indelebili: il 16 ottobre del 1943 e l’attentato al Tempio di Roma del 1982, avvenuti durante i giorni di questa festa. Cercare nelle fonti può aiutare a comprendere il signicato della gioia della festa di Sukkòt e a viverla anche in tempi dicili come quelli che stiamo vivendo.Nel trattato talmudico di Sukkà, dopo aver approfondito gli aspetti delle mitzwòt della sukkà e del lulàv, viene descritto in che modo avveni-Come pensare alla gioia della festa di Sukkot in un momentocosì dicile per Israele e per il mondo ebraico? A un annodal 7ottobre, una narrazione talmudica aiuta a sperare nella salvezza dai pericoli e nella gioia di una preghiera ascoltataUgradini o delle salite” a nome di rabbì Yochanan (TB, Sukkà 53a). Questa ag-gadà allude a un grande pericolo per il mondo intero. È riportata in due ver-sioni, la prima è più breve e concisa, la seconda è più lunga e complessa e, per alcuni aspetti, in contraddizione con la prima.Tutto ha inizio da una domanda che rav Chisdà pone a uno dei maestri che riordinava gli insegnamenti delle aggadòt: in merito a che cosa il re Da-vid aveva composto i quindici Canti delle salite? Il maestro gli rispose che il re, nei preparativi per la costruzio-ne del Santuario, scavò gli Shittìn, le misteriose cavità sottostanti al San-tuario di Gerusalemme, che giunge-vano no agli abissi della Terra, dove si trovano le acque primordiali, uno degli elementi più potenti della natura. Accadde allora che le acque degli abissi si sollevarono al punto che rischiarono di inondare il mondo. David, recitando i “Canti delle salite”, gli Shir hama’alòt, riuscì a farle calare. A questa narrazione dell’origine dei quindici Salmi viene obiettato: Se è così, visto che le acque calarono, do-vrebbero chiamarsi “Canti delle disce-se”, e non “delle salite!”.Il maestro riordinatore delle aggadòt, sentita l’obiezione si rammentò allora che l’aggadà tramandata era diversa e ben più articolata. Secondo la se-conda versione, quando David sca-vò gli Shittìn, le acque degli abissi si sollevarono e stavano per inondare il mondo. David allora chiese ai presen-ti se fosse permesso scrivere il Nome divino su un coccio per poi gettarlo in quelle acque, sapendo che questo gesto le avrebbe fermate, con il rischio però di provocare la cancellazione del Nome divino. Nessuno gli rispose. Al-lora David ribattè: “Chi sa la risposta e non dice nulla, che soochi nel suo silenzio!”. Achitòfel, consigliere di Da-vid, pensò che se per mettere pace tra marito e moglie la Torà prevede che il Nome divino possa essere cancellato (il riferimento è al rituale della Sotà, la donna sospettata di adulterio, a cui venivano fatte bere delle acque amare in cui era stata immersa una perga-mena su cui erano scritti dei versetti CULTURA/FESTEEBRAISMO, FESTE E RICORRENZEBRAISMO, FESTE E RICORRENZEdi GAIA PIPERNOShir haMaalot: la festa di Sukkot, le acque dell’abisso, la potenza dell’ascoltoalcuni spunti interessanti. In un primo momento, il re David cerca una solu-zione “halachika” condivisa: lui ha una soluzione per far calare le acque, ma teme di incorrere nel divieto di can-cellare il Nome divino. In un momento così critico per le sorti del mondo, il re chiede ai presenti un consiglio e non accetta il silenzio di chi sa e non parla, arrivando a maledire chi conosce la risposta alla sua domanda ma tace. A quel punto, l’aggadà ci fa entrare nei pensieri di Achitòfel, personaggio con-troverso ma pur sempre consigliere del re, che fa un ragionamento a fortiori: se è possibile cancellare il Nome divino per mettere pace tra moglie e marito (Shalòm bait, un principio fondamen-tale del pensiero ebraico), tanto più sarà lecito farlo per ottenere la pace su tutta la Terra. Achitòfel si fa avanti e dà a David la risposta che cercava. Il consiglio giusto al momento giusto ha il potere di salvare il mondo. Non bisogna rimanere in silenzio.David getta negli abissi il coccio con su scritto il Nome divino, le acque calano, ma l’equilibrio è ancora instabile: quel-le stesse acque minacciose e pericolose hanno anche un ruolo essenziale nel rendere la terra umida e fertile. David ne riconosce gli aspetti positivi oltre che distruttivi, e solo attraverso la re-citazione degli Shir hama’alòt riesce a ritrovare quell’equilibrio che permette di riportare il mondo al sicuro e sal-varlo dalla catastrofe: quale gioia può essere più grande del successo di una preghiera?David era un combattente. Aveva conquistato Gerusalemme, ma non poteva costruire il Santuario per le troppe guerre e il troppo sangue ver-sato. Questo non gli impedì però di fare i grandi preparativi e le “infra-strutture” che permisero a suo glio Shelomò-Salomone di costruire il Santuario e regnare in pace. Questi preparativi comprendono i quindici Shir hama’alòt, che composti in un momento di pericolo per il mondo intero, diventarono parte integrante del momento più gioioso della festa più gioiosa che la tradizione ebraica conosca. L’aggadà sull’origine degli Shir haMa’alòt ci invita a rileggerli e com-prenderli da una diversa prospettiva, facendoci assaporare la gioia di una preghiera ascoltata e della salvezza del mondo dal pericolo.MERCOLEDÌ 16 OTTOBRE 2023 | ORE 19.00Tempio Scuola di rito italiano e Succà nel Giardino | via Sally Mayer 4INFO E PRENOTAZIONI: PAOLA HAZAN BOCCIA | CELL. 339 4836414 / 393 8683899 | PAOLA.HAZAN@COM-EBRAICAMILANO.ITCena in SuccàDESIGN BYDANIELA HAGGIAGFESTEGGIAMO INSIEMEore 18.15 Minchà e Arvit Tempio Scuola di rito italianoore 19.00 Cena in Succà a cura di Alfonso Sassun e di altri studiosiQUOTA DI PARTECIPAZIONE25€ adulti 15€ fino ai 18 anniA sinistra: Leopold Pilichowski, Sukkot (Ringraziamenti: Christie’s Images).ottobre 202426
erché un libro sugli ebrei? Perché dopo lo scoppio della guerra a Gaza si è creata l’esigenza di ragionare sulle sue gravi ricadute e sulla crescita preoccupante dell’antisemitismo in Italia ed Europa. Fin da subito abbiamo assistito a reazioni spropositate che si sono scatenate nelle democrazie occidentali e che hanno fatto emergere ancora una volta una valutazione distorta nelle società occidentali del ruolo del mondo ebraico e dell’ebraismo». Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione CDEC (Centro di documentazione Ebraica Contemporanea) spiega così a Bet Magazine-Mosaico il senso del testo da lui rmato Sugli ebrei. Domande su antisemitismo, sionismo, Israele e democrazia, uscito a maggio di quest’anno per Bollati Boringhieri. Un libro, questo, che non vuole entrare nel merito della guerra in corso e delle questioni geopolitiche, ma che spiega invece in modo molto chiaro, ma certamente non semplificato, chi sono gli ebrei, andando contro facili semplicazioni e appiattimenti purtroppo molto diusi e sfatando “miti” radicati nell’opinione pubblica. «Ancora una volta assistiamo a una distorsione della realtà che ha qualcosa di paradossale – continua lo storico -: gli ebrei convivono nella società italiana da duemila anni, ma rieccoci a dover raccontare e spiegare chi siamo… Detto questo, c’è l’interesse da parte delle case editrici a fare divulgazione di questo tipo (in questi mesi sono usciti anche il libro di Nathania Zevi Il nemico ideale e quello di Sergio Della Pergola Essere ebrei oggi, ndr), e quindi ho sentito, da direttore della Fondazione CDEC, il dovere morale di rispondere positivamente alla richiesta della Bollati Boringhieri».Paradossale anche che siano sempre gli ebrei a dovere parlare di antisemitismo, una piaga che non riguarda solo loro, ma la società tutta… «Sicuramente è a dir poco curioso, dato che l’odio per gli ebrei è prima di tutto un problema della società, e non degli ebrei, che in Italia sono pochi e vivono in piccole comunità – spiega -. Ma questo diventa ancora più curioso e paradossale in questo momento storico, in cui l’antisemitismo è un attacco evidente alle società occidentali, che sembrano però non rendersene conto. Chi lo ha fatto di recente sono i rappresentanti per la lotta contro l’antisemitismo di tutto il mondo che, riunitisi a luglio a Buenos Aires, hanno avvertito in modo accorato che l’antisemitismo non riguarda solo gli ebrei, ma la libertà religiosa, democratica e di pensiero di tutti». Nella prima parte, intitolata eloquentemente “Contro la semplicazione”, il libro aronta la complessità e varietà intrinseca del mondo ebraico, spesso concepito invece come un monolite senza sfumature, le tappe principali della sua storia, il sionismo, l’antisemitismo e i rapporti con l’Islam. L’obiettivo è chiaro: fornire basi solide alla discussione con chi sa poco o niente, o conosce cose sbagliate sugli ebrei. Nella seconda, invece, Luzzatto Voghera risponde ad alcune delle domande più frequenti e dirette - in molti casi non prive di malizia e pregiudizio - che dimostrano una non conoscenza e allo stesso tempo un disagio verso il popolo ebraico e che dopo il Sabato nero sono sempre più frequenti. Ad esempio: “Perché un popolo che è stato vittima del nazismo sta uccidendo indiscriminatamente innocenti a Gaza, che non hanno nessuna responsabilità con il 7ottobre?”. Oppure: “Gli ebrei si considerano il popolo eletto, quindi sarebbero una razza superiore?”. E ancora: “Gli ebrei sono sempre fedeli a tutti i costi a Israele?”. E molte altre.Uscito a maggio, il libro è stato salutato con favore e indicato come strumento utile anche nelle scuole. Tiepida l’accoglienza dal mondo della sinistra. «Non viene accettato che venga detto che l’antisemitismo è in tutti gli ambiti politici, quindi anche a sinistra - commenta -. L’ho comunque presentato a Roma in una sede del PD e sono pronto a parlarne ovunque e a chiunque voglia organizzare occasioni di confronto su questi temi: anche nei cortili delle università occupate, se però c’è la voglia di ascoltare. Perché per contrastare l’ignoranza e i pregiudizi, bisogna fare un lavoro culturale incessante».Un testo fondamentale e utilissimo. Per imparare a controbattere riutando le semplicazioni e le banalizzazioni. Un libro per non arrendersi e per smontare falsi miti e distorsioni della realtà«PCULTURALIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREdi ILARIA MYR“SUGLI EBREI”: IL NUOVO LIBRO DI GADI LUZZATTO VOGHERAL’immane fatica di raccontare se stessi (ancora e ancora)“È paradossale: gli ebrei vivono da duemila anni in Italia, ma dopo il 7ottobre ci troviamo ancora una volta a dovere spiegare chi siamo”Per maggiori informazioni potete visitare i nostri siti: https://www.kedem-auctions.com/en/about-kedemPer valutazioni o consultazioni poteterivolgervi ai direoriMeron Eren: meron@kedemltd.comAngelo Piattelli: angelo@kedemltd.como tramite whatsapp 00972-544372531La casa d’asta “Kedem” invita a consegnare libri e manoscrii ebraici, oggei di Judaica, Meghillot miniate e Ketubbot da orire nelle prossime aste. Supporta i clienti in valutazioni e vendita in asta di libri di pregio, argenti ebraici, intere collezioni ed archivi.Israele è uno dei pochissimi Stati al mondo la cui stessa esistenza è dalla sua istituzione combat-tuta apertamente con le guerre, il terrorismo, i processi politici e diplomatici, i media. Ma è anche uno dei pochi la cui sovranità non è frutto di avventure belliche bensì stabilita da trattati e voti formali delle istituzioni inter-nazionali. La vicenda delle guerre e delle ondate terroristiche arabe che hanno ten-tato di impedire agli ebrei di ristabilirsi nel-la loro terra ancestrale e poi di distruggere il loro Stato è ben nota: inizia almeno coi pogrom di Gerusalemme e di Hebron, un secolo fa, passa attraverso diverse altre ondate di pogrom, l’allineamento dei lea-der arabi con il nazismo, le guerre del ‘48, ‘56, ‘67, ‘73, le incursioni terroristiche, i di-rottamenti, gli attentati suicidi, le “intifade” e continua fino alla strage del 7 ottobre; non se ne vede purtroppo la fine. La storia della restituzione moderna della sovranità del popolo ebraico su un proprio Stato è invece generalmente meno conosciuta e spesso raccontata in maniera inesatta, anche perché si tratta di un tema molto tecnico di diritto internazionale. Essa inizia alla fine della prima guerra mondiale con la dissoluzione dell’impero ottoma-no, di cui i territori che sono oggi lo Stato di Israele facevano parte da cinque secoli. Nell’ambito della generale redistribuzione del grande spazio ottomano, che diede luogo all’indipendenza di mol-ti popoli, i trattati di pace prima e poi la Società delle Nazioni istituirono allora fra l’altro in favore del popolo ebraico, un “mandato di Palestina”, cioè la delega a uno Stato esistente (la Gran Bre-tagna) della responsabilità di pre-parare la costituzione di un nuovo Stato per cui mancavano in quel momento le condizioni materiali. È così, più di un secolo fa, che si crea il diritto non morale o politico ma propriamente giuridico all’esi-stenza di quel che poi sarà chia-mato Stato di Israele: un diritto che fu rico-nosciuto prima dalle nazioni vincitrici della guerra con il Trattato di Sanremo, poi, pro-prio attraverso l’istituzione del mandato, dall’assemblea della Società delle Nazio-ni e che venne poi conservato al momen-to della sua sostituzione con l’Onu da un articolo del suo statuto (l’art. 80) che ga-rantiva la continuità degli impegni, e vale dunque ancora oggi. La delibera dell’as-semblea generale dell’Onu del 1947 in cui dopo la rinuncia britannica si proponeva la divisione del Mandato in due parti, una per gli ebrei e l’altra per gli arabi (accetta-ta in linea di principio dall’organizzazione sionistica, ma affossata dal rifiuto arabo e dalla guerra scatenata da cinque Stati arabi contro il neonato Israele) non ebbe efficacia giuridica e servì solo a stabilire le condizioni politiche per la dichiarazio-ne di indipendenza di Israele. Tutta que-sta vicenda è dettagliatamente discussa dall’ultimo libro di David Elbert, dedicato a Il diritto di sovranità in Terra di Israele (Belforte 2024), con abbondanza di argomentazioni giuridiche e di documentazione testuale. Elbert ha scritto diversi libri sui temi giuridici relativi allo statuto internazionale di Israele e su questi temi molto delicati e complessi è certamente oggi il più competente autore italiano. Ha anche il merito di scriverne con grande chiarez-za, senza sacrificare per questo la preci-sione giuridica dei concetti e il rimando puntuale a fonti specialistiche. Questo libro, come i suoi precedenti, è utilissimo per chi vuole avere le idee chiare sul dirit-to di Israele e poterne discutere con co-gnizione di causa.Dove nasce il diritto di Israele ad esistere come Stato[Scintille: letture e riletture]di UGO VOLLIottobre 202428
erché un libro sugli ebrei? Perché dopo lo scoppio della guerra a Gaza si è creata l’esigenza di ragionare sulle sue gravi ricadute e sulla crescita preoccupante dell’antisemitismo in Italia ed Europa. Fin da subito abbiamo assistito a reazioni spropositate che si sono scatenate nelle democrazie occidentali e che hanno fatto emergere ancora una volta una valutazione distorta nelle società occidentali del ruolo del mondo ebraico e dell’ebraismo». Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione CDEC (Centro di documentazione Ebraica Contemporanea) spiega così a Bet Magazine-Mosaico il senso del testo da lui rmato Sugli ebrei. Domande su antisemitismo, sionismo, Israele e democrazia, uscito a maggio di quest’anno per Bollati Boringhieri. Un libro, questo, che non vuole entrare nel merito della guerra in corso e delle questioni geopolitiche, ma che spiega invece in modo molto chiaro, ma certamente non semplificato, chi sono gli ebrei, andando contro facili semplicazioni e appiattimenti purtroppo molto diusi e sfatando “miti” radicati nell’opinione pubblica. «Ancora una volta assistiamo a una distorsione della realtà che ha qualcosa di paradossale – continua lo storico -: gli ebrei convivono nella società italiana da duemila anni, ma rieccoci a dover raccontare e spiegare chi siamo… Detto questo, c’è l’interesse da parte delle case editrici a fare divulgazione di questo tipo (in questi mesi sono usciti anche il libro di Nathania Zevi Il nemico ideale e quello di Sergio Della Pergola Essere ebrei oggi, ndr), e quindi ho sentito, da direttore della Fondazione CDEC, il dovere morale di rispondere positivamente alla richiesta della Bollati Boringhieri».Paradossale anche che siano sempre gli ebrei a dovere parlare di antisemitismo, una piaga che non riguarda solo loro, ma la società tutta… «Sicuramente è a dir poco curioso, dato che l’odio per gli ebrei è prima di tutto un problema della società, e non degli ebrei, che in Italia sono pochi e vivono in piccole comunità – spiega -. Ma questo diventa ancora più curioso e paradossale in questo momento storico, in cui l’antisemitismo è un attacco evidente alle società occidentali, che sembrano però non rendersene conto. Chi lo ha fatto di recente sono i rappresentanti per la lotta contro l’antisemitismo di tutto il mondo che, riunitisi a luglio a Buenos Aires, hanno avvertito in modo accorato che l’antisemitismo non riguarda solo gli ebrei, ma la libertà religiosa, democratica e di pensiero di tutti». Nella prima parte, intitolata eloquentemente “Contro la semplicazione”, il libro aronta la complessità e varietà intrinseca del mondo ebraico, spesso concepito invece come un monolite senza sfumature, le tappe principali della sua storia, il sionismo, l’antisemitismo e i rapporti con l’Islam. L’obiettivo è chiaro: fornire basi solide alla discussione con chi sa poco o niente, o conosce cose sbagliate sugli ebrei. Nella seconda, invece, Luzzatto Voghera risponde ad alcune delle domande più frequenti e dirette - in molti casi non prive di malizia e pregiudizio - che dimostrano una non conoscenza e allo stesso tempo un disagio verso il popolo ebraico e che dopo il Sabato nero sono sempre più frequenti. Ad esempio: “Perché un popolo che è stato vittima del nazismo sta uccidendo indiscriminatamente innocenti a Gaza, che non hanno nessuna responsabilità con il 7ottobre?”. Oppure: “Gli ebrei si considerano il popolo eletto, quindi sarebbero una razza superiore?”. E ancora: “Gli ebrei sono sempre fedeli a tutti i costi a Israele?”. E molte altre.Uscito a maggio, il libro è stato salutato con favore e indicato come strumento utile anche nelle scuole. Tiepida l’accoglienza dal mondo della sinistra. «Non viene accettato che venga detto che l’antisemitismo è in tutti gli ambiti politici, quindi anche a sinistra - commenta -. L’ho comunque presentato a Roma in una sede del PD e sono pronto a parlarne ovunque e a chiunque voglia organizzare occasioni di confronto su questi temi: anche nei cortili delle università occupate, se però c’è la voglia di ascoltare. Perché per contrastare l’ignoranza e i pregiudizi, bisogna fare un lavoro culturale incessante».Un testo fondamentale e utilissimo. Per imparare a controbattere riutando le semplicazioni e le banalizzazioni. Un libro per non arrendersi e per smontare falsi miti e distorsioni della realtà«PCULTURALIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREdi ILARIA MYR“SUGLI EBREI”: IL NUOVO LIBRO DI GADI LUZZATTO VOGHERAL’immane fatica di raccontare se stessi (ancora e ancora)“È paradossale: gli ebrei vivono da duemila anni in Italia, ma dopo il 7ottobre ci troviamo ancora una volta a dovere spiegare chi siamo”Per maggiori informazioni potete visitare i nostri siti: https://www.kedem-auctions.com/en/about-kedemPer valutazioni o consultazioni poteterivolgervi ai direoriMeron Eren: meron@kedemltd.comAngelo Piattelli: angelo@kedemltd.como tramite whatsapp 00972-544372531La casa d’asta “Kedem” invita a consegnare libri e manoscrii ebraici, oggei di Judaica, Meghillot miniate e Ketubbot da orire nelle prossime aste. Supporta i clienti in valutazioni e vendita in asta di libri di pregio, argenti ebraici, intere collezioni ed archivi.Israele è uno dei pochissimi Stati al mondo la cui stessa esistenza è dalla sua istituzione combat-tuta apertamente con le guerre, il terrorismo, i processi politici e diplomatici, i media. Ma è anche uno dei pochi la cui sovranità non è frutto di avventure belliche bensì stabilita da trattati e voti formali delle istituzioni inter-nazionali. La vicenda delle guerre e delle ondate terroristiche arabe che hanno ten-tato di impedire agli ebrei di ristabilirsi nel-la loro terra ancestrale e poi di distruggere il loro Stato è ben nota: inizia almeno coi pogrom di Gerusalemme e di Hebron, un secolo fa, passa attraverso diverse altre ondate di pogrom, l’allineamento dei lea-der arabi con il nazismo, le guerre del ‘48, ‘56, ‘67, ‘73, le incursioni terroristiche, i di-rottamenti, gli attentati suicidi, le “intifade” e continua fino alla strage del 7 ottobre; non se ne vede purtroppo la fine. La storia della restituzione moderna della sovranità del popolo ebraico su un proprio Stato è invece generalmente meno conosciuta e spesso raccontata in maniera inesatta, anche perché si tratta di un tema molto tecnico di diritto internazionale. Essa inizia alla fine della prima guerra mondiale con la dissoluzione dell’impero ottoma-no, di cui i territori che sono oggi lo Stato di Israele facevano parte da cinque secoli. Nell’ambito della generale redistribuzione del grande spazio ottomano, che diede luogo all’indipendenza di mol-ti popoli, i trattati di pace prima e poi la Società delle Nazioni istituirono allora fra l’altro in favore del popolo ebraico, un “mandato di Palestina”, cioè la delega a uno Stato esistente (la Gran Bre-tagna) della responsabilità di pre-parare la costituzione di un nuovo Stato per cui mancavano in quel momento le condizioni materiali. È così, più di un secolo fa, che si crea il diritto non morale o politico ma propriamente giuridico all’esi-stenza di quel che poi sarà chia-mato Stato di Israele: un diritto che fu rico-nosciuto prima dalle nazioni vincitrici della guerra con il Trattato di Sanremo, poi, pro-prio attraverso l’istituzione del mandato, dall’assemblea della Società delle Nazio-ni e che venne poi conservato al momen-to della sua sostituzione con l’Onu da un articolo del suo statuto (l’art. 80) che ga-rantiva la continuità degli impegni, e vale dunque ancora oggi. La delibera dell’as-semblea generale dell’Onu del 1947 in cui dopo la rinuncia britannica si proponeva la divisione del Mandato in due parti, una per gli ebrei e l’altra per gli arabi (accetta-ta in linea di principio dall’organizzazione sionistica, ma affossata dal rifiuto arabo e dalla guerra scatenata da cinque Stati arabi contro il neonato Israele) non ebbe efficacia giuridica e servì solo a stabilire le condizioni politiche per la dichiarazio-ne di indipendenza di Israele. Tutta que-sta vicenda è dettagliatamente discussa dall’ultimo libro di David Elbert, dedicato a Il diritto di sovranità in Terra di Israele (Belforte 2024), con abbondanza di argomentazioni giuridiche e di documentazione testuale. Elbert ha scritto diversi libri sui temi giuridici relativi allo statuto internazionale di Israele e su questi temi molto delicati e complessi è certamente oggi il più competente autore italiano. Ha anche il merito di scriverne con grande chiarez-za, senza sacrificare per questo la preci-sione giuridica dei concetti e il rimando puntuale a fonti specialistiche. Questo libro, come i suoi precedenti, è utilissimo per chi vuole avere le idee chiare sul dirit-to di Israele e poterne discutere con co-gnizione di causa.Dove nasce il diritto di Israele ad esistere come Stato[Scintille: letture e riletture]di UGO VOLLIottobre 202428
Che cosa è andato perduto dopo il 7ottobre 2023, oltre alle vite umane? La speranza di un possibile accordo di pace con i palestinesi, la certezza che le di-fese israeliane fossero inviolabili, l’illusione di poter ricevere la solidarietà da parte del mon-do dopo la peggior strage di ebrei compiuta dopo la Shoah. Chi ha provato a raccontare il clima che si è creato dopo quella data - e che ha portato ad uno sdoganamento dell’antise-mitismo come non si registrava da decenni -, è il giornalista Pierluigi Battista. Attingendo ai suoi articoli usciti nell’ultimo anno sulle testate Hupost Italia e Il Foglio, Battista ha scritto un pamphlet per denunciare l’odio e le falsità contro Israele e gli ebrei diven-tate mainstream dopo i pogrom di Hamas e lo scoppio della guerra a Gaza, intitolato La nuova caccia all’ebreo.Oltre a riportare testimonianze recenti di ebrei italiani in merito all’antisemitismo crescente, l’autore cerca di mettere in luce analogie e dif-ferenze con il clima d’odio antiebraico creatosi in Italia nel 1982, durante la guerra in Libano. Sempre attraverso la ricostruzione storica, Battista mette in luce l’ipocrisia e il doppiope-sismo degli antisionisti; se in molti ricordano i massacri di Sabra e Chatila commessi dai fa-langisti libanesi alleati d’Israele, pochissimi al contrario ricordano il massacro di Settembre nero, compiuto nei campi profughi palestinesi dall’esercito giordano. E se in molti commemo-rano la Nakba, sono molti meno quelli che ri-cordano l’espulsione degli ebrei dai paesi arabi, avvenuta negli anni successivi. Non mancano i riferimenti all’attualità, con l’odio normalizza-to e diventato sempre più pervasivo nelle uni-versità occidentali, dove gli israeliani vengono accusati di adottare politiche di apartheid. Ne La nuova caccia all’ebreo, Battista lancia un vero e proprio grido di indignazione verso un Occidente in cui soprattutto i giovani e il mon-do della cultura sembrano ubriachi d’odio ver-so Israele e verso gli ebrei. Come se la lezione del passato fosse stata dimenticata.Meditate gente...: dell’infamia, il catalogo è questoCon la consueta verve, Pierluigi Battista denuncia odio e falsità, negazioni e storture contro Israele e ebrei. Spaziando dal “fantasma dell’illibertà” alla “capra collettiva” che abitano università e società civilePierluigi Battista, La nuova caccia all’ebreo, Liberilibri, pp. 96, euro 14,00.LIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTRECULTURA/LIBRICosa succede se il tuo mi-gliore amico diventa un faraone morto da millen-ni? Joseph, un ragazzo ebreo, vive questa esperienza al Cairo, nel 1939. La città in cui diverse comunità hanno sempre convissuto in relativa se-renità, sta cambiando profondamente. Joseph è stato appena iscritto a una scuola italiana dove imperversano punizioni corporali, esercitazioni paramilitari e canzo-nette fasciste. Dopo un mese decide che ne ha abbastanza, e pur uscendo ogni mattina con la cartella si rifugia al Museo Egizio del Cairo. Qui un giorno, nella sala all’ingresso, sente la voce di un ragazzo provenire dalle vicinanze di una statua. Un suo coetaneo, che apparentemente vede e sente solo lui: il giovane Ramses II. In un’amicizia quan-tomeno singolare, mentre nubi di guerra si addensano sul mondo, i due percorreranno le sale di quel luogo magico e Joseph capirà quanto, attraverso i millenni, alcune cose siano rimaste uguali: la guerra, certo, ma an-che la possibilità della pace. Questa esperienza rimarrà con lui per tutta la vita, anche dopo il tra-sferimento in Italia, dove a Torino, in un altro gran-de Museo Egizio, “abita” un’altra statua del suo amico d’infanzia: gli parlerà ancora? Un romanzo delicato e forte che affronta in maniera originale la difficoltà di crescere.Ramses II, un faraone per amico Per ragazzi/Una avventura a Il Cairo, nel 1939Davide Franco Jabes, Il ragazzo e il faraone, illustrazioni di Laura Scarpa, Solferino, 2024, pp. 144, euro 15,10. Età di lettura: > 12 anni.[Top Ten Claudiana]2. Enrico Franceschini, La mossa giusta,Baldini + Castoldi, € 20,003. Paola Caridi, Il gelso di Gerusalemme. L’altra storia raccontata dagli alberi, Feltrinelli, € 17,004. Bernard-Henri Lévy, Solitudine di Israele,La nave di Teseo, € 17,005. Sarah Bernstein, Esercizio di obbedienza,Codice, € 15,006. Roberta Lepri, La gentile, Voland, € 18,007. Giorgio Fontana, Kaa. Un mondo di verità, Sellerio, € 16,008. Riccardo Galetti, Roberto Sajeva, Le ragionidi Israele, Linkiesta, € 20,009. Umberto Gentiloni Silveri, Stefano Palermo,Dal buio del Novecento. Diari e memorie di ebrei italiani di fronte alla Shoah, Il Mulino, € 20,0010. Will Eisner, L’arte del fumetto. Regole, tecnichee segreti dei grandi disegnatori, Rizzoli, € 20,00I dieci libri più venduti in SETTEMBRE alla libreria Claudiana, via Francesco Sforza 12/a, tel. 02 760215181. Gilles Kepel, Olocausti. Israele, Gazae lo sconvolgimento del mondo dopo il 7ottobre, Feltrinelli, € 18,00di NATHAN GREPPIIl rebbe di Slonim e rebbe Rafaèl Lurià: “Il vitello d’oro sarà sempre dentro di noi. E ringraziamo per questo”.INFO E PRENOTAZIONI: PAOLA HAZAN BOCCIA | CELL. 339 4836414 / 393 8683899 | PAOLA.HAZAN@COM-EBRAICAMILANO.ITCICLO HASSIDISMO DELL’800 E DEL 900CORSO DI EBRAISMO ON LINE ZOOM | Meeting ID: 852 3975 7336 | Passcode: 2UBgseLUNEDÌ 28 OTTOBRE 2024 - ORE 19.00DESIGN BYDANIELA HAGGIAGa cura di rav Roberto ColomboDOMENICA 27 OTTOBRE 2024 | ORE 17.00ZOOM | Meeting ID: 823 6179 9294 | Passcode: 047967INFO E PRENOTAZIONI: PAOLA HAZAN BOCCIA | CELL. 339 4836414 / 393 8683899 | PAOLA.HAZAN@COM-EBRAICAMILANO.ITGli ebrei e il jazzDESIGN BYDANIELA HAGGIAGDOPO I NERI AMERICANI, GLI EBREI SONO STATI I PROTAGONISTI PIÙ IMPORTANTI DELLA STORIA DEL JAZZ SINO ANCORA AI NOSTRI GIORNIA cura di Gianni Gualberto Morelembeim e Roberto ZadikIntroduce e modera Sara Modena
