Message CHIESA“Dilexit nos” Un messaggio d’amore che parla a tuttiMONDORacconti dal Libano in guerra: oltre un milione di sfollatiECONOMIA SOCIALERiscoprire il valore del bene comune e del rispettoRIFLESSIONIEdith Bruck: «il cuore che non odia è una Porta Santa»LE LETTERE AL CUORE DI Papa Francesco:«Non perdere la ducia»Dicembre 2024 Numero Unico
1BENVENUTI A PIAZZA SAN PIETROIncontrarsi, confrontarsi e riconoscersi comunitàCon grande gioia desidero darvi il benvenuto in questa nuova declinazione di Piazza San Pietro. Lo faccio nello spirito delle parole del Bernini quando, dopo avere visto completata la sua opera, disse: «Ho voluto fare un colonnato che abbracciasse tutto il mondo».La piazza è un luogo simbolico, è spazio di accoglienza e di libertà, di relazione e riessione. La radice greca della parola signica “spazio ampio”. Per Aristotele l’agorà era molto di più di un luogo sico, rap-presentava il cuore della vita sociale e politica della polis; per vivere insieme gli uomini e le donne hanno bisogno di incontrarsi, confrontarsi e ricono-scersi in una comunità.Anche per Gesù la piazza era il luogo per insegnare, guarire e incontrare le persone; nella piaz-za pronunciava le sue parabole, discuteva con i farisei e faceva miracoli. Scegliendo la piazza, Gesù usciva dai templi e dalle sinagoghe per andare incontro alle persone, ai malati, ai peccatori. In questo modo, dimostrava la sua vicinanza e la sua compassione per tutti, senza distinzioni di ceto sociale.Questa rivista ci aiuterà così a preservare il signicato profondo della “piazza” e in particolare di custodire il signicato unico di Piazza San Pietro che ha una storia straordinaria, e nasce da un’idea di Papa Alessandro VII Chigi. Come vi dicevo il colonnato si apre come un grande abbraccio Urbi et Orbi dalla città di Roma verso il mondo intero. È l’abbraccio della Chiesa, che con i suoi santi di ieri, le cui statue (140 in totale) si ergono sulla sommità del colonnato, e di oggi, i cui volti incrociamo anche in questa piazza, ci introduce nel regno dei cieli. È inoltre un abbraccio che si stringe attorno all’obelisco, muto testimone degli eventi accaduti in questi luoghi del Vaticano.L’obelisco della Piazza ci invita a ricordare il martirio di Pietro e dei primi martiri cristiani, e a riettere su come entrambe le basiliche –quella antica del IV secolo costru-ita dall’Imperatore Costantino e quella nuova del XVI sec. –, siano state erette su una terra bagnata dal sangue dei martiri. Inoltre, da quasi quattro secoli, la grande piazza accoglie i pellegrini che giungo-no a San Pietro da ogni parte del mondo. Per volontà di San Giovanni Paolo II, essa è dominata dallo sguardo mater-no della Vergine Maria, Madre della Chiesa. La vediamo infatti in un grande mosaico che occupa un’in-tera nestra del Palazzo Apostolico, posto lì per desiderio di San Giovan-ni Paolo II dopo l’attentato subito in Piazza San Pietro. Vi invitiamo a San Pietro per vivere un’esperienza di spiritualità e di comunione. Avrete l’opportuni-tà di incontrare il Santo Padre, successore di Pietro, di partecipare ai sacramenti della confessione e dell’eucaristia, che ci aiutano a cre-scere nell’amore a Dio e al prossimo, e di contemplare la bellezza della Basilica. nMauro Gambetti, Cardinale Arciprete della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano e Presidente della Fabbrica di San PietroUNA RIFLESSIONEMinistero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale UN CONTINENTE DI OPPORTUNITÀ, PER CRESCERE INSIEME. MISURA AFRICA. 2simest.it Scopri le nuove soluzioni per le imprese italiane in Africa, scansionando il QR Code.
1BENVENUTI A PIAZZA SAN PIETROIncontrarsi, confrontarsi e riconoscersi comunitàCon grande gioia desidero darvi il benvenuto in questa nuova declinazione di Piazza San Pietro. Lo faccio nello spirito delle parole del Bernini quando, dopo avere visto completata la sua opera, disse: «Ho voluto fare un colonnato che abbracciasse tutto il mondo».La piazza è un luogo simbolico, è spazio di accoglienza e di libertà, di relazione e riessione. La radice greca della parola signica “spazio ampio”. Per Aristotele l’agorà era molto di più di un luogo sico, rap-presentava il cuore della vita sociale e politica della polis; per vivere insieme gli uomini e le donne hanno bisogno di incontrarsi, confrontarsi e ricono-scersi in una comunità.Anche per Gesù la piazza era il luogo per insegnare, guarire e incontrare le persone; nella piaz-za pronunciava le sue parabole, discuteva con i farisei e faceva miracoli. Scegliendo la piazza, Gesù usciva dai templi e dalle sinagoghe per andare incontro alle persone, ai malati, ai peccatori. In questo modo, dimostrava la sua vicinanza e la sua compassione per tutti, senza distinzioni di ceto sociale.Questa rivista ci aiuterà così a preservare il signicato profondo della “piazza” e in particolare di custodire il signicato unico di Piazza San Pietro che ha una storia straordinaria, e nasce da un’idea di Papa Alessandro VII Chigi. Come vi dicevo il colonnato si apre come un grande abbraccio Urbi et Orbi dalla città di Roma verso il mondo intero. È l’abbraccio della Chiesa, che con i suoi santi di ieri, le cui statue (140 in totale) si ergono sulla sommità del colonnato, e di oggi, i cui volti incrociamo anche in questa piazza, ci introduce nel regno dei cieli. È inoltre un abbraccio che si stringe attorno all’obelisco, muto testimone degli eventi accaduti in questi luoghi del Vaticano.L’obelisco della Piazza ci invita a ricordare il martirio di Pietro e dei primi martiri cristiani, e a riettere su come entrambe le basiliche –quella antica del IV secolo costru-ita dall’Imperatore Costantino e quella nuova del XVI sec. –, siano state erette su una terra bagnata dal sangue dei martiri. Inoltre, da quasi quattro secoli, la grande piazza accoglie i pellegrini che giungo-no a San Pietro da ogni parte del mondo. Per volontà di San Giovanni Paolo II, essa è dominata dallo sguardo mater-no della Vergine Maria, Madre della Chiesa. La vediamo infatti in un grande mosaico che occupa un’in-tera nestra del Palazzo Apostolico, posto lì per desiderio di San Giovan-ni Paolo II dopo l’attentato subito in Piazza San Pietro. Vi invitiamo a San Pietro per vivere un’esperienza di spiritualità e di comunione. Avrete l’opportuni-tà di incontrare il Santo Padre, successore di Pietro, di partecipare ai sacramenti della confessione e dell’eucaristia, che ci aiutano a cre-scere nell’amore a Dio e al prossimo, e di contemplare la bellezza della Basilica. nMauro Gambetti, Cardinale Arciprete della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano e Presidente della Fabbrica di San PietroUNA RIFLESSIONEMinistero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale UN CONTINENTE DI OPPORTUNITÀ, PER CRESCERE INSIEME. MISURA AFRICA. 2simest.it Scopri le nuove soluzioni per le imprese italiane in Africa, scansionando il QR Code.
2 3SOMMARIO46Camminare insieme5028Intelligenza Articiale: strumento per creare opportunitàIl presepe e l’albero di Natale del PapaUNA RIFLESSIONE Benvenuti a Piazza San Pietro ................... 1Mauro GambettiL’EDITORIALEComunicare per abbracciare il mondo .......3Enzo FortunatoGLI EDITORIALICerchiamo l’amore per ritrovare la speranza ............................. 6Edith BruckIl Giubileo come forma di equità sociale...... 7Aldo CazzulloVI SPIEGHIAMO IL PROGETTOLe colonne della cultura .............................. 8RedazioneGLI ARCHITRAVI DEL PONTIFICATO DI FRANCESCO FEDELa forza della fede ....................................10Víctor Manuel FernándezFRATERNITÀNessun riferimento alla pace...................12Andrea RiccardiAMBIENTEUn popolo dal destino comune................14Ermete RealacciGIUBILEO 2025Un cammino di Perdono e Misericordia ....18Rino FisichellaUn inno alla spiritualità ............................22Emiliano AmatoPer un nuovo capitolo di devozione ........23Pietro ZanderTECNOLOGIAIntelligenza Articiale: strumento per creare opportunità .............................28Paolo Benanti TORECONOMIA SOCIALEDiseguaglianze strutturali e giustizia sociale ....................................34Stefano ZamagniIL PUNTO DI…Ecologia integrale e fraternità .................39Gianni CardinaleLA NUOVA ENCICLICAUn messaggio d’amore ............................42Bruno ForteSINODOCamminare insieme .................................46Piero DamossoACCADE IN PIAZZAIl presepe e l’albero di Natale del Papa ..... 50Giuseppe FalangaARTE Tra le pagine della storia .........................54Simona TurrizianiLA PAROLA A...Una visione di armonia e creazione universale .............................58Michelangelo PistolettoINVITO ALLA LETTURA«Vi racconto com’è nato il libro di Papa Francesco» ..................................62Francesco BastianiniDALLE PERIFERIE DEL MONDOServono spazi pacici di dialogo ............66César Essayan VERSO LA GMB 2026Un seme di speranza per tutti .................70Francesco BastianiniFOCUSIl Battesimo, inizio di una vita nuova in Cristo, aperta a tutti ................. 74Agnello StoiaDIALOGO CON I LETTORI .........................76Risponde Francesco .................................77LA PAROLA AGLI ULTIMIUn centesimo fa la differenza .................80Gerardo GrecoPiazza San Pietro Numero Unico, dicembre 2024Direttore padre Enzo FortunatoCoordinatore editoriale Francesco BastianiniProgetto graco e impaginazione Giulio FermettiStampa Mediagraf SpA Viale della Navigazione Interna, 89 35027 Noventana Padovana (PD)ContributiEmiliano Amato, Francesco Bastianini, Paolo Benanti, Edith Bruck, Marco Capasso, Gianni Cardinale, Aldo Cazzullo, Piero Damosso, César Essayan, Giuseppe Falanga, Víctor Manuel Fernández, Rino Fisichella, Bruno Forte, Enzo Fortunato, Mauro Gambetti, Gerardo Greco, Michelangelo Pistoletto, Ermete Realacci, Andrea Riccardi, Agnello Stoia, Simona Turriziani, Stefano Zamagni, Paolo ZanderConcessionaria esclusiva per la pubblicità:2303 SRLVia Salvatore Cognetti, 38 70121 Bari (BA)P.IVA 082685207262303@pec.itpiazzasanpietro@2303.it+39 351 949 9711Per ricevere una copia di Piazza San Pietro scrivere un’email a: abbonamenti@piazzasanpietro.vaIn copertina: Papa Francesco apre la Porta Santa della Basilica di San Pietro, dando formalmente inizio al Giubileo della Misericordia, Città del Vaticano, dicembre 2015. Ansa/Maurizio BrambattiCHIESA“Dilexit nos” Un messaggio d’amore che parla a tuttiMONDORacconti dal Libano in guerra: oltre un milione di sfollatiECONOMIA SOCIALERiscoprire il valore del bene comune e del rispettoRIFLESSIONIEdith Bruck: «il cuore che non odia è una Porta Santa»LE LETTERE AL CUORE DI Papa Francesco:«Non perdere la ducia»Dicembre 2024 Numero 1
2 3SOMMARIO46Camminare insieme5028Intelligenza Articiale: strumento per creare opportunitàIl presepe e l’albero di Natale del PapaUNA RIFLESSIONE Benvenuti a Piazza San Pietro ................... 1Mauro GambettiL’EDITORIALEComunicare per abbracciare il mondo .......3Enzo FortunatoGLI EDITORIALICerchiamo l’amore per ritrovare la speranza ............................. 6Edith BruckIl Giubileo come forma di equità sociale...... 7Aldo CazzulloVI SPIEGHIAMO IL PROGETTOLe colonne della cultura .............................. 8RedazioneGLI ARCHITRAVI DEL PONTIFICATO DI FRANCESCO FEDELa forza della fede ....................................10Víctor Manuel FernándezFRATERNITÀNessun riferimento alla pace...................12Andrea RiccardiAMBIENTEUn popolo dal destino comune................14Ermete RealacciGIUBILEO 2025Un cammino di Perdono e Misericordia ....18Rino FisichellaUn inno alla spiritualità ............................22Emiliano AmatoPer un nuovo capitolo di devozione ........23Pietro ZanderTECNOLOGIAIntelligenza Articiale: strumento per creare opportunità .............................28Paolo Benanti TORECONOMIA SOCIALEDiseguaglianze strutturali e giustizia sociale ....................................34Stefano ZamagniIL PUNTO DI…Ecologia integrale e fraternità .................39Gianni CardinaleLA NUOVA ENCICLICAUn messaggio d’amore ............................42Bruno ForteSINODOCamminare insieme .................................46Piero DamossoACCADE IN PIAZZAIl presepe e l’albero di Natale del Papa ..... 50Giuseppe FalangaARTE Tra le pagine della storia .........................54Simona TurrizianiLA PAROLA A...Una visione di armonia e creazione universale .............................58Michelangelo PistolettoINVITO ALLA LETTURA«Vi racconto com’è nato il libro di Papa Francesco» ..................................62Francesco BastianiniDALLE PERIFERIE DEL MONDOServono spazi pacici di dialogo ............66César Essayan VERSO LA GMB 2026Un seme di speranza per tutti .................70Francesco BastianiniFOCUSIl Battesimo, inizio di una vita nuova in Cristo, aperta a tutti ................. 74Agnello StoiaDIALOGO CON I LETTORI .........................76Risponde Francesco .................................77LA PAROLA AGLI ULTIMIUn centesimo fa la differenza .................80Gerardo GrecoPiazza San Pietro Numero Unico, dicembre 2024Direttore padre Enzo FortunatoCoordinatore editoriale Francesco BastianiniProgetto graco e impaginazione Giulio FermettiStampa Mediagraf SpA Viale della Navigazione Interna, 89 35027 Noventana Padovana (PD)ContributiEmiliano Amato, Francesco Bastianini, Paolo Benanti, Edith Bruck, Marco Capasso, Gianni Cardinale, Aldo Cazzullo, Piero Damosso, César Essayan, Giuseppe Falanga, Víctor Manuel Fernández, Rino Fisichella, Bruno Forte, Enzo Fortunato, Mauro Gambetti, Gerardo Greco, Michelangelo Pistoletto, Ermete Realacci, Andrea Riccardi, Agnello Stoia, Simona Turriziani, Stefano Zamagni, Paolo ZanderConcessionaria esclusiva per la pubblicità:2303 SRLVia Salvatore Cognetti, 38 70121 Bari (BA)P.IVA 082685207262303@pec.itpiazzasanpietro@2303.it+39 351 949 9711Per ricevere una copia di Piazza San Pietro scrivere un’email a: abbonamenti@piazzasanpietro.vaIn copertina: Papa Francesco apre la Porta Santa della Basilica di San Pietro, dando formalmente inizio al Giubileo della Misericordia, Città del Vaticano, dicembre 2015. Ansa/Maurizio BrambattiCHIESA“Dilexit nos” Un messaggio d’amore che parla a tuttiMONDORacconti dal Libano in guerra: oltre un milione di sfollatiECONOMIA SOCIALERiscoprire il valore del bene comune e del rispettoRIFLESSIONIEdith Bruck: «il cuore che non odia è una Porta Santa»LE LETTERE AL CUORE DI Papa Francesco:«Non perdere la ducia»Dicembre 2024 Numero 1