Che cosa è andato perduto dopo il 7ottobre 2023, oltre alle vite umane? La speranza di un possibile accordo di pace con i palestinesi, la certezza che le di-fese israeliane fossero inviolabili, l’illusione di poter ricevere la solidarietà da parte del mon-do dopo la peggior strage di ebrei compiuta dopo la Shoah. Chi ha provato a raccontare il clima che si è creato dopo quella data - e che ha portato ad uno sdoganamento dell’antise-mitismo come non si registrava da decenni -, è il giornalista Pierluigi Battista. Attingendo ai suoi articoli usciti nell’ultimo anno sulle testate Hupost Italia e Il Foglio, Battista ha scritto un pamphlet per denunciare l’odio e le falsità contro Israele e gli ebrei diven-tate mainstream dopo i pogrom di Hamas e lo scoppio della guerra a Gaza, intitolato La nuova caccia all’ebreo.Oltre a riportare testimonianze recenti di ebrei italiani in merito all’antisemitismo crescente, l’autore cerca di mettere in luce analogie e dif-ferenze con il clima d’odio antiebraico creatosi in Italia nel 1982, durante la guerra in Libano. Sempre attraverso la ricostruzione storica, Battista mette in luce l’ipocrisia e il doppiope-sismo degli antisionisti; se in molti ricordano i massacri di Sabra e Chatila commessi dai fa-langisti libanesi alleati d’Israele, pochissimi al contrario ricordano il massacro di Settembre nero, compiuto nei campi profughi palestinesi dall’esercito giordano. E se in molti commemo-rano la Nakba, sono molti meno quelli che ri-cordano l’espulsione degli ebrei dai paesi arabi, avvenuta negli anni successivi. Non mancano i riferimenti all’attualità, con l’odio normalizza-to e diventato sempre più pervasivo nelle uni-versità occidentali, dove gli israeliani vengono accusati di adottare politiche di apartheid. Ne La nuova caccia all’ebreo, Battista lancia un vero e proprio grido di indignazione verso un Occidente in cui soprattutto i giovani e il mon-do della cultura sembrano ubriachi d’odio ver-so Israele e verso gli ebrei. Come se la lezione del passato fosse stata dimenticata.Meditate gente...: dell’infamia, il catalogo è questoCon la consueta verve, Pierluigi Battista denuncia odio e falsità, negazioni e storture contro Israele e ebrei. Spaziando dal “fantasma dell’illibertà” alla “capra collettiva” che abitano università e società civilePierluigi Battista, La nuova caccia all’ebreo, Liberilibri, pp. 96, euro 14,00.LIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTREIBRI, CINEMA, TEATRO, MOSTRECULTURA/LIBRICosa succede se il tuo mi-gliore amico diventa un faraone morto da millen-ni? Joseph, un ragazzo ebreo, vive questa esperienza al Cairo, nel 1939. La città in cui diverse comunità hanno sempre convissuto in relativa se-renità, sta cambiando profondamente. Joseph è stato appena iscritto a una scuola italiana dove imperversano punizioni corporali, esercitazioni paramilitari e canzo-nette fasciste. Dopo un mese decide che ne ha abbastanza, e pur uscendo ogni mattina con la cartella si rifugia al Museo Egizio del Cairo. Qui un giorno, nella sala all’ingresso, sente la voce di un ragazzo provenire dalle vicinanze di una statua. Un suo coetaneo, che apparentemente vede e sente solo lui: il giovane Ramses II. In un’amicizia quan-tomeno singolare, mentre nubi di guerra si addensano sul mondo, i due percorreranno le sale di quel luogo magico e Joseph capirà quanto, attraverso i millenni, alcune cose siano rimaste uguali: la guerra, certo, ma an-che la possibilità della pace. Questa esperienza rimarrà con lui per tutta la vita, anche dopo il tra-sferimento in Italia, dove a Torino, in un altro gran-de Museo Egizio, “abita” un’altra statua del suo amico d’infanzia: gli parlerà ancora? Un romanzo delicato e forte che affronta in maniera originale la difficoltà di crescere.Ramses II, un faraone per amico Per ragazzi/Una avventura a Il Cairo, nel 1939Davide Franco Jabes, Il ragazzo e il faraone, illustrazioni di Laura Scarpa, Solferino, 2024, pp. 144, euro 15,10. Età di lettura: > 12 anni.[Top Ten Claudiana]2. Enrico Franceschini, La mossa giusta,Baldini + Castoldi, € 20,003. Paola Caridi, Il gelso di Gerusalemme. L’altra storia raccontata dagli alberi, Feltrinelli, € 17,004. Bernard-Henri Lévy, Solitudine di Israele,La nave di Teseo, € 17,005. Sarah Bernstein, Esercizio di obbedienza,Codice, € 15,006. Roberta Lepri, La gentile, Voland, € 18,007. Giorgio Fontana, Kaa. Un mondo di verità, Sellerio, € 16,008. Riccardo Galetti, Roberto Sajeva, Le ragionidi Israele, Linkiesta, € 20,009. Umberto Gentiloni Silveri, Stefano Palermo,Dal buio del Novecento. Diari e memorie di ebrei italiani di fronte alla Shoah, Il Mulino, € 20,0010. Will Eisner, L’arte del fumetto. Regole, tecnichee segreti dei grandi disegnatori, Rizzoli, € 20,00I dieci libri più venduti in SETTEMBRE alla libreria Claudiana, via Francesco Sforza 12/a, tel. 02 760215181. Gilles Kepel, Olocausti. Israele, Gazae lo sconvolgimento del mondo dopo il 7ottobre, Feltrinelli, € 18,00di NATHAN GREPPIIl rebbe di Slonim e rebbe Rafaèl Lurià: “Il vitello d’oro sarà sempre dentro di noi. E ringraziamo per questo”.INFO E PRENOTAZIONI: PAOLA HAZAN BOCCIA | CELL. 339 4836414 / 393 8683899 | PAOLA.HAZAN@COM-EBRAICAMILANO.ITCICLO HASSIDISMO DELL’800 E DEL 900CORSO DI EBRAISMO ON LINE ZOOM | Meeting ID: 852 3975 7336 | Passcode: 2UBgseLUNEDÌ 28 OTTOBRE 2024 - ORE 19.00DESIGN BYDANIELA HAGGIAGa cura di rav Roberto ColomboDOMENICA 27 OTTOBRE 2024 | ORE 17.00ZOOM | Meeting ID: 823 6179 9294 | Passcode: 047967INFO E PRENOTAZIONI: PAOLA HAZAN BOCCIA | CELL. 339 4836414 / 393 8683899 | PAOLA.HAZAN@COM-EBRAICAMILANO.ITGli ebrei e il jazzDESIGN BYDANIELA HAGGIAGDOPO I NERI AMERICANI, GLI EBREI SONO STATI I PROTAGONISTI PIÙ IMPORTANTI DELLA STORIA DEL JAZZ SINO ANCORA AI NOSTRI GIORNIA cura di Gianni Gualberto Morelembeim e Roberto ZadikIntroduce e modera Sara Modena
artecipare al campeggio ci dà una pausa dalla dicile situazione in cui viviamo nei nostri kibbutzim al nord di Israele, al conne con il Libano, dove da oramai nove mesi abbiamo evacuato le nostre case. Questo cam-peggio ci dà la possibilità di vivere un po’ di vita normale, di vedere la cul-tura degli italiani e di divertirci qui con loro senza preoccupazioni e sen-za tutti problemi che abbiamo ogni giorno in Israele». «Negli ultimi nove mesi in qualunque posto andassimo eravamo “gli sfollati”: qui in campeg-gio, invece, siamo solo “gli israeliani”, e possiamo mostrarci per quello che siamo, dei kibbutznikim, che possono fare conoscere al movimento in Italia i kibbutzim e Israele».Sono solo alcune delle dichiara-zioni raccolte al campeggio estivo dell’Hashomer Hatzair a Piani di Boccio, in Umbria, che quest’anno a luglio ha ospitato 19 ragazzi dei kib-butzim Bar’am e Sasa, dall’8 ottobre quotidianamente bersaglio di missili provenienti dal sud del Libano e per questo evacuati.L’encomiabile iniziativa del movi-mento giovanile in Italia è stata resa possibile dalla generosità di molte persone, che hanno risposto all’ap-pello del movimento (ripreso anche da Mosaico-Bet Magazine) per dare ai ragazzi israeliani qualche settimana di normalità. Il progetto è nato da un’idea dell’Hashomer Hatzair Europa per coinvolgere ragazzi dei kibbutzim di zone particolarmente colpite dalla guerra, e da un’ex shomeret italiana del Kibbutz Bar’am è arrivata la pro-posta di mandare dei loro ragazzi, a cui si sono aggiunti alcuni dell’adia-cente kibbutz Sasa. «Grazie alla mobilitazione senza precedenti della nostra famiglia shomricha, siamo riusciti a realiz-zare un sogno, portando 19 ragaz-zi e ragazze dai kibbutzim Sasa e Bara’am, al confine settentrionale di Israele – spiega Nimrod Ophir, shaliach dell’Hashomer Hatzair a Milano -. Con loro, abbiamo impa-rato che una casa si può fare fuori, anche lontano, anche in una tenda. Una casa può essere costruita nché le persone che la compongono sono con noi. L’esperienza del campeggio è stata signicativa, istruttiva e aggre-gante. Abbiamo avuto il privilegio di ascoltare e sentire dai ragazzi e dalle ragazze la loro esperienza. Abbiamo avuto il privilegio di permettere loro di sentire che hanno una casa anche a migliaia di chilometri di distanza e in una lingua che non conoscono».«La presenza dei ragazzi israeliani durante il nostro campeggio è stata un’esperienza positiva per tutti – rac-contano alcuni dei bogrim di Milano -. Loro sono riusciti a passare dieci giorni divertendosi, conoscendo nuo-ve persone e visitando bellissime città italiane. Dal canto nostro, la loro par-Dal nord di Israele in Italia, per vivere una pausa di normalità dalla guerra19 RAGAZZI DEL NORD DI ISRAELE AL CAMPEGGIO ESTIVO DELL’HASHOMER HATZAIRLa solidarietà e generosità del movimento giovanile ha permesso di invitare ragazzi dei kibbutzim Bar’am e Sasa, evacuati dalle loro case per le minacce dal sud del Libano, per dare loro un senso di normalità e farli sentire a casa in un’atmosfera spensieratadi ILARIA MYRCOMUNITÀ«Pgrazie all’impegno instan-cabile di Simi El Maleh che anche quest’anno avre-mo la Sukkàh al Castello Sforzesco. Una grande iniziativa della Associazione Culturale Naar Israel: unire le varie Comunita di Milano per cantare insieme, come una sola voce dal cuore! Il violini-sta Uri Chameides con l’Ensemble Alei Kinor si esibiranno domeni-ca 20 ottobre al Castello Sforzesco, ore 18.00. Un concerto di musica ebraica moderna e antica diretto dal maestro Chameides in un’at-mosfera magica. Un momento di gioia e unione aperto a tutti. Con un cocktail offerto nel-la Sukkàh, come da 25 anni, nel cortile del Castello illuminato per l’occasione.Concerto al Castello, la gioia nel cuoreSukkot 2024 / Musica con l’Associazione Culturale Naar IsraelÈLa Sukkàh al Castello Sforzesco compie 25 anni anni grazie all’impegno e dedizione di Simi El Malehtecipazione ha portato un’ondata di novità, rendendo questo campeggio estivo ancora più speciale e indimen-ticabile!».L’appuntamento estivo del movi-mento, che ha quest’anno ospitato 200 ragazzi da tutta Italia, è stato quindi un successo: tante le attività organizzate, come gite, peulot, feste e serate, all’insegna del contatto con la natura e della condivisione di valori ed esperienze. E, quest’anno, ancora più vicini a Israele.ENTI, ASSOCIAZIONI, WORK IN PROGRESSCOSA IMPARERAI: • Saprai Redigere un cv consapevole, mirato e aggiornato;• Saprai Utilizzare l’AI come tuo assistente personale;• Saprai Gestire l’ansia e lo stress praticando la meditazione di consapevolezza Mindfulness;• Saprai Utilizzare LinkedIn e altre piattaforme per ampliare le opportunità lavorative;• Saprai presentarti al meglio ad un colloquio di selezione;• Acquisirai consapevolezza delle tue capacità e delle competenze da colmare e sviluppare;• Ti darai obiettivi chiari e realistici, e formulerai un piano d’azione per adottare una strategia personalizzata nella ricerca del lavoro;PROGRAMMA DEGLI INCONTRI:PRIMO INCONTRO - GIOVEDÌ 14 NOVEMBRE ORE 10 - 12• Presentazione dei partecipanti e confronto sulle reciproche aspettative • La Pratica della Mindfulness per la gestione dell’ansi e dello stress• Il Curriculum Vitae consapevole • Utilizzo di strumenti di intelligenza articiale per la redazione del Curriculum.SECONDO INCONTRO - GIOVEDÌ 21 NOVEMBRE ORE 10 - 12• Pratica Mindfulness per l’attenzione e la consapevolezza• Analisi personalizzate dei CV• La ricerca del lavoro sulle piattaforme onlineTERZO INCONTRO GIOVEDÌ - 28 NOVEMBRE ORE 10 - 12• Pratica Mindfulness per essere presenti a sé stessi e agli altri• Il Colloquio di Lavoro, simulazioni e feedback pratici• Gli Obiettivi S.M.A.R.T.• Formulare il proprio Piano di AzioneDocenti: Il workshop, gratuito, sarà online e condotto da: Dalia Fano, responsabile di JOB, Counselor, Coache Mindfulness Trainer Clara Guerrera, collaboratrice di JOBesperta di comunicazione e ricerca del lavoroISCRIZIONI ENTRO IL 31-10-24 - N° MAX DI ISCRITTI: 12Per informazioni ed iscrizioni: scrivere a JOB:job@com-ebraicamilano.it; tel. 02-483110 229/249/261 Job - Agenzia di Intermediazione al lavoro della Comunità Ebraica presenta il workshop: Strumenti e strategie per una ricerca attiva e consapevole del lavoroottobre 202432
artecipare al campeggio ci dà una pausa dalla dicile situazione in cui viviamo nei nostri kibbutzim al nord di Israele, al conne con il Libano, dove da oramai nove mesi abbiamo evacuato le nostre case. Questo cam-peggio ci dà la possibilità di vivere un po’ di vita normale, di vedere la cul-tura degli italiani e di divertirci qui con loro senza preoccupazioni e sen-za tutti problemi che abbiamo ogni giorno in Israele». «Negli ultimi nove mesi in qualunque posto andassimo eravamo “gli sfollati”: qui in campeg-gio, invece, siamo solo “gli israeliani”, e possiamo mostrarci per quello che siamo, dei kibbutznikim, che possono fare conoscere al movimento in Italia i kibbutzim e Israele».Sono solo alcune delle dichiara-zioni raccolte al campeggio estivo dell’Hashomer Hatzair a Piani di Boccio, in Umbria, che quest’anno a luglio ha ospitato 19 ragazzi dei kib-butzim Bar’am e Sasa, dall’8 ottobre quotidianamente bersaglio di missili provenienti dal sud del Libano e per questo evacuati.L’encomiabile iniziativa del movi-mento giovanile in Italia è stata resa possibile dalla generosità di molte persone, che hanno risposto all’ap-pello del movimento (ripreso anche da Mosaico-Bet Magazine) per dare ai ragazzi israeliani qualche settimana di normalità. Il progetto è nato da un’idea dell’Hashomer Hatzair Europa per coinvolgere ragazzi dei kibbutzim di zone particolarmente colpite dalla guerra, e da un’ex shomeret italiana del Kibbutz Bar’am è arrivata la pro-posta di mandare dei loro ragazzi, a cui si sono aggiunti alcuni dell’adia-cente kibbutz Sasa. «Grazie alla mobilitazione senza precedenti della nostra famiglia shomricha, siamo riusciti a realiz-zare un sogno, portando 19 ragaz-zi e ragazze dai kibbutzim Sasa e Bara’am, al confine settentrionale di Israele – spiega Nimrod Ophir, shaliach dell’Hashomer Hatzair a Milano -. Con loro, abbiamo impa-rato che una casa si può fare fuori, anche lontano, anche in una tenda. Una casa può essere costruita nché le persone che la compongono sono con noi. L’esperienza del campeggio è stata signicativa, istruttiva e aggre-gante. Abbiamo avuto il privilegio di ascoltare e sentire dai ragazzi e dalle ragazze la loro esperienza. Abbiamo avuto il privilegio di permettere loro di sentire che hanno una casa anche a migliaia di chilometri di distanza e in una lingua che non conoscono».«La presenza dei ragazzi israeliani durante il nostro campeggio è stata un’esperienza positiva per tutti – rac-contano alcuni dei bogrim di Milano -. Loro sono riusciti a passare dieci giorni divertendosi, conoscendo nuo-ve persone e visitando bellissime città italiane. Dal canto nostro, la loro par-Dal nord di Israele in Italia, per vivere una pausa di normalità dalla guerra19 RAGAZZI DEL NORD DI ISRAELE AL CAMPEGGIO ESTIVO DELL’HASHOMER HATZAIRLa solidarietà e generosità del movimento giovanile ha permesso di invitare ragazzi dei kibbutzim Bar’am e Sasa, evacuati dalle loro case per le minacce dal sud del Libano, per dare loro un senso di normalità e farli sentire a casa in un’atmosfera spensieratadi ILARIA MYRCOMUNITÀ«Pgrazie all’impegno instan-cabile di Simi El Maleh che anche quest’anno avre-mo la Sukkàh al Castello Sforzesco. Una grande iniziativa della Associazione Culturale Naar Israel: unire le varie Comunita di Milano per cantare insieme, come una sola voce dal cuore! Il violini-sta Uri Chameides con l’Ensemble Alei Kinor si esibiranno domeni-ca 20 ottobre al Castello Sforzesco, ore 18.00. Un concerto di musica ebraica moderna e antica diretto dal maestro Chameides in un’at-mosfera magica. Un momento di gioia e unione aperto a tutti. Con un cocktail offerto nel-la Sukkàh, come da 25 anni, nel cortile del Castello illuminato per l’occasione.Concerto al Castello, la gioia nel cuoreSukkot 2024 / Musica con l’Associazione Culturale Naar IsraelÈLa Sukkàh al Castello Sforzesco compie 25 anni anni grazie all’impegno e dedizione di Simi El Malehtecipazione ha portato un’ondata di novità, rendendo questo campeggio estivo ancora più speciale e indimen-ticabile!».L’appuntamento estivo del movi-mento, che ha quest’anno ospitato 200 ragazzi da tutta Italia, è stato quindi un successo: tante le attività organizzate, come gite, peulot, feste e serate, all’insegna del contatto con la natura e della condivisione di valori ed esperienze. E, quest’anno, ancora più vicini a Israele.ENTI, ASSOCIAZIONI, WORK IN PROGRESSCOSA IMPARERAI: • Saprai Redigere un cv consapevole, mirato e aggiornato;• Saprai Utilizzare l’AI come tuo assistente personale;• Saprai Gestire l’ansia e lo stress praticando la meditazione di consapevolezza Mindfulness;• Saprai Utilizzare LinkedIn e altre piattaforme per ampliare le opportunità lavorative;• Saprai presentarti al meglio ad un colloquio di selezione;• Acquisirai consapevolezza delle tue capacità e delle competenze da colmare e sviluppare;• Ti darai obiettivi chiari e realistici, e formulerai un piano d’azione per adottare una strategia personalizzata nella ricerca del lavoro;PROGRAMMA DEGLI INCONTRI:PRIMO INCONTRO - GIOVEDÌ 14 NOVEMBRE ORE 10 - 12• Presentazione dei partecipanti e confronto sulle reciproche aspettative • La Pratica della Mindfulness per la gestione dell’ansi e dello stress• Il Curriculum Vitae consapevole • Utilizzo di strumenti di intelligenza articiale per la redazione del Curriculum.SECONDO INCONTRO - GIOVEDÌ 21 NOVEMBRE ORE 10 - 12• Pratica Mindfulness per l’attenzione e la consapevolezza• Analisi personalizzate dei CV• La ricerca del lavoro sulle piattaforme onlineTERZO INCONTRO GIOVEDÌ - 28 NOVEMBRE ORE 10 - 12• Pratica Mindfulness per essere presenti a sé stessi e agli altri• Il Colloquio di Lavoro, simulazioni e feedback pratici• Gli Obiettivi S.M.A.R.T.• Formulare il proprio Piano di AzioneDocenti: Il workshop, gratuito, sarà online e condotto da: Dalia Fano, responsabile di JOB, Counselor, Coache Mindfulness Trainer Clara Guerrera, collaboratrice di JOBesperta di comunicazione e ricerca del lavoroISCRIZIONI ENTRO IL 31-10-24 - N° MAX DI ISCRITTI: 12Per informazioni ed iscrizioni: scrivere a JOB:job@com-ebraicamilano.it; tel. 02-483110 229/249/261 Job - Agenzia di Intermediazione al lavoro della Comunità Ebraica presenta il workshop: Strumenti e strategie per una ricerca attiva e consapevole del lavoroottobre 202432
È stata una delle fondatrici della nostra Associazione, con Lilia-na Segre avvenuta nel 1998. Ha sempre creduto nel valore della testimo-nianza e nell’importanza di incontrare le giovani generazioni.Centinaia di migliaia di ragazzi in tutta Italia hanno avuto l’onore di ascoltare le sue parole senza mai un accento di odio o vendetta.Auguri carissimi a Goti e a tutta la sua meravigliosa famiglia, per futuri anni di serenità e salute. Non dimentichiamo le sue parole che no a qualche anno fa rivolgeva ai ragazzi che accorrevano ad ascoltarla: “Il secolo appena concluso, oltre che per le straordinarie conqui-ste scientiche e tecnologiche, passerà alla storia per gli eerati crimini che sono stati commessi. Dovrà essere ri-cordato per le deportazioni politiche, per i gulag dell’Unione Sovietica, per le innumerevoli stragi compiute in ogni dove. Ma dovrà essere ricordato soprat-tutto per la Shoah, lo sterminio degli ebrei d’Europa che, nella sua specicità, non è comparabile agli altri, pur orren-di, delitti. Credo che nessuno meglio di noi superstiti possa comprendere e condividere la soerenza di chi, privato della propria dignità, è stato sottoposto a umiliazioni e torture, eppure nessu-no, meglio di noi, conosce la tremenda diversità della nostra condizione. Ho sempre invidiato chi ad Auschwitz è arrivato da solo, spesso in conseguen-za di una coraggiosa scelta di vita, chi non ha vissuto lo strazio della perdita dei genitori, dei gli, dei fratelli e ha potuto sopportare quell’inferno nella certezza di ritrovare, se fosse tornato a casa, il conforto e l’aetto dei suoi cari. A noi questa speranza non è stata con-cessa: dopo l’arrivo siamo rimasti soli e da soli abbiamo arontato, in quella babele di lingue e di miserie, il terrore di ripetute selezioni insieme all’eterna minaccia: “Da qua uscirete solo – Durch der Kamin – attraverso il camino”. La voce simile al vetro, che in realtà è diamante indistruttibile. A quindici anni da quel lontano 27 gennaio, ho deciso di andare a visitarla. È accadu-to poco più di un mese fa, alla soglia del suo centesimo compleanno. L’ho abbracciata così come ho desiderato abbracciarla quando frequentavo la seconda media. L’ho ringraziata così come ho desiderato ringraziarla du-rante tutti questi ultimi dieci anni.E lei? Lei non è cambiata. Lei è ri-masta elegantissima, dolcissima, saggia, apparentemente fragile, ma fortissima. Mi ha ringraziato della visita, stupita. Mi ha chiesto di me, della mia famiglia, dei miei studi, del mio lavoro. Non erano domande di circostanza. L’interesse di Goti era sincero, così come il suo coinvolgi-mento circa il destino della nostra generazione è sempre stato sincero. «Anche con le migliori intenzioni non si può raccontare ciò che non si è vissuto personalmente, ma solo sentito dire da altri. Ci sono cose che bisogna provare sulla propria pelle», mi ha spiegato Goti durante il nostro incontro. Quan-do le ho domandato se è ottimista riguardo al futuro che ci attende, la sua risposta mi ha disar-mato: «Non voglio pen-sarci, sono troppo anziana per farlo. Auguro a voi giovani di saper creare dal passato gli insegnamenti per il futuro anché ciò che è accaduto a me non accada mai più». Un augurio che è un imperativo morale. Un esame storico e umano ancora da superare.Grazie della ducia Goti. Grazie de-gli insegnamenti che ci hai trasmes-so. Grazie del coraggio, della forza, dell’impegno, dell’aetto incondizio-nato. Grazie di essere un faro di luce in questo periodo buio e ostile. Grazie di non aver mai smesso di indignarti di fronte alle ingiustizie e alle violenze. Di fronte al male. Grazie soprattutto di averci aperto le porte del tuo cuore, permettendoci di guardare il passato attraverso i tuoi occhi di nonna. Tanti auguri di buon compleanno Goti, ti vogliamo bene. Oggi, sempre.Aperte le iscrizioniper il Bat Mizvah Club!Il corso accompagna le ragazze in un percorso strutturato e adatto, che le aiuta a formarsi come donne ebree di domanil Bat Mitzvah Club di Milano, organizzato da WOW - Wo-men of the world e Hamakom, da oltre 14 anni accoglie ra-gazze ebree di diverse origini e le accompagna in un percorso struttu-rato e adatto, che le aiuta a formarsi come donne ebree di domani.Le fanciulle si riuniscono regolar-mente in una serie di incontri, studia-no, partecipano e organizzano attività che permettono di interiorizzare il COMUNITÀIoti Bauer compie cento anni. Ricordo ancora la prima volta che la incon-trai: avevo tredici anni e frequentavo la seconda media. Era il 27 gennaio e un pullman grigio ci raccolse da scuola per condurci al Conservatorio di Milano. Era la pri-ma volta che visitavo il Conservatorio. Era la prima volta che incontravo una testimone della Shoah.La ricordo come se fosse ieri. Dol-cissima, elegantissima. Un’eleganza di altri tempi, quasi regale. Indossava un completo marrone, una camicetta bianca e un foulard legato al collo. Gli occhiali dalle lenti tonde, leggermente scure. Due grossi orecchini di perla. I capelli cotonati, candidi, bianchi come zucchero filato.Era seduta sul palcoscenico. Guarda-va i ragazzini scalmanati riempire la stanza e sorrideva paziente. Anch’io la osservavo da lontano.Mi sembrava tanto piccola, lì sola sul palcoscenico. Una signora anziana ed esile. Come avrebbe catalizzato l’at-tenzioni di tutti quegli adolescenti?Quando prese la parola, il mio timore si consolidò. La sua voce era fragilis-sima, come fatta di vetro, e le parole erano accompagnate da una cantilena proveniente da un mondo lontano. Mi guardai intorno e trassi un sospiro di sollievo. Erano tutti rapiti. Immersi nel suo racconto.Presto mi dimenticai anch’io chi fos-si e dove mi trovassi. Per un’intera ora, Goti era noi e noi eravamo Goti. Quando finì di parlare ci alzammo tutti in piedi e la applaudimmo a lungo. Un applauso sincero, sentito, che cresceva insieme al desiderio di scendere e di abbracciarla. Un desi-derio che mi accompagnò a lungo. La incontrai di nuovo tre anni dopo, durante la cerimonia di Yom HaShoah al tempio di via Guastalla. Le feci un saluto goffo e impac-ciato. Lei sorrise.La incontrai un’ultima volta al mio ultimo anno di liceo, quando venne a testimoniare nella sala dell’Aula Ma-gna. Di nuovo la salutai goffo e impacciato. Que-sta volta aggiunsi un ringraziamento per il suo impegno di testimone. Lei di nuovo mi sorrise, e mi ringraziò a sua volta per averla ascoltata. Negli ultimi dieci anni ho pensato a lei più e più volte. Goti è stata il mio primo approccio al capitolo più buio della storia e solo con il senno di poi ho capito quanto io sia stato fortunato a essere lì presente, nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano, a sentire la mia prima testimonianza narrata da lei.Come si racconta la Shoah a un ragaz-zino? Come si spiega il male assoluto a chi il male non l’ha mai toccato con mano? Come si trasmette ai giovani il peso della storia, senza gravare sul-la loro innocenza? Goti è la risposta a tutte queste domande. Goti: una nonna esile dal sorriso conciliante. GBuon compleanno Goti,grazie per non aver mai smesso di credere nei giovanidi DAVID ZEBULONIAgata Herskovits Bauer, detta Goti, ha compiuto 100 anniil 29 luglio. Ha dedicato gran parte della sua vitaa testimoniare la sua tragica esperienza vissuta ad Auschwitz Birkenau, dove perse tutta la sua famigliaI 100 ANNI DI GOTI BAUERmessaggio delle lezioni. In questo modo scoprono cose nuove di se stesse e capiscono il vero significato del bat mitzvah. Il corso è dedicato alle ragazze dell’età 11/12 anni.Nuovo anno, nuove amicizie e nuovi studi.Le iscrizioni sono aperte!Per info contattare:Karen 333/3963752Mashi 3481390806Associazione Figli della ShoahUn anniversario importante quello che festeggiamo oggi:la nostra cara Goti Bauer compie 100 meravigliosi anni!ENTI, ASSOCIAZIONI, WORK IN PROGRESSottobre 202434 35
È stata una delle fondatrici della nostra Associazione, con Lilia-na Segre avvenuta nel 1998. Ha sempre creduto nel valore della testimo-nianza e nell’importanza di incontrare le giovani generazioni.Centinaia di migliaia di ragazzi in tutta Italia hanno avuto l’onore di ascoltare le sue parole senza mai un accento di odio o vendetta.Auguri carissimi a Goti e a tutta la sua meravigliosa famiglia, per futuri anni di serenità e salute. Non dimentichiamo le sue parole che no a qualche anno fa rivolgeva ai ragazzi che accorrevano ad ascoltarla: “Il secolo appena concluso, oltre che per le straordinarie conqui-ste scientiche e tecnologiche, passerà alla storia per gli eerati crimini che sono stati commessi. Dovrà essere ri-cordato per le deportazioni politiche, per i gulag dell’Unione Sovietica, per le innumerevoli stragi compiute in ogni dove. Ma dovrà essere ricordato soprat-tutto per la Shoah, lo sterminio degli ebrei d’Europa che, nella sua specicità, non è comparabile agli altri, pur orren-di, delitti. Credo che nessuno meglio di noi superstiti possa comprendere e condividere la soerenza di chi, privato della propria dignità, è stato sottoposto a umiliazioni e torture, eppure nessu-no, meglio di noi, conosce la tremenda diversità della nostra condizione. Ho sempre invidiato chi ad Auschwitz è arrivato da solo, spesso in conseguen-za di una coraggiosa scelta di vita, chi non ha vissuto lo strazio della perdita dei genitori, dei gli, dei fratelli e ha potuto sopportare quell’inferno nella certezza di ritrovare, se fosse tornato a casa, il conforto e l’aetto dei suoi cari. A noi questa speranza non è stata con-cessa: dopo l’arrivo siamo rimasti soli e da soli abbiamo arontato, in quella babele di lingue e di miserie, il terrore di ripetute selezioni insieme all’eterna minaccia: “Da qua uscirete solo – Durch der Kamin – attraverso il camino”. La voce simile al vetro, che in realtà è diamante indistruttibile. A quindici anni da quel lontano 27 gennaio, ho deciso di andare a visitarla. È accadu-to poco più di un mese fa, alla soglia del suo centesimo compleanno. L’ho abbracciata così come ho desiderato abbracciarla quando frequentavo la seconda media. L’ho ringraziata così come ho desiderato ringraziarla du-rante tutti questi ultimi dieci anni.E lei? Lei non è cambiata. Lei è ri-masta elegantissima, dolcissima, saggia, apparentemente fragile, ma fortissima. Mi ha ringraziato della visita, stupita. Mi ha chiesto di me, della mia famiglia, dei miei studi, del mio lavoro. Non erano domande di circostanza. L’interesse di Goti era sincero, così come il suo coinvolgi-mento circa il destino della nostra generazione è sempre stato sincero. «Anche con le migliori intenzioni non si può raccontare ciò che non si è vissuto personalmente, ma solo sentito dire da altri. Ci sono cose che bisogna provare sulla propria pelle», mi ha spiegato Goti durante il nostro incontro. Quan-do le ho domandato se è ottimista riguardo al futuro che ci attende, la sua risposta mi ha disar-mato: «Non voglio pen-sarci, sono troppo anziana per farlo. Auguro a voi giovani di saper creare dal passato gli insegnamenti per il futuro anché ciò che è accaduto a me non accada mai più». Un augurio che è un imperativo morale. Un esame storico e umano ancora da superare.Grazie della ducia Goti. Grazie de-gli insegnamenti che ci hai trasmes-so. Grazie del coraggio, della forza, dell’impegno, dell’aetto incondizio-nato. Grazie di essere un faro di luce in questo periodo buio e ostile. Grazie di non aver mai smesso di indignarti di fronte alle ingiustizie e alle violenze. Di fronte al male. Grazie soprattutto di averci aperto le porte del tuo cuore, permettendoci di guardare il passato attraverso i tuoi occhi di nonna. Tanti auguri di buon compleanno Goti, ti vogliamo bene. Oggi, sempre.Aperte le iscrizioniper il Bat Mizvah Club!Il corso accompagna le ragazze in un percorso strutturato e adatto, che le aiuta a formarsi come donne ebree di domanil Bat Mitzvah Club di Milano, organizzato da WOW - Wo-men of the world e Hamakom, da oltre 14 anni accoglie ra-gazze ebree di diverse origini e le accompagna in un percorso struttu-rato e adatto, che le aiuta a formarsi come donne ebree di domani.Le fanciulle si riuniscono regolar-mente in una serie di incontri, studia-no, partecipano e organizzano attività che permettono di interiorizzare il COMUNITÀIoti Bauer compie cento anni. Ricordo ancora la prima volta che la incon-trai: avevo tredici anni e frequentavo la seconda media. Era il 27 gennaio e un pullman grigio ci raccolse da scuola per condurci al Conservatorio di Milano. Era la pri-ma volta che visitavo il Conservatorio. Era la prima volta che incontravo una testimone della Shoah.La ricordo come se fosse ieri. Dol-cissima, elegantissima. Un’eleganza di altri tempi, quasi regale. Indossava un completo marrone, una camicetta bianca e un foulard legato al collo. Gli occhiali dalle lenti tonde, leggermente scure. Due grossi orecchini di perla. I capelli cotonati, candidi, bianchi come zucchero filato.Era seduta sul palcoscenico. Guarda-va i ragazzini scalmanati riempire la stanza e sorrideva paziente. Anch’io la osservavo da lontano.Mi sembrava tanto piccola, lì sola sul palcoscenico. Una signora anziana ed esile. Come avrebbe catalizzato l’at-tenzioni di tutti quegli adolescenti?Quando prese la parola, il mio timore si consolidò. La sua voce era fragilis-sima, come fatta di vetro, e le parole erano accompagnate da una cantilena proveniente da un mondo lontano. Mi guardai intorno e trassi un sospiro di sollievo. Erano tutti rapiti. Immersi nel suo racconto.Presto mi dimenticai anch’io chi fos-si e dove mi trovassi. Per un’intera ora, Goti era noi e noi eravamo Goti. Quando finì di parlare ci alzammo tutti in piedi e la applaudimmo a lungo. Un applauso sincero, sentito, che cresceva insieme al desiderio di scendere e di abbracciarla. Un desi-derio che mi accompagnò a lungo. La incontrai di nuovo tre anni dopo, durante la cerimonia di Yom HaShoah al tempio di via Guastalla. Le feci un saluto goffo e impac-ciato. Lei sorrise.La incontrai un’ultima volta al mio ultimo anno di liceo, quando venne a testimoniare nella sala dell’Aula Ma-gna. Di nuovo la salutai goffo e impacciato. Que-sta volta aggiunsi un ringraziamento per il suo impegno di testimone. Lei di nuovo mi sorrise, e mi ringraziò a sua volta per averla ascoltata. Negli ultimi dieci anni ho pensato a lei più e più volte. Goti è stata il mio primo approccio al capitolo più buio della storia e solo con il senno di poi ho capito quanto io sia stato fortunato a essere lì presente, nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano, a sentire la mia prima testimonianza narrata da lei.Come si racconta la Shoah a un ragaz-zino? Come si spiega il male assoluto a chi il male non l’ha mai toccato con mano? Come si trasmette ai giovani il peso della storia, senza gravare sul-la loro innocenza? Goti è la risposta a tutte queste domande. Goti: una nonna esile dal sorriso conciliante. GBuon compleanno Goti,grazie per non aver mai smesso di credere nei giovanidi DAVID ZEBULONIAgata Herskovits Bauer, detta Goti, ha compiuto 100 anniil 29 luglio. Ha dedicato gran parte della sua vitaa testimoniare la sua tragica esperienza vissuta ad Auschwitz Birkenau, dove perse tutta la sua famigliaI 100 ANNI DI GOTI BAUERmessaggio delle lezioni. In questo modo scoprono cose nuove di se stesse e capiscono il vero significato del bat mitzvah. Il corso è dedicato alle ragazze dell’età 11/12 anni.Nuovo anno, nuove amicizie e nuovi studi.Le iscrizioni sono aperte!Per info contattare:Karen 333/3963752Mashi 3481390806Associazione Figli della ShoahUn anniversario importante quello che festeggiamo oggi:la nostra cara Goti Bauer compie 100 meravigliosi anni!ENTI, ASSOCIAZIONI, WORK IN PROGRESSottobre 202434 35
Cara lettrice, caro lettorequest’ottobre giunge sommesso, quasi di soppiatto, come un’alba ingannevole che ci coglie a tradi-mento (per parafrasare Primo Levi), fermi sul conne incerto tra buio e luce, senza sapere quale scegliere, l’ombra o il risveglio, appunto: l’estate è già tu-mulata e lontana, siamo già in ritardo su tutto, la vita ci viene addosso con le sue perentorie ripartenze e i nuovi progetti che incombono. A ben vedere, a questo tempo bislacco ben si addice la riessività piovigginosa di un autunno che non lesina dilemmi, non fa sconti sulle rese dei conti e le questioni aperte, ci mette di fronte agli inciampi dell’anno che si chiude e alle promesse di quello che si apre. Un tempo ritardatario rispetto alle feste solenni del consueto calendario ebraico, un anno bisestile e dolente, in cerca di riscatto e di una gioia che porti con sé il dono della festa.Dilemmi e questioni aperte, dicevamo. Riusciremo a convincere i nemici che è meglio convivere pacicamente con gli ebrei? Che la Storia non è quella della guerra eterna sotto la bandiera del Profeta nché l’umanità non sarà sottomessa? Davvero, dramma-ticamente, lo Stato di Israele dovrà, per sopravvivere, diventare uno Stato mediorientale che agisce spietatamente come già fanno i leader di Siria, Iran, Arabia Saudita...? È questo il prezzo che gli ebrei devono pagare per preservare la loro autonomia e le loro tradizioni in Medio Oriente? È davvero questo il nocciolo della spaccatura nella società israeliana, ovvero se sia possibile combattere il male senza usare i mezzi del male? Per adesso, nessuno è in grado di fornire risposte.Ma una cosa è chiara. In un momento in cui un antisemitismo forsennato torna ad aacciarsi sulle vite ebraiche, a un anno dal sabato nero nel Neghev, capiamo che il tempo dell’incredulità e dello sgomento è nito: avanza il tempo della lucida reazione, quello del coraggio da prendere a due mani, lo sguardo tagliente rivolto a questo antisemitismo new look di cui riusciamo a stento a farci una ragione. Lo vediamo rinascere sotto un diluvio di fake news, nel so-power di inuencer incoscienti e ignoranti che hanno milioni di seguaci, lo vediamo aacciato dagli spalti della partita di Nation League Italia-Israele mentre i tifosi voltano le spalle alle note dell’Hatikva (a Budapest), lo vediamo nei gesti di ostilità alle Olimpiadi (quello sportivo è forse il più odioso tra gli ostracismi). E poi nelle università, manifestazioni, sentenze dell’Aja, con l’apoteosi di quell’inascoltabile “Davide discolpati” che si sperava seppellito. Certo, lo sappiamo: ci sono quelli che non ci amano e lo dicono; quelli che non ci amano e non lo di-cono; quelli che non ci amano ma dicono il contrario, quelli che non capiscono perché si continui a parlare di noi continuando tuttavia a parlarne; e poi ci sono quelli (pochi) che ci amano e non lo nascondono... E inne ci siamo noi, che diventiamo resilienti, coriacei, che ci riutiamo di accomodarci in questo mood. Ben-venga allora il prestigioso magazine ebraico-francese L’Arc h e che titola in copertina Come Israele sta cambiando il mondo, Israele con quella sua incredibile vitalità intrisa di contemporaneo, con quello spirito di libertà che, malgrado limiti e difetti, resta un unicum. Perché forse si tratta davvero di questo, un rimescola-mento delle carte, un cambio di passo epocale che ci interroga e ci ribalta, la dimensione singolare e inedita di questo conitto.Non resta allora che attrezzarsi con un sorriso a denti stretti, attivare quella resilienza di cui siamo i campioni, guardare avanti senza troppo scomporsi e continuare a gioire di una festa, di un canto, di una tavolata imbandita e numerosa. E sperare ancora di trasformare i sogni in realtà, come accade da seimila anni.3224262206Ottobre/2024 n.10BIn copertina: Moran Attias (dal suo Instagram); Liliana Segre (© Copyright 2024 - Forma International - ITALY- S.r.l. – Tutti i diritti riservati); Bernard Henri Levy (courtesy Cornell). Elaborazione grafica di Dalia SciamaPRISMASommario02. Notizie da Israele, Italia, mondo ebraico e dintorniCULTURA42. LETTERE E POST IT48. BAIT SHELÌ14. «Te lo dirò quando sarai più grande...». E arriva il giornoin cui non si può più tacere25. Storia e controstorie21. Ebraica. Letteratura come vita33. Concerto al CastelloCOMUNITÀ34. Buon compleanno Goti,grazie di credere nei giovani36. A Londra per gli “European Maccabi Youth Games”32. Dal nord di Israelein Italia, per vivere una pausadi normalità dalla guerra29. Scintille. Letture e riletture18. Moran Atias: «Ho abitato in molti paesi, l’Italia è un sogno, ma Israele è la mia unica casa»22. Baci, abbracci e litigate:il calore della famiglia,nella gioia e nel dolore06. Gli Italkim in prima linea: come fare contro informazionee raccontare la guerra09. La domanda scomoda12. “Siamo con voi”:l’antica simpatia delle Filippine per IsraeleATTUALITÀ10. Voci dal lontano occidente16. «Come rompere la solitudine di Israele (e la nostra)»ROSH HASHANÀ 578504. I messaggi alla Comunità di Rav Alfonso Arbib e del presidente Walker Meghnagi26. Shir haMaalot: la festa di Sukkot, le acque dell’abisso, la potenza dell’ascolto28. L’immane fatica di raccontare se stessi (ancora e ancora)
Cara lettrice, caro lettorequest’ottobre giunge sommesso, quasi di soppiatto, come un’alba ingannevole che ci coglie a tradi-mento (per parafrasare Primo Levi), fermi sul conne incerto tra buio e luce, senza sapere quale scegliere, l’ombra o il risveglio, appunto: l’estate è già tu-mulata e lontana, siamo già in ritardo su tutto, la vita ci viene addosso con le sue perentorie ripartenze e i nuovi progetti che incombono. A ben vedere, a questo tempo bislacco ben si addice la riessività piovigginosa di un autunno che non lesina dilemmi, non fa sconti sulle rese dei conti e le questioni aperte, ci mette di fronte agli inciampi dell’anno che si chiude e alle promesse di quello che si apre. Un tempo ritardatario rispetto alle feste solenni del consueto calendario ebraico, un anno bisestile e dolente, in cerca di riscatto e di una gioia che porti con sé il dono della festa.Dilemmi e questioni aperte, dicevamo. Riusciremo a convincere i nemici che è meglio convivere pacicamente con gli ebrei? Che la Storia non è quella della guerra eterna sotto la bandiera del Profeta nché l’umanità non sarà sottomessa? Davvero, dramma-ticamente, lo Stato di Israele dovrà, per sopravvivere, diventare uno Stato mediorientale che agisce spietatamente come già fanno i leader di Siria, Iran, Arabia Saudita...? È questo il prezzo che gli ebrei devono pagare per preservare la loro autonomia e le loro tradizioni in Medio Oriente? È davvero questo il nocciolo della spaccatura nella società israeliana, ovvero se sia possibile combattere il male senza usare i mezzi del male? Per adesso, nessuno è in grado di fornire risposte.Ma una cosa è chiara. In un momento in cui un antisemitismo forsennato torna ad aacciarsi sulle vite ebraiche, a un anno dal sabato nero nel Neghev, capiamo che il tempo dell’incredulità e dello sgomento è nito: avanza il tempo della lucida reazione, quello del coraggio da prendere a due mani, lo sguardo tagliente rivolto a questo antisemitismo new look di cui riusciamo a stento a farci una ragione. Lo vediamo rinascere sotto un diluvio di fake news, nel so-power di inuencer incoscienti e ignoranti che hanno milioni di seguaci, lo vediamo aacciato dagli spalti della partita di Nation League Italia-Israele mentre i tifosi voltano le spalle alle note dell’Hatikva (a Budapest), lo vediamo nei gesti di ostilità alle Olimpiadi (quello sportivo è forse il più odioso tra gli ostracismi). E poi nelle università, manifestazioni, sentenze dell’Aja, con l’apoteosi di quell’inascoltabile “Davide discolpati” che si sperava seppellito. Certo, lo sappiamo: ci sono quelli che non ci amano e lo dicono; quelli che non ci amano e non lo di-cono; quelli che non ci amano ma dicono il contrario, quelli che non capiscono perché si continui a parlare di noi continuando tuttavia a parlarne; e poi ci sono quelli (pochi) che ci amano e non lo nascondono... E inne ci siamo noi, che diventiamo resilienti, coriacei, che ci riutiamo di accomodarci in questo mood. Ben-venga allora il prestigioso magazine ebraico-francese L’Arc h e che titola in copertina Come Israele sta cambiando il mondo, Israele con quella sua incredibile vitalità intrisa di contemporaneo, con quello spirito di libertà che, malgrado limiti e difetti, resta un unicum. Perché forse si tratta davvero di questo, un rimescola-mento delle carte, un cambio di passo epocale che ci interroga e ci ribalta, la dimensione singolare e inedita di questo conitto.Non resta allora che attrezzarsi con un sorriso a denti stretti, attivare quella resilienza di cui siamo i campioni, guardare avanti senza troppo scomporsi e continuare a gioire di una festa, di un canto, di una tavolata imbandita e numerosa. E sperare ancora di trasformare i sogni in realtà, come accade da seimila anni.3224262206Ottobre/2024 n.10BIn copertina: Moran Attias (dal suo Instagram); Liliana Segre (© Copyright 2024 - Forma International - ITALY- S.r.l. – Tutti i diritti riservati); Bernard Henri Levy (courtesy Cornell). Elaborazione grafica di Dalia SciamaPRISMASommario02. Notizie da Israele, Italia, mondo ebraico e dintorniCULTURA42. LETTERE E POST IT48. BAIT SHELÌ14. «Te lo dirò quando sarai più grande...». E arriva il giornoin cui non si può più tacere25. Storia e controstorie21. Ebraica. Letteratura come vita33. Concerto al CastelloCOMUNITÀ34. Buon compleanno Goti,grazie di credere nei giovani36. A Londra per gli “European Maccabi Youth Games”32. Dal nord di Israelein Italia, per vivere una pausadi normalità dalla guerra29. Scintille. Letture e riletture18. Moran Atias: «Ho abitato in molti paesi, l’Italia è un sogno, ma Israele è la mia unica casa»22. Baci, abbracci e litigate:il calore della famiglia,nella gioia e nel dolore06. Gli Italkim in prima linea: come fare contro informazionee raccontare la guerra09. La domanda scomoda12. “Siamo con voi”:l’antica simpatia delle Filippine per IsraeleATTUALITÀ10. Voci dal lontano occidente16. «Come rompere la solitudine di Israele (e la nostra)»ROSH HASHANÀ 578504. I messaggi alla Comunità di Rav Alfonso Arbib e del presidente Walker Meghnagi26. Shir haMaalot: la festa di Sukkot, le acque dell’abisso, la potenza dell’ascolto28. L’immane fatica di raccontare se stessi (ancora e ancora)
Quest’agosto 2024 si sono svolte le “European Mac-cabi Youth Games” a Lon-dra. È stata un’esperienza meravigliosa e noi, come delegazione milanese (Maccabi Milano), abbiamo avuto l’onore di rappresentare il nostro paese insieme alla delegazione romana nel corso di questi giochi. Insieme agli atleti provenienti da Roma eravamo in quarantotto ed è stato molto signi-cativo per noi poter competere per il Maccabi Italia uniti ai nostri “fra-telli” romani. La nostra delegazione milanese contava diciotto persone tra atleti, allenatore ed accompagnatori. Eravamo composti dalla squadra di pallacanestro intera, tre tennisti e due giocatori di futsal U18.Siamo arrivati a Londra il 30 luglio e siamo stati subito immersi in un’at-mosfera ebraica incredibile con quasi ottocento atleti provenienti da quat-tordici nazioni diverse. L’esperienza ha avuto inizio con una cerimonia di apertura a cui hanno partecipato di-versi esponenti della comunità ebraica inglese e il giorno dopo sono iniziate le partite.La squadra di pallacanestro non è riuscita a vincere una medaglia però ha avuto modo di crescere tantissi-mo avendo arontato squadre come quella americana (medaglia d’oro) con un talento mozzaato. Le squadre di futsal (U16 e U18) sono uscite entram-be con la medaglia d’argento mentre i tennisti hanno potuto incontrare atle-ti fortissimi appartenenti a categorie importanti nei loro paesi. L’esperienza sportiva ha messo alla prova tutti noi, ma è stata allo stesso tempo ragione di soddisfazione immensa ed un’occasio-ne di divertimento e unità pazzesca. Venivamo da ambienti completamente diversi, ma lo sport, con la sua forza di unità e coesione, ci ha permesso di combattere come guerrieri in cam-po con la squadra avversaria per poi scherzare ed essere amici subito dopo la ne della partita.Oltre alle partite che si giocavano tutti i giorni (tranne un giorno di A Londra, per gli “European Maccabi Youth Games”di MACCABI MILANOriposo per alcuni e ovviamente in rispetto dello Shabbat) sono state organizzate varie gite per visitare Londra. Abbiamo potuto, infatti, visitare Covent Garden, fare un tour del Centro di Londra e ammirare Wembley, il noto stadio di Londra tra i più grandi e belli al mondo.Vi erano anche tantissime altre occa-sioni di divertimento, tra cui la Silent Disco, serate con balli e musica e la cerimonia di chiusura con giochi di intrattenimento e gonfiabili. La parte più importante di questa esperienza, però, era la possibilità di conoscere e relazionarsi con tutti gli altri ragaz-zi. Questo aspetto veniva promosso costantemente: infatti, tutte le sere prima del “coprifuoco”, si aveva la possibilità di parlare e confrontar-si con gli altri atleti. Così facendo, abbiamo formato nuove amicizie e abbiamo avuto modo di conoscere le realtà delle altre comunità ebraiche mondiali. Quest’ultimo punto è di notevole rilevanza e vi sono stati, di conseguenza, alcuni seminari ri-guardanti l’antisemitismo nelle varie comunità per permettere a tutti di capire come fosse la situazione anche al di fuori della propria nazione.Vi erano anche altre opportunità educative come alcuni discorsi che sono stati tenuti durante la setti-mana. In particolare, ci ha colpito quello di un comandante di un’uni-tà speciale dell’IDF e quello di un ex soldato britannico che combatte contro una malattia devastante.La giornata più rappresentativa era ovviamente Shabbat che, con la sua forza di portare tutti insieme, ha regalato al campus un’atmosfera di divertimento, unione e concentra-zione. In particolare, la Kabbalat Shabbat ha unito riti e tradizioni completamente diversi, come quelle dei francesi, argentini e italiani, tutti insieme per cantare e ballare assie-me. Tutto ciò era sempre coronato dalla forza che in questa esperienza comandava: lo sport. Esso era pre-sente in tutto con la sua influenza e lingua universale utili a supera-re tutte le barriere possibili che si possono avere con atleti da quattro continenti diversi.Questa opportunità ci ha arricchito profondamente e speriamo che in fu-turo possa portare ulteriore felicità a migliaia di altri ragazzi, esattamente come ha fatto a noi. Ci auguriamo perciò di avere un’occasione simile già l’anno prossimo con le Macca-biadi in Israele 2025!Non possiamo chiudere senza esten-dere i nostri sinceri ringraziamenti al Maccabi Milano, Maccabi Italia e alle Comunità che ci hanno inco-raggiato e sostenuto!Un cordiale Shalom e Shanà Tovà dagli atleti del Maccabi MilanoLa delegazione milanese contava diciotto persone tra atleti, allenatore ed accompagnatori: la squadra di pallacanestro intera, tre tennisti e due giocatori di futsal U18COMUNITÀMACCABI MILANOInstagram: alma.brothers.bandYoutube: Wedding Band Alma BrothersWhatsapp: +39 338 197 0107 David Mouhadabalmabrothersband@gmail.comDESIGN BYDANIELA HAGGIAGCorsi online e in presenza di EBRAICO MODERNO A DIVERSI ORARI E LIVELLIInizio dei corsi: 23 settembre 2024Potrai parlare, scrivere e leggere già dalla prima lezione INFO E ISCRIZIONI corsiebraico@com-ebraicamilano.itENTI, ASSOCIAZIONI, WORK IN PROGRESS
Quest’agosto 2024 si sono svolte le “European Mac-cabi Youth Games” a Lon-dra. È stata un’esperienza meravigliosa e noi, come delegazione milanese (Maccabi Milano), abbiamo avuto l’onore di rappresentare il nostro paese insieme alla delegazione romana nel corso di questi giochi. Insieme agli atleti provenienti da Roma eravamo in quarantotto ed è stato molto signi-cativo per noi poter competere per il Maccabi Italia uniti ai nostri “fra-telli” romani. La nostra delegazione milanese contava diciotto persone tra atleti, allenatore ed accompagnatori. Eravamo composti dalla squadra di pallacanestro intera, tre tennisti e due giocatori di futsal U18.Siamo arrivati a Londra il 30 luglio e siamo stati subito immersi in un’at-mosfera ebraica incredibile con quasi ottocento atleti provenienti da quat-tordici nazioni diverse. L’esperienza ha avuto inizio con una cerimonia di apertura a cui hanno partecipato di-versi esponenti della comunità ebraica inglese e il giorno dopo sono iniziate le partite.La squadra di pallacanestro non è riuscita a vincere una medaglia però ha avuto modo di crescere tantissi-mo avendo arontato squadre come quella americana (medaglia d’oro) con un talento mozzaato. Le squadre di futsal (U16 e U18) sono uscite entram-be con la medaglia d’argento mentre i tennisti hanno potuto incontrare atle-ti fortissimi appartenenti a categorie importanti nei loro paesi. L’esperienza sportiva ha messo alla prova tutti noi, ma è stata allo stesso tempo ragione di soddisfazione immensa ed un’occasio-ne di divertimento e unità pazzesca. Venivamo da ambienti completamente diversi, ma lo sport, con la sua forza di unità e coesione, ci ha permesso di combattere come guerrieri in cam-po con la squadra avversaria per poi scherzare ed essere amici subito dopo la ne della partita.Oltre alle partite che si giocavano tutti i giorni (tranne un giorno di A Londra, per gli “European Maccabi Youth Games”di MACCABI MILANOriposo per alcuni e ovviamente in rispetto dello Shabbat) sono state organizzate varie gite per visitare Londra. Abbiamo potuto, infatti, visitare Covent Garden, fare un tour del Centro di Londra e ammirare Wembley, il noto stadio di Londra tra i più grandi e belli al mondo.Vi erano anche tantissime altre occa-sioni di divertimento, tra cui la Silent Disco, serate con balli e musica e la cerimonia di chiusura con giochi di intrattenimento e gonfiabili. La parte più importante di questa esperienza, però, era la possibilità di conoscere e relazionarsi con tutti gli altri ragaz-zi. Questo aspetto veniva promosso costantemente: infatti, tutte le sere prima del “coprifuoco”, si aveva la possibilità di parlare e confrontar-si con gli altri atleti. Così facendo, abbiamo formato nuove amicizie e abbiamo avuto modo di conoscere le realtà delle altre comunità ebraiche mondiali. Quest’ultimo punto è di notevole rilevanza e vi sono stati, di conseguenza, alcuni seminari ri-guardanti l’antisemitismo nelle varie comunità per permettere a tutti di capire come fosse la situazione anche al di fuori della propria nazione.Vi erano anche altre opportunità educative come alcuni discorsi che sono stati tenuti durante la setti-mana. In particolare, ci ha colpito quello di un comandante di un’uni-tà speciale dell’IDF e quello di un ex soldato britannico che combatte contro una malattia devastante.La giornata più rappresentativa era ovviamente Shabbat che, con la sua forza di portare tutti insieme, ha regalato al campus un’atmosfera di divertimento, unione e concentra-zione. In particolare, la Kabbalat Shabbat ha unito riti e tradizioni completamente diversi, come quelle dei francesi, argentini e italiani, tutti insieme per cantare e ballare assie-me. Tutto ciò era sempre coronato dalla forza che in questa esperienza comandava: lo sport. Esso era pre-sente in tutto con la sua influenza e lingua universale utili a supera-re tutte le barriere possibili che si possono avere con atleti da quattro continenti diversi.Questa opportunità ci ha arricchito profondamente e speriamo che in fu-turo possa portare ulteriore felicità a migliaia di altri ragazzi, esattamente come ha fatto a noi. Ci auguriamo perciò di avere un’occasione simile già l’anno prossimo con le Macca-biadi in Israele 2025!Non possiamo chiudere senza esten-dere i nostri sinceri ringraziamenti al Maccabi Milano, Maccabi Italia e alle Comunità che ci hanno inco-raggiato e sostenuto!Un cordiale Shalom e Shanà Tovà dagli atleti del Maccabi MilanoLa delegazione milanese contava diciotto persone tra atleti, allenatore ed accompagnatori: la squadra di pallacanestro intera, tre tennisti e due giocatori di futsal U18COMUNITÀMACCABI MILANOInstagram: alma.brothers.bandYoutube: Wedding Band Alma BrothersWhatsapp: +39 338 197 0107 David Mouhadabalmabrothersband@gmail.comDESIGN BYDANIELA HAGGIAGCorsi online e in presenza di EBRAICO MODERNO A DIVERSI ORARI E LIVELLIInizio dei corsi: 23 settembre 2024Potrai parlare, scrivere e leggere già dalla prima lezione INFO E ISCRIZIONI corsiebraico@com-ebraicamilano.itENTI, ASSOCIAZIONI, WORK IN PROGRESS
dita, come Adios Querida e la ninna nanna Durme durme, e canzoni della più schietta contemporaneità israe-liana come Gam Gam, Yerushalaim shel Zahav e Hava naghila.Il canto è stato accompagnato dal magico suono del violino che si è poi prodotto insieme al pianoforte in un brano tratto dalla colonna so-nora di Schindler’s List e negli “a solo”: il Kaddish di Ravel, Yddishe Mome e Oy Tate. Al temine, il canto dell’Inno di Mameli, proprio nel giorno del-la Festa della Repubblica Italiana, e dell’Hatikvà, sono stati accompagnati dalla folla commossa in piedi. Il coro Col ha-Kolot si è confermato una delle più valide realtà culturali della nostra Comunità ma in que-sto momento ha necessità di trovare nuovi coristi per poter continuare a donarci la sua arte e ad arricchire il suo straordinario repertorio. Chi fosse interessato può scrivere a colhakolot.coro@gmail.comell’ambito del progetto “Ogni giorno è Memoria”, si è svolto nella splendida sinagoga di Vercelli uno straordinario evento musicale, do-menica 2 giugno, organizzato dalla Presidente della locale Comunità Ebraica, Rossella Bottini Treves, cui hanno assistito numerosissimi cit-tadini e una nutrita rappresentanza della Comunità di Milano. Le voci del coro Col ha-Kolot, diretto e ac-compagnato al pianoforte dal Mae-stro Luciana Stella si sono unite alle melodie struggenti del Violino della Shoah, magistralmente suonato da Alessandra Sonia Romano che da tanti anni lo custodisce e ne fa co-noscere la storia.Costruito dal liutaio francese Collin Mezin, venne acquistato nel 1938 a Torino da Edgardo Levy per la figlia Eva Maria. Quest’ultima, deportata ad Auschwitz con tutta la famiglia, fu costretta a suonare nell’orche-stra del campo e ciò le permise di sopravvivere per un certo periodo, ma quando il violino si ruppe fu rinviata nell’area comune dove poco dopo morì. Il fratello Enzo soprav-visse e, ritrovato il violino nella sua baracca, lo riportò a Torino ove lo fece riparare ma non lo ritirò mai. Lo acquistò tempo dopo un collezioni-sta, Carlo Alberto Carutti, che notò all’interno della cassa armonica un particolare cartiglio con pentagram-ma sormontato da filo spinato, note che sembrano esili figure umane in marcia e la scritta “Der Musik macht frei” (“La musica rende liberi”), pa-rafrasi dell’infame motto sul portale dei campi di sterminio. Ricostruita la provenienza dello strumento, Carut-ti, con un nobile gesto, lo affidò nel 2016 ad Alessandra Sonia Romano, laureata al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia e in seguito al Royal College of Music di Londra, appassionata di musica ebraica e co-noscitrice del repertorio violinistico di Ernest Bloch che ha approfondito nel kibbutz Eilon in Galilea.Da allora il Violino della Shoah suona in tutto il mondo suscitando ammi-razione e commozione. Il Coro Col ha-Kolot ha eseguito al-cune fra le più conosciute melodie della tradizione ebraica universale, come Shalom Aleichem, Shirim ad Kan, Mi Haish, della tradizione sefar-Il Coro Col Ha-Kolot e il Violino della Shoah: insieme nella Sinagoga di VercelliCoro Col-Ha-Kolotdi ANDREA FINZIe SONIA SCHOONEJANSNENTI, ASSOCIAZIONI, WORK IN PROGRESSLe voci e le note struggenti del violino suonato ad Auschwitz hanno eseguito alcune fra le più note melodie della tradizione ebraicaOgnuno ha bisogno di un posto dove sentirsi accolto, aiuta i bambini e i ragazzi sfollati del nord di Israele, al confine con il Libano, ad avere questa opportunità.A causa del conflitto, molte famiglie al nord di Israele hanno dovuto lasciare le loro case per trasferirsi in zone più sicure, dove spesso le infrastrutture e i servizi disponibili non sono sufficienti per accoglierle adeguatamente.Con il progetto Un’oasi di speranza vogliamo garantire ai bambini e ai ragazzi sfollati la possibilità di godere di aree verdi attrezzate, dove poter vivere momenti di unione e costruire una nuova quotidianità insieme agli altri.Per raggiungere questo grande risultato dobbiamo partire dalle piccole cose. Cinque scuole hanno bisogno di un aiuto immediato e concreto: tavoli, panchine e altre importanti attrezzature sono essenziali per l’accoglienza dei nuovi alunni.Grazie al tuo aiuto non creeremo semplici spazi verdi ma luoghi simbolo di speranza e rinascitadove tutti potranno riscoprire il valore della comunità. Scopri come fare la tua parte, KKL Italia sarà onorato di dare un riconoscimento personale a chidarà un contributo significativo: www.kklitalia.itCausale: Un’oasi di speranza IBAN: IT58 U030 6909 6061 0000 0122 860 Shanà Tovà Umetukà!Nuovo anno. Nuovi progetti. Nuovo stile.Quest’anno più che mai questa festività assume un significato profondo e porta con sé il desideriodi guardare al futuro con sguardo rinnovato, aperto a nuovi progetti e alla costruzione diqualcosa di positivo.Con questo spirito, noi di KKL Italia ci prepariamo a vivere il nuovo anno con progetti inediti e ambiziosi e uno nuovo stile di comunicazione. La nostra visione è un futuro pieno di energia, rinnovamento e freschezza: questo è anche ilnostro augurio per tutti Voi.Un’oasi di speranza39
dita, come Adios Querida e la ninna nanna Durme durme, e canzoni della più schietta contemporaneità israe-liana come Gam Gam, Yerushalaim shel Zahav e Hava naghila.Il canto è stato accompagnato dal magico suono del violino che si è poi prodotto insieme al pianoforte in un brano tratto dalla colonna so-nora di Schindler’s List e negli “a solo”: il Kaddish di Ravel, Yddishe Mome e Oy Tate. Al temine, il canto dell’Inno di Mameli, proprio nel giorno del-la Festa della Repubblica Italiana, e dell’Hatikvà, sono stati accompagnati dalla folla commossa in piedi. Il coro Col ha-Kolot si è confermato una delle più valide realtà culturali della nostra Comunità ma in que-sto momento ha necessità di trovare nuovi coristi per poter continuare a donarci la sua arte e ad arricchire il suo straordinario repertorio. Chi fosse interessato può scrivere a colhakolot.coro@gmail.comell’ambito del progetto “Ogni giorno è Memoria”, si è svolto nella splendida sinagoga di Vercelli uno straordinario evento musicale, do-menica 2 giugno, organizzato dalla Presidente della locale Comunità Ebraica, Rossella Bottini Treves, cui hanno assistito numerosissimi cit-tadini e una nutrita rappresentanza della Comunità di Milano. Le voci del coro Col ha-Kolot, diretto e ac-compagnato al pianoforte dal Mae-stro Luciana Stella si sono unite alle melodie struggenti del Violino della Shoah, magistralmente suonato da Alessandra Sonia Romano che da tanti anni lo custodisce e ne fa co-noscere la storia.Costruito dal liutaio francese Collin Mezin, venne acquistato nel 1938 a Torino da Edgardo Levy per la figlia Eva Maria. Quest’ultima, deportata ad Auschwitz con tutta la famiglia, fu costretta a suonare nell’orche-stra del campo e ciò le permise di sopravvivere per un certo periodo, ma quando il violino si ruppe fu rinviata nell’area comune dove poco dopo morì. Il fratello Enzo soprav-visse e, ritrovato il violino nella sua baracca, lo riportò a Torino ove lo fece riparare ma non lo ritirò mai. Lo acquistò tempo dopo un collezioni-sta, Carlo Alberto Carutti, che notò all’interno della cassa armonica un particolare cartiglio con pentagram-ma sormontato da filo spinato, note che sembrano esili figure umane in marcia e la scritta “Der Musik macht frei” (“La musica rende liberi”), pa-rafrasi dell’infame motto sul portale dei campi di sterminio. Ricostruita la provenienza dello strumento, Carut-ti, con un nobile gesto, lo affidò nel 2016 ad Alessandra Sonia Romano, laureata al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia e in seguito al Royal College of Music di Londra, appassionata di musica ebraica e co-noscitrice del repertorio violinistico di Ernest Bloch che ha approfondito nel kibbutz Eilon in Galilea.Da allora il Violino della Shoah suona in tutto il mondo suscitando ammi-razione e commozione. Il Coro Col ha-Kolot ha eseguito al-cune fra le più conosciute melodie della tradizione ebraica universale, come Shalom Aleichem, Shirim ad Kan, Mi Haish, della tradizione sefar-Il Coro Col Ha-Kolot e il Violino della Shoah: insieme nella Sinagoga di VercelliCoro Col-Ha-Kolotdi ANDREA FINZIe SONIA SCHOONEJANSNENTI, ASSOCIAZIONI, WORK IN PROGRESSLe voci e le note struggenti del violino suonato ad Auschwitz hanno eseguito alcune fra le più note melodie della tradizione ebraicaOgnuno ha bisogno di un posto dove sentirsi accolto, aiuta i bambini e i ragazzi sfollati del nord di Israele, al confine con il Libano, ad avere questa opportunità.A causa del conflitto, molte famiglie al nord di Israele hanno dovuto lasciare le loro case per trasferirsi in zone più sicure, dove spesso le infrastrutture e i servizi disponibili non sono sufficienti per accoglierle adeguatamente.Con il progetto Un’oasi di speranza vogliamo garantire ai bambini e ai ragazzi sfollati la possibilità di godere di aree verdi attrezzate, dove poter vivere momenti di unione e costruire una nuova quotidianità insieme agli altri.Per raggiungere questo grande risultato dobbiamo partire dalle piccole cose. Cinque scuole hanno bisogno di un aiuto immediato e concreto: tavoli, panchine e altre importanti attrezzature sono essenziali per l’accoglienza dei nuovi alunni.Grazie al tuo aiuto non creeremo semplici spazi verdi ma luoghi simbolo di speranza e rinascitadove tutti potranno riscoprire il valore della comunità. Scopri come fare la tua parte, KKL Italia sarà onorato di dare un riconoscimento personale a chidarà un contributo significativo: www.kklitalia.itCausale: Un’oasi di speranza IBAN: IT58 U030 6909 6061 0000 0122 860 Shanà Tovà Umetukà!Nuovo anno. Nuovi progetti. Nuovo stile.Quest’anno più che mai questa festività assume un significato profondo e porta con sé il desideriodi guardare al futuro con sguardo rinnovato, aperto a nuovi progetti e alla costruzione diqualcosa di positivo.Con questo spirito, noi di KKL Italia ci prepariamo a vivere il nuovo anno con progetti inediti e ambiziosi e uno nuovo stile di comunicazione. La nostra visione è un futuro pieno di energia, rinnovamento e freschezza: questo è anche ilnostro augurio per tutti Voi.Un’oasi di speranza39
I macro-temi su cui genitori e stu-denti sono stati chiamati a esprimer-si erano sei: l’esperienza didattica e il livello di preparazione, l’ambito ebraico e religioso, le strutture e do-tazioni scolastiche, le attività extra-curriculari proposte, la sicurezza e il benessere degli studenti e la comu-nicazione e interazione fra Scuola e famiglie.UN PERCORSO DI ASCOLTO PIÙ AMPIO PER UNA CULTURA DEL DIALOGOL’indagine stessa è stata uno stru-mento di coinvolgimento che ha informato dei numerosi progetti promossi dalla Scuola, di cui forse non tutti erano consapevoli. I dati risultanti saranno analizzati evi-denziando qual è la percezione ge-nerale che i principali “utilizzatori” hanno della Scuola, quali gli aspetti su cui si chiede un miglioramento e quali i punti di forza riconosciuti. L’indagine mira a promuovere una cultura del dialogo e del migliora-mento continuo, ed è la prima fase di un percorso di ascolto più ampio che si svilupperà nel tempo con l’o-biettivo di creare un ambiente di apertura e di apprendimento più fa-vorevole e arricchente.l link al questionario online è arrivato nelle caselle di po-sta dei genitori all’apertura dell’anno scolastico, seguito da email di remind e da un battage di comunicazione che aveva come claim “Genitori, la vostra opinio-ne sulla Scuola conta”. Era infatti importante che tutti – entrambi i genitori di ogni studente – parteci-passero all’indagine, che ha voluto essere un primo passo di ascolto e uno strumento per raccogliere i vari punti di vista riguardo al fun-zionamento della Scuola. Le rispo-ste serviranno a individuarne punti di forza e le aree di miglioramen-to, raccogliendo allo stesso tempo spunti e suggerimenti per delineare le strategie che guideranno il pre-sente e il futuro dell’Istituto.LA VOCE DEGLI STUDENTI DEL TRIENNIO SUPERIOREMessa a punto dalla Fondazione Scuola con la collaborazione del pre-side Marco Camerini, l’indagine si è conclusa il 30 settembre. Vi hanno partecipato anche gli studenti del triennio superiore, che hanno avuto anch’essi l’opportunità di fare sentire la propria voce compilando il que-stionario in classe. Sulla piattaforma online le domande erano disponibili in italiano e in inglese per una mag-giore accessibilità e le risposte sono state raccolte in maniera assoluta-mente anonima.I TEMI AFFRONTATIIl questionario si soermava su mol-teplici aspetti e raccoglieva le valu-tazione sui diversi ordini di studio. Ascoltare la voce di chi la Scuola la vive ogni giorno, raccogliendone esperienza e percezione attraverso un’indagine ad ampio raggio che ha arontato molteplici aspetti. Questo l’obiettivo del Progetto Ascolto, promosso dalla dirigenza scolastica e dalla Fondazione Scuola, che si è svolto durante il mese di settembre.Progetto Ascolto: un’indagine su cosa pensano della Scuola genitori e studentiIDona ora - iban: IT62F0538701615000042207490 www.fondazionescuolaebraica.itLa Newsletter della Fondazione per la Scuola della Comunità Ebraica di MilanoFondazioneSScuolaGenitori,la vostra opinione sulla Scuola conta!Fondazione ScuolaDELLA COMUNITÀ EBRAICA DI MILANOCon la Cena di Gala che si è svol-ta lo scorso maggio la Fondazione Scuola ha raccolto circa 200mila euro – al netto dei costi – da devol-vere alla Scuola. Una cifra record, per la quale la Fondazione ringrazia sponsor e donatori per la generosi-tà. La maggior parte dei fondi, 150 mila euro, sono già stati trasferiti alla Comunità per le rette scolastiche degli studenti con famiglie in diffi-coltà economica. Altri 18mila euro sono stati impiegati per finanziare i progetti di quest’anno già approva-ti. Il resto andrà a sostenere le ini-ziative che si svolgeranno nel corso dell’anno, a mano a mano che la Scuola ne presenterà i progetti.Record di raccolta fondi alla Cena di Gala41