5COMUNICARE PER ABBRACCIARE IL MONDO E creare un ponte di pace e dignitàCi sono momenti della vita che ti sorprendono. Sia per l’orizzonte di dolore e di soerenza che per la gioia e la letizia. Nel primo caso è facile lasciarsi andare al riuto e alla ribellione. Al contrario, quando ci troviamo di fronte al secondo, si abbraccia l’istante e lo si vive in pienezza. En-trambi, però, se vissuti alla luce di Dio donano alla propria esistenza la consapevolezza e l’orientamento. Eccole, dunque, le due dimensioni che guideranno la comunicazione della Basilica Papale di San Pietro. Consapevolezza e orientamento. È quanto suggeriva San Francesco. «Predica sempre il Vangelo. Se ne-cessario, usa anche le parole». È solo se guidati dalla Parola di Dio che la comunicazione non diviene mero strumento, ma fonte di consapevo-lezza e orientamento.D’altra parte i giornali, in tutto il mondo, vivono un periodo molto dicile. Qualcuno ne ha annun-ciato la morte in tempi brevi, noi crediamo invece che oggi il cartaceo possa orire uno spazio di qualità e di testimonianza dei valori umani e della dignità di ogni persona.Ma perché Piazza San Pietro? Quando abbiamo proposto a Papa Francesco di fare una rivista mensile ci ha immediatamente incoraggiati. Per la scelta della testata abbiamo presentato al Papa diverse idee, ed è stato lui a scegliere Piazza San Pietro. La piazza è il luogo dell’incontro, dell’accoglienza dell’altro. Dove il pregiudizio cade. Il colonnato del Bernini esprime proprio questo ab-braccio dell’altro. La nostra missione è quella di arrivare alle porte delle case di ogni città, secondo quella “Chiesa in uscita” continuamente richiamata da Papa Francesco.Per fare questo la comunicazione dovrà parlare un linguaggio semplice e accessibile, capace di raggiungere tutti, sostenuto dalla convinzione che ogni parola e ogni gesto possano far orire consapevolezza e orienta-mento.«Che le nostre parole siano come ponti», ha suggerito Papa Francesco. Il messaggio del Papa ci ore una prospettiva profonda e necessaria: che la vera comunicazione non è solo questione di parole, ma soprattutto di cuore. È un appello a tutti noi, indipendentemente dalla nostra fede o estrazione culturale, a diventare strumenti di pace e comprensione nella nostra quotidianità.Quattro saranno i focus che af-fronteremo ogni mese, aperti a quello che accade nel mondo e nella Chiesa. Pace, fraternità, rispetto del Creato e amore. Le quattro colonne delle encicliche papali che il Santo Padre ha posato nella costruzione di questo edicio e della sua riforma della Chiesa.Come direttore della rivista, porterò con me la voce dei poveri. La mia voce sarà la loro eco, le loro richieste di aiuto saranno le mie. Solo attra-verso l’ascolto e il riconoscimento delle loro speranze e dei loro dolori possiamo costruire un futuro di solidarietà e giustizia. Il loro grido d’aiuto sarà il mio grido d’aiuto. nEnzo Fortunato OFMConv, Direttore della Comunicazione della Basilica Papale di San Pietro in VaticanoL’EDITORIALE/Artigianale/Lavorazione realizzatada mani espertee attente che trasmettonola storia e i valoridell’azienda.Grazie alla sinergiatra innovazione epratiche artigianalisi ottengono prodottiunici e dal design inimitabile.SemplicementeMade in Italy.
5COMUNICARE PER ABBRACCIARE IL MONDO E creare un ponte di pace e dignitàCi sono momenti della vita che ti sorprendono. Sia per l’orizzonte di dolore e di soerenza che per la gioia e la letizia. Nel primo caso è facile lasciarsi andare al riuto e alla ribellione. Al contrario, quando ci troviamo di fronte al secondo, si abbraccia l’istante e lo si vive in pienezza. En-trambi, però, se vissuti alla luce di Dio donano alla propria esistenza la consapevolezza e l’orientamento. Eccole, dunque, le due dimensioni che guideranno la comunicazione della Basilica Papale di San Pietro. Consapevolezza e orientamento. È quanto suggeriva San Francesco. «Predica sempre il Vangelo. Se ne-cessario, usa anche le parole». È solo se guidati dalla Parola di Dio che la comunicazione non diviene mero strumento, ma fonte di consapevo-lezza e orientamento.D’altra parte i giornali, in tutto il mondo, vivono un periodo molto dicile. Qualcuno ne ha annun-ciato la morte in tempi brevi, noi crediamo invece che oggi il cartaceo possa orire uno spazio di qualità e di testimonianza dei valori umani e della dignità di ogni persona.Ma perché Piazza San Pietro? Quando abbiamo proposto a Papa Francesco di fare una rivista mensile ci ha immediatamente incoraggiati. Per la scelta della testata abbiamo presentato al Papa diverse idee, ed è stato lui a scegliere Piazza San Pietro. La piazza è il luogo dell’incontro, dell’accoglienza dell’altro. Dove il pregiudizio cade. Il colonnato del Bernini esprime proprio questo ab-braccio dell’altro. La nostra missione è quella di arrivare alle porte delle case di ogni città, secondo quella “Chiesa in uscita” continuamente richiamata da Papa Francesco.Per fare questo la comunicazione dovrà parlare un linguaggio semplice e accessibile, capace di raggiungere tutti, sostenuto dalla convinzione che ogni parola e ogni gesto possano far orire consapevolezza e orienta-mento.«Che le nostre parole siano come ponti», ha suggerito Papa Francesco. Il messaggio del Papa ci ore una prospettiva profonda e necessaria: che la vera comunicazione non è solo questione di parole, ma soprattutto di cuore. È un appello a tutti noi, indipendentemente dalla nostra fede o estrazione culturale, a diventare strumenti di pace e comprensione nella nostra quotidianità.Quattro saranno i focus che af-fronteremo ogni mese, aperti a quello che accade nel mondo e nella Chiesa. Pace, fraternità, rispetto del Creato e amore. Le quattro colonne delle encicliche papali che il Santo Padre ha posato nella costruzione di questo edicio e della sua riforma della Chiesa.Come direttore della rivista, porterò con me la voce dei poveri. La mia voce sarà la loro eco, le loro richieste di aiuto saranno le mie. Solo attra-verso l’ascolto e il riconoscimento delle loro speranze e dei loro dolori possiamo costruire un futuro di solidarietà e giustizia. Il loro grido d’aiuto sarà il mio grido d’aiuto. nEnzo Fortunato OFMConv, Direttore della Comunicazione della Basilica Papale di San Pietro in VaticanoL’EDITORIALE/Artigianale/Lavorazione realizzatada mani espertee attente che trasmettonola storia e i valoridell’azienda.Grazie alla sinergiatra innovazione epratiche artigianalisi ottengono prodottiunici e dal design inimitabile.SemplicementeMade in Italy.
6GLI EDITORIALICERCHIAMO L’AMORE PER RITROVARE LA SPERANZAIl cuore che non odia è una Porta SantaCredo che la speranza sia il sale della vita. La speranza viene prima di tutto. Anche nel periodo più buio della storia, se ti ab-bandona la speranza è come perdere la luce. Si diventa ciechi. Nei momen-ti più terribili, la speranza non deve mai morire. Guai se muore la speran-za dentro di noi, così moriamo noi.Viviamo in un mondo molto di-cile e complicato. Ed è dicile che uno dica: «Io spero». Però io spero. Bisogna sperare. È anche un atto di volontà e di ducia nell’umanità, nonostante l’inferno delle guerre e della sopraazione. Ho sempre trovato luce anche nei momenti più terribili della mia vita. E la luce può essere un gesto, un sorriso, uno sguardo. Per me nel lager nazista è stato, ad esempio, sentirti chiedere: «Come ti chiami?». Nei miei libri ho parlato di cinque luci che ho portato a casa dai campi di concentramento. Le racconto da 64 anni ai ragazzi delle scuole. È importante raccontare questi episodi minimi che in quelle condi-zioni sono stati fondamentali per la speranza. Basta uno sguardo e tu ti rianimi e dici: «Non è nito tutto!». È speranza. Andiamo avanti.Non esisteva nei campi di sterminio la depressione, esisteva solo la morte. E io ogni giorno speravo di arrivare al giorno successivo. Speravo di vedere la luce del giorno successivo. La vita dipendeva anche da noi, tu eri il guar-diano della tua vita. Non ho mai per-so la speranza. Sarebbe come togliersi la vita. Ci abbiamo mai pensato? Come dice Papa Francesco: «Non lasciamoci mai rubare la speranza».Primo Levi mi chiamò alcuni giorni prima di suicidarsi. Mi disse: «Basta, non ce la faccio più. Era meglio ad Auschwitz. Io non ho più speranza». Il negazionismo gli aveva fatto perdere la speranza nel mondo, nell’umanità, in se stesso. Lo scongiurai di non dire così. Quando l’ho saputo (del suici-dio), sono scattata in piedi gridando: «Allora lo posso fare anch’io!». Mio marito era spaventato. Non è possibi-le, ripetevo. Ero in crisi totale. Ma noi non siamo padroni della nostra vita. Proprio perché siamo sopravvissuti, dobbiamo andare avanti, parlare, testi-moniare la nostra storia.La nostra vita non è nostra, appartie-ne anche ai morti. Non per niente i morenti nei lager ci hanno chiesto: «Raccontate anche per noi!». La speranza fa parte del tuo essere, an-che nei momenti peggiori della vita. Abbandonare la speranza è come abbandonare la vita stessa. Ringrazia Dio ogni mattina che ti trovi vivo. Ad ogni respiro. In vista di questo Giubileo, penso che la Porta Santa è come il mio cuore che non odia nessuno. E sono molto d’ac-cordo con Papa Francesco, quando sollecita interventi per il carcere. Sono sconvolta per le indagini che hanno fatto emergere i maltrattamenti sui ragazzini nelle carceri, vere forme di tortura. In carcere i ragazzi dovrebbe-ro essere aiutati, anche ad imparare un lavoro, ma che cosa è successo all’uomo? Chi più uccide, più muore. Così accade in un mondo dove manca l’amore. Ma è così bello, invece, amare, abbracciare! Riscopriamo l’amore, ritroveremo anche la speranza. nEdith Bruck, scrittrice
6GLI EDITORIALICERCHIAMO L’AMORE PER RITROVARE LA SPERANZAIl cuore che non odia è una Porta SantaCredo che la speranza sia il sale della vita. La speranza viene prima di tutto. Anche nel periodo più buio della storia, se ti ab-bandona la speranza è come perdere la luce. Si diventa ciechi. Nei momen-ti più terribili, la speranza non deve mai morire. Guai se muore la speran-za dentro di noi, così moriamo noi.Viviamo in un mondo molto di-cile e complicato. Ed è dicile che uno dica: «Io spero». Però io spero. Bisogna sperare. È anche un atto di volontà e di ducia nell’umanità, nonostante l’inferno delle guerre e della sopraazione. Ho sempre trovato luce anche nei momenti più terribili della mia vita. E la luce può essere un gesto, un sorriso, uno sguardo. Per me nel lager nazista è stato, ad esempio, sentirti chiedere: «Come ti chiami?». Nei miei libri ho parlato di cinque luci che ho portato a casa dai campi di concentramento. Le racconto da 64 anni ai ragazzi delle scuole. È importante raccontare questi episodi minimi che in quelle condi-zioni sono stati fondamentali per la speranza. Basta uno sguardo e tu ti rianimi e dici: «Non è nito tutto!». È speranza. Andiamo avanti.Non esisteva nei campi di sterminio la depressione, esisteva solo la morte. E io ogni giorno speravo di arrivare al giorno successivo. Speravo di vedere la luce del giorno successivo. La vita dipendeva anche da noi, tu eri il guar-diano della tua vita. Non ho mai per-so la speranza. Sarebbe come togliersi la vita. Ci abbiamo mai pensato? Come dice Papa Francesco: «Non lasciamoci mai rubare la speranza».Primo Levi mi chiamò alcuni giorni prima di suicidarsi. Mi disse: «Basta, non ce la faccio più. Era meglio ad Auschwitz. Io non ho più speranza». Il negazionismo gli aveva fatto perdere la speranza nel mondo, nell’umanità, in se stesso. Lo scongiurai di non dire così. Quando l’ho saputo (del suici-dio), sono scattata in piedi gridando: «Allora lo posso fare anch’io!». Mio marito era spaventato. Non è possibi-le, ripetevo. Ero in crisi totale. Ma noi non siamo padroni della nostra vita. Proprio perché siamo sopravvissuti, dobbiamo andare avanti, parlare, testi-moniare la nostra storia.La nostra vita non è nostra, appartie-ne anche ai morti. Non per niente i morenti nei lager ci hanno chiesto: «Raccontate anche per noi!». La speranza fa parte del tuo essere, an-che nei momenti peggiori della vita. Abbandonare la speranza è come abbandonare la vita stessa. Ringrazia Dio ogni mattina che ti trovi vivo. Ad ogni respiro. In vista di questo Giubileo, penso che la Porta Santa è come il mio cuore che non odia nessuno. E sono molto d’ac-cordo con Papa Francesco, quando sollecita interventi per il carcere. Sono sconvolta per le indagini che hanno fatto emergere i maltrattamenti sui ragazzini nelle carceri, vere forme di tortura. In carcere i ragazzi dovrebbe-ro essere aiutati, anche ad imparare un lavoro, ma che cosa è successo all’uomo? Chi più uccide, più muore. Così accade in un mondo dove manca l’amore. Ma è così bello, invece, amare, abbracciare! Riscopriamo l’amore, ritroveremo anche la speranza. nEdith Bruck, scrittrice
8GLI EDITORIALIIL GIUBILEO COME FORMA DI EQUITÀ SOCIALE Un “suono” che signica liberazione, salvezza e rinascitaChe bella idea, chiamare una rivista “Piazza San Pietro”. I giornali in eetti sono piazze: luoghi dove ci si incontra. Mi piace pensare che in questo giornale, proprio come in piazza San Pietro, quella vera, ci incontreremo in tan-tissimi, durante il Giubileo.Scrivendo un libro sulla Bibbia, mi sono imbattuto in questo passo della legge mosaica: «Conterai sette volte sette anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclame-rete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo: ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia». Quest’ultima frase signica che ogni cinquant’anni coloro che hanno dovuto andare a servizio a casa di un altro, per un debito che non poteva-no ripagare, saranno liberati; e colo-ro che in stato di costrizione hanno venduto la proprietà, la potranno riprendere. Il Giubileo come forma di equità sociale. Dice il Signore: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti«. Questa norma rappresenta di fatto l’abolizione della schiavitù tra gli ebrei, e una limitazione della proprietà privata. La parola giubileo deriva da yobel, che indica appunto l’ariete, in particolare il suo corno. Il suono comunica un messaggio di liberazione, di salvezza, di rinascita: un nuovo inizio.Se ne ricorderà papa Bonifacio VIII, quando indirà il primo giubileo, nel 1300. E anche Dante, grande nemico di Bonifacio, vedrà a Roma la folla dei pellegrini: per consentire loro di passare il Tevere sull’unico ponte - quello di Castel Sant’An-gelo – senza ammassarsi, i romani inventarono la transenna e il doppio senso di circolazione.Fu un giubileo fortemente spirituale quello che vissero i nostri nonni nel 1950, al tempo di Pio XII: la guerra era nita, il Duce era stato appeso a testa in giù, il re aveva abdicato, suo glio era andato in esilio; era rimasto il Papa, e quell’Italia ancora contadi-na andò a Roma con la fede dei sem-plici, a volte a piedi o in bicicletta.Venticinque anni dopo, nel 1975, Paolo VI indusse per i nostri padri un giubileo straordinario: c’erano stati il boom economico e il Concilio vaticano II, l’Italia e la Chiesa erano percorse da fermenti e inquietudini, e il Papa era atteso da prove terribili, dallo scisma di Lefebvre all’uccisione del suo amico Aldo Moro, cui sopravvisse appena tre mesi.Del giubileo del 2000 abbiamo una memoria più fresca: fu il trionfo del Papa polacco che aveva scont-to il comunismo e aperto il fronte occidentale contro il capitalismo selvaggio. Poi sono venuti i giubilei indetti dal primo Papa chiamato Francesco: nel 2015 quello straor-dinario della misericordia, e poi il grande appuntamento del 2025, in un mondo di nuovo segnato dalla guerra e assetato di pace nella giusti-zia. Poiché, com’è noto, «giustizia e pace si baceranno». nAldo Cazzullo, giornalista e scrittore
8GLI EDITORIALIIL GIUBILEO COME FORMA DI EQUITÀ SOCIALE Un “suono” che signica liberazione, salvezza e rinascitaChe bella idea, chiamare una rivista “Piazza San Pietro”. I giornali in eetti sono piazze: luoghi dove ci si incontra. Mi piace pensare che in questo giornale, proprio come in piazza San Pietro, quella vera, ci incontreremo in tan-tissimi, durante il Giubileo.Scrivendo un libro sulla Bibbia, mi sono imbattuto in questo passo della legge mosaica: «Conterai sette volte sette anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclame-rete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo: ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia». Quest’ultima frase signica che ogni cinquant’anni coloro che hanno dovuto andare a servizio a casa di un altro, per un debito che non poteva-no ripagare, saranno liberati; e colo-ro che in stato di costrizione hanno venduto la proprietà, la potranno riprendere. Il Giubileo come forma di equità sociale. Dice il Signore: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti«. Questa norma rappresenta di fatto l’abolizione della schiavitù tra gli ebrei, e una limitazione della proprietà privata. La parola giubileo deriva da yobel, che indica appunto l’ariete, in particolare il suo corno. Il suono comunica un messaggio di liberazione, di salvezza, di rinascita: un nuovo inizio.Se ne ricorderà papa Bonifacio VIII, quando indirà il primo giubileo, nel 1300. E anche Dante, grande nemico di Bonifacio, vedrà a Roma la folla dei pellegrini: per consentire loro di passare il Tevere sull’unico ponte - quello di Castel Sant’An-gelo – senza ammassarsi, i romani inventarono la transenna e il doppio senso di circolazione.Fu un giubileo fortemente spirituale quello che vissero i nostri nonni nel 1950, al tempo di Pio XII: la guerra era nita, il Duce era stato appeso a testa in giù, il re aveva abdicato, suo glio era andato in esilio; era rimasto il Papa, e quell’Italia ancora contadi-na andò a Roma con la fede dei sem-plici, a volte a piedi o in bicicletta.Venticinque anni dopo, nel 1975, Paolo VI indusse per i nostri padri un giubileo straordinario: c’erano stati il boom economico e il Concilio vaticano II, l’Italia e la Chiesa erano percorse da fermenti e inquietudini, e il Papa era atteso da prove terribili, dallo scisma di Lefebvre all’uccisione del suo amico Aldo Moro, cui sopravvisse appena tre mesi.Del giubileo del 2000 abbiamo una memoria più fresca: fu il trionfo del Papa polacco che aveva scont-to il comunismo e aperto il fronte occidentale contro il capitalismo selvaggio. Poi sono venuti i giubilei indetti dal primo Papa chiamato Francesco: nel 2015 quello straor-dinario della misericordia, e poi il grande appuntamento del 2025, in un mondo di nuovo segnato dalla guerra e assetato di pace nella giusti-zia. Poiché, com’è noto, «giustizia e pace si baceranno». nAldo Cazzullo, giornalista e scrittore
10LE COLONNE DELLA CULTURAIl logo della rivista Piazza San PietroNel 1985, durante la stesura delle Lezioni americane, Italo Calvino individua alcuni temi chiave per interpretare le trasformazioni della contempora-neità. Lo scrittore sottolinea la sua predilezione per la brevità e l’im-portanza del ritmo e, partendo dalla leggerezza, procede verso le altre caratteristiche fondamentali: rapidi-tà, esattezza, visibilità, molteplicità. Sono passati circa quarant’anni, ma il confronto con queste categorie restituisce una chiave di lettura, una lente speciale per comprendere la realtà, interpretarla e trasformarla in signicati e segni. «Attraverso questa lente ho imma-ginato il logo per la rivista mensile “Piazza San Pietro”, l’intuizione è diventata gesto, il gesto si è fatto segno e immagine» ci racconta l’architetto e creativo Marco Capasso. La leggerezza è ineludibile nella so-brietà e nell’uso degli elementi graci che formano l’ideogramma; la rapidità è evidente nelle otto linee che lo de-scrivono; l’esattezza del segno ne crea l’immagine; la visibilità e la chiarezza del riferimento al colonnato del Ber-nini è esplicito nelle pagine del libro e la molteplicità delle evocazioni è il prodotto di questi segni giustapposti. «Il logo per la rivista “Piazza San Pietro” è frutto di un segno orizzon-tale che allude alla condivisone». La piazza, luogo civile per eccellenza e architettura pensata per la relazione, diventa segno evocativo. Il colonnato del Bernini allude all’abbraccio con la comunità e le colonne di testo della rivista “Piazza San Pietro” costruisco-no una nuova dimensione culturale pronta a misurarsi con le sde della contemporaneità. n«Le colonne del Bernini abbracciano i fedeli di Piazza San Pietro, le colonne della rivista, aprono a dibattiti e a nuovi confronti civili». Marco Capasso VI SPIEGHIAMO IL PROGETTOP17¡Assistenza Domiciliare Integrata ¡Assistenza Domiciliare Sociale¡Residenze psichiatriche riabilitative¡Asili per l’infanzia¡Servizi ospedalieri¡Case di riposo per anziani ¡Case famiglia per minori ¡Assistenza scolastica disabili¡Residenze Sanitarie Assistenziali¡Hospice¡Centri educativi per minori¡Accoglienza e integrazione migrantiAuxilium, da sempre al servizio delle personeWWW.COOPAUXILIUM.ITVedere l’aspetto umano ovunqueè il nostro mestiere
10LE COLONNE DELLA CULTURAIl logo della rivista Piazza San PietroNel 1985, durante la stesura delle Lezioni americane, Italo Calvino individua alcuni temi chiave per interpretare le trasformazioni della contempora-neità. Lo scrittore sottolinea la sua predilezione per la brevità e l’im-portanza del ritmo e, partendo dalla leggerezza, procede verso le altre caratteristiche fondamentali: rapidi-tà, esattezza, visibilità, molteplicità. Sono passati circa quarant’anni, ma il confronto con queste categorie restituisce una chiave di lettura, una lente speciale per comprendere la realtà, interpretarla e trasformarla in signicati e segni. «Attraverso questa lente ho imma-ginato il logo per la rivista mensile “Piazza San Pietro”, l’intuizione è diventata gesto, il gesto si è fatto segno e immagine» ci racconta l’architetto e creativo Marco Capasso. La leggerezza è ineludibile nella so-brietà e nell’uso degli elementi graci che formano l’ideogramma; la rapidità è evidente nelle otto linee che lo de-scrivono; l’esattezza del segno ne crea l’immagine; la visibilità e la chiarezza del riferimento al colonnato del Ber-nini è esplicito nelle pagine del libro e la molteplicità delle evocazioni è il prodotto di questi segni giustapposti. «Il logo per la rivista “Piazza San Pietro” è frutto di un segno orizzon-tale che allude alla condivisone». La piazza, luogo civile per eccellenza e architettura pensata per la relazione, diventa segno evocativo. Il colonnato del Bernini allude all’abbraccio con la comunità e le colonne di testo della rivista “Piazza San Pietro” costruisco-no una nuova dimensione culturale pronta a misurarsi con le sde della contemporaneità. n«Le colonne del Bernini abbracciano i fedeli di Piazza San Pietro, le colonne della rivista, aprono a dibattiti e a nuovi confronti civili». Marco Capasso VI SPIEGHIAMO IL PROGETTOP17¡Assistenza Domiciliare Integrata ¡Assistenza Domiciliare Sociale¡Residenze psichiatriche riabilitative¡Asili per l’infanzia¡Servizi ospedalieri¡Case di riposo per anziani ¡Case famiglia per minori ¡Assistenza scolastica disabili¡Residenze Sanitarie Assistenziali¡Hospice¡Centri educativi per minori¡Accoglienza e integrazione migrantiAuxilium, da sempre al servizio delle personeWWW.COOPAUXILIUM.ITVedere l’aspetto umano ovunqueè il nostro mestiere