I macro-temi su cui genitori e stu-denti sono stati chiamati a esprimer-si erano sei: l’esperienza didattica e il livello di preparazione, l’ambito ebraico e religioso, le strutture e do-tazioni scolastiche, le attività extra-curriculari proposte, la sicurezza e il benessere degli studenti e la comu-nicazione e interazione fra Scuola e famiglie.UN PERCORSO DI ASCOLTO PIÙ AMPIO PER UNA CULTURA DEL DIALOGOL’indagine stessa è stata uno stru-mento di coinvolgimento che ha informato dei numerosi progetti promossi dalla Scuola, di cui forse non tutti erano consapevoli. I dati risultanti saranno analizzati evi-denziando qual è la percezione ge-nerale che i principali “utilizzatori” hanno della Scuola, quali gli aspetti su cui si chiede un miglioramento e quali i punti di forza riconosciuti. L’indagine mira a promuovere una cultura del dialogo e del migliora-mento continuo, ed è la prima fase di un percorso di ascolto più ampio che si svilupperà nel tempo con l’o-biettivo di creare un ambiente di apertura e di apprendimento più fa-vorevole e arricchente.l link al questionario online è arrivato nelle caselle di po-sta dei genitori all’apertura dell’anno scolastico, seguito da email di remind e da un battage di comunicazione che aveva come claim “Genitori, la vostra opinio-ne sulla Scuola conta”. Era infatti importante che tutti – entrambi i genitori di ogni studente – parteci-passero all’indagine, che ha voluto essere un primo passo di ascolto e uno strumento per raccogliere i vari punti di vista riguardo al fun-zionamento della Scuola. Le rispo-ste serviranno a individuarne punti di forza e le aree di miglioramen-to, raccogliendo allo stesso tempo spunti e suggerimenti per delineare le strategie che guideranno il pre-sente e il futuro dell’Istituto.LA VOCE DEGLI STUDENTI DEL TRIENNIO SUPERIOREMessa a punto dalla Fondazione Scuola con la collaborazione del pre-side Marco Camerini, l’indagine si è conclusa il 30 settembre. Vi hanno partecipato anche gli studenti del triennio superiore, che hanno avuto anch’essi l’opportunità di fare sentire la propria voce compilando il que-stionario in classe. Sulla piattaforma online le domande erano disponibili in italiano e in inglese per una mag-giore accessibilità e le risposte sono state raccolte in maniera assoluta-mente anonima.I TEMI AFFRONTATIIl questionario si soermava su mol-teplici aspetti e raccoglieva le valu-tazione sui diversi ordini di studio. Ascoltare la voce di chi la Scuola la vive ogni giorno, raccogliendone esperienza e percezione attraverso un’indagine ad ampio raggio che ha arontato molteplici aspetti. Questo l’obiettivo del Progetto Ascolto, promosso dalla dirigenza scolastica e dalla Fondazione Scuola, che si è svolto durante il mese di settembre.Progetto Ascolto: un’indagine su cosa pensano della Scuola genitori e studentiIDona ora - iban: IT62F0538701615000042207490 www.fondazionescuolaebraica.itLa Newsletter della Fondazione per la Scuola della Comunità Ebraica di MilanoFondazioneSScuolaGenitori,la vostra opinione sulla Scuola conta!Fondazione ScuolaDELLA COMUNITÀ EBRAICA DI MILANOCon la Cena di Gala che si è svol-ta lo scorso maggio la Fondazione Scuola ha raccolto circa 200mila euro – al netto dei costi – da devol-vere alla Scuola. Una cifra record, per la quale la Fondazione ringrazia sponsor e donatori per la generosi-tà. La maggior parte dei fondi, 150 mila euro, sono già stati trasferiti alla Comunità per le rette scolastiche degli studenti con famiglie in diffi-coltà economica. Altri 18mila euro sono stati impiegati per finanziare i progetti di quest’anno già approva-ti. Il resto andrà a sostenere le ini-ziative che si svolgeranno nel corso dell’anno, a mano a mano che la Scuola ne presenterà i progetti.Record di raccolta fondi alla Cena di Gala41
POST ITLettereLettere, annunci e note si ricevono solo via email a: bollettino@com-ebraicamilano.itLettera apertaa Walker MeghnagiFacciamo riferimento all’intervista rilascia-ta al Corriere della Sera del 4/07/2024 dal presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi.Le dichiarazioni conte-nute nell’intervista sono a dir poco sconcertanti. Aermando che gli ebrei si sentono protetti da Fra-telli d’Italia e attaccando implicitamente altri par-titi con false generalizza-zioni, Meghnagi esclude una parte rilevante della Comunità che ha opinio-ni politiche diverse dalla sua. Non è accettabile che un presidente che dovreb-be rappresentare tutte le diverse componenti della Comunità usi strumental-mente la sua carica per fare politica ed esprimere il suo personale posizionamento.Meghnagi, con la sua aer-mazione, trascura il fatto che FDI e Lega sono partiti che preconizzano una so-cietà etnicamente omoge-nea, che corrisponde a una mentalità prettamente raz-zista, e non si rende conto che il sostegno al governo israeliano senza se e senza ma non aiuta Israele, anzi lo danneggia, allontanando fra l’altro una soluzione di pace nella zona. Non pos-siamo darci di chi evoca un mondo ebraico univoco, compatto, legato oltretutto a un’idea di società che tra-disce tutto ciò che caratte-rizza il nostro essere ebrei, la nostra storia. In questo modo, il presidente ha leso la nostra dignità e la nostra libertà.Siamo profondamente in-dignati e chiediamo una discussione all’interno del Consiglio riguardo all’idea di una Comunità ebraica rappresentativa della ric-chezza di tutte le sue com-ponenti.Promotori:Bella Gubbay, Renata Sar-fati, Jardena Tedeschi, Eva Schwarzwald, Sabetay Fre-sko, Susanna Sinigaglia, Joan Haim, Stefano Levi Della Torre.Hanno condiviso e rmato: Carla Biagi Jesurum, Elena Lea Bartolini, Uri Breit, Ghil Busnach, Francesca Calabi, Lia Cammeo, Miriam Ca-merini, Valeria Camerino, Bruna Cases, Timna Co-lombo, Marco Colombo, Francesca Colombo, Mara Della Pergola , Giordano d’Urbino, Renata Ergas, Gaby Ert, Paola Fermo, Enrico Franco, Susanna Fre-sko, Ida Finzi, Paola Finzi, Marco Fiorentino, Miriam Fiorentino, Annapaola For-miggini, Sara Gabbai, Sara Git, Valeria Gandus, Davide Hassan, Ruth Hauben Foà, Franca Heiman, Cecilia Herskowitz, Marika Kahan, Martino Kahan, Joseph Jona Falco, Anna Lanceri, Rober-to Liscia, Fabio Lopez, Irene Lopez, Camilla Malki, Ivano Mariconti, Giulia Modena, Paola Moscato, Claudia Mo-scato, Nyranne Moshi, Silvia Naghel, Diana Nahum, An-tonella Nathanson, Daniela Ottolenghi, Sara Palazzolo, Roberto Polacco, Susanna Ravenna, Gadi Schoenheit, Ida Sznajder, Anna Saralvo, Debora Saviano, Gavriel Segre, Maria Silvera, Gia-como Spizzichino, Marco Soria, Jeri Perahya, Elea-no Raba’, Mario Tedeschi, Graziella Uziel, Lily Uziel, Daniel Yanni, Marco Vige-vani, Leonardo Visco, Eli-sabetta Zevi, Stefania Zevi, Ludovico Cazzola Hofmann, Grazia De Benedetti, Lilia-na Gandus, Silvia Godelli, Manlio Massa, Alessandro SoriaMilanoOstaggi: il dibattito in IsraeleC’è un grosso dibattito, in Israele, sulla sorte degli ostaggi. Dopo quesì 11 mesi di guerra, Hamas Bollettino della Comunità ebraica di Milano. Mensile registrato col n° 612 del 30/09/1948 presso il tribunale di Milano. © Comunità ebraica di Milano, via Sally Mayer, 2 – MILANORedazionevia Sally Mayer, 2, Milanotel: 02 483110 225/205fax: 02 48304660 bollettino@com-ebraicamilano.itAbbonamenti Italia € 70, estero € 100, sostenitore 150 € (Lunario € 8 incluso). Comunità Ebraica di Milano - Banco BPM s.p.a. - IBAN: IT03U0503401708000000025239BIC/SWIFT BAPPIT21I27Direttore ResponsabileFiona Diwan Condirettore Ester MoscatiRedattore esperto Ilaria Myr Art Director e Progetto grafico Dalia Sciama CollaboratoriCyril Aslanov, Aldo Baquis, Pietro Baragiola, Anna Balestrieri, Esterina Dana, David Fiorentini, Nathan Greppi, Marina Gersony, Ludovica Iacovacci, Francesco Paolo La Bionda, Anna Lesnevskaya, Angelo Pezzana, Ilaria Ester Ramazzotti, Paolo Salom, Michael Soncin, Sofia Tranchina, Claudio Vercelli, Ugo Volli, Roberto Zadik, David Zebuloni.FotoOrazio Di GregorioFotolito e stampaAncora - MilanoResponsabile pubblicitàDolfi Diwald pubblicita.bollettino@gmail.com cell. 336 711289 chiuso in Redazione il 20/09/2024ANNO LXXIX, n° 10 Ottobre 2024>Milano - Via Vincenzo Monti, 47Milano - Via Paolo Bassi, 22Milano - P.le Greco (Via E. De Marchi, 52)Bresso - Via Vittorio Veneto, 47Novate Milanese - Via Repubblica, 21Cusano Milanino - Via Luigi Galvani, 13Le Nostre SediTRASPARENZA E SENSIBILITÀ, TRASPARENZA E SENSIBILITÀ, AL VOSTRO FIANCO AL VOSTRO FIANCO PER AIUTARVIPER AIUTARVIServizio24 su 24centrodelfunerale.itcentrodelfunerale.it02.670.5515MILANO - BRESSO - CUSANO MILANINO - NOVATE MILANESEAMICI DI SCUOLAPer il decimo anno la nostra scuola aderisce all’iniziativa Amici di Scuola promossa da Esselunga.Fino al 17 novembre, ogni 15,00 € di spesa e/o 50 punti fragolasi riceverà un buono valido per l’iniziativa Amici di Scuola.Come l’anno scorso i buoni potranno essere inseriti nell’apposita scatola all’ingresso di scuola, oppure caricati attraverso l’app amicidiscuola disponibile su Google Play e App Store.Una volta scaricata l’app bisognerà andare in basso a destra su “prolo” > scegliere “Accedi con le credenziali della tua carta Fidaty” > compilare nome, cognome e numero carta Fidaty e accedere.Tornare alla schermata “Home” (in basso a sinistra) > scegliere Dona i Buoni e Scopri i premi richiesti > cercare la scuola > Lombardia > Milano > Milano > selezionare SC.ELEM.PAR.A.DA FANO-COMUNITA’EBRAICA, VIA SALLY MAYER, 4/6 selezionare DONA BUONI Per caricare i buoni potrete procedere in due modi: - inserendo il numero seriale presente sul barcode del buono- scansionando direttamente il barcode. I buoni potranno essere caricati ENTRO E NON OLTRE il 19 DICEMBRE 2024.Questa iniziativa ha permesso negli anni alla nostra scuola di richiedere moltissimi premi e ogni buono può fare la differenza!!!
POST ITLettereLettere, annunci e note si ricevono solo via email a: bollettino@com-ebraicamilano.itLettera apertaa Walker MeghnagiFacciamo riferimento all’intervista rilascia-ta al Corriere della Sera del 4/07/2024 dal presidente della Comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi.Le dichiarazioni conte-nute nell’intervista sono a dir poco sconcertanti. Aermando che gli ebrei si sentono protetti da Fra-telli d’Italia e attaccando implicitamente altri par-titi con false generalizza-zioni, Meghnagi esclude una parte rilevante della Comunità che ha opinio-ni politiche diverse dalla sua. Non è accettabile che un presidente che dovreb-be rappresentare tutte le diverse componenti della Comunità usi strumental-mente la sua carica per fare politica ed esprimere il suo personale posizionamento.Meghnagi, con la sua aer-mazione, trascura il fatto che FDI e Lega sono partiti che preconizzano una so-cietà etnicamente omoge-nea, che corrisponde a una mentalità prettamente raz-zista, e non si rende conto che il sostegno al governo israeliano senza se e senza ma non aiuta Israele, anzi lo danneggia, allontanando fra l’altro una soluzione di pace nella zona. Non pos-siamo darci di chi evoca un mondo ebraico univoco, compatto, legato oltretutto a un’idea di società che tra-disce tutto ciò che caratte-rizza il nostro essere ebrei, la nostra storia. In questo modo, il presidente ha leso la nostra dignità e la nostra libertà.Siamo profondamente in-dignati e chiediamo una discussione all’interno del Consiglio riguardo all’idea di una Comunità ebraica rappresentativa della ric-chezza di tutte le sue com-ponenti.Promotori:Bella Gubbay, Renata Sar-fati, Jardena Tedeschi, Eva Schwarzwald, Sabetay Fre-sko, Susanna Sinigaglia, Joan Haim, Stefano Levi Della Torre.Hanno condiviso e rmato: Carla Biagi Jesurum, Elena Lea Bartolini, Uri Breit, Ghil Busnach, Francesca Calabi, Lia Cammeo, Miriam Ca-merini, Valeria Camerino, Bruna Cases, Timna Co-lombo, Marco Colombo, Francesca Colombo, Mara Della Pergola , Giordano d’Urbino, Renata Ergas, Gaby Ert, Paola Fermo, Enrico Franco, Susanna Fre-sko, Ida Finzi, Paola Finzi, Marco Fiorentino, Miriam Fiorentino, Annapaola For-miggini, Sara Gabbai, Sara Git, Valeria Gandus, Davide Hassan, Ruth Hauben Foà, Franca Heiman, Cecilia Herskowitz, Marika Kahan, Martino Kahan, Joseph Jona Falco, Anna Lanceri, Rober-to Liscia, Fabio Lopez, Irene Lopez, Camilla Malki, Ivano Mariconti, Giulia Modena, Paola Moscato, Claudia Mo-scato, Nyranne Moshi, Silvia Naghel, Diana Nahum, An-tonella Nathanson, Daniela Ottolenghi, Sara Palazzolo, Roberto Polacco, Susanna Ravenna, Gadi Schoenheit, Ida Sznajder, Anna Saralvo, Debora Saviano, Gavriel Segre, Maria Silvera, Gia-como Spizzichino, Marco Soria, Jeri Perahya, Elea-no Raba’, Mario Tedeschi, Graziella Uziel, Lily Uziel, Daniel Yanni, Marco Vige-vani, Leonardo Visco, Eli-sabetta Zevi, Stefania Zevi, Ludovico Cazzola Hofmann, Grazia De Benedetti, Lilia-na Gandus, Silvia Godelli, Manlio Massa, Alessandro SoriaMilanoOstaggi: il dibattito in IsraeleC’è un grosso dibattito, in Israele, sulla sorte degli ostaggi. Dopo quesì 11 mesi di guerra, Hamas Bollettino della Comunità ebraica di Milano. Mensile registrato col n° 612 del 30/09/1948 presso il tribunale di Milano. © Comunità ebraica di Milano, via Sally Mayer, 2 – MILANORedazionevia Sally Mayer, 2, Milanotel: 02 483110 225/205fax: 02 48304660 bollettino@com-ebraicamilano.itAbbonamenti Italia € 70, estero € 100, sostenitore 150 € (Lunario € 8 incluso). Comunità Ebraica di Milano - Banco BPM s.p.a. - IBAN: IT03U0503401708000000025239BIC/SWIFT BAPPIT21I27Direttore ResponsabileFiona Diwan Condirettore Ester MoscatiRedattore esperto Ilaria Myr Art Director e Progetto grafico Dalia Sciama CollaboratoriCyril Aslanov, Aldo Baquis, Pietro Baragiola, Anna Balestrieri, Esterina Dana, David Fiorentini, Nathan Greppi, Marina Gersony, Ludovica Iacovacci, Francesco Paolo La Bionda, Anna Lesnevskaya, Angelo Pezzana, Ilaria Ester Ramazzotti, Paolo Salom, Michael Soncin, Sofia Tranchina, Claudio Vercelli, Ugo Volli, Roberto Zadik, David Zebuloni.FotoOrazio Di GregorioFotolito e stampaAncora - MilanoResponsabile pubblicitàDolfi Diwald pubblicita.bollettino@gmail.com cell. 336 711289 chiuso in Redazione il 20/09/2024ANNO LXXIX, n° 10 Ottobre 2024>Milano - Via Vincenzo Monti, 47Milano - Via Paolo Bassi, 22Milano - P.le Greco (Via E. De Marchi, 52)Bresso - Via Vittorio Veneto, 47Novate Milanese - Via Repubblica, 21Cusano Milanino - Via Luigi Galvani, 13Le Nostre SediTRASPARENZA E SENSIBILITÀ, TRASPARENZA E SENSIBILITÀ, AL VOSTRO FIANCO AL VOSTRO FIANCO PER AIUTARVIPER AIUTARVIServizio24 su 24centrodelfunerale.itcentrodelfunerale.it02.670.5515MILANO - BRESSO - CUSANO MILANINO - NOVATE MILANESEAMICI DI SCUOLAPer il decimo anno la nostra scuola aderisce all’iniziativa Amici di Scuola promossa da Esselunga.Fino al 17 novembre, ogni 15,00 € di spesa e/o 50 punti fragolasi riceverà un buono valido per l’iniziativa Amici di Scuola.Come l’anno scorso i buoni potranno essere inseriti nell’apposita scatola all’ingresso di scuola, oppure caricati attraverso l’app amicidiscuola disponibile su Google Play e App Store.Una volta scaricata l’app bisognerà andare in basso a destra su “prolo” > scegliere “Accedi con le credenziali della tua carta Fidaty” > compilare nome, cognome e numero carta Fidaty e accedere.Tornare alla schermata “Home” (in basso a sinistra) > scegliere Dona i Buoni e Scopri i premi richiesti > cercare la scuola > Lombardia > Milano > Milano > selezionare SC.ELEM.PAR.A.DA FANO-COMUNITA’EBRAICA, VIA SALLY MAYER, 4/6 selezionare DONA BUONI Per caricare i buoni potrete procedere in due modi: - inserendo il numero seriale presente sul barcode del buono- scansionando direttamente il barcode. I buoni potranno essere caricati ENTRO E NON OLTRE il 19 DICEMBRE 2024.Questa iniziativa ha permesso negli anni alla nostra scuola di richiedere moltissimi premi e ogni buono può fare la differenza!!!
detiene ancora più di 100 persone e non sappiamo quante di loro siano anco-ra in vita.Le famiglie, giustamente, chiedono che il governo tratti senza condizioni per il rilascio dei loro cari, ma la domanda è: è giusto trat-tare con dei terroristi? Che garanzie abbiamo che ven-gano rilasciati tutti? Che garanzie abbiamo che non vengano uccisi prima del rilascio?Alla luce del ritrovamento di 6 cadaveri, credo che sia più facile immaginare che ci restituiscano solo dei morti e noi…..dobbiamo in cambio liberare le carceri?Sono domande difficili, problemi etici di dicile risoluzione, siamo tutti lacerati e, purtroppo, divisi nelle risposte. La storia ci insegna che non esce nulla di buono quando il popo-lo ebraico è diviso, ma su questo giocano i terroristi perché sanno quanto valo-re noi diamo alla vita.Che H” ci aiutiEster BiancaAmiras PicciottoGerusalemme, IsraeleCerco lavoroSi eseguono traduzioni da/in inglese, francese, spagnolo. Massima serietà e professionalità.i348 8223792 virginia attas60@gmail.com §Autista e accompagnatore multilingue. In pensione, ho ancora voglia di lavora-re e mettere a disposizione le mie competenze e la mia passione per il mio lavoro. Oro il mio servizio di au-tista e accompagnatore per viaggie trasporti di vario tipo, sia per singole persone che per gruppi internazio-nali. Sono disponibile an-che a coadiuvare/integrare il personale eristico e a mettere a disposizione le mie competenze in occasio-ne di eventi. Parlo uente-mente tre lingue: italiano, francese (madrelingua) ed inglese. iIsacco, +39-3519393441§Quarantenne, laureata, se-guo bambini e ragazzi per compiti a casa o lezioni pri-vate, lingue (inglese, france-se, spagnolo). i 347 5312852.§Insegnante madrelingue in-glese americana impartisce lezioni private d’inglese. Esperienza nei licei ameri-cani, e al British Schools di Milano e con tanti studenti della scuola ebraica per pre-parazioni esami, recupero, e application universitari.i333 689 9203.§Carabiniere in pensione of-fresi per lavori di duciaiRemo, +39 3313741304.Cerco casaDue ragazzi studenti cerca-no un bilocale in atto con referenze dai precedenti proprietari. Si richiede una cucina kosherizzata. Zone di interesse: Gracchi, Scuo-la Ebraica, Bande Nere. Budget 1300-1700 euro al mese.iIlia Emanuel,327 2435436.AfttasiAttasi camera con bagno in appartamento zona scuola ebraica, uso cucina kasher, internet, lavatrice. i333 4816502, Tzipi.§Attasi a Tel Aviv, per bre-vi periodi, appartamento centrale e silenzioso, con splendida vista su un giar-dino. Completamente arre-dato e accessoriato.i334 3997251.§Milano, Via Fiordalisi, bilo-cale 59 mq, arredato, adia-cente nuova MM blu GEL-SOMINI. Salotto, camera da letto, cucina, sgabuzzi-no, bagno, balcone. Quarto piano con ascensore. Porti-neria al mattino (6 giorni/settimana). 1000 euro al mese + le spese condomi-niali (180/mese).iDavid 346.2404648§Attiamo per brevi perio-di un bell’appartamento di design, in un elegante pa-lazzo antico, nel centro di Milano, a due passi da Por-ta Venezia, tra gallerie d’ar-te, negozi, buoni ristoranti e locali serali. iTarin +39 3402753395gartnertarin@gmail.comVarieMezuzot, Tellin e Sifrei Toràh. Vendesi Mezuzot di tutte le dimensioni, Telin e Sifrei Toràh a prezzi in-teressanti. Talit e custodie ottimi per Bar Mitzvah e Note tristiVERA MISULSARACINIIl 21 di agosto è mancata ad Ancona, all’aetto dei suoi cari, la mia amata so-rella Vera. Ha lasciato un vuoto nei nostri cuori, ma la sua presenza sarà sem-pre con noi che l’abbiamo amata e che le siamo stati vicini, nella sua casa, nei suoi ultimi momenti ter-reni.Vera ed io eravamo legate da un profondo aetto n da bambine, mi manche-ranno le nostre telefonate dove ti raccontavo di tut-to e lo scambio reciproco di ricette. Sei stata una buona moglie per Marcel-lo che ti ha accudito con amore e per tuoi gli Claudio e Stefania sempre presente e attenta.Tante sono state le perso-ne che sono venute a darti un ultimo saluto perché eri amata da tutti, le ami-che di sempre e i cugini Anconetani. I tuoi nipoti Renata, Guido, Andrea, Edoardo e Sarah ti ricor-deranno sempre con af-fetto perché per loro sei stata come una seconda mamma.Ringrazio Rav Sciunnach per essere stato presente con le preghiere, la comu-nità di Roma per averci mandato due brave vo-lontarie per la Tahara e la comunità di Ancona per il supporto in questo do-loroso momento.Che il suo ricordo sia di benedizione.Baruch Dayan Ha EmetTua sorella SoniaESTER DEBASC IN BARKI Z”LNel 23° anniversario della scomparsa di Ester De-basc in Barki z”l avvenuta l’8 di Tishrì del 2001 ri-cordiamo con immutato amore e aetto la nostra cara Mamma e Nonna, i gli Giuseppe, Gilberto e Perla, le nuore Claudia e Rosetta, il genero Davide e i nipoti Alice, Mattia e Davide.DIANA COHENCarissima mamma, non solo mi manchi sempre tanto, sebbene siano pas-sati tanti anni da quando ci hai lasciti, ma ora c’è una super novità: sei di-ventata bisnonna! Irene, la glia di Maurice mio fratello, ha messo al mon-do un bel maschietto! Ve-glia su di loro, su tutti noi e a breve invierò anche a papà la stessa richiesta!Un abbraccio spirituale sempre forte, tanti baci e spero che lassù le cose va-dano meglio che qua! Tua glia Daniela che ti vuole sempre tanto bene, con Maurice, Irene, il suo pic-colo Miro e Arianna.ALBERTO VITA Il 30 ottobre è il 15° anni-versario della scomparsa di Alberto Vita. La moglie, i gli e le nipotine lo ricor-dano con immutato amore e nostalgia.Dal 18 luglio al 20 settem-bre 2024 sono mancati:Suzan Yessula Desivilya, Liliana Terdiman, Miriam Linker, Gabriella Glass, Adriana Segre, Semael Mazalto, Mario Misan, Jacqueline Meghnagi, Gia-como Beniacar, Rita Mar-telli, Diana Segre, Luigi Behar.Sia il loro ricordo Benedizione. AnnunciPOST IT POST IT Rendiamo più facile il momento più difficile.CLAUSOLA DI ESONERODI RESPONSABILITÀ RELATIVA AI COPYRIGHTRispettiamo i detentori di copyright, tra cui fotogra, autori e altri soggetti, che potrebbero avere diritti sui contenuti che pubblichiamo.Ci impegniamo quotidianamente a vericare le fonti, individuare i detentori dei diritti di autore e dei copyright relativi a tutti i materiali visivi che condividiamo sui nostri canali.Qualora, nonostante i nostri sforzi, riteneste che potremmo aver commesso un errore di valutazione nel processo di verica delle fonti e dei diritti del materiale visivo da noi utilizzato, vi preghiamo di inviarci un’email a bollettino@com-ebraicamilano.itGrazie per la collaborazione.regali di judaica.Info Rav Shmuel.i328 7340028 samhez@gmail.com §Professionista correligiona-rio ore servizi di gestione di appartamenti in moda-lità atti brevi (es. Airbnb, Booking, ecc.)iFederico, 320 326 0065.§Vuoi imparare velocemente l’aascinante lingua ebraica? Ragazzo madrelingua ebrai-co ed italiano, impartisce le-zioni private con un metodo moderno ed eciente.iInfo: 340 6162014.§Traduttore giurato ebrai-co - italiano, accreditato anche presso Ambasciata di Israele a Roma oresi.i334 7375463, Meir Polacco, givatbrenner1953@gmail.comRicercaL’Associazione Figli della Shoah cerca volontari per collaborazioni e mansioni d’ucio presso la propria sede di Milano. iInviare le proprie can-didature ainfo@glidellashoah.orgLettere>Teniamo in ordine imonumenti dei tuoi CariManutenzioni - GiardinaggioScritte Dorate - Monumenti FunebriTel. 339 73 26 26 9info@igiardinieridellamemoria.itVia E. Jona Milano (Cimitero Ebraico)Per gli abbonatiin Italia e all’Estero:controllate la scadenzadel vostro abbonamento aBet MagazineBollettino della Comunitàebraica di MilanoPer continuare a riceverlo, scrivete a:bollettino@com-ebraicamilano.itCAMPAGNA 2024/2025ABBONAMENTI
detiene ancora più di 100 persone e non sappiamo quante di loro siano anco-ra in vita.Le famiglie, giustamente, chiedono che il governo tratti senza condizioni per il rilascio dei loro cari, ma la domanda è: è giusto trat-tare con dei terroristi? Che garanzie abbiamo che ven-gano rilasciati tutti? Che garanzie abbiamo che non vengano uccisi prima del rilascio?Alla luce del ritrovamento di 6 cadaveri, credo che sia più facile immaginare che ci restituiscano solo dei morti e noi…..dobbiamo in cambio liberare le carceri?Sono domande difficili, problemi etici di dicile risoluzione, siamo tutti lacerati e, purtroppo, divisi nelle risposte. La storia ci insegna che non esce nulla di buono quando il popo-lo ebraico è diviso, ma su questo giocano i terroristi perché sanno quanto valo-re noi diamo alla vita.Che H” ci aiutiEster BiancaAmiras PicciottoGerusalemme, IsraeleCerco lavoroSi eseguono traduzioni da/in inglese, francese, spagnolo. Massima serietà e professionalità.i348 8223792 virginia attas60@gmail.com §Autista e accompagnatore multilingue. In pensione, ho ancora voglia di lavora-re e mettere a disposizione le mie competenze e la mia passione per il mio lavoro. Oro il mio servizio di au-tista e accompagnatore per viaggie trasporti di vario tipo, sia per singole persone che per gruppi internazio-nali. Sono disponibile an-che a coadiuvare/integrare il personale eristico e a mettere a disposizione le mie competenze in occasio-ne di eventi. Parlo uente-mente tre lingue: italiano, francese (madrelingua) ed inglese. iIsacco, +39-3519393441§Quarantenne, laureata, se-guo bambini e ragazzi per compiti a casa o lezioni pri-vate, lingue (inglese, france-se, spagnolo). i 347 5312852.§Insegnante madrelingue in-glese americana impartisce lezioni private d’inglese. Esperienza nei licei ameri-cani, e al British Schools di Milano e con tanti studenti della scuola ebraica per pre-parazioni esami, recupero, e application universitari.i333 689 9203.§Carabiniere in pensione of-fresi per lavori di duciaiRemo, +39 3313741304.Cerco casaDue ragazzi studenti cerca-no un bilocale in atto con referenze dai precedenti proprietari. Si richiede una cucina kosherizzata. Zone di interesse: Gracchi, Scuo-la Ebraica, Bande Nere. Budget 1300-1700 euro al mese.iIlia Emanuel,327 2435436.AfttasiAttasi camera con bagno in appartamento zona scuola ebraica, uso cucina kasher, internet, lavatrice. i333 4816502, Tzipi.§Attasi a Tel Aviv, per bre-vi periodi, appartamento centrale e silenzioso, con splendida vista su un giar-dino. Completamente arre-dato e accessoriato.i334 3997251.§Milano, Via Fiordalisi, bilo-cale 59 mq, arredato, adia-cente nuova MM blu GEL-SOMINI. Salotto, camera da letto, cucina, sgabuzzi-no, bagno, balcone. Quarto piano con ascensore. Porti-neria al mattino (6 giorni/settimana). 1000 euro al mese + le spese condomi-niali (180/mese).iDavid 346.2404648§Attiamo per brevi perio-di un bell’appartamento di design, in un elegante pa-lazzo antico, nel centro di Milano, a due passi da Por-ta Venezia, tra gallerie d’ar-te, negozi, buoni ristoranti e locali serali. iTarin +39 3402753395gartnertarin@gmail.comVarieMezuzot, Tellin e Sifrei Toràh. Vendesi Mezuzot di tutte le dimensioni, Telin e Sifrei Toràh a prezzi in-teressanti. Talit e custodie ottimi per Bar Mitzvah e Note tristiVERA MISULSARACINIIl 21 di agosto è mancata ad Ancona, all’aetto dei suoi cari, la mia amata so-rella Vera. Ha lasciato un vuoto nei nostri cuori, ma la sua presenza sarà sem-pre con noi che l’abbiamo amata e che le siamo stati vicini, nella sua casa, nei suoi ultimi momenti ter-reni.Vera ed io eravamo legate da un profondo aetto n da bambine, mi manche-ranno le nostre telefonate dove ti raccontavo di tut-to e lo scambio reciproco di ricette. Sei stata una buona moglie per Marcel-lo che ti ha accudito con amore e per tuoi gli Claudio e Stefania sempre presente e attenta.Tante sono state le perso-ne che sono venute a darti un ultimo saluto perché eri amata da tutti, le ami-che di sempre e i cugini Anconetani. I tuoi nipoti Renata, Guido, Andrea, Edoardo e Sarah ti ricor-deranno sempre con af-fetto perché per loro sei stata come una seconda mamma.Ringrazio Rav Sciunnach per essere stato presente con le preghiere, la comu-nità di Roma per averci mandato due brave vo-lontarie per la Tahara e la comunità di Ancona per il supporto in questo do-loroso momento.Che il suo ricordo sia di benedizione.Baruch Dayan Ha EmetTua sorella SoniaESTER DEBASC IN BARKI Z”LNel 23° anniversario della scomparsa di Ester De-basc in Barki z”l avvenuta l’8 di Tishrì del 2001 ri-cordiamo con immutato amore e aetto la nostra cara Mamma e Nonna, i gli Giuseppe, Gilberto e Perla, le nuore Claudia e Rosetta, il genero Davide e i nipoti Alice, Mattia e Davide.DIANA COHENCarissima mamma, non solo mi manchi sempre tanto, sebbene siano pas-sati tanti anni da quando ci hai lasciti, ma ora c’è una super novità: sei di-ventata bisnonna! Irene, la glia di Maurice mio fratello, ha messo al mon-do un bel maschietto! Ve-glia su di loro, su tutti noi e a breve invierò anche a papà la stessa richiesta!Un abbraccio spirituale sempre forte, tanti baci e spero che lassù le cose va-dano meglio che qua! Tua glia Daniela che ti vuole sempre tanto bene, con Maurice, Irene, il suo pic-colo Miro e Arianna.ALBERTO VITA Il 30 ottobre è il 15° anni-versario della scomparsa di Alberto Vita. La moglie, i gli e le nipotine lo ricor-dano con immutato amore e nostalgia.Dal 18 luglio al 20 settem-bre 2024 sono mancati:Suzan Yessula Desivilya, Liliana Terdiman, Miriam Linker, Gabriella Glass, Adriana Segre, Semael Mazalto, Mario Misan, Jacqueline Meghnagi, Gia-como Beniacar, Rita Mar-telli, Diana Segre, Luigi Behar.Sia il loro ricordo Benedizione. AnnunciPOST IT POST IT Rendiamo più facile il momento più difficile.CLAUSOLA DI ESONERODI RESPONSABILITÀ RELATIVA AI COPYRIGHTRispettiamo i detentori di copyright, tra cui fotogra, autori e altri soggetti, che potrebbero avere diritti sui contenuti che pubblichiamo.Ci impegniamo quotidianamente a vericare le fonti, individuare i detentori dei diritti di autore e dei copyright relativi a tutti i materiali visivi che condividiamo sui nostri canali.Qualora, nonostante i nostri sforzi, riteneste che potremmo aver commesso un errore di valutazione nel processo di verica delle fonti e dei diritti del materiale visivo da noi utilizzato, vi preghiamo di inviarci un’email a bollettino@com-ebraicamilano.itGrazie per la collaborazione.regali di judaica.Info Rav Shmuel.i328 7340028 samhez@gmail.com §Professionista correligiona-rio ore servizi di gestione di appartamenti in moda-lità atti brevi (es. Airbnb, Booking, ecc.)iFederico, 320 326 0065.§Vuoi imparare velocemente l’aascinante lingua ebraica? Ragazzo madrelingua ebrai-co ed italiano, impartisce le-zioni private con un metodo moderno ed eciente.iInfo: 340 6162014.§Traduttore giurato ebrai-co - italiano, accreditato anche presso Ambasciata di Israele a Roma oresi.i334 7375463, Meir Polacco, givatbrenner1953@gmail.comRicercaL’Associazione Figli della Shoah cerca volontari per collaborazioni e mansioni d’ucio presso la propria sede di Milano. iInviare le proprie can-didature ainfo@glidellashoah.orgLettere>Teniamo in ordine imonumenti dei tuoi CariManutenzioni - GiardinaggioScritte Dorate - Monumenti FunebriTel. 339 73 26 26 9info@igiardinieridellamemoria.itVia E. Jona Milano (Cimitero Ebraico)Per gli abbonatiin Italia e all’Estero:controllate la scadenzadel vostro abbonamento aBet MagazineBollettino della Comunitàebraica di MilanoPer continuare a riceverlo, scrivete a:bollettino@com-ebraicamilano.itCAMPAGNA 2024/2025ABBONAMENTI