12 13La fede è forte? La fede ci rende forti? Dobbiamo ricordare una dierenza importante. Quando diciamo “fede” possiamo intendere il fatto che crediamo in una dottrina, in ciò che insegna il Catechismo. La persona che crede nelle meravigliose dottrine cristia-ne può così sentirsi forte, perché considera di sapere cose che gli ignoranti non sanno e non credono. È bello conoscere le verità della fede, e, se le si medita e le si studia, si può trovare in esse un gusto spirituale e Giacomo dice che «anche i demoni credono» (Gc 2,19). Essi non nega-no le verità della fede.Ma quando diciamo “fede” possia-mo pure intendere qualcos’altro, qualcosa di molto più prezioso: la fede con cui crediamo e ci uniamo a Dio. Per questo in latino si dice “credere in Deum” che signica orientarsi verso Dio, cercare il suo sostegno, appoggiarsi a Lui, trovare in Lui la nostra forza. Questo è ben presente nella radice ebraica della parola “fede”, che signica: “Signo-re, sei il mio sostegno, in te condo, mia roccia, mia forza”. Da questa ducia scaturisce la capa-cità di lasciarsi illuminare da Dio, e questo si manifesta in un’altra espres-sione latina: “credere Deo”. Cioè, credo in Colui che mi parla, che si rivela, che illumina la mia vita. Gli credo. Credo che Lui sia la luce da cui scaturisce tutta la verità. Come si vede, in questo modo la fede non è più solo accettare alcune dottrine e difendere un “deposito” di verità. È molto di più. E questa fede è la nostra forza, ci rende saldi e sicuri, ci fa sentire orientati, sostenuti, accom-pagnati, guidati nella vita. In questo senso Gesù aerma: «Dal cuore di coloro che credono in me sgorghe-ranno umi d’acqua viva» (Gv 7,38). «Chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11,15). Cioè, questa fede viva ci riempie di vita e ci permette di attraversare tutte le tempeste e le sde, anche la morte stessa.San Paolo poi ci insegna un’altra cosa. Quella fede che ci riempie di vita e ci rende forti è «la fede che si rende operante per mezzo della carità» (Ga 5,6). La fede viva è inseparabile dalla carità che non si ferma, che cerca costantemente di fare il bene. È la fede forte di coloro che non hanno alcun interesse per una vita comoda e serena: avvertono, invece, un potente bisogno di vedere il loro fratello felice. Se manca que-sta carità, allora la fede è morta. San Paolo lo dice molto chiaramente: «E se avessi tutta la fede per spostare i monti, ma non avessi la carità, non sarei nulla» (1 Co 13,2).Ecco perché Papa Francesco inse-gna che «la luce della fede non ci fa dimenticare le soerenze del mondo. Per quanti uomini e donne di fede i soerenti sono stati mediatori di luce! Così per san Francesco d’Assisi il lebbroso, o per la Beata Madre Teresa di Calcutta i suoi poveri. Hanno capito il mistero che c’è in loro» (LF 57)Questa fede forte può cambiare il mondo, ha la forza di far nascere qualcosa di nuovo, come è accaduto agli inizi della Chiesa e tante volte è accaduto di nuovo quando il cuore di tante persone si è lasciato aerrare dalla Parola del Signore.Chiediamo allo Spirito Santo di darci quella fede dei forti, che solo Lui può concedere. nLA FORZA DELLA FEDEFa nascere qualcosa di nuovo nel cuore delle personeFEDENell’arteGuercino (Giovanni Francesco Barbieri)L’apostolo Paolo, 1640 ca., Pushkin Museum di Mosca, RussiaPapa Francesco insegna che «la luce della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo. Per quanti uomini e donne di fede i sofferenti sono stati mediatori di luce!»‘‘GLI ARCHITRAVI DEL PONTIFICATO DI FRANCESCOVíctor Manuel Fernández, Cardinale, Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fedeuna grande convinzione. Ancora di più se si riesce a percepire l’armonia del loro insieme. Tuttavia, allo stesso tempo, il credente può essere una persona piena di odio o immersa nella tristezza o condurre una vita egoistica. Per questo la Lettera di
12 13La fede è forte? La fede ci rende forti? Dobbiamo ricordare una dierenza importante. Quando diciamo “fede” possiamo intendere il fatto che crediamo in una dottrina, in ciò che insegna il Catechismo. La persona che crede nelle meravigliose dottrine cristia-ne può così sentirsi forte, perché considera di sapere cose che gli ignoranti non sanno e non credono. È bello conoscere le verità della fede, e, se le si medita e le si studia, si può trovare in esse un gusto spirituale e Giacomo dice che «anche i demoni credono» (Gc 2,19). Essi non nega-no le verità della fede.Ma quando diciamo “fede” possia-mo pure intendere qualcos’altro, qualcosa di molto più prezioso: la fede con cui crediamo e ci uniamo a Dio. Per questo in latino si dice “credere in Deum” che signica orientarsi verso Dio, cercare il suo sostegno, appoggiarsi a Lui, trovare in Lui la nostra forza. Questo è ben presente nella radice ebraica della parola “fede”, che signica: “Signo-re, sei il mio sostegno, in te condo, mia roccia, mia forza”. Da questa ducia scaturisce la capa-cità di lasciarsi illuminare da Dio, e questo si manifesta in un’altra espres-sione latina: “credere Deo”. Cioè, credo in Colui che mi parla, che si rivela, che illumina la mia vita. Gli credo. Credo che Lui sia la luce da cui scaturisce tutta la verità. Come si vede, in questo modo la fede non è più solo accettare alcune dottrine e difendere un “deposito” di verità. È molto di più. E questa fede è la nostra forza, ci rende saldi e sicuri, ci fa sentire orientati, sostenuti, accom-pagnati, guidati nella vita. In questo senso Gesù aerma: «Dal cuore di coloro che credono in me sgorghe-ranno umi d’acqua viva» (Gv 7,38). «Chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11,15). Cioè, questa fede viva ci riempie di vita e ci permette di attraversare tutte le tempeste e le sde, anche la morte stessa.San Paolo poi ci insegna un’altra cosa. Quella fede che ci riempie di vita e ci rende forti è «la fede che si rende operante per mezzo della carità» (Ga 5,6). La fede viva è inseparabile dalla carità che non si ferma, che cerca costantemente di fare il bene. È la fede forte di coloro che non hanno alcun interesse per una vita comoda e serena: avvertono, invece, un potente bisogno di vedere il loro fratello felice. Se manca que-sta carità, allora la fede è morta. San Paolo lo dice molto chiaramente: «E se avessi tutta la fede per spostare i monti, ma non avessi la carità, non sarei nulla» (1 Co 13,2).Ecco perché Papa Francesco inse-gna che «la luce della fede non ci fa dimenticare le soerenze del mondo. Per quanti uomini e donne di fede i soerenti sono stati mediatori di luce! Così per san Francesco d’Assisi il lebbroso, o per la Beata Madre Teresa di Calcutta i suoi poveri. Hanno capito il mistero che c’è in loro» (LF 57)Questa fede forte può cambiare il mondo, ha la forza di far nascere qualcosa di nuovo, come è accaduto agli inizi della Chiesa e tante volte è accaduto di nuovo quando il cuore di tante persone si è lasciato aerrare dalla Parola del Signore.Chiediamo allo Spirito Santo di darci quella fede dei forti, che solo Lui può concedere. nLA FORZA DELLA FEDEFa nascere qualcosa di nuovo nel cuore delle personeFEDENell’arteGuercino (Giovanni Francesco Barbieri)L’apostolo Paolo, 1640 ca., Pushkin Museum di Mosca, RussiaPapa Francesco insegna che «la luce della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo. Per quanti uomini e donne di fede i sofferenti sono stati mediatori di luce!»‘‘GLI ARCHITRAVI DEL PONTIFICATO DI FRANCESCOVíctor Manuel Fernández, Cardinale, Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fedeuna grande convinzione. Ancora di più se si riesce a percepire l’armonia del loro insieme. Tuttavia, allo stesso tempo, il credente può essere una persona piena di odio o immersa nella tristezza o condurre una vita egoistica. Per questo la Lettera di
14 15Uno degli aspetti caratteriz-zanti della città europea è la piazza, cuore pulsante della vita cittadina, dove s’incrociano genti dierenti, dove trovano posto i palazzi del governo, gli edici reli-giosi. Con il Rinascimento, la piazza diventa uno scenario estetico, “quasi una sala da ricevimento”. Qui pulsa la vita e si realizza l’incontro umano. La piazza si presenta come lo spazio dell’anima della città, ma anche dell’incontro tra chi viene da fuori e chi vive nella città.La città moderna, specie le mega-lopoli del XXI secolo, con le loro immense periferie, non ruotano più attorno alle piazze storiche e non costruiscono molte piazze. Se le realizzano, sono assediate dal traco, senza spazio per l’incontro: divengono nodi urbanistici abitati dal traco o dai parcheggi. Qui si realizza quel “cambiamento climati-co culturale”, tipico del XXI secolo, di cui ha parlato il rabbino Jonathan Sacks: il passaggio dal noi (familiare, religioso, politico, sindacale, associa-tivo) all’io. La solitudine è ormai la condizione esistenziale della donna e dell’uomo del XXI secolo. Città dei soli, di tanti io, ma anche senza piazza e incontro. In questo mondo, ci si sente spaesati, per i grandi orizzonti della globaliz-zazione, e soprattutto indifesi. Infat-ti siamo - come scrive Mark Leonard - ne “L’era della non-pace”: in alcuni casi di guerre duramente combattute o veramente a rischio di conitti. La gente teme la guerra. Alcune popolazioni sorono la guerra, come gli ucraini alle soglie di un altro inverno di combattimenti o come i popoli mediorientali, coinvolti in una spirale bellica di cui non si vede la ne. Anche il linguaggio pubblico si è scaricato di ogni riferimento alla pace, mentre si parla di scontri, di strategia, di armi. Impallidisce invece il dialogo diplomatico, lasciando sempre più spazio alle ragioni della guerra. Troppi sorono per essa, molti la temono. Altri si nascondo-no nell’indierenza, condando nel fatto che non mi toccherà. Papa Francesco ha riproposto molte volte la necessità di non abituarsi alla guerra, considerandola quasi una necessità della storia. Bisogna cominciare ad alzare lo sguardo dal piccolo mondo dell’io e dalla rassegnazione. Il Giubileo del 2025 ci chiama alla speranza: è possibile costruire spazi di pace, anzi un mon-do senza guerra. Ma, per questo, bisogna riaprire le piazze nelle città o nella vita internazionale, dove ci s’incontra, si dialoga e si negozia. Il Giubileo fa guardare alla Porta Santa nelle basiliche romane. Penso in particolare a quella di San Pietro, cui i pellegrini sono aezionati. La basilica si apre sulla vasta piazza con il colonnato del Bernini, un largo abbraccio alla città e al mondo. È una piazza particolare nell’urbani-stica di Roma: uno spazio aperto a tutti che s’indirizza alla Porta del Giubileo. Se vogliamo la pace, più pace, meno conittualità, dobbia-mo aprire più piazze e più spazi di dialogo nelle città e nei rapporti tra i popoli. Questa dev’essere l’iniziativa delle comunità cristiane, ma anche dei singoli, perché nessuno può ras-segnarsi a lasciare il mondo in preda al demone della guerra. nNESSUN RIFERIMENTO ALLA PACESi parla ormai solo di scontri, armi e motivi delle guerreFRATERNITÀAndrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant’EgidioAttivismoUn gruppo di manifestanti per la pace durante un sit-in per chiedere il cessate il fuoco. Milano, 10 ottobre 2024Ansa/Mourad Balti TouatiSiamo - come scrive Mark Leonard - ne “L’era della non-pace”: in alcuni casi di guerre duramente combattute o veramente a rischio di conflitti. La gente teme la guerra ‘‘GLI ARCHITRAVI DEL PONTIFICATO DI FRANCESCO
14 15Uno degli aspetti caratteriz-zanti della città europea è la piazza, cuore pulsante della vita cittadina, dove s’incrociano genti dierenti, dove trovano posto i palazzi del governo, gli edici reli-giosi. Con il Rinascimento, la piazza diventa uno scenario estetico, “quasi una sala da ricevimento”. Qui pulsa la vita e si realizza l’incontro umano. La piazza si presenta come lo spazio dell’anima della città, ma anche dell’incontro tra chi viene da fuori e chi vive nella città.La città moderna, specie le mega-lopoli del XXI secolo, con le loro immense periferie, non ruotano più attorno alle piazze storiche e non costruiscono molte piazze. Se le realizzano, sono assediate dal traco, senza spazio per l’incontro: divengono nodi urbanistici abitati dal traco o dai parcheggi. Qui si realizza quel “cambiamento climati-co culturale”, tipico del XXI secolo, di cui ha parlato il rabbino Jonathan Sacks: il passaggio dal noi (familiare, religioso, politico, sindacale, associa-tivo) all’io. La solitudine è ormai la condizione esistenziale della donna e dell’uomo del XXI secolo. Città dei soli, di tanti io, ma anche senza piazza e incontro. In questo mondo, ci si sente spaesati, per i grandi orizzonti della globaliz-zazione, e soprattutto indifesi. Infat-ti siamo - come scrive Mark Leonard - ne “L’era della non-pace”: in alcuni casi di guerre duramente combattute o veramente a rischio di conitti. La gente teme la guerra. Alcune popolazioni sorono la guerra, come gli ucraini alle soglie di un altro inverno di combattimenti o come i popoli mediorientali, coinvolti in una spirale bellica di cui non si vede la ne. Anche il linguaggio pubblico si è scaricato di ogni riferimento alla pace, mentre si parla di scontri, di strategia, di armi. Impallidisce invece il dialogo diplomatico, lasciando sempre più spazio alle ragioni della guerra. Troppi sorono per essa, molti la temono. Altri si nascondo-no nell’indierenza, condando nel fatto che non mi toccherà. Papa Francesco ha riproposto molte volte la necessità di non abituarsi alla guerra, considerandola quasi una necessità della storia. Bisogna cominciare ad alzare lo sguardo dal piccolo mondo dell’io e dalla rassegnazione. Il Giubileo del 2025 ci chiama alla speranza: è possibile costruire spazi di pace, anzi un mon-do senza guerra. Ma, per questo, bisogna riaprire le piazze nelle città o nella vita internazionale, dove ci s’incontra, si dialoga e si negozia. Il Giubileo fa guardare alla Porta Santa nelle basiliche romane. Penso in particolare a quella di San Pietro, cui i pellegrini sono aezionati. La basilica si apre sulla vasta piazza con il colonnato del Bernini, un largo abbraccio alla città e al mondo. È una piazza particolare nell’urbani-stica di Roma: uno spazio aperto a tutti che s’indirizza alla Porta del Giubileo. Se vogliamo la pace, più pace, meno conittualità, dobbia-mo aprire più piazze e più spazi di dialogo nelle città e nei rapporti tra i popoli. Questa dev’essere l’iniziativa delle comunità cristiane, ma anche dei singoli, perché nessuno può ras-segnarsi a lasciare il mondo in preda al demone della guerra. nNESSUN RIFERIMENTO ALLA PACESi parla ormai solo di scontri, armi e motivi delle guerreFRATERNITÀAndrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant’EgidioAttivismoUn gruppo di manifestanti per la pace durante un sit-in per chiedere il cessate il fuoco. Milano, 10 ottobre 2024Ansa/Mourad Balti TouatiSiamo - come scrive Mark Leonard - ne “L’era della non-pace”: in alcuni casi di guerre duramente combattute o veramente a rischio di conflitti. La gente teme la guerra ‘‘GLI ARCHITRAVI DEL PONTIFICATO DI FRANCESCO