Toscana EbraicaALLA SCOPERTA DELLAIL VIAGGIO DI KESHER DAL 17 AL 21 NOVEMBRE 2024DESIGN BYDANIELA HAGGIAGINFO E PRENOTAZIONI: PAOLA HAZAN BOCCIA | CELL. 339 4836414 / 393 8683899 | PAOLA.HAZAN@COM-EBRAICAMILANO.ITPROGRAMMA (SOGGETTO A VARIAZIONI)DOMENICA 17 NOVEMBRE PISA - LIVORNOPartenza in bus GT da Milano, via Arzaga 1Arrivo a PISA. Passeggiata guidata attraverso il centro storico con una sosta in via Sant’Andrea davanti alla Casa Pardo Roques e attraversamento di uno dei vari antichi quartieri ebraici della città. Visita di Piazza dei Miracoli, della Sinagoga e dell’Antico Cimitero Ebraico. Pranzo al sacco presso la Sinagoga di Pisa. Visita della città di LIVORNOVisita della Sinagoga e del Museo Ebraico. Tempo permettendo, visita di Villa Mimbelli, la splendida sede del Museo Civico Giovanni Fattori con i quadri dei più famosi pittori macchiaioli Cena presso il Ristorante Ba’Ghetto a Firenze. Check-in e pernottamento presso l’Hotel Villa Neroli (4 stelle) a FirenzeLUNEDì 18 NOVEMBRE - FIRENZE Visita della Firenze ebraicaPasseggiata a piedi nel centro storico della città per scoprire l’inaspettata presenza della storia ebraica in alcuni dei più celebri luoghi di Firenze come la zona del Duomo (solo esterni), il Campanile di Giotto e la ‘Porta del Paradiso’ del Battistero con le celebre ragurazioni di alcune storie del Tanach, Piazza della Repubblica dove era situato il Ghetto dal 1571 alla fine dell’800, Piazza della Signoria, Ponte Vecchio vicino al quale ancora esiste l’antica ‘Via dei Giudei’ attualmente denominata via dei Ramaglianti. Visita della Sinagoga e del Museo ebraico di Firenze. Pranzo presso il Ristorante Ba’Ghetto. Visita delle Cappelle Medicee e di alcune sale all’interno di Palazzo Vecchio dove sono esposte antiche vedute di FirenzeCena presso il Ristorante Ba’Ghetto a Firenze. Pernottamento in HotelMARTEDì 19 NOVEMBRE SIENA E SAN GIMIGNANOPasseggiata per Piazza del Campo con la Fonte Gaia, la più bella delle fonti d’acqua senesi. Visita di Palazzo Pubblico con il Museo Civico e la Torre del Mangia.Pranzo al sacco. Visita della Sinagoga di Siena e passeggiata per il vecchio GhettoTrasferimento per una breve passeggiata nel centro storico di San GimignanoRientro a Firenze e cena presso il Ristorante Ba’Ghetto Pernottamento in hotel a FirenzeMERCOLEDì 20 NOVEMBRE - FIRENZEVisita delle Gallerie degli Uzi. Pranzo presso il Ristorante Ba’Ghetto. Visita di Piazzale Michelangelo e Palazzo Pitti. Cena presso il Ristorante Ba’GhettoPernottamento in hotelGIOVEDì 21 NOVEMBRE MONTE SAN SAVINO E AREZZOVisita dell’edificio dove sono visibili alcuni elementi dell’antica Sinagoga e del mikve di Monte San Savino. Visita dell’area del ghetto e del centro storico dove si trovavano i banchi di pegno ebraici. Visita di Arezzo. Passeggiata per il centro storico: il loggiato di Piazza Grande, la Fortezza Medicea. Pranzo al sacco. Visita della Casa Museo di Giorgio Vasari. Rientro in bus a Milano, via Arzaga 1QUOTA DI PARTECIPAZIONE1.350 € a persona in camera doppia380 € supplemento singola Contributo di 30 € cash a persona per le spese in loco.Albergo 4 stelle a Firenze, Bus GTPasti kasherEscursioni a Pisa, Siena, San Gimignano, Livorno e Arezzowww.bev.globalCrafting Financial SuccessNote feliciLettere, annunci e note si ricevono solo via email a: bollettino@com-ebraicamilano.itPOST ITNOZZE KATRI – BATTATUn aettuoso mazal tov a Chana Katri e a Joshua Battat che hanno celebrato il loro matrimonio il 2 settembre in Israele. Auguri a Moussi e Iolanda Katri, Debra e Robert Battat e a tutta la famiglia.NOEMI ORTONAIl 18 luglio 2024, al Politecnico di Milano, Noemi Ortona si è laureata in Ingegneria Matematica con il massimo dei voti. I genitori, i fratelli, i nonni e tutta la famiglia si congratulano, orgogliosi, con il neo ingegnere!DAVID LEV RUBENNadine Graubardt e Andrea Castelnuovo annunciano con innita gioia e gratitudine la nascita il 3 settembre 2024 Rosh Hodesh Elul a Genova di David Lev Ruben. Mazal tov ai neo genitori, ai nonni Sylvette, Eugenia ed Enrico, agli zii Debora e Marzio, Dany e Michal, ai cugini Daniel, Elia, Ariel e Lea. Un ringraziamento particolare a Rav Momigliano e Dott Luzon che hanno partecipato con simcha al Brit Mila.BENJAMINDELLO STROLOGOIl 21 settembre (18 Elul)Benjamin Meyer Dello Strologo ha celebrato il suo Bar Mitzvà circondato dal caloroso aetto di parenti e amici. Mazal Tov al Bar Mitzvà e alla famiglia!Vendesi a Santa Margherita LigureLa Comunità ebraica di Milano dismette un immobile di sua proprietà in località Santa Margherita Ligure, in via G. Garibaldi 11/5,5° piano (no ascensore), mq 45, con vista sul porticciolo.La richiesta base è di euro 630.000Gli interessati dovranno fare pervenire manifestazione di interessein busta chiusa alla segreteria generale in via Sally Mayer 6.Sulla busta si dovrà scrivere “riferimento Santa Margherita”.Le buste dovranno pervenire entro e non oltre le ore 16 di giovedì 31 ottobre.Info: scrivere a segreteria.generale@com-ebraicamilano.itoppure telefonare a 02 483110 223
Toscana EbraicaALLA SCOPERTA DELLAIL VIAGGIO DI KESHER DAL 17 AL 21 NOVEMBRE 2024DESIGN BYDANIELA HAGGIAGINFO E PRENOTAZIONI: PAOLA HAZAN BOCCIA | CELL. 339 4836414 / 393 8683899 | PAOLA.HAZAN@COM-EBRAICAMILANO.ITPROGRAMMA (SOGGETTO A VARIAZIONI)DOMENICA 17 NOVEMBRE PISA - LIVORNOPartenza in bus GT da Milano, via Arzaga 1Arrivo a PISA. Passeggiata guidata attraverso il centro storico con una sosta in via Sant’Andrea davanti alla Casa Pardo Roques e attraversamento di uno dei vari antichi quartieri ebraici della città. Visita di Piazza dei Miracoli, della Sinagoga e dell’Antico Cimitero Ebraico. Pranzo al sacco presso la Sinagoga di Pisa. Visita della città di LIVORNOVisita della Sinagoga e del Museo Ebraico. Tempo permettendo, visita di Villa Mimbelli, la splendida sede del Museo Civico Giovanni Fattori con i quadri dei più famosi pittori macchiaioli Cena presso il Ristorante Ba’Ghetto a Firenze. Check-in e pernottamento presso l’Hotel Villa Neroli (4 stelle) a FirenzeLUNEDì 18 NOVEMBRE - FIRENZE Visita della Firenze ebraicaPasseggiata a piedi nel centro storico della città per scoprire l’inaspettata presenza della storia ebraica in alcuni dei più celebri luoghi di Firenze come la zona del Duomo (solo esterni), il Campanile di Giotto e la ‘Porta del Paradiso’ del Battistero con le celebre ragurazioni di alcune storie del Tanach, Piazza della Repubblica dove era situato il Ghetto dal 1571 alla fine dell’800, Piazza della Signoria, Ponte Vecchio vicino al quale ancora esiste l’antica ‘Via dei Giudei’ attualmente denominata via dei Ramaglianti. Visita della Sinagoga e del Museo ebraico di Firenze. Pranzo presso il Ristorante Ba’Ghetto. Visita delle Cappelle Medicee e di alcune sale all’interno di Palazzo Vecchio dove sono esposte antiche vedute di FirenzeCena presso il Ristorante Ba’Ghetto a Firenze. Pernottamento in HotelMARTEDì 19 NOVEMBRE SIENA E SAN GIMIGNANOPasseggiata per Piazza del Campo con la Fonte Gaia, la più bella delle fonti d’acqua senesi. Visita di Palazzo Pubblico con il Museo Civico e la Torre del Mangia.Pranzo al sacco. Visita della Sinagoga di Siena e passeggiata per il vecchio GhettoTrasferimento per una breve passeggiata nel centro storico di San GimignanoRientro a Firenze e cena presso il Ristorante Ba’Ghetto Pernottamento in hotel a FirenzeMERCOLEDì 20 NOVEMBRE - FIRENZEVisita delle Gallerie degli Uzi. Pranzo presso il Ristorante Ba’Ghetto. Visita di Piazzale Michelangelo e Palazzo Pitti. Cena presso il Ristorante Ba’GhettoPernottamento in hotelGIOVEDì 21 NOVEMBRE MONTE SAN SAVINO E AREZZOVisita dell’edificio dove sono visibili alcuni elementi dell’antica Sinagoga e del mikve di Monte San Savino. Visita dell’area del ghetto e del centro storico dove si trovavano i banchi di pegno ebraici. Visita di Arezzo. Passeggiata per il centro storico: il loggiato di Piazza Grande, la Fortezza Medicea. Pranzo al sacco. Visita della Casa Museo di Giorgio Vasari. Rientro in bus a Milano, via Arzaga 1QUOTA DI PARTECIPAZIONE1.350 € a persona in camera doppia380 € supplemento singola Contributo di 30 € cash a persona per le spese in loco.Albergo 4 stelle a Firenze, Bus GTPasti kasherEscursioni a Pisa, Siena, San Gimignano, Livorno e Arezzowww.bev.globalCrafting Financial SuccessNote feliciLettere, annunci e note si ricevono solo via email a: bollettino@com-ebraicamilano.itPOST ITNOZZE KATRI – BATTATUn aettuoso mazal tov a Chana Katri e a Joshua Battat che hanno celebrato il loro matrimonio il 2 settembre in Israele. Auguri a Moussi e Iolanda Katri, Debra e Robert Battat e a tutta la famiglia.NOEMI ORTONAIl 18 luglio 2024, al Politecnico di Milano, Noemi Ortona si è laureata in Ingegneria Matematica con il massimo dei voti. I genitori, i fratelli, i nonni e tutta la famiglia si congratulano, orgogliosi, con il neo ingegnere!DAVID LEV RUBENNadine Graubardt e Andrea Castelnuovo annunciano con innita gioia e gratitudine la nascita il 3 settembre 2024 Rosh Hodesh Elul a Genova di David Lev Ruben. Mazal tov ai neo genitori, ai nonni Sylvette, Eugenia ed Enrico, agli zii Debora e Marzio, Dany e Michal, ai cugini Daniel, Elia, Ariel e Lea. Un ringraziamento particolare a Rav Momigliano e Dott Luzon che hanno partecipato con simcha al Brit Mila.BENJAMINDELLO STROLOGOIl 21 settembre (18 Elul)Benjamin Meyer Dello Strologo ha celebrato il suo Bar Mitzvà circondato dal caloroso aetto di parenti e amici. Mazal Tov al Bar Mitzvà e alla famiglia!Vendesi a Santa Margherita LigureLa Comunità ebraica di Milano dismette un immobile di sua proprietà in località Santa Margherita Ligure, in via G. Garibaldi 11/5,5° piano (no ascensore), mq 45, con vista sul porticciolo.La richiesta base è di euro 630.000Gli interessati dovranno fare pervenire manifestazione di interessein busta chiusa alla segreteria generale in via Sally Mayer 6.Sulla busta si dovrà scrivere “riferimento Santa Margherita”.Le buste dovranno pervenire entro e non oltre le ore 16 di giovedì 31 ottobre.Info: scrivere a segreteria.generale@com-ebraicamilano.itoppure telefonare a 02 483110 223
Ricette ebraiche (della mamma, della zia, della nonna...)(della mamma, della zia, della nonna...)di Rebanit Rivky HazanTorta di miele (Lekach) per un anno buono e dolceIngredienti per 6/8 persone3 uova1½ bicchiere di zucchero1 bicchiere di olio, 1 bicchiere di miele1 cucchiaio di caffè dissolto in1 bicchiere di acqua calda4 bicchiere di farina, 1 cucchiaino di bicarbonato 1 cucchiaino di chiodi di garofano macinati1 pizzico di saleMettete in una ciotola le uova, lo zucchero, l’olio e amalgamate bene. Aggiungete il miele e il caè dissolto nell’acqua calda e mischiate ancora un pochino. Inne aggiungete la farina, il bicarbonato, chiodi di garofano macinati e il sale.Versate l’impasto in una teglia rotonda o in due teglie da plum cake. Infornate in forno a 160° per circa 40 minuti.Shanà Tovà!PreparazioneHoshanà Rabbà, il settimo giorno di Succòt, è considerato il giorno nale del “giudizio” divino in cui si determina il destino del nuovo anno. È il giorno in cui viene reso denitivo il verdetto emesso a Rosh Hashanà e Yom Kippur.Il Midrash dice che Hashem disse ad Avraham: “Se l’espiazione non è concessa ai tuoi gli a Rosh Hashanà, la concederò a Yom Kippur; se non la ottengono durante Yom Kippur, sarà loro concessa a Hoshanà Rabbà”. A Hoshanà Rabbà, il Rebbe usava dare un pezzo di “lekach” ad ogni ospite arrivato a New York per festeggiare Succòt. Per tanti anni, ho avuto il merito di riceverlo. Come tutti, passavo, in silenzio, tendendo la mano; il Rebbe mi dava un pezzo di lekach e guardandomi negli occhi augurava “Leshanà tovà Umetukà” e senza interrompere il contatto visivo, mi dava un secondo pezzo dicendo (in Yiddish) “questo è per Milano”. Tornata a Milano, lo sbriciolavo e lo aggiungevo all’impasto di tanti lekach che poi distribuivo.BAIT SHELÌdi Ilaria MyrBoicottare: dall’800 a oggiQuesto mese vi proponiamo per questa rubrica l’approfondimento su una parola che, pur non essendo legata nella sua etimologia o origine al mondo ebraico, è però, purtroppo, molto presente nell’attualità. Parliamo del verbo ‘boicottare’, da anni – e da dopo il 7ottobre più che mai – richiesto a gran voce contro tutto ciò che è legato a Israele (vedi le attività del movimento BDS) e, negli ultimi tempi, perno nel mondo accademico (che dovrebbe essere per eccellenza luogo di scambio di cultura e dialogo).Come spiega l’Accademia della Crusca, il termine boicottaggio deriva dal nome del capitano inglese Charles Cunningham Boycott (1832-1897), un amministratore terriero vissuto nel XIX secolo in Irlanda. Come amministratore del conte di Erne, aiggeva vessazioni ai contadini suoi dipendenti. Fu così che la Lega irlandese dei lavoratori della terra, l’Irish Land League, lanciò nel 1880 una campagna di isolamento e non collaborazione contro Boycott: non solo i contadini ma l’intera popolazione della contea di Mayo interruppero i rapporti e i servizi con Boycott e la sua amministrazione. I vicini di casa iniziarono a non parlargli, in chiesa nessuno si sedette più vicino a lui o gli rivolse la parola, non fu più servito nei negozi né ebbe più braccianti da ingaggiare per il raccolto nelle tenute che gestiva. Il fatto ebbe forte eco nell’opinione pubblica inglese, anche perché lo stesso Boycott denunciò la situazione con una serie di lettere-resoconti al Times. Le terre del conte cominciarono a inaridire e Boycott fu licenziato. Ma il governo inglese, non accettando l’insubor-dinazione irlandese, decise di intervenire, inviando una scorta militare per proteggere Boycott, che fu costretto comunque a lasciare l’Irlanda il 1º dicembre dello stesso anno.Lo sapevate che... ?... ?Nel dare il benvenuto al nuovo anno, EL AL vi auguraShana Tovaun anno in buona salute,colmo di pace e gioia.Possa quest'anno portare rinnovamento,speranza e legami più forti,unità e calore dello stare insiemeelal.comottobre 202448
Ricette ebraiche (della mamma, della zia, della nonna...)(della mamma, della zia, della nonna...)di Rebanit Rivky HazanTorta di miele (Lekach) per un anno buono e dolceIngredienti per 6/8 persone3 uova1½ bicchiere di zucchero1 bicchiere di olio, 1 bicchiere di miele1 cucchiaio di caffè dissolto in1 bicchiere di acqua calda4 bicchiere di farina, 1 cucchiaino di bicarbonato 1 cucchiaino di chiodi di garofano macinati1 pizzico di saleMettete in una ciotola le uova, lo zucchero, l’olio e amalgamate bene. Aggiungete il miele e il caè dissolto nell’acqua calda e mischiate ancora un pochino. Inne aggiungete la farina, il bicarbonato, chiodi di garofano macinati e il sale.Versate l’impasto in una teglia rotonda o in due teglie da plum cake. Infornate in forno a 160° per circa 40 minuti.Shanà Tovà!PreparazioneHoshanà Rabbà, il settimo giorno di Succòt, è considerato il giorno nale del “giudizio” divino in cui si determina il destino del nuovo anno. È il giorno in cui viene reso denitivo il verdetto emesso a Rosh Hashanà e Yom Kippur.Il Midrash dice che Hashem disse ad Avraham: “Se l’espiazione non è concessa ai tuoi gli a Rosh Hashanà, la concederò a Yom Kippur; se non la ottengono durante Yom Kippur, sarà loro concessa a Hoshanà Rabbà”. A Hoshanà Rabbà, il Rebbe usava dare un pezzo di “lekach” ad ogni ospite arrivato a New York per festeggiare Succòt. Per tanti anni, ho avuto il merito di riceverlo. Come tutti, passavo, in silenzio, tendendo la mano; il Rebbe mi dava un pezzo di lekach e guardandomi negli occhi augurava “Leshanà tovà Umetukà” e senza interrompere il contatto visivo, mi dava un secondo pezzo dicendo (in Yiddish) “questo è per Milano”. Tornata a Milano, lo sbriciolavo e lo aggiungevo all’impasto di tanti lekach che poi distribuivo.BAIT SHELÌdi Ilaria MyrBoicottare: dall’800 a oggiQuesto mese vi proponiamo per questa rubrica l’approfondimento su una parola che, pur non essendo legata nella sua etimologia o origine al mondo ebraico, è però, purtroppo, molto presente nell’attualità. Parliamo del verbo ‘boicottare’, da anni – e da dopo il 7ottobre più che mai – richiesto a gran voce contro tutto ciò che è legato a Israele (vedi le attività del movimento BDS) e, negli ultimi tempi, perno nel mondo accademico (che dovrebbe essere per eccellenza luogo di scambio di cultura e dialogo).Come spiega l’Accademia della Crusca, il termine boicottaggio deriva dal nome del capitano inglese Charles Cunningham Boycott (1832-1897), un amministratore terriero vissuto nel XIX secolo in Irlanda. Come amministratore del conte di Erne, aiggeva vessazioni ai contadini suoi dipendenti. Fu così che la Lega irlandese dei lavoratori della terra, l’Irish Land League, lanciò nel 1880 una campagna di isolamento e non collaborazione contro Boycott: non solo i contadini ma l’intera popolazione della contea di Mayo interruppero i rapporti e i servizi con Boycott e la sua amministrazione. I vicini di casa iniziarono a non parlargli, in chiesa nessuno si sedette più vicino a lui o gli rivolse la parola, non fu più servito nei negozi né ebbe più braccianti da ingaggiare per il raccolto nelle tenute che gestiva. Il fatto ebbe forte eco nell’opinione pubblica inglese, anche perché lo stesso Boycott denunciò la situazione con una serie di lettere-resoconti al Times. Le terre del conte cominciarono a inaridire e Boycott fu licenziato. Ma il governo inglese, non accettando l’insubor-dinazione irlandese, decise di intervenire, inviando una scorta militare per proteggere Boycott, che fu costretto comunque a lasciare l’Irlanda il 1º dicembre dello stesso anno.Lo sapevate che... ?... ?Nel dare il benvenuto al nuovo anno, EL AL vi auguraShana Tovaun anno in buona salute,colmo di pace e gioia.Possa quest'anno portare rinnovamento,speranza e legami più forti,unità e calore dello stare insiemeelal.comottobre 202448
DVORA MAGAZINE - HOUSE ORGANDVORAVIA COL MENTO: VIA COL MENTO: vieni a cancellare il doppio mentovieni a cancellare il doppio mento 339 7146644 dvora.it 339 7146644 dvora.it
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fenomeno, che purtroppo ritroviamo ripetutamente nella lunga Storia di Am Israel, che immancabilmente ha portato a conseguenze devastanti. Mi auguro vivamente che questo non abbia a ripetersi anche nelle nostre Comunità diasporiche che di tutto hanno bisogno tranne che di dividersi lungo linee d’opinioni e di sensibilità dierenti, vuoi che siano di matrice ideologica o semplicemente perso-nale. Queste sono tutte legittime, ma non devono essere strumentalizzate per diventare mezzi di spaccatura per far avanzare la “visione” di una par-te piuttosto che dell’altra. Dobbiamo piuttosto viverle come possibilità di confronto civile e di arricchimento a benecio della nostra bellissima Co-munità e di tutte le sue componenti per far sì che possa continuare ad es-sere sempre più un punto d’incontro e di arricchimento per tutti.Ovviamente il mio pensiero e vici-nanza, ma sono sicuro di esprimere anche quelli di ciascuno di voi, vanno a tutti gli ostaggi ancora in mano a Hamas e alle loro famiglie nella spe-ranza che vengano presto liberati. Aggiungo inoltre la profonda tristez-za e le più sentite condoglianze a tutti coloro, soldati ed ostaggi, che hanno perso la vita per il solo fatto di essere ebrei e israeliani e alle loro famiglie.Concludo facendo i miei più sentiti auguri di Hag Sameach, Shanà Tovà u Methukà a ciascuno di voi e alle vostre famiglie e di un facile, ma si-gnicativo, digiuno nel giorno di Kip-pur anché il nuovo anno sia foriero di una ritrovata Pace ed unità sia in Israele che nella diaspora.Am Israel Hai!Siamo alla soglia degli Hase-ret Yamim Noraim legati alle Festività di Rosh Hashanà e di Yom Kippur. Quest’anno, questo momento è purtroppo ancora carat-terizzato dal dolore e dalla rabbia di quanto successo lo scorso 7ottobre e di quanto si è dipanato da allora in un crescendo di speranze purtroppo disattese e nell’osservare inorriditi e increduli come il mondo intorno a noi si stia accanendo contro gli ebrei e Israele in un crescendo del peggior antisemitismo, antigiudaismo e an-tisionismo tutti uniti e sdoganati in un’orgia di odio, bugie e falsità.Altro motivo di dolore e frustrazione è vedere come purtroppo la società israeliana si sia nuovamente polariz-zata e divisa, cosa sempre estrema-mente negativa anche in momenti “normali”, ma devastante e autole-sionistica in una fase di emergenza assoluta come quella che Israele sta attraversando dal 7/10. Questo è un Gli auguri del Presidente della Comunità Ebraica di Milano© Foto Soflia Tranchina© Foto Soflia Tranchinalcuni mesi fa sono venute a trovarmi due persone an-ziane, un uomo e una don-na, due ebrei lontani che volevano riavvicinarsi alla comunità e alla tradizione ebraica. Ho chiesto che cosa li avesse indotti a questo passo e mi hanno risposto che è stato ciò che è avvenuto il 7ottobre. Mi hanno det-to: “è stato come se i terroristi fossero entrati in casa nostra”. Quello che stiamo per vivere è un Rosh Hashanà molto particolare, quello che è avvenuto il 7ottobre, Sheminì Atzèret, dell’anno scorso ha cambiato le nostre vite, ha prodotto un eetto profondo di cui non so se siamo ancora comple-tamente consapevoli. Lo ha prodotto in Eretz Israel perché ci si è resi conto che ciò che era in gioco non era la vit-toria di una guerra o il combattere il singolo atto terroristico, ciò che era in gioco era l’esistenza stessa dello Stato d’Israele. Lo è stato per noi ebrei della Diaspora non solo per il lutto, il dolore e la preoccupazione per la vita degli ostaggi, ma anche perché è stato l’ini-zio di un’ondata di antisemitismo senza precedenti nella nostra generazione.Abbiamo visto ricomparire vecchi stereotipi, abbiamo visto gli ebrei rap-presentati come popolo sanguinario, vendicativo e abbiamo visto mettere in discussione la legittimità stessa non solo dello Stato d’Israele ,ma del popolo ebraico. Come si reagisce a tutto ciò? Non è facile dare una risposta e credo che nessuno di noi abbia la soluzione in mano. C’è però uno schema classico di reazione ebraica alle crisi e alla tragedia. Gli ebrei non si sono mai cristallizzati nel ruolo di vittime nonostante avessero tutti i motivi per farlo. Hanno sempre cercato di guardare al futuro e di non fossilizzarsi sul passato.L’idea fondamentale della tradizione ebraica è che noi possiamo costruire il nostro futuro mentre il passato non lo possiamo cambiare. Un esempio stra-ordinario di costruzione del futuro lo abbiamo avuto dopo la Shoah, i so-pravvissuti hanno ricostruito le nostre comunità e fondato lo Stato d’Israele.Paradossalmente però, si costruisce il futuro proprio guardando al passato ed è quello che dobbiamo fare a Rosh Hashanà, un esame di coscienza, un esame dei nostri errori per poterli cor-reggere e costruire un futuro migliore. Ognuno ovviamente deve fare questo esame individualmente, ma ci sono anche errori collettivi che è necessa-rio correggere. Ne segnalo uno solo. In questi anni si sono amplicate le divisioni all’interno del popolo ebrai-co. Uno dei valori fondamentali dell’e-braismo è l’unità del popolo: va però chiarito che cosa s’intende per unità. Unità non vuol dire che dobbiamo pensare tutti allo stesso modo o che dobbiamo dire tutti le tesse cose. Un famoso passo talmudico dice che, come i volti delle persone sono diversi, così i loro caratteri e le loro idee sono diver-si. Ma una cosa è la dierenza di idee, un’altra è considerare l’altro un nemi-co da combattere. Quando si arriva a questo siamo in presenza di quello che i nostri Maestri chiamano odio gratuito e in questo caso la dierenza d’idee è soltanto un pretesto per combattere chi si ritiene un avversario o addirittura un nemico.In un passo del Talmùd, nel trattato di Bavà Metzià, è riportata una discussio-ne su un problema halakhico tra Abayè e Ravà. A un certo punto il Talmùd por-ta una fonte che smentirebbe l’opinione di Abayè, interviene Ravà e dimostra che in realtà quella fonte può essere spiegata anche secondo l’opinione di Abayè. Avere idee diverse non signi-ca voler vincere a tutti i costi e non signica soprattutto un sentimento di avversione preconcetta nei confronti dell’altro. Per questo motivo la tradi-zione ebraica dà un’importanza enorme all’unità del popolo. In un momento dicile come quello che stiamo viven-do, recuperare l’unità è assolutamente vitale. In questo modo costruiamo il futuro del popolo ebraico che secondo la tradizione ebraica è Am hanètzach – un popolo eterno.Solo reagendo al dolore si costruisce il domaniIL MESSAGGIO AUGURALE ALLA COMUNITÀ: PARLA IL RABBINO CAPO, RAV ALFONSO ARBIBGuardarsi indietro, all’anno che si chiude: con Rosh Hashanà e Kippur quello che va fatto non è solo un bilancio, ma un esame di coscienza. Valutare i nostri errori per poterli correggere e preparare un anno migliore. Perché si costruisce il futuro solo guardando al passatodi RAV ALFONSO ARBIBAFESTE SOLENNIROSH HASHANÀ 5785Che il nuovo anno porti con sé una rinnovata Pace ed unitàdi WALKER MEGHNAGIDESIGN BYDANIELA HAGGIAGLa Comunità ebraica di Milano, insieme alle Istituzioni ebraiche milanesi, vi aspetta Lunedì 7 OTTOBREore 18.30Sinagoga Centrale di via GuastallaUN ANNO DAL POGROMil dramma dei Rapiti e la nuova ondata di antisemitismoNe parliamo con Ilaria Borlotti Buitoni, Daniele Capezzone, Klaus Davi, Vittorio Feltri, Luciano Fontana, Giulio Meotti, Alessandro Sallusti e Pietro Senaldi.Introduce e modera Paolo SalomSALUTI ISTITUZIONALIrav Alfonso Arbib, Rabbino Capo Comunità ebraica di MilanoWalker Meghnagi, Presidente Comunità ebraica di MilanoMilo Hasbani, Vice Presidente Unione Comunità ebraiche ItalianeMinistro della Cultura Alessandro Giuli e Ministro dell’Istruzione Giuseppe ValditaraCon la partecipazione di Rayhane Tabrizi (attivista iraniana), Con la testimonianza di Liran Berman, fratello dei gemelli Ziv e Gali, Rapiti dai terroristi di Hamas e sono ancora nelle loro mani e i familiari di Shila Ayalon, uccisa al Nova FestivalCon la partecipazione del coro Kol haShomrim e dei movimenti giovanili Bnei Akiva e Hashomer Hatzair3
fenomeno, che purtroppo ritroviamo ripetutamente nella lunga Storia di Am Israel, che immancabilmente ha portato a conseguenze devastanti. Mi auguro vivamente che questo non abbia a ripetersi anche nelle nostre Comunità diasporiche che di tutto hanno bisogno tranne che di dividersi lungo linee d’opinioni e di sensibilità dierenti, vuoi che siano di matrice ideologica o semplicemente perso-nale. Queste sono tutte legittime, ma non devono essere strumentalizzate per diventare mezzi di spaccatura per far avanzare la “visione” di una par-te piuttosto che dell’altra. Dobbiamo piuttosto viverle come possibilità di confronto civile e di arricchimento a benecio della nostra bellissima Co-munità e di tutte le sue componenti per far sì che possa continuare ad es-sere sempre più un punto d’incontro e di arricchimento per tutti.Ovviamente il mio pensiero e vici-nanza, ma sono sicuro di esprimere anche quelli di ciascuno di voi, vanno a tutti gli ostaggi ancora in mano a Hamas e alle loro famiglie nella spe-ranza che vengano presto liberati. Aggiungo inoltre la profonda tristez-za e le più sentite condoglianze a tutti coloro, soldati ed ostaggi, che hanno perso la vita per il solo fatto di essere ebrei e israeliani e alle loro famiglie.Concludo facendo i miei più sentiti auguri di Hag Sameach, Shanà Tovà u Methukà a ciascuno di voi e alle vostre famiglie e di un facile, ma si-gnicativo, digiuno nel giorno di Kip-pur anché il nuovo anno sia foriero di una ritrovata Pace ed unità sia in Israele che nella diaspora.Am Israel Hai!Siamo alla soglia degli Hase-ret Yamim Noraim legati alle Festività di Rosh Hashanà e di Yom Kippur. Quest’anno, questo momento è purtroppo ancora carat-terizzato dal dolore e dalla rabbia di quanto successo lo scorso 7ottobre e di quanto si è dipanato da allora in un crescendo di speranze purtroppo disattese e nell’osservare inorriditi e increduli come il mondo intorno a noi si stia accanendo contro gli ebrei e Israele in un crescendo del peggior antisemitismo, antigiudaismo e an-tisionismo tutti uniti e sdoganati in un’orgia di odio, bugie e falsità.Altro motivo di dolore e frustrazione è vedere come purtroppo la società israeliana si sia nuovamente polariz-zata e divisa, cosa sempre estrema-mente negativa anche in momenti “normali”, ma devastante e autole-sionistica in una fase di emergenza assoluta come quella che Israele sta attraversando dal 7/10. Questo è un Gli auguri del Presidente della Comunità Ebraica di Milano© Foto Soflia Tranchina© Foto Soflia Tranchinalcuni mesi fa sono venute a trovarmi due persone an-ziane, un uomo e una don-na, due ebrei lontani che volevano riavvicinarsi alla comunità e alla tradizione ebraica. Ho chiesto che cosa li avesse indotti a questo passo e mi hanno risposto che è stato ciò che è avvenuto il 7ottobre. Mi hanno det-to: “è stato come se i terroristi fossero entrati in casa nostra”. Quello che stiamo per vivere è un Rosh Hashanà molto particolare, quello che è avvenuto il 7ottobre, Sheminì Atzèret, dell’anno scorso ha cambiato le nostre vite, ha prodotto un eetto profondo di cui non so se siamo ancora comple-tamente consapevoli. Lo ha prodotto in Eretz Israel perché ci si è resi conto che ciò che era in gioco non era la vit-toria di una guerra o il combattere il singolo atto terroristico, ciò che era in gioco era l’esistenza stessa dello Stato d’Israele. Lo è stato per noi ebrei della Diaspora non solo per il lutto, il dolore e la preoccupazione per la vita degli ostaggi, ma anche perché è stato l’ini-zio di un’ondata di antisemitismo senza precedenti nella nostra generazione.Abbiamo visto ricomparire vecchi stereotipi, abbiamo visto gli ebrei rap-presentati come popolo sanguinario, vendicativo e abbiamo visto mettere in discussione la legittimità stessa non solo dello Stato d’Israele ,ma del popolo ebraico. Come si reagisce a tutto ciò? Non è facile dare una risposta e credo che nessuno di noi abbia la soluzione in mano. C’è però uno schema classico di reazione ebraica alle crisi e alla tragedia. Gli ebrei non si sono mai cristallizzati nel ruolo di vittime nonostante avessero tutti i motivi per farlo. Hanno sempre cercato di guardare al futuro e di non fossilizzarsi sul passato.L’idea fondamentale della tradizione ebraica è che noi possiamo costruire il nostro futuro mentre il passato non lo possiamo cambiare. Un esempio stra-ordinario di costruzione del futuro lo abbiamo avuto dopo la Shoah, i so-pravvissuti hanno ricostruito le nostre comunità e fondato lo Stato d’Israele.Paradossalmente però, si costruisce il futuro proprio guardando al passato ed è quello che dobbiamo fare a Rosh Hashanà, un esame di coscienza, un esame dei nostri errori per poterli cor-reggere e costruire un futuro migliore. Ognuno ovviamente deve fare questo esame individualmente, ma ci sono anche errori collettivi che è necessa-rio correggere. Ne segnalo uno solo. In questi anni si sono amplicate le divisioni all’interno del popolo ebrai-co. Uno dei valori fondamentali dell’e-braismo è l’unità del popolo: va però chiarito che cosa s’intende per unità. Unità non vuol dire che dobbiamo pensare tutti allo stesso modo o che dobbiamo dire tutti le tesse cose. Un famoso passo talmudico dice che, come i volti delle persone sono diversi, così i loro caratteri e le loro idee sono diver-si. Ma una cosa è la dierenza di idee, un’altra è considerare l’altro un nemi-co da combattere. Quando si arriva a questo siamo in presenza di quello che i nostri Maestri chiamano odio gratuito e in questo caso la dierenza d’idee è soltanto un pretesto per combattere chi si ritiene un avversario o addirittura un nemico.In un passo del Talmùd, nel trattato di Bavà Metzià, è riportata una discussio-ne su un problema halakhico tra Abayè e Ravà. A un certo punto il Talmùd por-ta una fonte che smentirebbe l’opinione di Abayè, interviene Ravà e dimostra che in realtà quella fonte può essere spiegata anche secondo l’opinione di Abayè. Avere idee diverse non signi-ca voler vincere a tutti i costi e non signica soprattutto un sentimento di avversione preconcetta nei confronti dell’altro. Per questo motivo la tradi-zione ebraica dà un’importanza enorme all’unità del popolo. In un momento dicile come quello che stiamo viven-do, recuperare l’unità è assolutamente vitale. In questo modo costruiamo il futuro del popolo ebraico che secondo la tradizione ebraica è Am hanètzach – un popolo eterno.Solo reagendo al dolore si costruisce il domaniIL MESSAGGIO AUGURALE ALLA COMUNITÀ: PARLA IL RABBINO CAPO, RAV ALFONSO ARBIBGuardarsi indietro, all’anno che si chiude: con Rosh Hashanà e Kippur quello che va fatto non è solo un bilancio, ma un esame di coscienza. Valutare i nostri errori per poterli correggere e preparare un anno migliore. Perché si costruisce il futuro solo guardando al passatodi RAV ALFONSO ARBIBAFESTE SOLENNIROSH HASHANÀ 5785Che il nuovo anno porti con sé una rinnovata Pace ed unitàdi WALKER MEGHNAGIDESIGN BYDANIELA HAGGIAGLa Comunità ebraica di Milano, insieme alle Istituzioni ebraiche milanesi, vi aspetta Lunedì 7 OTTOBREore 18.30Sinagoga Centrale di via GuastallaUN ANNO DAL POGROMil dramma dei Rapiti e la nuova ondata di antisemitismoNe parliamo con Ilaria Borlotti Buitoni, Daniele Capezzone, Klaus Davi, Vittorio Feltri, Luciano Fontana, Giulio Meotti, Alessandro Sallusti e Pietro Senaldi.Introduce e modera Paolo SalomSALUTI ISTITUZIONALIrav Alfonso Arbib, Rabbino Capo Comunità ebraica di MilanoWalker Meghnagi, Presidente Comunità ebraica di MilanoMilo Hasbani, Vice Presidente Unione Comunità ebraiche ItalianeMinistro della Cultura Alessandro Giuli e Ministro dell’Istruzione Giuseppe ValditaraCon la partecipazione di Rayhane Tabrizi (attivista iraniana), Con la testimonianza di Liran Berman, fratello dei gemelli Ziv e Gali, Rapiti dai terroristi di Hamas e sono ancora nelle loro mani e i familiari di Shila Ayalon, uccisa al Nova FestivalCon la partecipazione del coro Kol haShomrim e dei movimenti giovanili Bnei Akiva e Hashomer Hatzair3