16 17Da Papa Francesco sono ve-nute in questi anni parole di grande bellezza ed ecacia sull’ambiente, sull’ecologia integrale, sulla necessità di arontare la crisi climatica. Un messaggio non meno importante del contributo venuto dal mondo scientico, perché in grado di motivare le coscienze e di spingere all’azione: una riessione “gioiosa e drammatica”. A partire dalla Laudato si’, dalla Fratelli tutti e dall’esortazio-ne Laudate Deum. In particolare la Laudato si’, i cui frutti continuano, ha rappresentato anche una delle letture più acute e lucide della crisi economica del 2008. Ed ha inuenza-to positivamente la COP 21 tenutasi a Parigi nel 2015: il più importante appuntamento delle Nazioni Unite sull’ambiente di questo millennio.Le parole del Papa sono preziose, non solo per contrastare in modo sferzante posizioni minimizzatrici e negazioniste, come nella Laudate Deum, ma per indirizzare verso una nuova economia, più sostenibile e desiderabile, come nella Laudato si’. Attraverso una lettura diversa e pro-fonda della sobrietà. «La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contra-rio». E ancora: «la sobrietà non si oppone allo sviluppo, anzi è ormai evidente che è diventata una sua condizione». Una nuova frontiera.Non a caso il Manifesto di Assisi, di cui con padre Enzo Fortunato siamo i promotori, si ispira proprio alla Laudato si’ n dall’apertura: «aron-tare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario, ma rappresen-ta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro». Un concetto sottolineato di recente dal Presidente della Repubblica Mattarella nel suo discorso del 28 settembre al Campus delle Nazioni Unite a Bonn: «Per troppo tempo abbiamo arontato in modo inadeguato la questione della tutela dell’ambiente e del cambiamento climatico, opponendo articiosamente fra loro le ragioni della gestione dell’esistente e quelle del futuro dei nostri gli e nipoti. Per garantire la capacità di compe-tere, l’Europa ha necessità a lungo termine di abbandonare i combusti-bili fossili e compiere la transizione, evidenziando il nesso – come ha fatto il rapporto Draghi – di “decar-bonizzazione-competitività”».Non solo, dunque, denuncia dei mali e dei pericoli del degrado ambien-tale e della cultura dello scarto, ma individuazione di una strada possibile per arontarli, senza lasciare indietro nessuno, senza lasciare solo nessuno. E trovare nel tempo presente i li nascosti per dare forza alla speranza. Fili che esistono se si guarda la realtà non con occhi rivolti all’indietro ma con curiosità ed empatia. Vale per il mondo, dove, nonostante i ritardi, si fanno strada le energie rinnovabili: nel 2023, secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, l’85% dei nuovi impianti per la produzione di energia elettrica sono alimentati da fonti rinnovabili. Vale per l’Europa e in particolare per l’Italia. Mentre sten-tano le politiche delle amministrazio-ni centrali dello Stato, si fa più forte la spinta nella società, nella cultura, nell’economia. Alimentate non solo dall’evidenza dei pericoli – dai disastri come quello di Valencia alle siccità – legati al clima che cambia, ma dalle potenzialità della transizione verde.La nostra green economy rende più competitive le nostre imprese e crea lavoro aondando le radici, spesso secolari, in un modo di produrre legato alla qualità, alla bellezza, all’ecienza, alla storia delle città, alle esperienze positive di comunità e territori. Fa della coesione sociale un fattore produttivo e coniuga empatia e tecnologia. Larga parte della nostra economia dipende da questo.Secondo il Rapporto GreenItaly 2024, realizzato da 15 anni Fonda-zione Symbola e Unioncamere, sono 571.000 le imprese italiane che negli ultimi 5 anni hanno investito nel green. Sono quelle che innovano di più, esportano di più, producono più posti di lavoro. Sono 3,1 milioni i green jobs, il 13,4% degli occupati. E nel 2023 il 35% dei contratti di la-voro sono orientati alla sostenibilità. Come pure vanno meglio le imprese più attente alla coesione sociale, ai lavoratori, ai territori. Su questo ha aperto un Tavolo di dialogo la Fondazione Fratelli tutti.Serve un rinnovato impegno delle Istituzioni internazionali, dei governi, della politica. Serve un mondo senza guerre, diseguaglianze, conitti. Ma soprattutto, per dirla con Papa Francesco, «per uscire da questa crisi, dobbiamo recuperare la consapevolezza che come popolo abbiamo un destino comune». Ci aiuta la convinzione, confermata dai fatti, che essere buoni conviene. E l’invito di Sant’Agostino alla respon-sabilità personale di tutti: «sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vi-vano bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi». nUN POPOLO DAL DESTINO COMUNEGli evidenti pericoli legati alla crisi climatica ci stanno spingendo ad una consapevolezza di cambio di rottaAMBIENTEErmete Realacci, Presidente Fondazione Symbola Cambiamento climaticoUn crocisso danneggiato a seguito dell’alluvione che ha colpito la provincia di Valencia, in Spagna, lo scorso 29 ottobre. Le devastanti inondazioni hanno causato oltre 200 morti. Epa/Manuel BruqueLa nostra green economy rende più competitive le nostre imprese e crea lavoro affondando le radici, spesso secolari, in un modo di produrre legato alla qualità ‘‘GLI ARCHITRAVI DEL PONTIFICATO DI FRANCESCO
16 17Da Papa Francesco sono ve-nute in questi anni parole di grande bellezza ed ecacia sull’ambiente, sull’ecologia integrale, sulla necessità di arontare la crisi climatica. Un messaggio non meno importante del contributo venuto dal mondo scientico, perché in grado di motivare le coscienze e di spingere all’azione: una riessione “gioiosa e drammatica”. A partire dalla Laudato si’, dalla Fratelli tutti e dall’esortazio-ne Laudate Deum. In particolare la Laudato si’, i cui frutti continuano, ha rappresentato anche una delle letture più acute e lucide della crisi economica del 2008. Ed ha inuenza-to positivamente la COP 21 tenutasi a Parigi nel 2015: il più importante appuntamento delle Nazioni Unite sull’ambiente di questo millennio.Le parole del Papa sono preziose, non solo per contrastare in modo sferzante posizioni minimizzatrici e negazioniste, come nella Laudate Deum, ma per indirizzare verso una nuova economia, più sostenibile e desiderabile, come nella Laudato si’. Attraverso una lettura diversa e pro-fonda della sobrietà. «La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contra-rio». E ancora: «la sobrietà non si oppone allo sviluppo, anzi è ormai evidente che è diventata una sua condizione». Una nuova frontiera.Non a caso il Manifesto di Assisi, di cui con padre Enzo Fortunato siamo i promotori, si ispira proprio alla Laudato si’ n dall’apertura: «aron-tare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario, ma rappresen-ta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro». Un concetto sottolineato di recente dal Presidente della Repubblica Mattarella nel suo discorso del 28 settembre al Campus delle Nazioni Unite a Bonn: «Per troppo tempo abbiamo arontato in modo inadeguato la questione della tutela dell’ambiente e del cambiamento climatico, opponendo articiosamente fra loro le ragioni della gestione dell’esistente e quelle del futuro dei nostri gli e nipoti. Per garantire la capacità di compe-tere, l’Europa ha necessità a lungo termine di abbandonare i combusti-bili fossili e compiere la transizione, evidenziando il nesso – come ha fatto il rapporto Draghi – di “decar-bonizzazione-competitività”».Non solo, dunque, denuncia dei mali e dei pericoli del degrado ambien-tale e della cultura dello scarto, ma individuazione di una strada possibile per arontarli, senza lasciare indietro nessuno, senza lasciare solo nessuno. E trovare nel tempo presente i li nascosti per dare forza alla speranza. Fili che esistono se si guarda la realtà non con occhi rivolti all’indietro ma con curiosità ed empatia. Vale per il mondo, dove, nonostante i ritardi, si fanno strada le energie rinnovabili: nel 2023, secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, l’85% dei nuovi impianti per la produzione di energia elettrica sono alimentati da fonti rinnovabili. Vale per l’Europa e in particolare per l’Italia. Mentre sten-tano le politiche delle amministrazio-ni centrali dello Stato, si fa più forte la spinta nella società, nella cultura, nell’economia. Alimentate non solo dall’evidenza dei pericoli – dai disastri come quello di Valencia alle siccità – legati al clima che cambia, ma dalle potenzialità della transizione verde.La nostra green economy rende più competitive le nostre imprese e crea lavoro aondando le radici, spesso secolari, in un modo di produrre legato alla qualità, alla bellezza, all’ecienza, alla storia delle città, alle esperienze positive di comunità e territori. Fa della coesione sociale un fattore produttivo e coniuga empatia e tecnologia. Larga parte della nostra economia dipende da questo.Secondo il Rapporto GreenItaly 2024, realizzato da 15 anni Fonda-zione Symbola e Unioncamere, sono 571.000 le imprese italiane che negli ultimi 5 anni hanno investito nel green. Sono quelle che innovano di più, esportano di più, producono più posti di lavoro. Sono 3,1 milioni i green jobs, il 13,4% degli occupati. E nel 2023 il 35% dei contratti di la-voro sono orientati alla sostenibilità. Come pure vanno meglio le imprese più attente alla coesione sociale, ai lavoratori, ai territori. Su questo ha aperto un Tavolo di dialogo la Fondazione Fratelli tutti.Serve un rinnovato impegno delle Istituzioni internazionali, dei governi, della politica. Serve un mondo senza guerre, diseguaglianze, conitti. Ma soprattutto, per dirla con Papa Francesco, «per uscire da questa crisi, dobbiamo recuperare la consapevolezza che come popolo abbiamo un destino comune». Ci aiuta la convinzione, confermata dai fatti, che essere buoni conviene. E l’invito di Sant’Agostino alla respon-sabilità personale di tutti: «sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vi-vano bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi». nUN POPOLO DAL DESTINO COMUNEGli evidenti pericoli legati alla crisi climatica ci stanno spingendo ad una consapevolezza di cambio di rottaAMBIENTEErmete Realacci, Presidente Fondazione Symbola Cambiamento climaticoUn crocisso danneggiato a seguito dell’alluvione che ha colpito la provincia di Valencia, in Spagna, lo scorso 29 ottobre. Le devastanti inondazioni hanno causato oltre 200 morti. Epa/Manuel BruqueLa nostra green economy rende più competitive le nostre imprese e crea lavoro affondando le radici, spesso secolari, in un modo di produrre legato alla qualità ‘‘GLI ARCHITRAVI DEL PONTIFICATO DI FRANCESCO