Il pluripremiato regista tedesco Andres Veiel ha presentato fuori concorso all’81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia il suo nuovo documentario Rie-fenstahl, un’introspettiva sulla vita della cineasta nota per essere una delle figure più controverse del XX secolo. Regista, attrice e produttri-ce cinematografica tedesca, Leni Riefenstahl è diventata famosa in tutto il mondo per aver diretto alcuni dei film più importanti della propaganda nazista, fra cui Il trionfo della fede e Olympia. Dopo la sconfitta della Germania, la cineasta si era descritta come un’artista apo-litica che si era “limitata ad accettare incarichi da Hitler e dalla sua cerchia”. Morta nel 2003 a 101 anni, ha sempre negato di essere stata a conoscenza delle atrocità naziste. Ciononostante, il nuovo documentario di Veiel mette in dubbio tutte le sue affermazioni, portando alla luce prove schiaccianti che dimostrano il suo forte so-stegno alla causa nazista, trovate nel suo archivio per-sonale: 700 scatole di video privati, registrazioni e documenti inediti, materiali così compromettenti che, secondo Veiel, Riefenstahl avreb-be cercato di eliminare gli elementi che più contraddicevano la sua narrazione pubblica. Pietro Baragiola L’Hapoel Jerusalem FC, la squadra di calcio della capitale israeliana, ha presentato una nuova maglia in onore del suo tifoso sfegatato Hersh Goldberg-Polin, ucciso da Hamas mentre era prigioniero a Gaza. La maglia, che il club dichiara di indossare per il “prossimo ciclo”, presenta il volto di Goldberg-Polin sul davanti, circondato dalle frasi “Che la tua memoria sia una rivoluzione” e “Un glio di luce, amore e pace” in ebraico.L’AME (Associazione Medica Ebraica) ha reso noto che la Federazione internaziona-le delle associazioni di studenti in medicina (IFMSA), che “dichiara di rappresentare oltre un milione e mezzo di studenti di medicina di 136 organizzazioni nazionali sparse nel mondo”, ha deciso di sospendere per due anni la FIMS, la federazione degli studenti israeliani di medicina. La decisione sarebbe stata adottata come “reazione al genocidio condotto da Tel Aviv a Gaza e alla mancanza di valori morali e umanitari dimostra-ti”. L’IFMSA dice che la sospensione sarebbe stata decisa “in vista di po-tenziali violazioni della Costituzione e dello Statuto dell’IFMSA nonché del suo codice di condotta” e per “pro-teggere” gli stessi studenti israeliani “vista la terribile natura delle dichia-razioni contro la FIMS che comprende minacce, vessazioni e odio espressi online”. “È forse così che si protegge un proprio membro, mettendolo al bando? L’AME considera invece l’ostracismo adottato verso gli studenti di medicina israeliani un grave atto di esclusione che viola oltre tutto una delle rac-comandazioni, rivolte a tutti i medici, insite nel giuramento di Ippocrate, che invita a promuo-vere l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sani-tario”. Suona beardo che l’IFMSA “continuerà a sostenere i diritti e il benessere degli studenti di medicina in tutto il mondo, assicurando che la nostra Federazione rimanga un esem-pio di equità, diversità ed inclusione”. Critica anche la WUJS (World Union of Jewish Students) per cui la decisione è “un inquietante e pericoloso trend di discriminazioni nei confronti degli studenti israeliani ed ebrei su scala globale”. N. G.La leggenda di Masada è impressa nella tradi-zione ebraica: per anni, si racconta, gli antichi ebrei hanno resistito in una fortez-za nel deserto contro i nemi-ci romani. Ora, riporta Jta, i ricercatori dell’Università di Tel Aviv hanno stabilito che l’assedio del primo secolo a Masada, nel sud di Israele, durò solo poche settimane. Utilizzando la tecnologia dei droni e i rendering 3D, hanno ipotizzato che la costruzione del muro e degli accampa-menti intorno a Masada sia durata circa due settimane, mentre l’assedio stesso è probabilmente durato tra le quattro e le nove settimane. L’attenzione si è concentrata sul sistema di assedio dei Ro-mani, che ha lasciato tracce insolite a causa dell’isolamen-to geograco e dell’ambiente desertico e arido di Masada.Nel 72 o 73 e. v., circa 8.000 romani assediarono Masada, dove si erano rifugiati molti ebrei, costruendo un muro e una rampa che circondava-no la fortezza. Secondo gli scritti di Flavio Giuseppe, i circa 1.000 abitanti della montagna prima attesero lungamente l’attacco, poi decisero di togliersi la vita piuttosto che lasciare che i Romani li raggiungessero.Ma le nuove ricerche metto-no in dubbio quanto creduto nora.Banditi gli studenti israeliani di medicina. L’AME: “violatoil giuramento di Ippocrate”LA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DEGLI STUDENTI HA PRESO UNA DECISIONE RAZZISTAL’assedio a Masada durò poche settimane: una scopertaL’Hapoel Gerusalemme dedica una maglia a Hersh Goldberg-Polin “Riefenstahl”: un documentario prova il sostegno della regista alla causa nazistaS ono aperte le iscrizioni al Diploma Universitario Triennale in Studi Ebraici – Renzo Gattegna, per l’anno Accademico 2024/2025 – 5785. Il Diploma Universitario Triennale è un corso di formazione accreditato dal Ministero dell’Università e Ricer-ca che ore una solida preparazione nelle diverse discipline della cultura e della tradizione ebraica. Il Diploma si propone di fornire una qualicata formazione di base, metodologica e contenutistica negli studi lologici, letterari, storici e losoci legati alla cultura ebraica. Ivi compresi la lette-ratura biblica, la lingua ebraica e lo studio dei trattati del Talmud.Per informazioni e iscrizioni scrivere a: diploma.universitario@ucei.itObiettivi formativi e piano di studio: https://www.ucei.it/formazione/diploma-triennale-di-studi-ebraici/Al via il nuovo corsodi Laurea triennalein Studi Ebraici dell’Uceinotizie a cura di Ilaria MyrNEWS DA ISRAELE, DALL’ITALIA, DAL MONDO EBRAICO E DINTORNIEWS DA ISRAELE, DALL’ITALIA, DAL MONDO EBRAICO E DINTORNIPRISMAn’indagine approfondita, a cura delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) della Divisione Gaza, ha portato ad aggiornare il numero dei terroristi, autori del pogrom del 7ot-tobre 2023, che su direttiva di Hamas hanno sfondato i conni e occupato il sud di Israele.Sarebbero ben 7000 i gazawi complici del massacro, praticamente il doppio di quanto in origine si credeva. I nuovi risultati sono stati diusi dal Capo di Stato Maggiore dell’IDF, Tenente Generale Herzi Halevi.Come riporta il sito Algemeiner, quel ter-ribile giorno nel Negev nord-occidentale si sono inltrati circa 3800 terroristi dell’unità Nukhba di Hamas, in aggiunta ad altri 2200 ter-roristi e saccheggiatori, sem-pre provenienti da Gaza. E ancora, circa 1000 terroristi sono rimasti all’interno della Striscia, lanciando su Isra-ele, solo in quel momento, ben 4300 razzi, a copertura della incursione terroristica sul territorio israeliano, dove sono stati perpetrati uccisioni e stupri di massa, rapimenti e altre indicibili atrocità. I conni israeliani sono stati violati in 119 punti e non in 60, come si ri-teneva in precedenza. In quello che è stato denito il giorno peggiore per gli ebrei dai tempi della Shoah, sono stati assassinati oltre 1200 esseri umani, 251 rapiti e deportati a Gaza, di cui 101 oggi ancora in ostaggio, vivi o morti, oltre a migliaia di feriti. «L’indagine operativa non è ancora stata conclusa e conti-nua in conformità con la valutazione della situazione e in vista dei vincoli operativi. Una volta conclusa, sarà pre-sentata al pubblico in modo trasparen-te», ha aermato il portavoce dell’IDF. (Foto: Abed Rahim Khatib/Flash90)azienda israeliana Sarine, avvalendosi delle nuove tecnologie date dall’utilizzo dell’IA, ha sviluppato una metodolo-gia capace di valutare i diamanti in modo più rapido, economico e con un grado di precisione più elevato. Fondata a Hod HaSharon, Sarine ha insegnato all’intelligenza artificiale a classificare i diamanti, mostrando oltre 30.000 esemplari già catalogati dal Gemological Institute of Ame-rica – GIA, il più grande laboratorio al mondo. Pri-ma di allora era l’occhio umano ad attribuire un valore alla famosa pietra dura, con la conseguenza che tra due diamanti di pari dimensioni la diffe-renza in termini di valore può essere molto alta. Il computer invece fornisce risultati più accurati e affidabili. In più, il nuovo metodo consente di ridurre costi e tempi di attesa, dando a disposizione l’impianto automatiz-zato, direttamente alle fabbriche, attraverso un contratto di locazione.Michael SoncinNuove rivelazioni sui massacri del 7ottobreI gazawi entrati in Israele erano 7000, il doppio di quanto credutoValutare i diamanti attraverso l’IA: una rivoluzione da IsraeleLU[in breve]ottobre 20244 5
Il pluripremiato regista tedesco Andres Veiel ha presentato fuori concorso all’81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia il suo nuovo documentario Rie-fenstahl, un’introspettiva sulla vita della cineasta nota per essere una delle figure più controverse del XX secolo. Regista, attrice e produttri-ce cinematografica tedesca, Leni Riefenstahl è diventata famosa in tutto il mondo per aver diretto alcuni dei film più importanti della propaganda nazista, fra cui Il trionfo della fede e Olympia. Dopo la sconfitta della Germania, la cineasta si era descritta come un’artista apo-litica che si era “limitata ad accettare incarichi da Hitler e dalla sua cerchia”. Morta nel 2003 a 101 anni, ha sempre negato di essere stata a conoscenza delle atrocità naziste. Ciononostante, il nuovo documentario di Veiel mette in dubbio tutte le sue affermazioni, portando alla luce prove schiaccianti che dimostrano il suo forte so-stegno alla causa nazista, trovate nel suo archivio per-sonale: 700 scatole di video privati, registrazioni e documenti inediti, materiali così compromettenti che, secondo Veiel, Riefenstahl avreb-be cercato di eliminare gli elementi che più contraddicevano la sua narrazione pubblica. Pietro Baragiola L’Hapoel Jerusalem FC, la squadra di calcio della capitale israeliana, ha presentato una nuova maglia in onore del suo tifoso sfegatato Hersh Goldberg-Polin, ucciso da Hamas mentre era prigioniero a Gaza. La maglia, che il club dichiara di indossare per il “prossimo ciclo”, presenta il volto di Goldberg-Polin sul davanti, circondato dalle frasi “Che la tua memoria sia una rivoluzione” e “Un glio di luce, amore e pace” in ebraico.L’AME (Associazione Medica Ebraica) ha reso noto che la Federazione internaziona-le delle associazioni di studenti in medicina (IFMSA), che “dichiara di rappresentare oltre un milione e mezzo di studenti di medicina di 136 organizzazioni nazionali sparse nel mondo”, ha deciso di sospendere per due anni la FIMS, la federazione degli studenti israeliani di medicina. La decisione sarebbe stata adottata come “reazione al genocidio condotto da Tel Aviv a Gaza e alla mancanza di valori morali e umanitari dimostra-ti”. L’IFMSA dice che la sospensione sarebbe stata decisa “in vista di po-tenziali violazioni della Costituzione e dello Statuto dell’IFMSA nonché del suo codice di condotta” e per “pro-teggere” gli stessi studenti israeliani “vista la terribile natura delle dichia-razioni contro la FIMS che comprende minacce, vessazioni e odio espressi online”. “È forse così che si protegge un proprio membro, mettendolo al bando? L’AME considera invece l’ostracismo adottato verso gli studenti di medicina israeliani un grave atto di esclusione che viola oltre tutto una delle rac-comandazioni, rivolte a tutti i medici, insite nel giuramento di Ippocrate, che invita a promuo-vere l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sani-tario”. Suona beardo che l’IFMSA “continuerà a sostenere i diritti e il benessere degli studenti di medicina in tutto il mondo, assicurando che la nostra Federazione rimanga un esem-pio di equità, diversità ed inclusione”. Critica anche la WUJS (World Union of Jewish Students) per cui la decisione è “un inquietante e pericoloso trend di discriminazioni nei confronti degli studenti israeliani ed ebrei su scala globale”. N. G.La leggenda di Masada è impressa nella tradi-zione ebraica: per anni, si racconta, gli antichi ebrei hanno resistito in una fortez-za nel deserto contro i nemi-ci romani. Ora, riporta Jta, i ricercatori dell’Università di Tel Aviv hanno stabilito che l’assedio del primo secolo a Masada, nel sud di Israele, durò solo poche settimane. Utilizzando la tecnologia dei droni e i rendering 3D, hanno ipotizzato che la costruzione del muro e degli accampa-menti intorno a Masada sia durata circa due settimane, mentre l’assedio stesso è probabilmente durato tra le quattro e le nove settimane. L’attenzione si è concentrata sul sistema di assedio dei Ro-mani, che ha lasciato tracce insolite a causa dell’isolamen-to geograco e dell’ambiente desertico e arido di Masada.Nel 72 o 73 e. v., circa 8.000 romani assediarono Masada, dove si erano rifugiati molti ebrei, costruendo un muro e una rampa che circondava-no la fortezza. Secondo gli scritti di Flavio Giuseppe, i circa 1.000 abitanti della montagna prima attesero lungamente l’attacco, poi decisero di togliersi la vita piuttosto che lasciare che i Romani li raggiungessero.Ma le nuove ricerche metto-no in dubbio quanto creduto nora.Banditi gli studenti israeliani di medicina. L’AME: “violatoil giuramento di Ippocrate”LA FEDERAZIONE INTERNAZIONALE DEGLI STUDENTI HA PRESO UNA DECISIONE RAZZISTAL’assedio a Masada durò poche settimane: una scopertaL’Hapoel Gerusalemme dedica una maglia a Hersh Goldberg-Polin “Riefenstahl”: un documentario prova il sostegno della regista alla causa nazistaS ono aperte le iscrizioni al Diploma Universitario Triennale in Studi Ebraici – Renzo Gattegna, per l’anno Accademico 2024/2025 – 5785. Il Diploma Universitario Triennale è un corso di formazione accreditato dal Ministero dell’Università e Ricer-ca che ore una solida preparazione nelle diverse discipline della cultura e della tradizione ebraica. Il Diploma si propone di fornire una qualicata formazione di base, metodologica e contenutistica negli studi lologici, letterari, storici e losoci legati alla cultura ebraica. Ivi compresi la lette-ratura biblica, la lingua ebraica e lo studio dei trattati del Talmud.Per informazioni e iscrizioni scrivere a: diploma.universitario@ucei.itObiettivi formativi e piano di studio: https://www.ucei.it/formazione/diploma-triennale-di-studi-ebraici/Al via il nuovo corsodi Laurea triennalein Studi Ebraici dell’Uceinotizie a cura di Ilaria MyrNEWS DA ISRAELE, DALL’ITALIA, DAL MONDO EBRAICO E DINTORNIEWS DA ISRAELE, DALL’ITALIA, DAL MONDO EBRAICO E DINTORNIPRISMAn’indagine approfondita, a cura delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) della Divisione Gaza, ha portato ad aggiornare il numero dei terroristi, autori del pogrom del 7ot-tobre 2023, che su direttiva di Hamas hanno sfondato i conni e occupato il sud di Israele.Sarebbero ben 7000 i gazawi complici del massacro, praticamente il doppio di quanto in origine si credeva. I nuovi risultati sono stati diusi dal Capo di Stato Maggiore dell’IDF, Tenente Generale Herzi Halevi.Come riporta il sito Algemeiner, quel ter-ribile giorno nel Negev nord-occidentale si sono inltrati circa 3800 terroristi dell’unità Nukhba di Hamas, in aggiunta ad altri 2200 ter-roristi e saccheggiatori, sem-pre provenienti da Gaza. E ancora, circa 1000 terroristi sono rimasti all’interno della Striscia, lanciando su Isra-ele, solo in quel momento, ben 4300 razzi, a copertura della incursione terroristica sul territorio israeliano, dove sono stati perpetrati uccisioni e stupri di massa, rapimenti e altre indicibili atrocità. I conni israeliani sono stati violati in 119 punti e non in 60, come si ri-teneva in precedenza. In quello che è stato denito il giorno peggiore per gli ebrei dai tempi della Shoah, sono stati assassinati oltre 1200 esseri umani, 251 rapiti e deportati a Gaza, di cui 101 oggi ancora in ostaggio, vivi o morti, oltre a migliaia di feriti. «L’indagine operativa non è ancora stata conclusa e conti-nua in conformità con la valutazione della situazione e in vista dei vincoli operativi. Una volta conclusa, sarà pre-sentata al pubblico in modo trasparen-te», ha aermato il portavoce dell’IDF. (Foto: Abed Rahim Khatib/Flash90)azienda israeliana Sarine, avvalendosi delle nuove tecnologie date dall’utilizzo dell’IA, ha sviluppato una metodolo-gia capace di valutare i diamanti in modo più rapido, economico e con un grado di precisione più elevato. Fondata a Hod HaSharon, Sarine ha insegnato all’intelligenza artificiale a classificare i diamanti, mostrando oltre 30.000 esemplari già catalogati dal Gemological Institute of Ame-rica – GIA, il più grande laboratorio al mondo. Pri-ma di allora era l’occhio umano ad attribuire un valore alla famosa pietra dura, con la conseguenza che tra due diamanti di pari dimensioni la diffe-renza in termini di valore può essere molto alta. Il computer invece fornisce risultati più accurati e affidabili. In più, il nuovo metodo consente di ridurre costi e tempi di attesa, dando a disposizione l’impianto automatiz-zato, direttamente alle fabbriche, attraverso un contratto di locazione.Michael SoncinNuove rivelazioni sui massacri del 7ottobreI gazawi entrati in Israele erano 7000, il doppio di quanto credutoValutare i diamanti attraverso l’IA: una rivoluzione da IsraeleLU[in breve]ottobre 20244 5
POLITICA E ATTUALITÀ IN MEDIO ORIENTEOLITICA E ATTUALITÀ IN MEDIO ORIENTEcolare un pensiero, avere il tempo di esprimerlo. E non essere obbligati a parlare per frasi a eetto».Ospite di numerosi programmi, ebreo romano che vive dal 1995 nel kibbutz Nir Yitzhak, oggi Daniel Lanternari non esita a dire che «non è facile far arrivare da Israele notizie che siano vere, fatti, cose realmente accadute: perché ha sempre maggior risalto ciò che proviene dalla Striscia di Gaza, ovvero ciò che Hamas fa passare, anche se spesso non si tratta aatto di notizie vere. Ciò che aer-ma Israele non sempre trova spazio, soprattutto in Italia, Paese dove i giornalisti danno credito ad Hamas e c’è molta fa-ziosità. Francamente sono sconcertato, mi aspettavo più lucidità. Come è possi-bile che i numeri dei morti dati dai terroristi venga-no ritenuti credibili?, e poi, quando ci si corregge dell’errore, farlo notare sot-tovoce? La battaglia mediatica a fa-vore di Israele non è semplice. Qui si dice che quando ti accusano di avere una sorella dai facili costumi, tocca a te spiegare che una sorella neanche ce l’hai. Questo è il vero clou della faccenda, il vero problema di Israele: che non è mai andato all’attacco dal punto di vista mediatico, scegliendo di restare sempre in difesa».“Esser presi d’assalto”: è la sensazio-ne che prova anche Roberto Della Rocca, manager, già dirigente po-litico del partito di sinistra Meretz, autore di numerosi post seguitissimi sul suo prolo Facebook. Per spiega-re che cosa signichi fare controin-formazione ricorre a Pietre, una ce-lebre canzone anni Settanta di Gian Pieretti e Antoine: “Se sei buono ti tirano le pietre/ Sei cattivo e ti tirano le pietre. Qualunque cosa fai, dovun-que te ne vai, tu sempre pietre in fac-cia prenderai”... «Da italo-israeliano di sinistra, mi “tirano” sempre pietre, sia in Israele sia in Italia. In Israele perché sono di sinistra e contrario a questo governo, in Italia perché sono un sionista. Le persone non sanno fare un distinguo tra lo Stato di Israele e il governo di Israele. “Se non sei con noi, sei contro di noi”, dicono: la polarizzazione si mangia qualsiasi dialogo, ed è un periodo dicile per fare una controinforma-zione equilibrata e calibrata. Inoltre, da entrambe le parti viene usata l’in-telligenza articiale per delegittima-re l’altra parte. Io lavoro su Facebook, Telegram, X, Youtube. Nei social c’è chi mi augura di tutto e di più, anche minacce di violenza sica, ma non mi faccio intimidire».Più positivo è l’approccio di Edna Angelica Calò Livne, fondatrice e direttrice artistica della Fondazione Beresheet LaShalom che crede che la ricetta giusta sia puntare sull’empatia per riuscire ad essere ascoltati: «È il rapporto diretto quello che paga di più, il canale diretto e empatico con le persone anché, magari guardando il TG, subito il pensiero corra a qualcu-no che conoscono e per il quale dispiacersi. Nel corso di questi anni con la Fondazione siamo andati a fare spettacoli con ebrei e arabi. Alla ne di ogni esibizione tra il pubblico c’era chi ci diceva che sentendo il no-tiziario avrebbe pensato a noi. A me viene spontaneo fare amicizia con giornalisti che arrivano in Israele, os-servo che se si crea un rapporto noi non passiamo più per una massa in-forme di israeliani che ‘ammazzano’ bambini palestinesi, ma diventiamo essere umani che stanno sorendo, che hanno angosce, paure e pro-blemi immensi e dolorosi. È come quando si vede un lm e ci si inna-mora del personaggio: dovremmo fare in modo che la gente si innamori di noi e si immedesimi con la nostra soerenza, capendo che qui nessuno vuole queste guerre. Ovunque osser-vo che molti media passano il tempo a “mostricarci”, delegittimarci, de-umanizzarci: la nostra umanità viene negata e calpestata, stiamo vivendo momenti dicilissimi».Se Edna Calò punta sull’empatia, il giornalista Dario Sanchez, fotore-porter per l’agenzia e Media Line, sottolinea l’importanza della condi-visione dall’interno: «L’obiettivo del-la mia attività è quello di far sentire gli amici di Israele e le Comunità ebraiche meno sole di fronte all’on-data – quella sì - di disinformazione che ha permeato sia i social media sia lo spazio pubblico. Vorrei fornire elementi, spunti, notizie anché gli altri possano controbattere rispetto a ciò che sentono in giro, non neces-sariamente da persone ostili, anche da familiari e amici, sullo stato della guerra». IL GIORNO DEL MASSACROErano tutti là, in Israele, quel ma-ledetto giorno di ottobre, Luciano Assin, Roberto Della Rocca, Edna Calò, Daniel Lanternari e Dario Sanchez. A un anno di distanza, che cosa è cambiato nella percezione?«Il 7 ottobre io l’ho vissuto diretta-mente: abbiamo avuto i terroristi dentro casa mia -, ricorda Lanternari che viveva in un kibbutz al conne meridionale con la Striscia di Gaza. - Oggi siamo ancora sfollati. Fino al 7ottobre dicevamo che per il 95% del tempo vivevamo in un paradiso ma che per il 5% avremmo dovuto sof-frire a causa dei razzi di Hamas lan-ciati contro Israele. Dopo il giorno del massacro non c’è più né il senso di sicurezza né il paradiso; nessuno si sente protetto come dovrebbe esse-re. È stato un anno di alti e bassi, non facile. Una quotidianità distrutta. La mia famiglia è stata dislocata in più punti di Israele: io dovevo continuare a lavorare, mio glio era sfollato più a nord rispetto alle mie glie e mia moglie, ad Eilat. Non abbiamo più avuto una vita da famiglia e ancora Da sinistra: Angelica Edna Calò Livne mostra al TG4 la distanza tra il suo kibbutz Sasa e il confine libanese (1 chilometro); Daniel Lanternari parla dell’assalto al suo Kibbutz Nir Yitzhak.In basso: Roberto Della Rocca.smo e il dolorismo, l’informazione strappalacrime, la ricerca di chi è più vittima, si cercano la soerenza e lo strazio a tutti i costi, senza mai riuscire ad andare oltre e più in pro-fondità. Si condisce poi il tutto con qualche facile parolina di speranza. È uno schema retorico ormai consoli-dato. Inoltre, quando sei intervistato in televisione non c’è tempo per svi-luppare un pensiero, discorso serio. Dei due o tre minuti che passi con il corrispondente di turno, se ne ri-cavano dieci o quindici secondi per il TG e spesso il giornalista cerca, in nome di una pseudo par-condicio, di trovare un parere della parte avversa, alla ricerca di un bilanciamento che risulti equidistante. Tutto dipende molto dal giornalista, decide lui cosa “far passare” e che peso dare alla tua voce. Insomma, bisognerebbe accet-tare di intervenire solo a trasmissioni di approfondimento dove puoi arti-era una volta l’informa-zione... una informazio-ne seria che cerca più fonti e le mette a con-fronto, per capire cosa succede dav-vero..., oggi invece si riprende una voce tale e quale, senza veriche, la voce rotola e si fa notizia, rimbalza, si espande e diventa verità, magari una eco emotiva, senza nessuno che ne controlli la veridicità». Come un bisturi, la voce tagliente di Luciano Assin, giornalista e guida turistica in Israele, descrive il panorama me-diatico italiano che dal 7 ottobre in poi cerca di raccontare cosa accade in Medio Oriente. Come lui, in que-sti mesi di guerra sono diversi gli italkim (italiani residenti in Israele) che si sono impegnati per far cono-scere - da Israele e in lingua italiana - un’altra narrazione, un’altra guerra, L’IMPEGNO PER CONTRASTARE LA NARRATIVA FAZIOSA DEI MEDIA ITALIANI«C’l’altra faccia della medaglia di una realtà che sui media troppo spes-so non ha trovato spazio. Insieme a Luciano Assin, Roberto Della Rocca, Edna Angelica Calò Livne, Daniel Lanternani, Dario Sanchez, sono nu-merosissime le voci italo-israeliane che si sono prodigate per fornire una contro-informazione che fosse pun-tuale e ecace. LE NEWS NELL’EPOCA DEL SENSAZIONALISMO «Oggi, sempre più, l’informazione cerca il sangue, il dramma e sembra aver perso il suo compito di infor-mare in maniera obiettiva - aerma Luciano Assin. - Tutti rincorrono la notizia con una velocità tale per cui ognuno vuole essere il primo a dar-la e nessuno si cura più di verica-re se questa è vera oppure falsa; c’è molta più supercialità e ignoranza tra i giornalisti. Dominano il pieti-ATTUALITÀSono presenti sui giornali italiani, in tv, nei talk-show, radio, sui social media. Parlano gli italiani di Israele con la loro urgenza di narrare la realtà “da dentro”, lontano dai facili appiattimenti. Un impegno dolente per narrare “l’altra faccia del conitto”, per dare spazio al punto di vista israeliano, smontare la narrativa pro-Pal che domina ovunque e che cerca lo scoop pietistico e lacrimevoleGli Italkim in prima linea: come fare contro informazione e raccontare la guerradi LUDOVICAIACOVACCI >ottobre 20246 7
POLITICA E ATTUALITÀ IN MEDIO ORIENTEOLITICA E ATTUALITÀ IN MEDIO ORIENTEcolare un pensiero, avere il tempo di esprimerlo. E non essere obbligati a parlare per frasi a eetto».Ospite di numerosi programmi, ebreo romano che vive dal 1995 nel kibbutz Nir Yitzhak, oggi Daniel Lanternari non esita a dire che «non è facile far arrivare da Israele notizie che siano vere, fatti, cose realmente accadute: perché ha sempre maggior risalto ciò che proviene dalla Striscia di Gaza, ovvero ciò che Hamas fa passare, anche se spesso non si tratta aatto di notizie vere. Ciò che aer-ma Israele non sempre trova spazio, soprattutto in Italia, Paese dove i giornalisti danno credito ad Hamas e c’è molta fa-ziosità. Francamente sono sconcertato, mi aspettavo più lucidità. Come è possi-bile che i numeri dei morti dati dai terroristi venga-no ritenuti credibili?, e poi, quando ci si corregge dell’errore, farlo notare sot-tovoce? La battaglia mediatica a fa-vore di Israele non è semplice. Qui si dice che quando ti accusano di avere una sorella dai facili costumi, tocca a te spiegare che una sorella neanche ce l’hai. Questo è il vero clou della faccenda, il vero problema di Israele: che non è mai andato all’attacco dal punto di vista mediatico, scegliendo di restare sempre in difesa».“Esser presi d’assalto”: è la sensazio-ne che prova anche Roberto Della Rocca, manager, già dirigente po-litico del partito di sinistra Meretz, autore di numerosi post seguitissimi sul suo prolo Facebook. Per spiega-re che cosa signichi fare controin-formazione ricorre a Pietre, una ce-lebre canzone anni Settanta di Gian Pieretti e Antoine: “Se sei buono ti tirano le pietre/ Sei cattivo e ti tirano le pietre. Qualunque cosa fai, dovun-que te ne vai, tu sempre pietre in fac-cia prenderai”... «Da italo-israeliano di sinistra, mi “tirano” sempre pietre, sia in Israele sia in Italia. In Israele perché sono di sinistra e contrario a questo governo, in Italia perché sono un sionista. Le persone non sanno fare un distinguo tra lo Stato di Israele e il governo di Israele. “Se non sei con noi, sei contro di noi”, dicono: la polarizzazione si mangia qualsiasi dialogo, ed è un periodo dicile per fare una controinforma-zione equilibrata e calibrata. Inoltre, da entrambe le parti viene usata l’in-telligenza articiale per delegittima-re l’altra parte. Io lavoro su Facebook, Telegram, X, Youtube. Nei social c’è chi mi augura di tutto e di più, anche minacce di violenza sica, ma non mi faccio intimidire».Più positivo è l’approccio di Edna Angelica Calò Livne, fondatrice e direttrice artistica della Fondazione Beresheet LaShalom che crede che la ricetta giusta sia puntare sull’empatia per riuscire ad essere ascoltati: «È il rapporto diretto quello che paga di più, il canale diretto e empatico con le persone anché, magari guardando il TG, subito il pensiero corra a qualcu-no che conoscono e per il quale dispiacersi. Nel corso di questi anni con la Fondazione siamo andati a fare spettacoli con ebrei e arabi. Alla ne di ogni esibizione tra il pubblico c’era chi ci diceva che sentendo il no-tiziario avrebbe pensato a noi. A me viene spontaneo fare amicizia con giornalisti che arrivano in Israele, os-servo che se si crea un rapporto noi non passiamo più per una massa in-forme di israeliani che ‘ammazzano’ bambini palestinesi, ma diventiamo essere umani che stanno sorendo, che hanno angosce, paure e pro-blemi immensi e dolorosi. È come quando si vede un lm e ci si inna-mora del personaggio: dovremmo fare in modo che la gente si innamori di noi e si immedesimi con la nostra soerenza, capendo che qui nessuno vuole queste guerre. Ovunque osser-vo che molti media passano il tempo a “mostricarci”, delegittimarci, de-umanizzarci: la nostra umanità viene negata e calpestata, stiamo vivendo momenti dicilissimi».Se Edna Calò punta sull’empatia, il giornalista Dario Sanchez, fotore-porter per l’agenzia e Media Line, sottolinea l’importanza della condi-visione dall’interno: «L’obiettivo del-la mia attività è quello di far sentire gli amici di Israele e le Comunità ebraiche meno sole di fronte all’on-data – quella sì - di disinformazione che ha permeato sia i social media sia lo spazio pubblico. Vorrei fornire elementi, spunti, notizie anché gli altri possano controbattere rispetto a ciò che sentono in giro, non neces-sariamente da persone ostili, anche da familiari e amici, sullo stato della guerra». IL GIORNO DEL MASSACROErano tutti là, in Israele, quel ma-ledetto giorno di ottobre, Luciano Assin, Roberto Della Rocca, Edna Calò, Daniel Lanternari e Dario Sanchez. A un anno di distanza, che cosa è cambiato nella percezione?«Il 7 ottobre io l’ho vissuto diretta-mente: abbiamo avuto i terroristi dentro casa mia -, ricorda Lanternari che viveva in un kibbutz al conne meridionale con la Striscia di Gaza. - Oggi siamo ancora sfollati. Fino al 7ottobre dicevamo che per il 95% del tempo vivevamo in un paradiso ma che per il 5% avremmo dovuto sof-frire a causa dei razzi di Hamas lan-ciati contro Israele. Dopo il giorno del massacro non c’è più né il senso di sicurezza né il paradiso; nessuno si sente protetto come dovrebbe esse-re. È stato un anno di alti e bassi, non facile. Una quotidianità distrutta. La mia famiglia è stata dislocata in più punti di Israele: io dovevo continuare a lavorare, mio glio era sfollato più a nord rispetto alle mie glie e mia moglie, ad Eilat. Non abbiamo più avuto una vita da famiglia e ancora Da sinistra: Angelica Edna Calò Livne mostra al TG4 la distanza tra il suo kibbutz Sasa e il confine libanese (1 chilometro); Daniel Lanternari parla dell’assalto al suo Kibbutz Nir Yitzhak.In basso: Roberto Della Rocca.smo e il dolorismo, l’informazione strappalacrime, la ricerca di chi è più vittima, si cercano la soerenza e lo strazio a tutti i costi, senza mai riuscire ad andare oltre e più in pro-fondità. Si condisce poi il tutto con qualche facile parolina di speranza. È uno schema retorico ormai consoli-dato. Inoltre, quando sei intervistato in televisione non c’è tempo per svi-luppare un pensiero, discorso serio. Dei due o tre minuti che passi con il corrispondente di turno, se ne ri-cavano dieci o quindici secondi per il TG e spesso il giornalista cerca, in nome di una pseudo par-condicio, di trovare un parere della parte avversa, alla ricerca di un bilanciamento che risulti equidistante. Tutto dipende molto dal giornalista, decide lui cosa “far passare” e che peso dare alla tua voce. Insomma, bisognerebbe accet-tare di intervenire solo a trasmissioni di approfondimento dove puoi arti-era una volta l’informa-zione... una informazio-ne seria che cerca più fonti e le mette a con-fronto, per capire cosa succede dav-vero..., oggi invece si riprende una voce tale e quale, senza veriche, la voce rotola e si fa notizia, rimbalza, si espande e diventa verità, magari una eco emotiva, senza nessuno che ne controlli la veridicità». Come un bisturi, la voce tagliente di Luciano Assin, giornalista e guida turistica in Israele, descrive il panorama me-diatico italiano che dal 7 ottobre in poi cerca di raccontare cosa accade in Medio Oriente. Come lui, in que-sti mesi di guerra sono diversi gli italkim (italiani residenti in Israele) che si sono impegnati per far cono-scere - da Israele e in lingua italiana - un’altra narrazione, un’altra guerra, L’IMPEGNO PER CONTRASTARE LA NARRATIVA FAZIOSA DEI MEDIA ITALIANI«C’l’altra faccia della medaglia di una realtà che sui media troppo spes-so non ha trovato spazio. Insieme a Luciano Assin, Roberto Della Rocca, Edna Angelica Calò Livne, Daniel Lanternani, Dario Sanchez, sono nu-merosissime le voci italo-israeliane che si sono prodigate per fornire una contro-informazione che fosse pun-tuale e ecace. LE NEWS NELL’EPOCA DEL SENSAZIONALISMO «Oggi, sempre più, l’informazione cerca il sangue, il dramma e sembra aver perso il suo compito di infor-mare in maniera obiettiva - aerma Luciano Assin. - Tutti rincorrono la notizia con una velocità tale per cui ognuno vuole essere il primo a dar-la e nessuno si cura più di verica-re se questa è vera oppure falsa; c’è molta più supercialità e ignoranza tra i giornalisti. Dominano il pieti-ATTUALITÀSono presenti sui giornali italiani, in tv, nei talk-show, radio, sui social media. Parlano gli italiani di Israele con la loro urgenza di narrare la realtà “da dentro”, lontano dai facili appiattimenti. Un impegno dolente per narrare “l’altra faccia del conitto”, per dare spazio al punto di vista israeliano, smontare la narrativa pro-Pal che domina ovunque e che cerca lo scoop pietistico e lacrimevoleGli Italkim in prima linea: come fare contro informazione e raccontare la guerradi LUDOVICAIACOVACCI >ottobre 20246 7
I Paesi che hanno firmato i patti di Abramo (un accordo che ha segnato la prima norma-lizzazione delle relazioni tra i Paesi Arabi Sunniti e Israele) nel 2020 sono gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Sudan e il Marocco. L’Arabia Saudita non ha firmato ma aveva accolto l’invito dopo che gli Stati Uniti – con Trump Presidente – avevano proposto a un gruppo di nazioni arabe sunnite un’alleanza con Israele. Lo dichiara, spiegandolo con parole molto forti, anche il principe saudita Bin Salman: “Khamenei è il nuovo Hitler. Lui si vuole espandere e realizzare il suo progetto in modo molto simile a Hitler che, al tempo, voleva, espandersi in Europa. Molte nazioni in tutto il mon-do e in Europa non si rendevano con-to di quanto Hitler fosse pericoloso e io non voglio che accadano simili eventi in Medio Oriente. Ma, senza dubbio, se l’Iran svilupperà la bomba nucleare, seguiremo quell’esempio quanto prima”.Quale è stato, sino ad oggi, l’atteggiamento delle testate italiane dalla tiratura più alta su questi argomen-ti? Riprendiamo dalla Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali) i primi sei quotidiani in ordi-ne di diffusione: Corriere della Sera, Repubblica, il Sole 24 ore, Il Messaggero, La Stampa, Avvenire. Tutti, dopo il mas-sacro di israeliani da parte di Hamas del 7 ottobre, di fronte a un Paese, Israele, aggredito, non hanno puntato la loro attenzione sull’aggressore.Corrispondenti, inviati e commenta-tori - invece di raccontare quanto un Paese democratico, come Israele, fosse obbligato a difendere i pro-pri cittadini - sono rimasti prigionieri delle menzogne e della false analisi diffuse dalla grande mag-gioranza dei palestinesi con alla testa Hamas. Mentre gli israe-liani venivano catturati come ostaggi e assassinati, l’inte-resse dei media (e conseguen-temente, poi, dell’opinione pubblica) per la situazione calava di giorno in giorno.Corriere della Sera, Repubblica e La Stampa si sono ben guardati da in-tervistare storici non legati ai partiti di sinistra; il Sole 24 ore, il giornale di Confindustria, si schierava dalla par-te araba Sciita per interessi economi-ci delle imprese italiane; Avvenire, il quotidiano vicino al Vaticano, scrive-va solo di pace...Questa è la dimostrazione che tutto il mondo, anche occidentale, è sot-toposto a una costante islamizzazio-ne, innanzitutto dell’informazione, e che i principi democratici sono stati soppiantati dalla violenza e dall’o-dio verso l’unico Paese del Medio Oriente, Israele, che si trova di fronte all’abbandono di quegli Stati che un tempo erano democratici. L’Europa e gli USA imparino da Bin Salman che il rischio che corre l’Occidente è di non aver capito di trovarsi di fron-te a un precipizio… complici anche le imminenti elezioni presidenziali americane.Il disegno diabolico di Khamenei e l’opinione del principeBin Salman (Non sarebbe forse il tempo di dargli ascolto?)[La domanda scomoda]DI ANGELO PEZZANARIFLESSIONI SUL MEDIO ORIENTEIFLESSIONI SUL MEDIO ORIENTEcordo pur di vederli qui e chi invece vuole farli tornare ma non a qualun-que costo. Tutta Israele sore per gli ostaggi, sia per quelli ancora vivi sia per i morti che non potranno avere degna sepoltura. La politica dovreb-be dare una risposta, qualunque essa sia: o una linea dura nel riportare gli ostaggi a casa senza trattative oppure scendere a patti. L’opinione pubblica israeliana è esausta».DALL’EMPATIA ALLA CONDANNAMa come è cambiato l’atteg-giamento dei media italiani? «All’inizio c’è stata empatia ma è du-rata molto poco, subito si è tornati al solito schema manicheistico, cat-tivi contro buoni - spiega Luciano Assin -. Nell’informazione è tutto molto schematizzato, il reporter cerca lo scoop, il picco drammatico della giornata. Ripeto: è incredibile questa assoluta mancanza nel con-trollo delle fonti. Quello che conta è sparare il titolone, impressionare il lettore. L’informazione oggi cerca il melodramma, ha perso il suo com-pito di informare in maniera obietti-va. Qualche mese fa, ad esempio, in una delle riunioni parlamentari della Knesset, i parenti degli ostaggi fece-ro irruzione. Ebbene, il Corriere della Sera titolò, nel suo sito online, che il Parlamento israeliano, la Knesset, si trovava a Tel Aviv. Vi pare possibile? Nessuno aveva controllato che in re-altà il Parlamento è a Gerusalemme».INFORMAZIONE E CONTROINFORMAZIONEChe fare allora? Che cosa consigliare alle leadership delle comunità ebrai-che in Italia per gestire la controin-formazione? La parola chiave è “coor-dinamento”. «C’è bisogno di qualcuno che dia la linea su quello che bisogna fare - suggerisce Assin. - È necessario coinvolgere giornalisti super partes e non necessariamente ebrei (il che richiede nanziamenti). In questa lotta si è da soli e non bisogna aspet-tarsi nulla dal governo israeliano. Da sinistra:Luciano Assin; Yehuda Calo Livne e Cesare Funaro della protezione del kibbutz Sasa. In basso: Angelica Edna Calo Livne.adesso non si ha la certezza di ciò che sarà domani. La ricostruzione della nostra casa è rimasta a metà, non sappiamo se si potrà continuare a costruire né se ci torneremo a vivere, essendo in prima linea verso il mare in direzione della Striscia di Gaza. Incertezza è la parola chiave. Mio -glio ha visto i terroristi con i suoi oc-chi, loro hanno sparato den-tro al bagno dov’era nascosto e ha perso gli amici di scuola. Sono stati il pallone e il gioco a salvarlo, adesso. A gennaio ha ripreso a giocare e da poco è partito per la Spagna, si al-lenerà lì in un’accademia. Per stargli più vicino, verremo in Italia e ci prenderemo un anno sabbatico. Mia moglie non se la sente di tornare a vivere nel nostro kibbutz, quello in cui sono stati uccisi i nostri amici. Noi israe-liani siamo sempre quelli chiamati a fornire delle prove della nostra “in-nocenza”. Personalmente ho sempre sostenuto la scelta di Israele di non mostrare fotograe e video dell’or-rore, dei corpi scempiati dopo gli attentati: è una questione di rispetto, che può annichilire sia le famiglie sia gli spettatori. Ai nostri nemici invece, piace l’esibizione, mostrare, ostentare anche fatti o cose che non sono mai accadute. Dopo il 7 ottobre è stata la prima volta che ho creduto necessario mostrare che cosa fosse davvero successo. I terroristi si sono lmati, più di così che cosa volete? Nonostante ciò, c’è chi continua a non credere a quanto avvenuto».Anche Edna Calò conosce l’esperien-za di vivere in un kibbutz - risiede a Sasa - e dice che per lei quest’anno è come non fosse stato percepito, vis-suto «è scivolato via, sfumato, sva-nito». A partire dalla mancata per-cezione del ciclo della natura: «Casa mia è l’ultima casa della la di abi-tazioni davanti al Libano. Quando ci torno, di solito cammino guardando il frutteto nella strada sottostante. La guerra è iniziata proprio al tempo della raccolta delle mele e dato che il kibbutz è stato evacuato, io non ho potuto scendere a cogliere le mele. Era tutto verde e manco me ne sono accorta. Durante tutto questo anno sono stata così angosciata e in preda al dolore e alla paura per i miei gli a Gaza che non mi sono neanche resa conto che in realtà è passato un anno. Solo pochi giorni fa ho rivisto il frutteto di nuovo verde. Non ho nemmeno registrato, notato, il periodo in cui le foglie sono cadute e rispuntate, quello in cui sono rinati i primi boccioli e le gemme. È come se quest’anno mi fosse passato ac-canto, di sfuggita: trop-pa soerenza. È come se si fosse tutto bloccato, congelato». Per Roberto Della Rocca quella data «sembra ieri» e pensa che da quel momento Israele stia vivendo «una specie di post trauma; ma poiché siamo nel vortice della guerra an-cora non ci si può ferma-re per guardare indietro e capire. Siamo immersi in una routine vorticosa che ha l’apparenza di una vita normale ma non lo è: andare a teatro, ai con-certi, ristoranti, è tutto forzato, facciamo nta che tutto sia normale, ma la verità è che siamo in guerra con più di 700 soldati mor-ti. Non si vede la ne. Se conside-riamo che il dopo guerra sarà con Hezbollah e l’Iran, adesso stiamo ancora vivendo un periodo magni-co rispetto a quanto potrebbe avve-nire successivamente».ATTUALITÀAnche Dario Sanchez sottolinea che «a un anno dal 7 ottobre ci troviamo ancora in guerra. Tutte le speranze che questo potesse essere un con-itto breve e che non avrebbe avuto ripercussioni a livello internazionale si sono dimostrate false, dei wishful thinking. Le operazioni militari van-no avanti e la guerra rischia di al-largarsi, in parte si è già allargata a seguito dell’attacco iraniano di aprile e delle azioni di Hezbollah. Ciò che manca è un orizzonte politico per il dopo a Gaza e nella ge-stione del conitto più largo con l’asse del male iraniano. Questo com-battimento potrebbe en-trare in una fase di stallo, somigliare sempre di più ad una guerra di logo-ramento. Per quanto ri-guarda la questione degli ostaggi, al di là della reto-rica, non vi è un orizzon-te credibile, neanche a livello di accordi. Sembra quasi che questo tema infastidisca entrambe le parti: Hamas continua con questa sua propa-ganda vergognosa se-condo la quale non saprebbe dove si trovano gli ostaggi, quanti sono mor-ti, quanti sono vivi; dall’altro lato, i messaggi che arrivano dal governo e dai mediatori sono contrastanti. La società israeliana è unita nel chiedere il ritorno degli ostaggi a casa nono-stante le dierenze di vedute tra chi è disposto ad accettare qualsiasi ac->>«Dobbiamo fare in modo che la gente capisca la nostra soerenza, capisca che non vogliamo queste guerre»ottobre 20248 9
I Paesi che hanno firmato i patti di Abramo (un accordo che ha segnato la prima norma-lizzazione delle relazioni tra i Paesi Arabi Sunniti e Israele) nel 2020 sono gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Sudan e il Marocco. L’Arabia Saudita non ha firmato ma aveva accolto l’invito dopo che gli Stati Uniti – con Trump Presidente – avevano proposto a un gruppo di nazioni arabe sunnite un’alleanza con Israele. Lo dichiara, spiegandolo con parole molto forti, anche il principe saudita Bin Salman: “Khamenei è il nuovo Hitler. Lui si vuole espandere e realizzare il suo progetto in modo molto simile a Hitler che, al tempo, voleva, espandersi in Europa. Molte nazioni in tutto il mon-do e in Europa non si rendevano con-to di quanto Hitler fosse pericoloso e io non voglio che accadano simili eventi in Medio Oriente. Ma, senza dubbio, se l’Iran svilupperà la bomba nucleare, seguiremo quell’esempio quanto prima”.Quale è stato, sino ad oggi, l’atteggiamento delle testate italiane dalla tiratura più alta su questi argomen-ti? Riprendiamo dalla Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali) i primi sei quotidiani in ordi-ne di diffusione: Corriere della Sera, Repubblica, il Sole 24 ore, Il Messaggero, La Stampa, Avvenire. Tutti, dopo il mas-sacro di israeliani da parte di Hamas del 7 ottobre, di fronte a un Paese, Israele, aggredito, non hanno puntato la loro attenzione sull’aggressore.Corrispondenti, inviati e commenta-tori - invece di raccontare quanto un Paese democratico, come Israele, fosse obbligato a difendere i pro-pri cittadini - sono rimasti prigionieri delle menzogne e della false analisi diffuse dalla grande mag-gioranza dei palestinesi con alla testa Hamas. Mentre gli israe-liani venivano catturati come ostaggi e assassinati, l’inte-resse dei media (e conseguen-temente, poi, dell’opinione pubblica) per la situazione calava di giorno in giorno.Corriere della Sera, Repubblica e La Stampa si sono ben guardati da in-tervistare storici non legati ai partiti di sinistra; il Sole 24 ore, il giornale di Confindustria, si schierava dalla par-te araba Sciita per interessi economi-ci delle imprese italiane; Avvenire, il quotidiano vicino al Vaticano, scrive-va solo di pace...Questa è la dimostrazione che tutto il mondo, anche occidentale, è sot-toposto a una costante islamizzazio-ne, innanzitutto dell’informazione, e che i principi democratici sono stati soppiantati dalla violenza e dall’o-dio verso l’unico Paese del Medio Oriente, Israele, che si trova di fronte all’abbandono di quegli Stati che un tempo erano democratici. L’Europa e gli USA imparino da Bin Salman che il rischio che corre l’Occidente è di non aver capito di trovarsi di fron-te a un precipizio… complici anche le imminenti elezioni presidenziali americane.Il disegno diabolico di Khamenei e l’opinione del principeBin Salman (Non sarebbe forse il tempo di dargli ascolto?)[La domanda scomoda]DI ANGELO PEZZANARIFLESSIONI SUL MEDIO ORIENTEIFLESSIONI SUL MEDIO ORIENTEcordo pur di vederli qui e chi invece vuole farli tornare ma non a qualun-que costo. Tutta Israele sore per gli ostaggi, sia per quelli ancora vivi sia per i morti che non potranno avere degna sepoltura. La politica dovreb-be dare una risposta, qualunque essa sia: o una linea dura nel riportare gli ostaggi a casa senza trattative oppure scendere a patti. L’opinione pubblica israeliana è esausta».DALL’EMPATIA ALLA CONDANNAMa come è cambiato l’atteg-giamento dei media italiani? «All’inizio c’è stata empatia ma è du-rata molto poco, subito si è tornati al solito schema manicheistico, cat-tivi contro buoni - spiega Luciano Assin -. Nell’informazione è tutto molto schematizzato, il reporter cerca lo scoop, il picco drammatico della giornata. Ripeto: è incredibile questa assoluta mancanza nel con-trollo delle fonti. Quello che conta è sparare il titolone, impressionare il lettore. L’informazione oggi cerca il melodramma, ha perso il suo com-pito di informare in maniera obietti-va. Qualche mese fa, ad esempio, in una delle riunioni parlamentari della Knesset, i parenti degli ostaggi fece-ro irruzione. Ebbene, il Corriere della Sera titolò, nel suo sito online, che il Parlamento israeliano, la Knesset, si trovava a Tel Aviv. Vi pare possibile? Nessuno aveva controllato che in re-altà il Parlamento è a Gerusalemme».INFORMAZIONE E CONTROINFORMAZIONEChe fare allora? Che cosa consigliare alle leadership delle comunità ebrai-che in Italia per gestire la controin-formazione? La parola chiave è “coor-dinamento”. «C’è bisogno di qualcuno che dia la linea su quello che bisogna fare - suggerisce Assin. - È necessario coinvolgere giornalisti super partes e non necessariamente ebrei (il che richiede nanziamenti). In questa lotta si è da soli e non bisogna aspet-tarsi nulla dal governo israeliano. Da sinistra:Luciano Assin; Yehuda Calo Livne e Cesare Funaro della protezione del kibbutz Sasa. In basso: Angelica Edna Calo Livne.adesso non si ha la certezza di ciò che sarà domani. La ricostruzione della nostra casa è rimasta a metà, non sappiamo se si potrà continuare a costruire né se ci torneremo a vivere, essendo in prima linea verso il mare in direzione della Striscia di Gaza. Incertezza è la parola chiave. Mio -glio ha visto i terroristi con i suoi oc-chi, loro hanno sparato den-tro al bagno dov’era nascosto e ha perso gli amici di scuola. Sono stati il pallone e il gioco a salvarlo, adesso. A gennaio ha ripreso a giocare e da poco è partito per la Spagna, si al-lenerà lì in un’accademia. Per stargli più vicino, verremo in Italia e ci prenderemo un anno sabbatico. Mia moglie non se la sente di tornare a vivere nel nostro kibbutz, quello in cui sono stati uccisi i nostri amici. Noi israe-liani siamo sempre quelli chiamati a fornire delle prove della nostra “in-nocenza”. Personalmente ho sempre sostenuto la scelta di Israele di non mostrare fotograe e video dell’or-rore, dei corpi scempiati dopo gli attentati: è una questione di rispetto, che può annichilire sia le famiglie sia gli spettatori. Ai nostri nemici invece, piace l’esibizione, mostrare, ostentare anche fatti o cose che non sono mai accadute. Dopo il 7 ottobre è stata la prima volta che ho creduto necessario mostrare che cosa fosse davvero successo. I terroristi si sono lmati, più di così che cosa volete? Nonostante ciò, c’è chi continua a non credere a quanto avvenuto».Anche Edna Calò conosce l’esperien-za di vivere in un kibbutz - risiede a Sasa - e dice che per lei quest’anno è come non fosse stato percepito, vis-suto «è scivolato via, sfumato, sva-nito». A partire dalla mancata per-cezione del ciclo della natura: «Casa mia è l’ultima casa della la di abi-tazioni davanti al Libano. Quando ci torno, di solito cammino guardando il frutteto nella strada sottostante. La guerra è iniziata proprio al tempo della raccolta delle mele e dato che il kibbutz è stato evacuato, io non ho potuto scendere a cogliere le mele. Era tutto verde e manco me ne sono accorta. Durante tutto questo anno sono stata così angosciata e in preda al dolore e alla paura per i miei gli a Gaza che non mi sono neanche resa conto che in realtà è passato un anno. Solo pochi giorni fa ho rivisto il frutteto di nuovo verde. Non ho nemmeno registrato, notato, il periodo in cui le foglie sono cadute e rispuntate, quello in cui sono rinati i primi boccioli e le gemme. È come se quest’anno mi fosse passato ac-canto, di sfuggita: trop-pa soerenza. È come se si fosse tutto bloccato, congelato». Per Roberto Della Rocca quella data «sembra ieri» e pensa che da quel momento Israele stia vivendo «una specie di post trauma; ma poiché siamo nel vortice della guerra an-cora non ci si può ferma-re per guardare indietro e capire. Siamo immersi in una routine vorticosa che ha l’apparenza di una vita normale ma non lo è: andare a teatro, ai con-certi, ristoranti, è tutto forzato, facciamo nta che tutto sia normale, ma la verità è che siamo in guerra con più di 700 soldati mor-ti. Non si vede la ne. Se conside-riamo che il dopo guerra sarà con Hezbollah e l’Iran, adesso stiamo ancora vivendo un periodo magni-co rispetto a quanto potrebbe avve-nire successivamente».ATTUALITÀAnche Dario Sanchez sottolinea che «a un anno dal 7 ottobre ci troviamo ancora in guerra. Tutte le speranze che questo potesse essere un con-itto breve e che non avrebbe avuto ripercussioni a livello internazionale si sono dimostrate false, dei wishful thinking. Le operazioni militari van-no avanti e la guerra rischia di al-largarsi, in parte si è già allargata a seguito dell’attacco iraniano di aprile e delle azioni di Hezbollah. Ciò che manca è un orizzonte politico per il dopo a Gaza e nella ge-stione del conitto più largo con l’asse del male iraniano. Questo com-battimento potrebbe en-trare in una fase di stallo, somigliare sempre di più ad una guerra di logo-ramento. Per quanto ri-guarda la questione degli ostaggi, al di là della reto-rica, non vi è un orizzon-te credibile, neanche a livello di accordi. Sembra quasi che questo tema infastidisca entrambe le parti: Hamas continua con questa sua propa-ganda vergognosa se-condo la quale non saprebbe dove si trovano gli ostaggi, quanti sono mor-ti, quanti sono vivi; dall’altro lato, i messaggi che arrivano dal governo e dai mediatori sono contrastanti. La società israeliana è unita nel chiedere il ritorno degli ostaggi a casa nono-stante le dierenze di vedute tra chi è disposto ad accettare qualsiasi ac->>«Dobbiamo fare in modo che la gente capisca la nostra soerenza, capisca che non vogliamo queste guerre»ottobre 20248 9
Israele nell’hasbarà ha fallito clamo-rosamente: addirittura la Ministra responsabile si è dimessa nello stesso momento in cui è iniziata la guerra, ovvero nel momento più importan-te del lavoro. Inoltre ci sono lotte intestine nel governo, quindi non bisogna aspettarsi che Israele tolga le castagne dal fuoco. La politica del basso prolo per cui “meno si parla di noi meglio è”, si è rivelata falli-mentare. Bisogna rispondere a muso duro e mettere in piedi un team lega-le che non perda occasione per inten-tare cause legali, quando necessario». Secondo Edna Calò, se qualcuno ci invita in una trasmissione dobbiamo andarci perché altrimenti la nostra voce non trova spazio. Gli interven-ti in diretta sono i migliori perché nessuno può tagliare o rimontare ciò che diciamo. Roberto Della Rocca sottolinea invece che il problema sia una questione decennale: «Israele sta perdendo la guerra mediatica da decenni - aerma. - Partiamo da una posizione sfa-vorevole: agli occhi del mondo siamo i conquistatori e i pa-lestinesi sono i con-quistati. Partiamo con un handicap e non sappiamo fare comunicazione. Questo si ripercuo-te sulle comunità della Diaspora. In Italia, anche nelle due Comunità più grandi, Milano e Roma, spesso non si distingue tra lo Stato di Israele e il suo governo. Non sempre le fonti governative sono oggettive. Bisogna fare coordinamento, presentare del materiale vericato e non cadere nel tifo da stadio. Il tifo fa gola ai mass media, attira l’attenzione dello spet-tatore ma è malato, viziato, perverso. Da troppo tempo, per Israele, l’ele-fante nella stanza è la questione pale-stinese. Se ami Israele devi capire che in un modo o nell’altro questa que-stione va risolta perché ignorando questo elefante poi nisce che quan-do si gira, ti schiaccia, come è succes-so il 7 ottobre. I Paesi occidentali che ci sostengono non è detto che lo fa-ranno per sempre, ricordiamolo». Èpassato un anno. Tempo di bilanci? Temo che sia anco-ra presto. Molte cose sono cambiate dalla terribile strage del 7 ottobre. Ma quella soluzione che tutti sogniamo, il ritorno della calma nel Sud e nel Nord di Israele, la restituzione degli ostaggi ancora nei cunicoli di Hamas, è ancora fuori portata. Sia chiaro: non è per volontà dello Stato ebraico che non è stato (almeno mentre scriviamo queste righe) ancora raggiunto un accordo. La responsabilità di questa atroce situazione è tutta dei fanatici in-tegralisti che obbediscono agli ordini di Sinwar. E tuttavia, non soltanto in Israele, il protrarsi di questa tragedia alimenta divisioni e attribuzioni di responsabilità. Sono reazioni umane. Comprensibili. In particolare per chi è direttamente colpito, magari perché persone vicine sono tra i rapiti del 7 ottobre. Eppure, per quanto cinico possa sembrare, occorre ragiona-re con animo freddo a proposito di que-sto conflitto che è parte di una contrap-posizione internazionale ben più vasta, ramificata e difficile da sciogliere. Israele sta combattendo una guerra insidiosa, contro più nemici e su più fronti, che ancora deve vedere una svolta. Il punto più difficile da tollerare, in tutto questo, a parte i sacrifici della popolazione israe-liana (quanti non sono ancora potuti tor-nare nelle proprie case?), è, a parer mio, l’atteggiamento del lontano Occidente che, dopo una minima manifestazione di solidarietà, da dodici mesi si danna per “convincere” il governo di Gerusalemme a “terminare la guerra” e “smettere di infliggere sofferenze alla popolazione palestinese innocente”. Ve lo immagina-te cosa avrebbero risposto americani e britannici (e pure i francesi di de Gaulle) se qualcuno avesse loro detto: “Suvvia, quante sofferenze state infliggendo ai tedeschi e ai giapponesi: trovate un ac-cordo!”…? E invece, come una litania sorda alla realtà e alla logica, questo è quanto accade nei confronti dello Stato ebraico. Dodici mesi di “consigli”, tal-volta diktat (soprattutto dagli Stati Uniti) e un’infinita corrente di ipocrisia dai vertici dell’Europa. Un esempio recente: al Forum di Cernobbio, tradizionale riunione tra chi con-ta nel mondo, dove in passato personaggi come Shimon Peres e altri statisti israeliani erano di casa, è stata invitata la regina Rania di Giordania. Come sapete, la consorte di re Abdallah è di origine palestinese: così, senza alcun contraddittorio (nes-sun nome da Gerusalemme), ha potuto sollecitare l’audience sulla necessità di “porre fine al razzismo anti palestinese”; e ancora ha sottolineato come “non ci può essere sicurezza senza pace”, dove il responsabile dell’assenza di pace era naturalmente Israele.Eccoci al punto. Per la gran parte del mondo, la crisi mediorientale ha una sola causa, lo Stato ebraico. E gli effetti che questa crisi riversa sugli altri Paesi – non ultimo l’antisemitismo che ha ri-alzato ovunque la testa – sono dunque da ascrivere alla testardaggine dei vari Netanyahu e compagnia. Vi rendete conto? Purtroppo anche molti israeliani ritengono che la bacchetta magica sia nelle mani di singoli uomini di governo e che il non volerla usare sia la ragione per cui non torna la tranquillità. Non è così. Questa guerra non è stata voluta da Israele. L’ho già scritto e lo ripeto: è stata scatenata da terroristi senza scrupoli o sentimenti umani, con l’unico scopo (è il loro progetto) di scardinare pezzo a pez-zo quanto costruito dagli ebrei in Terra di Israele. Persino all’Onu, dove conta an-che se non soprattutto la volontà di Paesi illiberali e fanatici, sembra in corso una gara a chi delegittima di più l’unico Stato ebraico al mondo. Questa è la situazio-ne. Ma noi dobbiamo fare il possibile per contrastarla. Per quanto difficile, sono convinto che abbiamo in noi tutte le car-te e la volontà per non farci travolgere. Israele è sotto attacco. Gli ebrei nel mon-do sono nell’occhio del ciclone. Ma, con la consapevolezza che è necessario non perdere speranza e solidarietà, restiamo forti e determinati al fianco di Israele.Il blog di Paolo Salomè sul sito www.mosaico-cem.itA un anno dalla tragedia, si continua a puntare il dito su Israele come unico colpevole della guerra[voci dal lontano occidente]di PAOLO SALOMATTUALITÀ>Per sostenere il Servizio Giovani della Comunità Ebraica di MilanoIBAN: IT03U0503401708000000025239, beneficiario Comunità Ebraica di Milano PayPal: Comunità Ebraica di MilanoLe NUOVE INIZIATIVE in fase di sviluppo includono:LA REALIZZAZIONE DI QUESTI PROGETTI DIPENDE DALL’AIUTO DI TUTTIIl tuo contributo può fare la differenza per incentivare i nostri giovani a rimanere vicini alla ComunitàEVENTI DI INTERESSE PROFESSIONALECon il coordinamento del giornalista Klaus Davi saranno organizzati incontri con professionisti esperti (avvocati, commercialisti, comunicatori e così via) per offrire ai giovani momenti di confronto e di arricchimento professionale.EVENTI DI HASBARÀIncontri dedicati ai giovani che si trovano a confrontarsi con ambienti ostili a Israele per fornire loro fatti e informazioni con cui argomentare la loro posizione e indurre alla riflessione gli interlocutori.INCREMENTO DELLE ATTIVITÀ SOCIALIFeste in discoteca, shabbatonim, occasioni di aggregazione affinché i giovani iscritti alla Comunità abbiano la possibilità di frequentarsi e approfondire relazioni che, nel tempo, possano contribuire alla crescita della Comunità attraverso nuove famiglie ebraiche.Nuove iniziative per i giovani SOSTIENI I NUOVI PROGETTI del Servizio Giovani della Comunità Ebraica di MilanoGli obiettivi del servizio sono sia creare regolari opportunità di contatto sociale fra i giovani della Comunità fra i 18e i 30 anni attraverso attività di divertimento ed eventi speciali in occasione delle maggiori festività sia riavvicinare alla Comunità quei giovani che se ne sono allontanati coinvolgendoli in iniziative di loro interesse.SERVIZIO GIOVANIDario Sanchezottobre 202410