18 19data sull’amore. Abbiamo estremo bisogno di speranza nel momento attuale. Non solo le guerre che at-traversano il mondo intero rendono questo frangente storico più assetato di speranza. Si deve pensare anche a tutte quelle situazioni che quotidia-namente costellano la nostra giorna-ta per toccare con mano quanto la speranza debba diventare una vera compagna di vita. Esperienza di vitaPapa Francesco nell’indicare la via della speranza non dimentica di sollecitare tutti a costruire segni concreti di speranza. L’annuncio, quindi, deve essere unito in maniera inscindibile al segno per diventare credibile. La speranza, infatti, non è utopia, ma un’esperienza di vita che guardando al futuro provoca a co-struire il presente. I segni di speranza possono essere tanti e dierenti, ma è necessario che il giubileo si faccia carico di sollecitare alla loro attenzio-ne. La Bolla del Papa ne elenca alcuni molto signicativi: dall’essere co-struttore di pace all’apertura alla vita; dai giovani agli anziani; dai poveri ai detenuti; da quanti vivono situazioni di emarginazione a quanti intra-prendono la via dell’immigrazione… insomma, il volto della speranza deve essere visibile e tangibile perché nessuno abbia a cadere in forme di desolazione, illusione o disperazione. Non si possono dimenticare in que-sto contesto gli “appelli” che Papa Francesco compie per dare corpo a questo giubileo. Due meritano di essere richiamati. Il primo è quello di far ricorso a qualche forma di amnistia. Sappiamo quanta sensi-bilità possiede il Papa nei confronti di quanti sono in prigione. Certo, il loro reato, qualunque esso sia, è con-seguenza della pena che deve essere scontata. Eppure, ci sono situazioni di tale mancanza di rispetto della loro dignità che non possono essere trascurati. Privare una persona della libertà è un atto estremo; tutto co-munque deve essere proporzionato. Dal pellegrinaggio alla Porta Santa alla costruzione di segni concreti di speranza, l’Anno Santo secondo Papa Francesco come esperienza di fede per un mondo in cerca di futuroGIUBILEO DELLA SPERANZA: Un cammino di Perdono e MisericordiaGIUBILEO 2025La notiziaPapa Francesco partecipa alla lettura della Bolla da parte di Mons. Leonardo Sapienza per l’indizione del Giubileo nella Basilica di San Pietro, Città del Vaticano, 9 maggio 2024.Ansa/Pool/Riccardo AntimianiRino Fisichella, Arcivescovo, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le Questioni fondamentali dell’Evange-lizzazione nel MondoIl giubileo è sempre stato un evento di popolo. Quando a Papa Bonifacio VIII venne chiesto dal popolo romano di concedere l’indulgenza giubilare per l’inizio di un nuovo secolo, il Papa non sapeva a quale documento far riferimento. Fu solo l’insistenza dei Romani che obbligò il Papa a con-cedere l’indulgenza ogni 100 anni. Fu un successo incredibile. Da ogni parte giunsero i “romei” per ottenere l’indulgenza. Perno Dante ne parla nella sua Divina Commedia descri-vendo il ponte di Castel sant’Angelo a doppio senso per consentire ai pellegrini di raggiungere la Basilica di San Pietro. È passato molto tempo da quel 1300 e la storia ha visto diversi cambiamenti. Alla base, tuttavia, rimane sempre intatta la richiesta del popolo di Dio di vivere un’esperienza straordinaria di perdono e misericor-dia. Il giubileo, in eetti, si caratte-rizza per alcuni segni particolari che formano un vero rito: dal pellegrinag-gio verso la Porta Santa, alla preghiera sulla tomba degli apostoli no alla testimonianza di carità, l’indulgenza prende forma progressivamente attra-verso questi momenti vissuti con fede e devozione.Il prossimo giubileo sarà caratte-rizzato dal richiamo alla speranza. “Pellegrini di speranza” è il motto che quanti vivranno questo anno Santo saranno chiamati a concre-tizzare. Papa Francesco nella Bolla di indizione del giubileo, Spes non confundit, cioè la “speranza non de-lude”, ha spiegato molto bene come vivere l’Anno Santo alla luce della speranza. Partendo dalla costatazio-ne che “Tutti sperano”, egli allarga lo sguardo verso la peculiarità della speranza cristiana, facendo emer-gere il volto di Gesù Cristo come la speranza che non delude perché fon-
18 19data sull’amore. Abbiamo estremo bisogno di speranza nel momento attuale. Non solo le guerre che at-traversano il mondo intero rendono questo frangente storico più assetato di speranza. Si deve pensare anche a tutte quelle situazioni che quotidia-namente costellano la nostra giorna-ta per toccare con mano quanto la speranza debba diventare una vera compagna di vita. Esperienza di vitaPapa Francesco nell’indicare la via della speranza non dimentica di sollecitare tutti a costruire segni concreti di speranza. L’annuncio, quindi, deve essere unito in maniera inscindibile al segno per diventare credibile. La speranza, infatti, non è utopia, ma un’esperienza di vita che guardando al futuro provoca a co-struire il presente. I segni di speranza possono essere tanti e dierenti, ma è necessario che il giubileo si faccia carico di sollecitare alla loro attenzio-ne. La Bolla del Papa ne elenca alcuni molto signicativi: dall’essere co-struttore di pace all’apertura alla vita; dai giovani agli anziani; dai poveri ai detenuti; da quanti vivono situazioni di emarginazione a quanti intra-prendono la via dell’immigrazione… insomma, il volto della speranza deve essere visibile e tangibile perché nessuno abbia a cadere in forme di desolazione, illusione o disperazione. Non si possono dimenticare in que-sto contesto gli “appelli” che Papa Francesco compie per dare corpo a questo giubileo. Due meritano di essere richiamati. Il primo è quello di far ricorso a qualche forma di amnistia. Sappiamo quanta sensi-bilità possiede il Papa nei confronti di quanti sono in prigione. Certo, il loro reato, qualunque esso sia, è con-seguenza della pena che deve essere scontata. Eppure, ci sono situazioni di tale mancanza di rispetto della loro dignità che non possono essere trascurati. Privare una persona della libertà è un atto estremo; tutto co-munque deve essere proporzionato. Dal pellegrinaggio alla Porta Santa alla costruzione di segni concreti di speranza, l’Anno Santo secondo Papa Francesco come esperienza di fede per un mondo in cerca di futuroGIUBILEO DELLA SPERANZA: Un cammino di Perdono e MisericordiaGIUBILEO 2025La notiziaPapa Francesco partecipa alla lettura della Bolla da parte di Mons. Leonardo Sapienza per l’indizione del Giubileo nella Basilica di San Pietro, Città del Vaticano, 9 maggio 2024.Ansa/Pool/Riccardo AntimianiRino Fisichella, Arcivescovo, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le Questioni fondamentali dell’Evange-lizzazione nel MondoIl giubileo è sempre stato un evento di popolo. Quando a Papa Bonifacio VIII venne chiesto dal popolo romano di concedere l’indulgenza giubilare per l’inizio di un nuovo secolo, il Papa non sapeva a quale documento far riferimento. Fu solo l’insistenza dei Romani che obbligò il Papa a con-cedere l’indulgenza ogni 100 anni. Fu un successo incredibile. Da ogni parte giunsero i “romei” per ottenere l’indulgenza. Perno Dante ne parla nella sua Divina Commedia descri-vendo il ponte di Castel sant’Angelo a doppio senso per consentire ai pellegrini di raggiungere la Basilica di San Pietro. È passato molto tempo da quel 1300 e la storia ha visto diversi cambiamenti. Alla base, tuttavia, rimane sempre intatta la richiesta del popolo di Dio di vivere un’esperienza straordinaria di perdono e misericor-dia. Il giubileo, in eetti, si caratte-rizza per alcuni segni particolari che formano un vero rito: dal pellegrinag-gio verso la Porta Santa, alla preghiera sulla tomba degli apostoli no alla testimonianza di carità, l’indulgenza prende forma progressivamente attra-verso questi momenti vissuti con fede e devozione.Il prossimo giubileo sarà caratte-rizzato dal richiamo alla speranza. “Pellegrini di speranza” è il motto che quanti vivranno questo anno Santo saranno chiamati a concre-tizzare. Papa Francesco nella Bolla di indizione del giubileo, Spes non confundit, cioè la “speranza non de-lude”, ha spiegato molto bene come vivere l’Anno Santo alla luce della speranza. Partendo dalla costatazio-ne che “Tutti sperano”, egli allarga lo sguardo verso la peculiarità della speranza cristiana, facendo emer-gere il volto di Gesù Cristo come la speranza che non delude perché fon-
20 21In questo senso è forte il richiamo del Papa ai vescovi perché là dove vige ancora la pena di morte, si fac-ciano promotori per la sua cancella-zione. Un secondo appello è rivolto ai grandi della Terra perché ci sia l’attenzione a prendere in conside-razione la remissione del debito dei Paesi più poveri. Un richiamo che è pervaso della preoccupazione di toccare con mano ogni giorno come popolazioni che vivono in estrema povertà, pur possedendo grandi ricchezze naturali, siano sfruttati da Paesi ricchi e da istituzioni che mi-Nella tradizione cattolica, il Giubileo è un evento religioso di grande signicato, caratterizzato dall’anno della remissione dei peccati e delle pene, della riconciliazione tra i contendenti, della conversione e della penitenza sacramentale. È un periodo che invita alla solidarietà, alla speranza, alla giustizia e all’impegno nel servizio di Dio, vissuto nella gioia e nella pace con i fratelli. L’anno giubilare è soprattutto l’anno di Cristo, fonte di vita e grazia per l’umanità.Le radici del Giubileo risalgono all’Antico Testamento, dove la legge di Mosè stabiliva un anno particolare per il popolo ebraico: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel Paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia». (Libro del Levitico). Questo anno di grazia veniva annunciato con una tromba fatta di corno d’ariete, chiamata yobel in ebraico, da cui deriva il termine “Giubileo”.Il primo Giubileo della Chiesa cattolica fu istituito nel 1300 da Papa Bonifacio VIII come Anno Santo. Inizialmente celebrato ogni cento anni, nel tempo è stato riproposto a intervalli più brevi: prima ogni 50 anni, poi ogni 33 e inne ogni 25 anni.Papa Giovanni Paolo II si prepara ad oltrepassare la Porta Santa nel marzo 1983, quando venne celebrato il Giubileo straordinario della Redenzione, voluto dal pontece per i 1950 anni dalla morte di Cristo.ANSAAnsa/Maurizio BrambattiUn sampietrino, a colpi di scalpello e mazzetta, comincia a rompere il muro che chiude la Porta Santa, all’ interno della Basilica di San Pietro: una cerimonia durata poco più di mezz’ora per togliere dal muro la cassetta che era stata posta per l’Anno Santo straordinario del 1983 e che contiene monete e medaglie dello stesso Giubileo e di quello ordinario del 1975Ansa/Maurizio Brambattirano solo all’interesse privato senza alcun rispetto per la dignità delle persone e dei popoli.La forza del PerdonoLa Basilica di San Pietro ancora una volta sarà meta privilegiata dei pelle-grini. Per consentire di vivere il pas-saggio della Porta Santa in maniera coerente, i pellegrini saranno chiama-ti a iscriversi presso il Dicastero dell’e-vangelizzazione scegliendo il giorno e l’ora a loro più consona per compiere il pellegrinaggio. Questo inizierà a Piazza Pia e giungerà no alla Porta Santa attraverso un percorso protetto per facilitare al massimo il momento spirituale della preghiera. Attraversare la Porta Santa, infatti, non è un gesto magico, ma un simbolo che richiama a quanto Gesù ci ha detto: “Io sono la Porta, chi passa attraverso di me sarà salvo” (Gv 10,9). L’incontro con Gesù Cristo è l’obiettivo centrale del giubileo. Un incontro personale che apre il cuore e la mente a ravvivare la propria fede e compiere esperienza della misericordia.In un periodo come il nostro così circondato da violenza, viene messo in crisi anche il grande contenuto del perdono. Sembra che molte per-sone abbiano dimenticato questa esigenza del perdono; non è altro che esperienza dell’amore che sa giungere no all’estremo. Per essere capaci di perdono, comunque, è necessario avere avuto esperienza diretta di essere stati perdonati. Solo così il perdono diventa ecace e manifesta l’amore genuino da cui proviene. Nella Bolla, papa Fran-cesco usa una bella espressione e scrive: “Perdonare non cambia il passato, non può modicare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia, il perdono può permettere di cam-biare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta. Il futuro rischiarato dal perdono consente di leggere il pas-sato con occhi diversi, più sereni, seppure ancora solcati da lacrime” (n. 24). È proprio vero. Il passato non può cambiare, ma il perdono può consentire di vivere il futuro in maniera diversa. Il prossimo giubileo, pertanto, così ricco di tante iniziative possa essere segno e sorgente di speranza. nCOS’È IL GIUBILEO?GIUBILEO 2025PartecipazioneA sinistra: monsignor Rino Fisichella accanto al logo ufciale del Giubileo 2025Ansa/Massimo PercossiA destra: pellegrini e fedeli in la e mentre attraversano la Porta Santa nella Basilica di San Pietro, il giorno dopo la cerimonia di apertura del Giubileo della Misericordia, Città del Vaticano, 9 dicembre 2015.Ansa/ Claudio Peri
20 21In questo senso è forte il richiamo del Papa ai vescovi perché là dove vige ancora la pena di morte, si fac-ciano promotori per la sua cancella-zione. Un secondo appello è rivolto ai grandi della Terra perché ci sia l’attenzione a prendere in conside-razione la remissione del debito dei Paesi più poveri. Un richiamo che è pervaso della preoccupazione di toccare con mano ogni giorno come popolazioni che vivono in estrema povertà, pur possedendo grandi ricchezze naturali, siano sfruttati da Paesi ricchi e da istituzioni che mi-Nella tradizione cattolica, il Giubileo è un evento religioso di grande signicato, caratterizzato dall’anno della remissione dei peccati e delle pene, della riconciliazione tra i contendenti, della conversione e della penitenza sacramentale. È un periodo che invita alla solidarietà, alla speranza, alla giustizia e all’impegno nel servizio di Dio, vissuto nella gioia e nella pace con i fratelli. L’anno giubilare è soprattutto l’anno di Cristo, fonte di vita e grazia per l’umanità.Le radici del Giubileo risalgono all’Antico Testamento, dove la legge di Mosè stabiliva un anno particolare per il popolo ebraico: «Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel Paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia». (Libro del Levitico). Questo anno di grazia veniva annunciato con una tromba fatta di corno d’ariete, chiamata yobel in ebraico, da cui deriva il termine “Giubileo”.Il primo Giubileo della Chiesa cattolica fu istituito nel 1300 da Papa Bonifacio VIII come Anno Santo. Inizialmente celebrato ogni cento anni, nel tempo è stato riproposto a intervalli più brevi: prima ogni 50 anni, poi ogni 33 e inne ogni 25 anni.Papa Giovanni Paolo II si prepara ad oltrepassare la Porta Santa nel marzo 1983, quando venne celebrato il Giubileo straordinario della Redenzione, voluto dal pontece per i 1950 anni dalla morte di Cristo.ANSAAnsa/Maurizio BrambattiUn sampietrino, a colpi di scalpello e mazzetta, comincia a rompere il muro che chiude la Porta Santa, all’ interno della Basilica di San Pietro: una cerimonia durata poco più di mezz’ora per togliere dal muro la cassetta che era stata posta per l’Anno Santo straordinario del 1983 e che contiene monete e medaglie dello stesso Giubileo e di quello ordinario del 1975Ansa/Maurizio Brambattirano solo all’interesse privato senza alcun rispetto per la dignità delle persone e dei popoli.La forza del PerdonoLa Basilica di San Pietro ancora una volta sarà meta privilegiata dei pelle-grini. Per consentire di vivere il pas-saggio della Porta Santa in maniera coerente, i pellegrini saranno chiama-ti a iscriversi presso il Dicastero dell’e-vangelizzazione scegliendo il giorno e l’ora a loro più consona per compiere il pellegrinaggio. Questo inizierà a Piazza Pia e giungerà no alla Porta Santa attraverso un percorso protetto per facilitare al massimo il momento spirituale della preghiera. Attraversare la Porta Santa, infatti, non è un gesto magico, ma un simbolo che richiama a quanto Gesù ci ha detto: “Io sono la Porta, chi passa attraverso di me sarà salvo” (Gv 10,9). L’incontro con Gesù Cristo è l’obiettivo centrale del giubileo. Un incontro personale che apre il cuore e la mente a ravvivare la propria fede e compiere esperienza della misericordia.In un periodo come il nostro così circondato da violenza, viene messo in crisi anche il grande contenuto del perdono. Sembra che molte per-sone abbiano dimenticato questa esigenza del perdono; non è altro che esperienza dell’amore che sa giungere no all’estremo. Per essere capaci di perdono, comunque, è necessario avere avuto esperienza diretta di essere stati perdonati. Solo così il perdono diventa ecace e manifesta l’amore genuino da cui proviene. Nella Bolla, papa Fran-cesco usa una bella espressione e scrive: “Perdonare non cambia il passato, non può modicare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia, il perdono può permettere di cam-biare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta. Il futuro rischiarato dal perdono consente di leggere il pas-sato con occhi diversi, più sereni, seppure ancora solcati da lacrime” (n. 24). È proprio vero. Il passato non può cambiare, ma il perdono può consentire di vivere il futuro in maniera diversa. Il prossimo giubileo, pertanto, così ricco di tante iniziative possa essere segno e sorgente di speranza. nCOS’È IL GIUBILEO?GIUBILEO 2025PartecipazioneA sinistra: monsignor Rino Fisichella accanto al logo ufciale del Giubileo 2025Ansa/Massimo PercossiA destra: pellegrini e fedeli in la e mentre attraversano la Porta Santa nella Basilica di San Pietro, il giorno dopo la cerimonia di apertura del Giubileo della Misericordia, Città del Vaticano, 9 dicembre 2015.Ansa/ Claudio Peri
22 23Lo scorso 27 ottobre, a conclusione del Sinodo dei Vescovi, Papa Francesco ha presieduto la prima cele-brazione eucaristica sull’altare mag-giore con il Baldacchino disvelato, al termine dei restauri durati nove mesi. Nell’occasione è stata anche esposta la Cattedra di San Pietro, l’antico trono in legno con fregi d’a-vorio, simbolo del primato di Pietro, estratto dall’abside della Basilica per consentirne il restauro.L’imponente opera venne realizzata tra il 1624 e il 1635 per il papa Ur-bano VIII Barberini dall’architetto Gian Lorenzo Bernini che collaborò con il collega e rivale Francesco Borromini. Annerito dal tempo (il primo e ultimo restauro risale a 250 anni fa), il Baldacchino oggi riappare nella sua ritrovata integrità e nel suo splendore. «Per natura il baldacchino è posto a custodia dell’Eucarestia sull’altare, il centro della chiesa, per la celebra-zione eucaristica. E il Baldacchino restaurato manifesta la bellezza che la Chiesa dovrebbe riettere» com-menta il Cardinale Arciprete della Basilica di San Pietro, Mauro Gam-betti. «Perché la Chiesa è bella se è eucaristica, se vive quella dinamica di discesa del verbo sull’altare nelle mani del sacerdote, quando diviene nutrimento che si distribuisce tra tutti e crea comunione alimentan-do i rapporti di fraternità – spiega Gambetti - il disvelamento del Baldacchino nel giorno di chiusura del Sinodo parla di una Chiesa si-nodale che è una Chiesa eucaristica, che fa della comunione il suo cuore pulsante, possibile solo se ognuno si abbassa, discende, per nutrire gli altri. L’imponenza dell’opera non vuole esaltare la sua valenza, ma vuole far risplendere l’Eucarestia che, nella semplicità estrema della materia - un po’ di pane e un po’ di vino - sull’altare diventa Corpo e Sangue di Cristo donato all’u-manità per la salvezza di tutti. Era necessario, quindi, riportare l’opera alla sua originalità e bellezza al di là dell’aspetto artistico. Qui l’arte è un veicolo di bellezza e stupore, attrae ma rimanda ad Altro» conclude il Cardinale. nUn inno alla spiritualitàIl Giubileo della Speranza è anche l’occasione per far tornare a splendere due straordinari capolavori berniniani: il Baldacchino e il Monumento per la Cattedra di San PietroSplende ancoraPapa Francesco celebra la Messa per la chiusura del Sinodo dei vescovi nella Basilica di San Pietro in Vaticano, con il Baldacchino che splende di nuovo, 27 ottobre 2024.Ansa/Fabio FrustaciEmiliano Amato, giornalistaPietro Zander, Responsabile Sezione Necropoli e Beni Artistici Fabbrica di San Pietro in Vaticano Nell’ambito dei lavori di restauro intrapresi dalla Fabbrica di San Pietro sul monumen-to berniniano della Cattedra, si è proceduto all’estrazione dell’antico seggio fregiato in avorio, che, con ogni attenzione, è stato temporanea-mente collocato presso la “Sagrestia Ottoboni” della Basilica Vaticana.L’antica Cattedra di San Pietro è costituita da un telaio esterno realizzato nel XIII secolo con travi di legno di castagno, di pino d’Aleppo (montanti angolari) e di frassino (traversa inferiore del retro). Ai montanti sono ssati quattro anelli metallici destinati al trasporto della Cattedra durante le solenni proces-sioni in Basilica. Protetto da questo rivestimento il più antico seggio ha la forma di un trono privo di brac-cioli con spalliera sormontata da un timpano al cui interno si vedono tre aperture ovali per l’inserimento di una decorazione oggi perduta. Alcu-ni elementi di legno (rovere) erano rivestiti da una lamina di metallo prezioso (rame e argento dorato) ed erano decorati su ciascun lato da ranatissimi fregi di avorio intaglia-to con motivi geometrici e vegetali, con gure simboliche e con scene gurate di ispirazione classica. Per un nuovo capitolo di devozioneL’antico fascino di un trono scolpito nella storia, simbolo di fede in continua trasformazioneGIUBILEO 2025
22 23Lo scorso 27 ottobre, a conclusione del Sinodo dei Vescovi, Papa Francesco ha presieduto la prima cele-brazione eucaristica sull’altare mag-giore con il Baldacchino disvelato, al termine dei restauri durati nove mesi. Nell’occasione è stata anche esposta la Cattedra di San Pietro, l’antico trono in legno con fregi d’a-vorio, simbolo del primato di Pietro, estratto dall’abside della Basilica per consentirne il restauro.L’imponente opera venne realizzata tra il 1624 e il 1635 per il papa Ur-bano VIII Barberini dall’architetto Gian Lorenzo Bernini che collaborò con il collega e rivale Francesco Borromini. Annerito dal tempo (il primo e ultimo restauro risale a 250 anni fa), il Baldacchino oggi riappare nella sua ritrovata integrità e nel suo splendore. «Per natura il baldacchino è posto a custodia dell’Eucarestia sull’altare, il centro della chiesa, per la celebra-zione eucaristica. E il Baldacchino restaurato manifesta la bellezza che la Chiesa dovrebbe riettere» com-menta il Cardinale Arciprete della Basilica di San Pietro, Mauro Gam-betti. «Perché la Chiesa è bella se è eucaristica, se vive quella dinamica di discesa del verbo sull’altare nelle mani del sacerdote, quando diviene nutrimento che si distribuisce tra tutti e crea comunione alimentan-do i rapporti di fraternità – spiega Gambetti - il disvelamento del Baldacchino nel giorno di chiusura del Sinodo parla di una Chiesa si-nodale che è una Chiesa eucaristica, che fa della comunione il suo cuore pulsante, possibile solo se ognuno si abbassa, discende, per nutrire gli altri. L’imponenza dell’opera non vuole esaltare la sua valenza, ma vuole far risplendere l’Eucarestia che, nella semplicità estrema della materia - un po’ di pane e un po’ di vino - sull’altare diventa Corpo e Sangue di Cristo donato all’u-manità per la salvezza di tutti. Era necessario, quindi, riportare l’opera alla sua originalità e bellezza al di là dell’aspetto artistico. Qui l’arte è un veicolo di bellezza e stupore, attrae ma rimanda ad Altro» conclude il Cardinale. nUn inno alla spiritualitàIl Giubileo della Speranza è anche l’occasione per far tornare a splendere due straordinari capolavori berniniani: il Baldacchino e il Monumento per la Cattedra di San PietroSplende ancoraPapa Francesco celebra la Messa per la chiusura del Sinodo dei vescovi nella Basilica di San Pietro in Vaticano, con il Baldacchino che splende di nuovo, 27 ottobre 2024.Ansa/Fabio FrustaciEmiliano Amato, giornalistaPietro Zander, Responsabile Sezione Necropoli e Beni Artistici Fabbrica di San Pietro in Vaticano Nell’ambito dei lavori di restauro intrapresi dalla Fabbrica di San Pietro sul monumen-to berniniano della Cattedra, si è proceduto all’estrazione dell’antico seggio fregiato in avorio, che, con ogni attenzione, è stato temporanea-mente collocato presso la “Sagrestia Ottoboni” della Basilica Vaticana.L’antica Cattedra di San Pietro è costituita da un telaio esterno realizzato nel XIII secolo con travi di legno di castagno, di pino d’Aleppo (montanti angolari) e di frassino (traversa inferiore del retro). Ai montanti sono ssati quattro anelli metallici destinati al trasporto della Cattedra durante le solenni proces-sioni in Basilica. Protetto da questo rivestimento il più antico seggio ha la forma di un trono privo di brac-cioli con spalliera sormontata da un timpano al cui interno si vedono tre aperture ovali per l’inserimento di una decorazione oggi perduta. Alcu-ni elementi di legno (rovere) erano rivestiti da una lamina di metallo prezioso (rame e argento dorato) ed erano decorati su ciascun lato da ranatissimi fregi di avorio intaglia-to con motivi geometrici e vegetali, con gure simboliche e con scene gurate di ispirazione classica. Per un nuovo capitolo di devozioneL’antico fascino di un trono scolpito nella storia, simbolo di fede in continua trasformazioneGIUBILEO 2025