Israele nell’hasbarà ha fallito clamo-rosamente: addirittura la Ministra responsabile si è dimessa nello stesso momento in cui è iniziata la guerra, ovvero nel momento più importan-te del lavoro. Inoltre ci sono lotte intestine nel governo, quindi non bisogna aspettarsi che Israele tolga le castagne dal fuoco. La politica del basso prolo per cui “meno si parla di noi meglio è”, si è rivelata falli-mentare. Bisogna rispondere a muso duro e mettere in piedi un team lega-le che non perda occasione per inten-tare cause legali, quando necessario». Secondo Edna Calò, se qualcuno ci invita in una trasmissione dobbiamo andarci perché altrimenti la nostra voce non trova spazio. Gli interven-ti in diretta sono i migliori perché nessuno può tagliare o rimontare ciò che diciamo. Roberto Della Rocca sottolinea invece che il problema sia una questione decennale: «Israele sta perdendo la guerra mediatica da decenni - aerma. - Partiamo da una posizione sfa-vorevole: agli occhi del mondo siamo i conquistatori e i pa-lestinesi sono i con-quistati. Partiamo con un handicap e non sappiamo fare comunicazione. Questo si ripercuo-te sulle comunità della Diaspora. In Italia, anche nelle due Comunità più grandi, Milano e Roma, spesso non si distingue tra lo Stato di Israele e il suo governo. Non sempre le fonti governative sono oggettive. Bisogna fare coordinamento, presentare del materiale vericato e non cadere nel tifo da stadio. Il tifo fa gola ai mass media, attira l’attenzione dello spet-tatore ma è malato, viziato, perverso. Da troppo tempo, per Israele, l’ele-fante nella stanza è la questione pale-stinese. Se ami Israele devi capire che in un modo o nell’altro questa que-stione va risolta perché ignorando questo elefante poi nisce che quan-do si gira, ti schiaccia, come è succes-so il 7 ottobre. I Paesi occidentali che ci sostengono non è detto che lo fa-ranno per sempre, ricordiamolo». Èpassato un anno. Tempo di bilanci? Temo che sia anco-ra presto. Molte cose sono cambiate dalla terribile strage del 7 ottobre. Ma quella soluzione che tutti sogniamo, il ritorno della calma nel Sud e nel Nord di Israele, la restituzione degli ostaggi ancora nei cunicoli di Hamas, è ancora fuori portata. Sia chiaro: non è per volontà dello Stato ebraico che non è stato (almeno mentre scriviamo queste righe) ancora raggiunto un accordo. La responsabilità di questa atroce situazione è tutta dei fanatici in-tegralisti che obbediscono agli ordini di Sinwar. E tuttavia, non soltanto in Israele, il protrarsi di questa tragedia alimenta divisioni e attribuzioni di responsabilità. Sono reazioni umane. Comprensibili. In particolare per chi è direttamente colpito, magari perché persone vicine sono tra i rapiti del 7 ottobre. Eppure, per quanto cinico possa sembrare, occorre ragiona-re con animo freddo a proposito di que-sto conflitto che è parte di una contrap-posizione internazionale ben più vasta, ramificata e difficile da sciogliere. Israele sta combattendo una guerra insidiosa, contro più nemici e su più fronti, che ancora deve vedere una svolta. Il punto più difficile da tollerare, in tutto questo, a parte i sacrifici della popolazione israe-liana (quanti non sono ancora potuti tor-nare nelle proprie case?), è, a parer mio, l’atteggiamento del lontano Occidente che, dopo una minima manifestazione di solidarietà, da dodici mesi si danna per “convincere” il governo di Gerusalemme a “terminare la guerra” e “smettere di infliggere sofferenze alla popolazione palestinese innocente”. Ve lo immagina-te cosa avrebbero risposto americani e britannici (e pure i francesi di de Gaulle) se qualcuno avesse loro detto: “Suvvia, quante sofferenze state infliggendo ai tedeschi e ai giapponesi: trovate un ac-cordo!”…? E invece, come una litania sorda alla realtà e alla logica, questo è quanto accade nei confronti dello Stato ebraico. Dodici mesi di “consigli”, tal-volta diktat (soprattutto dagli Stati Uniti) e un’infinita corrente di ipocrisia dai vertici dell’Europa. Un esempio recente: al Forum di Cernobbio, tradizionale riunione tra chi con-ta nel mondo, dove in passato personaggi come Shimon Peres e altri statisti israeliani erano di casa, è stata invitata la regina Rania di Giordania. Come sapete, la consorte di re Abdallah è di origine palestinese: così, senza alcun contraddittorio (nes-sun nome da Gerusalemme), ha potuto sollecitare l’audience sulla necessità di “porre fine al razzismo anti palestinese”; e ancora ha sottolineato come “non ci può essere sicurezza senza pace”, dove il responsabile dell’assenza di pace era naturalmente Israele.Eccoci al punto. Per la gran parte del mondo, la crisi mediorientale ha una sola causa, lo Stato ebraico. E gli effetti che questa crisi riversa sugli altri Paesi – non ultimo l’antisemitismo che ha ri-alzato ovunque la testa – sono dunque da ascrivere alla testardaggine dei vari Netanyahu e compagnia. Vi rendete conto? Purtroppo anche molti israeliani ritengono che la bacchetta magica sia nelle mani di singoli uomini di governo e che il non volerla usare sia la ragione per cui non torna la tranquillità. Non è così. Questa guerra non è stata voluta da Israele. L’ho già scritto e lo ripeto: è stata scatenata da terroristi senza scrupoli o sentimenti umani, con l’unico scopo (è il loro progetto) di scardinare pezzo a pez-zo quanto costruito dagli ebrei in Terra di Israele. Persino all’Onu, dove conta an-che se non soprattutto la volontà di Paesi illiberali e fanatici, sembra in corso una gara a chi delegittima di più l’unico Stato ebraico al mondo. Questa è la situazio-ne. Ma noi dobbiamo fare il possibile per contrastarla. Per quanto difficile, sono convinto che abbiamo in noi tutte le car-te e la volontà per non farci travolgere. Israele è sotto attacco. Gli ebrei nel mon-do sono nell’occhio del ciclone. Ma, con la consapevolezza che è necessario non perdere speranza e solidarietà, restiamo forti e determinati al fianco di Israele.Il blog di Paolo Salomè sul sito www.mosaico-cem.itA un anno dalla tragedia, si continua a puntare il dito su Israele come unico colpevole della guerra[voci dal lontano occidente]di PAOLO SALOMATTUALITÀ>Per sostenere il Servizio Giovani della Comunità Ebraica di MilanoIBAN: IT03U0503401708000000025239, beneficiario Comunità Ebraica di Milano PayPal: Comunità Ebraica di MilanoLe NUOVE INIZIATIVE in fase di sviluppo includono:LA REALIZZAZIONE DI QUESTI PROGETTI DIPENDE DALL’AIUTO DI TUTTIIl tuo contributo può fare la differenza per incentivare i nostri giovani a rimanere vicini alla ComunitàEVENTI DI INTERESSE PROFESSIONALECon il coordinamento del giornalista Klaus Davi saranno organizzati incontri con professionisti esperti (avvocati, commercialisti, comunicatori e così via) per offrire ai giovani momenti di confronto e di arricchimento professionale.EVENTI DI HASBARÀIncontri dedicati ai giovani che si trovano a confrontarsi con ambienti ostili a Israele per fornire loro fatti e informazioni con cui argomentare la loro posizione e indurre alla riflessione gli interlocutori.INCREMENTO DELLE ATTIVITÀ SOCIALIFeste in discoteca, shabbatonim, occasioni di aggregazione affinché i giovani iscritti alla Comunità abbiano la possibilità di frequentarsi e approfondire relazioni che, nel tempo, possano contribuire alla crescita della Comunità attraverso nuove famiglie ebraiche.Nuove iniziative per i giovani SOSTIENI I NUOVI PROGETTI del Servizio Giovani della Comunità Ebraica di MilanoGli obiettivi del servizio sono sia creare regolari opportunità di contatto sociale fra i giovani della Comunità fra i 18e i 30 anni attraverso attività di divertimento ed eventi speciali in occasione delle maggiori festività sia riavvicinare alla Comunità quei giovani che se ne sono allontanati coinvolgendoli in iniziative di loro interesse.SERVIZIO GIOVANIDario Sanchezottobre 202410
Quezon, il nostro paese accolse circa 1.300 rifugiati ebrei in fuga dall’Eu-ropa, quando nessun’altro paese asia-tico era disposto a farlo. E quando, nel 1947, alle Nazioni Unite venne messo ai voti il Piano di partizione della Palestina, le Filippine votaro-no a favore della nascita di uno Stato Ebraico. Il resto, come si suol dire, è storia; sin dal 1957 abbiamo ottime relazioni diplomatiche con Israele, trasformatesi nel corso del tempo in una vera e propria amicizia.Come sono schierati i politici e l’o-pinione pubblica lippina in merito alla guerra in corso?Occorre fare una precisazione; es-sendo Israele un paese geograca-mente lontano, alcune fasce della so-cietà lippina non conoscono bene la situazione. Detto ciò, le Filippine sono l’unico paese nel sud-est asia-tico ad aver dichiarato apertamente il suo appoggio a Israele. Non solo i politici, ma anche la società nel suo complesso sta con Israele, e non col-tiva nessun sentimento di odio o pre-giudizi antiebraici.Personalmente, posso testimoniare questa solidarietà con Israele anche sulla base della mia esperienza; ho scritto diversi articoli sulla reazio-ne israeliana dopo il 7 ottobre per il quotidiano lippino e Philippine Star, uno dei più letti nel paese, e ogni giorno ricevo centinaia di mail da parte dei lettori. Su un centina-io di commenti ai miei articoli su Israele, direi che solo 4 o 5 sono lo-palestinesi, mentre tutti gli altri sono generalmente loisraeliani.Le Filippine ospitano una consistente minoranza musulmana. Come sono schierati sull’argomento rispetto alla maggioranza cattolica?L’arcipelago delle Filippine è compo-sto principalmente da tre grandi re-gioni: l’isola di Luzon a nord, le isole Visayas al centro e Mindanao a sud. Se Luzon e Visayas sono prevalente-mente cristiane, a Mindanao è molto presente la componente musulma-na. Ed è nelle zone musulmane che si sono tenuti cortei pro-Palestina. Ma è poca cosa in con-fronto a quello che si può vedere in paesi vi-cini come la Malaysia e l’Indonesia, dove l’odio antiebraico e le posizio-ni lopalestinesi sono palpabili. Da noi i mu-sulmani sono appena il 6% della popolazione, pochi in confronto ai 200 milioni in Indonesia, perlopiù schierati contro Israele.In una sua analisi pubblicata a mag-gio sul sito del MEMRI, sosteneva che le Filippine stanno cercando di opporsi all’espansionismo cinese nell’Oceano Pacico. Quanto pesa questo fattore nella cooperazione militare con Israele?Le Filippine hanno accordi di coope-razione militare solo con una cerchia ristretta di paesi. Israele ha aperto un proprio ucio per gli scambi militari a Manila nel 2020, e ha esteso la pro-pria rete diplomatica; oltre all’amba-sciata a Manila, ha aperto anche due consolati nelle regioni di Visayas e Mindanao.Israele è un nostro importante for-nitore di armi e munizioni da molto tempo. Nell’ultimo periodo, a causa della minaccia cinese, le relazio-ni si sono raorzate; l’azienda Elbit Systems ci ha fornito aerei da pattu-gliamento, ma Israele ci procura an-che pistole, proiettili, tute mimetiche ed elmetti. Inoltre, cooperiamo con loro anche negli addestramenti mi-litari.In quali altri settori vi è una collabo-razione procua?Abbiamo molti programmi per gli scambi tecnologici, di cui il più pro-cuo è quello nel settore agricolo: ogni anno, mandiamo tra i 300 e i 400 lippini in Israele anché stu-dino le loro innovazioni nell’agricol-tura e le portino qui da noi. Inoltre, ci sono diverse joint venture attive nel settore agricolo. Grazie all’utiliz-zo di tecnologie israeliane, la Metro Pacic Agro Ventures Inc., uno dei più grandi conglomerati aziendali delle Filippine, sta costruendo quello che sarà il più grande caseicio del paese e di tutta l’Asia, che servirà a produrre 6 milioni di litri di latte all’anno. Hanno inoltre investi-to un miliardo di pesos lippini (circa 15,9 mi-lioni di euro, ndr) per costruire una serra dove poter coltivare 1.600 tonnellate di verdure all’anno. Esistono poi collaborazioni procue tra Israele e le Filippine anche nel settore infor-matico, per lo sviluppo di start-up e nuove tecnologie. Quali aspetti potrebbero essere mi-gliorati?Gli scambi commerciali per adesso non sono consistenti, e anche il tu-rismo tra i due paesi non ha ancora raggiunto livelli signicativi. Per implementare i viaggi turistici sono in corso delle trattative anché la compagnia aerea Philippine Airlines possa compiere dei voli diretti a Tel Aviv e a Gerusalemme. I negoziati si erano interrotti dopo il 7 ottobre, ma in seguito sono ripresi. In ogni caso, quando uno dei due paesi ha bisogno di aiuto, l’altro c’è: ad esem-pio, Mashav, l’agenzia internazionale per la cooperazione e lo sviluppo del Ministero degli Aari Esteri israelia-no, attribuisce alle Filippine lo status di nazione prioritaria. Per questo, vi è una cooperazione tra i due paesi, ad esempio quando si vericano ca-tastro naturali: in questi casi, Israele ci manda aiuti alimentari, donazio-ni di sangue, medici professionisti. E anche durante la pandemia da Covid-19, Israele ci ha consentito di vaccinare decine di migliaia di nostri connazionali.Per leggere l’articolo integrale, visitare il sito www.mosaico-cem.itDa sinistra: Il vescovo Armando Cruzem con la sua congregazione alla cerimonia annuale nelle Filippine per il Giorno dell’Indipendenza di Israele; Andrew James Masigan.POLITICA E ATTUALITÀ NEL MONDOOLITICA E ATTUALITÀ NEL MONDOon è scappata. E’ rimasta lì quando Hamas ha fat-to irruzione oltre il con-ne israeliano. Angelyn Aguirre, badante lippina di 32 anni, è rimasta no alla ne al an-co dell’anziana donna della quale si prendeva cura nel kibbutz Kfar Aza, Nira Ronen, con la quale ha tentato senza successo di nascondersi nella stanza blindata della casa, prima che fossero entrambe uccise dai terrori-sti. Aguirre, che era sposata da appe-na un anno ed era rientrata in Israele per lavorare pochi giorni prima dell’attacco, è tra i 4 cittadini lippini che il 7 ottobre sono stati uccisi da Hamas; altri due erano stati rapiti e portati a Gaza, per poi essere liberati a novembre.In Israele risiedono circa 30.000 la-voratori lippini, impiegati princi-palmente come badanti e nel setto-re alberghiero. Quando, venerdì 9 agosto, l’Ambasciata israeliana nelle Filippine ha celebrato il 67° anni-versario delle relazioni tra i due pa-esi, piantando degli alberi nel cortile della San Francisco High School di Quezon City, quattro alberi sono sta-ti dedicati a ciascuna delle vittime.Sin da quel tragico giorno, l’attua-le presidente lippino Ferdinand Marcos Jr. si è fortemente schiera-to al anco d’Israele, condannando senza ambiguità l’operato di Hamas. Una relazione, quella tra Manila e Gerusalemme, che è dettata an-che da interessi comuni nel settore della difesa; è notizia recente che la Forza Aerea delle Filippine ha ac-quistato dall’azienda israeliana Elbit Systems dei velivoli da pattuglia-mento a lungo raggio, a causa di re-centi tensioni con la Cina nel Mar Cinese Meridionale. Mentre le Israel Shipyards Industries hanno recente-mente venduto alla Marina militare lippina due navi da pattugliamento dotate di lanciamissili. Per capire meglio come si sono evo-lute le relazioni tra i due paesi, ab-Nbiamo parlato con l’imprenditore ed economista lippino Andrew James Masigan, editorialista del quotidia-no e Philippine Star e consiglie-re del MEMRI (Middle East Media Research Institute).Quali erano i rapporti tra le Filippine e Israele prima del 7 ottobre?Le relazioni sono sempre state buo-ne. Le Filippine sono, oltre a Timor Est, l’unica nazione a maggioranza cattolica in Asia, e abbiamo sempre sentito di avere un legame con il po-polo ebraico. Già negli anni ‘30, sotto la guida dell’allora presidente Manuel ATTUALITÀLatte, formaggi, coltivazione di ortaggi e verdure... Molti i programmi di scambi, soprattutto nel settore agricoloUn’amicizia decennale, interessi strategici e valori comuni. Le Filippine sono l’unico paese nel sud-est asiatico ad aver dichiarato apertamente il suo appoggio a Israele dopo il 7 ottobre. Scambi e cooperazione dall’agro-alimentare alla tecnologia informatica“Siamo con voi”: l’antica simpatia delle Filippine per Israeledi NATHAN GREPPI13
Quezon, il nostro paese accolse circa 1.300 rifugiati ebrei in fuga dall’Eu-ropa, quando nessun’altro paese asia-tico era disposto a farlo. E quando, nel 1947, alle Nazioni Unite venne messo ai voti il Piano di partizione della Palestina, le Filippine votaro-no a favore della nascita di uno Stato Ebraico. Il resto, come si suol dire, è storia; sin dal 1957 abbiamo ottime relazioni diplomatiche con Israele, trasformatesi nel corso del tempo in una vera e propria amicizia.Come sono schierati i politici e l’o-pinione pubblica lippina in merito alla guerra in corso?Occorre fare una precisazione; es-sendo Israele un paese geograca-mente lontano, alcune fasce della so-cietà lippina non conoscono bene la situazione. Detto ciò, le Filippine sono l’unico paese nel sud-est asia-tico ad aver dichiarato apertamente il suo appoggio a Israele. Non solo i politici, ma anche la società nel suo complesso sta con Israele, e non col-tiva nessun sentimento di odio o pre-giudizi antiebraici.Personalmente, posso testimoniare questa solidarietà con Israele anche sulla base della mia esperienza; ho scritto diversi articoli sulla reazio-ne israeliana dopo il 7 ottobre per il quotidiano lippino e Philippine Star, uno dei più letti nel paese, e ogni giorno ricevo centinaia di mail da parte dei lettori. Su un centina-io di commenti ai miei articoli su Israele, direi che solo 4 o 5 sono lo-palestinesi, mentre tutti gli altri sono generalmente loisraeliani.Le Filippine ospitano una consistente minoranza musulmana. Come sono schierati sull’argomento rispetto alla maggioranza cattolica?L’arcipelago delle Filippine è compo-sto principalmente da tre grandi re-gioni: l’isola di Luzon a nord, le isole Visayas al centro e Mindanao a sud. Se Luzon e Visayas sono prevalente-mente cristiane, a Mindanao è molto presente la componente musulma-na. Ed è nelle zone musulmane che si sono tenuti cortei pro-Palestina. Ma è poca cosa in con-fronto a quello che si può vedere in paesi vi-cini come la Malaysia e l’Indonesia, dove l’odio antiebraico e le posizio-ni lopalestinesi sono palpabili. Da noi i mu-sulmani sono appena il 6% della popolazione, pochi in confronto ai 200 milioni in Indonesia, perlopiù schierati contro Israele.In una sua analisi pubblicata a mag-gio sul sito del MEMRI, sosteneva che le Filippine stanno cercando di opporsi all’espansionismo cinese nell’Oceano Pacico. Quanto pesa questo fattore nella cooperazione militare con Israele?Le Filippine hanno accordi di coope-razione militare solo con una cerchia ristretta di paesi. Israele ha aperto un proprio ucio per gli scambi militari a Manila nel 2020, e ha esteso la pro-pria rete diplomatica; oltre all’amba-sciata a Manila, ha aperto anche due consolati nelle regioni di Visayas e Mindanao.Israele è un nostro importante for-nitore di armi e munizioni da molto tempo. Nell’ultimo periodo, a causa della minaccia cinese, le relazio-ni si sono raorzate; l’azienda Elbit Systems ci ha fornito aerei da pattu-gliamento, ma Israele ci procura an-che pistole, proiettili, tute mimetiche ed elmetti. Inoltre, cooperiamo con loro anche negli addestramenti mi-litari.In quali altri settori vi è una collabo-razione procua?Abbiamo molti programmi per gli scambi tecnologici, di cui il più pro-cuo è quello nel settore agricolo: ogni anno, mandiamo tra i 300 e i 400 lippini in Israele anché stu-dino le loro innovazioni nell’agricol-tura e le portino qui da noi. Inoltre, ci sono diverse joint venture attive nel settore agricolo. Grazie all’utiliz-zo di tecnologie israeliane, la Metro Pacic Agro Ventures Inc., uno dei più grandi conglomerati aziendali delle Filippine, sta costruendo quello che sarà il più grande caseicio del paese e di tutta l’Asia, che servirà a produrre 6 milioni di litri di latte all’anno. Hanno inoltre investi-to un miliardo di pesos lippini (circa 15,9 mi-lioni di euro, ndr) per costruire una serra dove poter coltivare 1.600 tonnellate di verdure all’anno. Esistono poi collaborazioni procue tra Israele e le Filippine anche nel settore infor-matico, per lo sviluppo di start-up e nuove tecnologie. Quali aspetti potrebbero essere mi-gliorati?Gli scambi commerciali per adesso non sono consistenti, e anche il tu-rismo tra i due paesi non ha ancora raggiunto livelli signicativi. Per implementare i viaggi turistici sono in corso delle trattative anché la compagnia aerea Philippine Airlines possa compiere dei voli diretti a Tel Aviv e a Gerusalemme. I negoziati si erano interrotti dopo il 7 ottobre, ma in seguito sono ripresi. In ogni caso, quando uno dei due paesi ha bisogno di aiuto, l’altro c’è: ad esem-pio, Mashav, l’agenzia internazionale per la cooperazione e lo sviluppo del Ministero degli Aari Esteri israelia-no, attribuisce alle Filippine lo status di nazione prioritaria. Per questo, vi è una cooperazione tra i due paesi, ad esempio quando si vericano ca-tastro naturali: in questi casi, Israele ci manda aiuti alimentari, donazio-ni di sangue, medici professionisti. E anche durante la pandemia da Covid-19, Israele ci ha consentito di vaccinare decine di migliaia di nostri connazionali.Per leggere l’articolo integrale, visitare il sito www.mosaico-cem.itDa sinistra: Il vescovo Armando Cruzem con la sua congregazione alla cerimonia annuale nelle Filippine per il Giorno dell’Indipendenza di Israele; Andrew James Masigan.POLITICA E ATTUALITÀ NEL MONDOOLITICA E ATTUALITÀ NEL MONDOon è scappata. E’ rimasta lì quando Hamas ha fat-to irruzione oltre il con-ne israeliano. Angelyn Aguirre, badante lippina di 32 anni, è rimasta no alla ne al an-co dell’anziana donna della quale si prendeva cura nel kibbutz Kfar Aza, Nira Ronen, con la quale ha tentato senza successo di nascondersi nella stanza blindata della casa, prima che fossero entrambe uccise dai terrori-sti. Aguirre, che era sposata da appe-na un anno ed era rientrata in Israele per lavorare pochi giorni prima dell’attacco, è tra i 4 cittadini lippini che il 7 ottobre sono stati uccisi da Hamas; altri due erano stati rapiti e portati a Gaza, per poi essere liberati a novembre.In Israele risiedono circa 30.000 la-voratori lippini, impiegati princi-palmente come badanti e nel setto-re alberghiero. Quando, venerdì 9 agosto, l’Ambasciata israeliana nelle Filippine ha celebrato il 67° anni-versario delle relazioni tra i due pa-esi, piantando degli alberi nel cortile della San Francisco High School di Quezon City, quattro alberi sono sta-ti dedicati a ciascuna delle vittime.Sin da quel tragico giorno, l’attua-le presidente lippino Ferdinand Marcos Jr. si è fortemente schiera-to al anco d’Israele, condannando senza ambiguità l’operato di Hamas. Una relazione, quella tra Manila e Gerusalemme, che è dettata an-che da interessi comuni nel settore della difesa; è notizia recente che la Forza Aerea delle Filippine ha ac-quistato dall’azienda israeliana Elbit Systems dei velivoli da pattuglia-mento a lungo raggio, a causa di re-centi tensioni con la Cina nel Mar Cinese Meridionale. Mentre le Israel Shipyards Industries hanno recente-mente venduto alla Marina militare lippina due navi da pattugliamento dotate di lanciamissili. Per capire meglio come si sono evo-lute le relazioni tra i due paesi, ab-Nbiamo parlato con l’imprenditore ed economista lippino Andrew James Masigan, editorialista del quotidia-no e Philippine Star e consiglie-re del MEMRI (Middle East Media Research Institute).Quali erano i rapporti tra le Filippine e Israele prima del 7 ottobre?Le relazioni sono sempre state buo-ne. Le Filippine sono, oltre a Timor Est, l’unica nazione a maggioranza cattolica in Asia, e abbiamo sempre sentito di avere un legame con il po-polo ebraico. Già negli anni ‘30, sotto la guida dell’allora presidente Manuel ATTUALITÀLatte, formaggi, coltivazione di ortaggi e verdure... Molti i programmi di scambi, soprattutto nel settore agricoloUn’amicizia decennale, interessi strategici e valori comuni. Le Filippine sono l’unico paese nel sud-est asiatico ad aver dichiarato apertamente il suo appoggio a Israele dopo il 7 ottobre. Scambi e cooperazione dall’agro-alimentare alla tecnologia informatica“Siamo con voi”: l’antica simpatia delle Filippine per Israeledi NATHAN GREPPI13
“Quando ho visto quello che era successo il 7 ot-tobre, di colpo mi sono sentita così tremenda-mente quella di una volta che non sapevo bene se piangere, disperar-mi, arrabbiarmi, ma avrei voluto che quelle immagini inguardabili fossero state trasmesse di più, perché troppo presto sono state dimenticate. Dal punto di vista strettamente personale, con la mia storia, dal punto di vista di mamma e di nonna, quei bambini non colpevoli di nulla se non di esiste-re mi avevano straziata al punto che mi aveva preso una forma di inson-nia, per cui non riuscivo a pensare ad altro. Mai avrei pensato che avrei sof-ferto altrettanto i giorni seguenti....”. “Dire che Israele commette genocidio è una bestemmia. Non usiamo più questa parola spaventosa”.“Negli ultimi decenni l’antisemiti-smo è stato sempre latente ma solo perché la gente si è vergognata di mostrarlo. Oggi non si vergognano più”.Queste, riportate qui sopra, sono solo alcune delle dichiarazioni fatte dalla senatrice Liliana Segre negli ultimi mesi in merito alla guerra a Gaza e sull’impatto del pogrom del 7-10-2023 sulla società civile. Dodici mesi di profonda soerenza per lei, che ha subito la persecuzione antie-braica quando aveva solo otto anni, che ha vissuto Auschwitz a tredici anni, e che nonostante l’orrore visto e vissuto ha saputo costruire una fa-miglia ed essere sempre una donna di pace.Proprio a lei, una delle testimoni principali tra i sopravvissuti italiani alla Shoah, è dedicato il documenta-rio intitolato Liliana, realizzato dal regista Ruggero Gabbai e prodotto da Forma International in collabo-razione con Rai Cinema, che verrà presentato il 20 ottobre al Festival del Cinema di Roma. Questo lungo-to, in modo da risparmiare loro que-sta soerenza. “Ai gli lasci un’ere-dità terribile, talmente pesante che, se li ami, devi far sì che pensino ad altro. Spesso rispondi loro ‘te lo dirò quando sarai più grande’ ma la verità è che non dovrebbero mai essere così grandi da ascoltare queste storie”, racconta Segre nel documentario.«Spesso non ci accorgiamo però che questa protezione è un’arma a dop-pio taglio perché è proprio nell’o-scurità, nel non conoscere la verità, che il trauma nasce - spiega Gabbai -. Dai gli di Nedo Fiano a quelli di Goti Bauer e di Liliana: il trauma è passato in tutte le seconde genera-zioni di ebrei che ho conosciuto». DAL PASSATO AL PRESENTE E AL FUTUROGabbai, che al momento sta lavoran-do a un documentario sulle donne dissidenti iraniane che combattono il regime dei mullah, è convinto che sia di fondamentale impor-tanza parlare alle future generazioni. «Tutte le famiglie che hanno vissuto la violen-za della guerra portano un trauma mai sopito. A volte si riesce a disin-nescare questo circolo vizioso in modo da non tramandarlo ai propri gli, ma nel caso del-la Shoah è impossibile uscirne. Ci si può solo convivere» spiega il regista. «La tematica del trauma è estre-mamente attuale e urgente rispetto ai conitti in atto. Penso al Medio Oriente ma anche all’Ucraina: molti bambini rimangono orfani di guer-ra, i genitori vedono tornare a casa i corpi dei loro gli, nessuna genera-zione è risparmiata da questo dolo-re - continua il regista -. Il rischio di creare una generazione che non rie-sce a risolvere il trauma va scongiu-rato. L’arte e il cinema possono esse-re utili strumenti di decodicazione, lettura e interpretazione per farci ca-pire i risvolti psicologici che stanno sempre di più diventando collettivi. Oggi più che mai è importante che se ne parli».‘LILIANA’ AL FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMAmetraggio di 86 minuti mette in luce gli aspetti più riservati della vita del-la protagonista: la discriminazione, l’arresto, la deportazione nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, lo struggente addio al padre, il ritor-no a casa, la depressione, l’esperienza politica e la scelta di raccontare la sua storia.“Questa sono io. È durato 45 anni il mio silenzio. Prima volevo fuggire – dai miei ricordi, non da me - ma adesso no. Sono un’altra persona”, racconta Segre nel lm. Il materiale inedito presentato fa parte dell’Archivio della Memoria del CDEC con lmati di 30 anni fa, aancato da altre voci di persone vicine alla senatrice: i gli, i nipoti e persino personaggi pubblici come Ferruccio de Bortoli, Mario Monti, Geppi Cucciari, Fabio Fazio ed Enrico Mentana.“Liliana è una testimone ecceziona-le perché è contemporaneamente di una semplicità disarmante e di una forza, determinazione e di un l di ferro straordinario” aerma Enrico Mentana nel lm.L’IDEA DEL PROGETTOQuesto documentario non è il primo progetto in cui Ruggero Gabbai col-labora con Liliana Segre. Nel 1995 il regista aveva già lmato la senatrice durante le riprese del lm colletti-vo Memoria in cui, grazie agli autori Liliana Picciotto e Marcello Pezzetti, ha raccolto le testimonianze di 97 so-pravvissuti ad Auschwitz. «Io e Liliana abbiamo una conoscenza che parte da lontano - dichiara il regista duran-te l’intervista avvenuta nello studio di Forma International -. Da subito Liliana ci ha colpito per l’accuratezza della sua testimonianza, per la gran-de lucidità nell’esprimere i fatti storici senza tralasciare nessun particolare e analizzandone in maniera razionale l’impatto emotivo e psicologico».Un anno fa, pensando a quanto dell’Archivio non fosse ancora sta-to utilizzato, Gabbai ha contattato la famiglia della senatrice per un nuovo progetto cinematograco che raccon-tasse i 30 anni successivi alla prima testimonianza. «Ho pensato fosse im-portante che la gente avesse l’oppor-tunità di conoscere la storia di Liliana Segre e di scoprire la donna dietro al personaggio pubblico che tutti cono-scono - aerma -.Per me era impor-tante rimuovere l’aspetto iconograco e simbolico di Liliana e mostrarne un aspetto più intimo: una persona con molto da raccontare rispetto a un’e-sperienza di vita così unica».Per le riprese, Gabbai ha concordato con la protagonista una lista di episo-di signicativi dal punto di vista sto-rico. Tra le location utilizzate vi sono Pesaro e la sua sinagoga, il Senato di Roma, il Binario 21, il Cimitero Monumentale e persino l’atrio del ci-vico 55 di corso Magenta a Milano, da cui Segre è stata deportata all’età di 13 anni.«Vederla tornare a casa è stata una scena toccante e personale della vita di Liliana che ho cercato di realizzare quasi in punta di piedi - continua -. Liliana entra, si guarda attorno e os-serva le nestre di casa sua che non si sono più aperte da allora».Nel documentario è presente anche il racconto del ritorno a casa della pic-cola Liliana negli anni del dopoguerra e di come il suo custode non l’avesse riconosciuta per quanto era cambiata.«In Liliana, come in altri miei lm, il luogo è fondamentale rispetto al racconto della testimo-ne ed è in grado di rap-presentare la narrazione storica quasi al pari delle parole».Segre non ha mai più voluto tornare ad Auschwitz ed ha scelto come location principa-le dell’intervista la casa della glia Federica Belli Paci, anche lei presente nel documentario.“Ho conosciuto la storia di mia ma-dre quando avevo 13 anni, la stessa età che lei aveva quando è stata de-portata - aermato la donna nel lm -. Una sera ha iniziato a leggermi un diario che lei aveva scritto riportan-do in maniera dettagliata il suo rac-conto della deportazione. È proprio attraverso la lettura di queste pagine che credo che il trauma sia passato a me e non sono mai stata più la stessa”.IL TRAUMA DELLE SECONDE GENERAZIONIUno dei temi principali del lm è il trauma delle seconde generazioni. È un trauma fatto di silenzi, di cose non dette, provocato dal fatto che molti dei sopravvissuti tornati dai campi hanno evitato di parlare ai propri cari di ciò che avevano vissu-Da sinistra: Liliana Segre nella Sinagoga di Pesaro; l’intervista a Enrico Mentana; Ruggero e Liliana. Quale donna si nasconde dietro al personaggio pubblico della senatrice Liliana Segre? Cosa si prova a tornare nei luoghi del dolore? È possibile non tramandare il trauma della persecuzione e dell’antisemitismo ai nostri gli e nipoti? Il regista Ruggero Gabbai racconta il suo doculm Liliana, presentato al Festival di Roma: un progetto che parla delle violenze collettive e di come disinnescarle«Te lo dirò quando sarai più grande...».E arriva il giorno in cui non si può più taceredi PIETROBARAGIOLACULTURAPERSONAGGI E STORIEERSONAGGI E STORIEottobre 202414 15