24 25Tra i essuosi tralci vegetali della decorazione in avorio compaiono minute scene di combattimento, gure mitologiche, centauri, animali esotici e fantastici. I anchi e la spal-liera del trono erano ornati da piccoli archi, oggi solo in parte conservati e sostenuti da pilastrini con basi attiche e capitelli stilizzati. Con ogni probabilità la Cattedra fu donata da Carlo il Calvo al papa Giovanni VIII (872-885) che lo incoronò nell’antica basilica di San Pietro nell’anno 875. Il busto dell’imperatore carolingio con corona e globo è infatti rap-presentato al centro del fregio della traversa orizzontale del timpano tra due angeli che gli porgono una corona, seguiti da altri due angeli che innalzano una palma. Le fatiche di ErcoleSulla parte anteriore della Cattedra fu apposto in un secondo momento un pannello con una decorazione co-stituita da diciotto riquadri disposti su tre le con le dodici “Fatiche di Ercole” e con sei immagini di co-stellazioni nella forma di fantastiche creature. Formelle pertinenti ad un unico pannello che hanno tuttavia mutato l’originaria disposizione. Tali immagini sono nemente incise e delineate su dodici formelle di avorio applicate su due tavole di rovere. La gura di Ercole e le immagini dei sei riquadri inferiori erano rese tramite incavi riempiti di lamine d’oro ce-sellate. Le cornici delle singole scene conservano tracce della ranata lavorazione ad agèmina, realizzata mediante l’inserimento in apposite cavità di diversi pigmenti. Sulla datazione delle formelle sono stati espressi pareri diversi: per Karl Weitzmann gli avori erculei sareb-bero stati realizzati in un’ocina della valle del Reno tra l’VIII e il IX secolo; per Margherita Guarducci sarebbero stati prodotti ad Alessan-dria d’Egitto tra il III e il IV secolo ed inseriti successivamente sul seggio carolingio. Quest’ultima studiosa ipotizzò l’appartenenza del pannello con le fatiche di Ercole ad un trono dell’imperatore Massimiano Erculeo (286-305), trono che sarebbe stato in seguito utilizzato dai ponteci romani a cominciare dal IV secolo. Oggi, tramite speciche e mirate indagini scientiche di laboratorio, si potranno acquisire utili elementi per la denizione di una più precisa datazione. “Incattedrazione”Nella bolla di Benedetto IX del no-vembre 1037 si distingue la pratica della “intronizzazione” da quella della “incattedrazione”, attestando implicitamente l’uso della “Catte-dra” da parte dei Romani Ponteci. Benedetto Canonico, nel 1140-1143, riferisce che durante la Messa nella solennità della Cattedra il papa doveva sedere “in Cathedra” ed è noto che Innocenzo III utilizzò la Cattedra per la sua consacrazione episcopale il 22 febbraio 1198. Dopo l’anno mille si aerma anche la con-suetudine di richiedere e ottenere “reliquie” (materiali o per contatto) dalla Cattedra, segno evidente che questo seggio papale dall’alto valore simbolico cominciava ad essere considerato, sulla base di una pia devozione, il seggio dove sedeva San Pietro quando predicava il Vangelo ad Antiochia e a Roma. La cattedra carolingia subì nel tem-po numerosi spostamenti documen-tati dalle fonti storiche e archivisti-che. Nel IX secolo fu forse custodita nel Secretarium dell’antica basilica, una sorta di sacrestia ponticia che si trovava presso l’attuale “Arco delle Campane”. Venne poi avvicinata alla Confessione (XIII secolo) e fu suc-cessivamente spostata presso l’altare dei Santi Simone e Giuda a sinistra della navata maggiore dell’antica basilica. Poco prima del Giubileo del 1450 fu posta nel tabernacolo di Sant’Adriano, eretto da Niccolò V (Parentucelli, 1447-1455) nel brac-cio meridionale del transetto. Nel 1576 fu traslata all’interno della co-siddetta “Rotonda di Sant’Andrea” o “di Santa Maria della Febbre”. Nel 1630 Urbano VIII (Barberini, 1623-Francesco e PietroSopra: Papa Francesco e il Cardinale Mauro Gambetti nella Sagrestia “Ottoboni” davanti all’antica reliquia della Cattedra di Pietro.Sotto: l’antica Cattedra di San Pietro, particolare delle decorazioni del fregio di avorio con scene di battaglia e particolare del pannello frontale con le “Dodici fatiche di Ercole” e gure di costellazioni. Manlio Falcioni / Fabbrica di San PietroFesta della Cattedra di San PietroA sinistra: Il Monumento per la Cattedra di San Pietro illuminato da più di cento candele in occasione della solenne festività del 22 febbraioA destra: veduta del monumento con la statua di San Pietro in primo piano.Manlio Falcioni / Fabbrica di San PietroLa Cattedra fu donata da Carlo il Calvo al papa Giovanni VIII ‘‘GIUBILEO 2025
24 25Tra i essuosi tralci vegetali della decorazione in avorio compaiono minute scene di combattimento, gure mitologiche, centauri, animali esotici e fantastici. I anchi e la spal-liera del trono erano ornati da piccoli archi, oggi solo in parte conservati e sostenuti da pilastrini con basi attiche e capitelli stilizzati. Con ogni probabilità la Cattedra fu donata da Carlo il Calvo al papa Giovanni VIII (872-885) che lo incoronò nell’antica basilica di San Pietro nell’anno 875. Il busto dell’imperatore carolingio con corona e globo è infatti rap-presentato al centro del fregio della traversa orizzontale del timpano tra due angeli che gli porgono una corona, seguiti da altri due angeli che innalzano una palma. Le fatiche di ErcoleSulla parte anteriore della Cattedra fu apposto in un secondo momento un pannello con una decorazione co-stituita da diciotto riquadri disposti su tre le con le dodici “Fatiche di Ercole” e con sei immagini di co-stellazioni nella forma di fantastiche creature. Formelle pertinenti ad un unico pannello che hanno tuttavia mutato l’originaria disposizione. Tali immagini sono nemente incise e delineate su dodici formelle di avorio applicate su due tavole di rovere. La gura di Ercole e le immagini dei sei riquadri inferiori erano rese tramite incavi riempiti di lamine d’oro ce-sellate. Le cornici delle singole scene conservano tracce della ranata lavorazione ad agèmina, realizzata mediante l’inserimento in apposite cavità di diversi pigmenti. Sulla datazione delle formelle sono stati espressi pareri diversi: per Karl Weitzmann gli avori erculei sareb-bero stati realizzati in un’ocina della valle del Reno tra l’VIII e il IX secolo; per Margherita Guarducci sarebbero stati prodotti ad Alessan-dria d’Egitto tra il III e il IV secolo ed inseriti successivamente sul seggio carolingio. Quest’ultima studiosa ipotizzò l’appartenenza del pannello con le fatiche di Ercole ad un trono dell’imperatore Massimiano Erculeo (286-305), trono che sarebbe stato in seguito utilizzato dai ponteci romani a cominciare dal IV secolo. Oggi, tramite speciche e mirate indagini scientiche di laboratorio, si potranno acquisire utili elementi per la denizione di una più precisa datazione. “Incattedrazione”Nella bolla di Benedetto IX del no-vembre 1037 si distingue la pratica della “intronizzazione” da quella della “incattedrazione”, attestando implicitamente l’uso della “Catte-dra” da parte dei Romani Ponteci. Benedetto Canonico, nel 1140-1143, riferisce che durante la Messa nella solennità della Cattedra il papa doveva sedere “in Cathedra” ed è noto che Innocenzo III utilizzò la Cattedra per la sua consacrazione episcopale il 22 febbraio 1198. Dopo l’anno mille si aerma anche la con-suetudine di richiedere e ottenere “reliquie” (materiali o per contatto) dalla Cattedra, segno evidente che questo seggio papale dall’alto valore simbolico cominciava ad essere considerato, sulla base di una pia devozione, il seggio dove sedeva San Pietro quando predicava il Vangelo ad Antiochia e a Roma. La cattedra carolingia subì nel tem-po numerosi spostamenti documen-tati dalle fonti storiche e archivisti-che. Nel IX secolo fu forse custodita nel Secretarium dell’antica basilica, una sorta di sacrestia ponticia che si trovava presso l’attuale “Arco delle Campane”. Venne poi avvicinata alla Confessione (XIII secolo) e fu suc-cessivamente spostata presso l’altare dei Santi Simone e Giuda a sinistra della navata maggiore dell’antica basilica. Poco prima del Giubileo del 1450 fu posta nel tabernacolo di Sant’Adriano, eretto da Niccolò V (Parentucelli, 1447-1455) nel brac-cio meridionale del transetto. Nel 1576 fu traslata all’interno della co-siddetta “Rotonda di Sant’Andrea” o “di Santa Maria della Febbre”. Nel 1630 Urbano VIII (Barberini, 1623-Francesco e PietroSopra: Papa Francesco e il Cardinale Mauro Gambetti nella Sagrestia “Ottoboni” davanti all’antica reliquia della Cattedra di Pietro.Sotto: l’antica Cattedra di San Pietro, particolare delle decorazioni del fregio di avorio con scene di battaglia e particolare del pannello frontale con le “Dodici fatiche di Ercole” e gure di costellazioni. Manlio Falcioni / Fabbrica di San PietroFesta della Cattedra di San PietroA sinistra: Il Monumento per la Cattedra di San Pietro illuminato da più di cento candele in occasione della solenne festività del 22 febbraioA destra: veduta del monumento con la statua di San Pietro in primo piano.Manlio Falcioni / Fabbrica di San PietroLa Cattedra fu donata da Carlo il Calvo al papa Giovanni VIII ‘‘GIUBILEO 2025
261644) decise di riportare il venerato seggio di legno all’interno della Basilica e ordinò di costruire un piccolo oratorio e un altare dedicato alla “Santa Cattedra”. Questa fu collocata nel 1636 sopra l’altare dell’ultima cappella della navata sinistra, che era stata da poco adibita a battistero. Un disegno di Domenico Castelli custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana (cod. Vat. Barber. lat. 4409, f. 18) mostra il primo monumento berniniano per la Cattedra di San Pietro su un alto basamento marmoreo ancheg-giato da due angeli su di un fondo di nubi dominato dalla gura raggiante della colomba dello Spirito Santo. La Cattedra fu conservata per dieci anni all’interno del modello in legno realizzato da Giovanni Battista Soria (1581- 1651) per la prevista custodia di bronzo che venne ultimata solo nel 1646 durante il ponticato di In-nocenzo X (Pamphilj, 1644-1655). In questo perduto scrigno di metallo la Cattedra fu custodita sino al 17 gennaio 1666 quando fu riposta nel grandioso monumento edicato da Gian Lorenzo Bernini al centro dell’abside della Basilica. Le esposizioniLa Cattedra lignea rimase così inaccessibile anche nel giorno del 22 febbraio, quando, in occasione della festa liturgica ad essa dedicata, veniva esposta alla venerazione dei fedeli che potevano toccarla con nastri o fasce di stoa (mensure) che si credeva acquistassero da quel contatto virtù taumaturgiche. Tale tradizione, attestata dal XIII al XVII secolo, cessò con la nuova ed attuale sistemazione durante il ponticato di Alessandro VII (Chigi, 1665-1667). Nel 1705 Clemente XI (Al-bani, 1700-1721) pensò di restituire alla devozione popolare almeno l’immagine della Cattedra che non era più possibile osservare. Ordinò pertanto di realizzare una sua copia fedele del venerato seggio secondo i disegni e le direttive dell’architetto Carlo Fontana (1634-1714). La replica doveva essere esposta all’interno della custodia lignea del Soria. Nella parte interna del mo-dello in legno che servì da “custodia provvisoria” e che è ancor’oggi con-servato, un’iscrizione latina dell’anno 1705 ricorda infatti che questa teca “custodì per lungo tempo la sacra Cattedra” e racchiuse “una copia fe-delissima della vera Cattedra perché possa essere più facilmente ammirata dai fedeli devoti”. Tuttavia, la pos-sibilità che i fedeli potessero scam-biare la copia per l’originale, indusse il papa a mutare il suo originario pensiero, ordinando di trasferire la copia del 1705 e la custodia del 1636 nel Palazzo Apostolico. L’ultima importante ostensione pubblica della Cattedra di San Pietro risale all’anno 1867, quando il Esposta al cultoL’ostensione della reliquia nella Basilica di San Pietro.Vatican MediaGIUBILEO 2025
261644) decise di riportare il venerato seggio di legno all’interno della Basilica e ordinò di costruire un piccolo oratorio e un altare dedicato alla “Santa Cattedra”. Questa fu collocata nel 1636 sopra l’altare dell’ultima cappella della navata sinistra, che era stata da poco adibita a battistero. Un disegno di Domenico Castelli custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana (cod. Vat. Barber. lat. 4409, f. 18) mostra il primo monumento berniniano per la Cattedra di San Pietro su un alto basamento marmoreo ancheg-giato da due angeli su di un fondo di nubi dominato dalla gura raggiante della colomba dello Spirito Santo. La Cattedra fu conservata per dieci anni all’interno del modello in legno realizzato da Giovanni Battista Soria (1581- 1651) per la prevista custodia di bronzo che venne ultimata solo nel 1646 durante il ponticato di In-nocenzo X (Pamphilj, 1644-1655). In questo perduto scrigno di metallo la Cattedra fu custodita sino al 17 gennaio 1666 quando fu riposta nel grandioso monumento edicato da Gian Lorenzo Bernini al centro dell’abside della Basilica. Le esposizioniLa Cattedra lignea rimase così inaccessibile anche nel giorno del 22 febbraio, quando, in occasione della festa liturgica ad essa dedicata, veniva esposta alla venerazione dei fedeli che potevano toccarla con nastri o fasce di stoa (mensure) che si credeva acquistassero da quel contatto virtù taumaturgiche. Tale tradizione, attestata dal XIII al XVII secolo, cessò con la nuova ed attuale sistemazione durante il ponticato di Alessandro VII (Chigi, 1665-1667). Nel 1705 Clemente XI (Al-bani, 1700-1721) pensò di restituire alla devozione popolare almeno l’immagine della Cattedra che non era più possibile osservare. Ordinò pertanto di realizzare una sua copia fedele del venerato seggio secondo i disegni e le direttive dell’architetto Carlo Fontana (1634-1714). La replica doveva essere esposta all’interno della custodia lignea del Soria. Nella parte interna del mo-dello in legno che servì da “custodia provvisoria” e che è ancor’oggi con-servato, un’iscrizione latina dell’anno 1705 ricorda infatti che questa teca “custodì per lungo tempo la sacra Cattedra” e racchiuse “una copia fe-delissima della vera Cattedra perché possa essere più facilmente ammirata dai fedeli devoti”. Tuttavia, la pos-sibilità che i fedeli potessero scam-biare la copia per l’originale, indusse il papa a mutare il suo originario pensiero, ordinando di trasferire la copia del 1705 e la custodia del 1636 nel Palazzo Apostolico. L’ultima importante ostensione pubblica della Cattedra di San Pietro risale all’anno 1867, quando il Esposta al cultoL’ostensione della reliquia nella Basilica di San Pietro.Vatican MediaGIUBILEO 2025
28prezioso seggio ligneo fu estratto dal monumento berniniano per essere esposto alla venerazione dei fedeli in occasione del 18° centenario del mar-tirio degli Apostoli Pietro e Paolo. Il 28 giugno di quell’anno, in cui fu indetto dal Beato Pio IX il Concilio Vaticano I, si aprì la grata sotto il trono di bronzo del monumento del Bernini e la Cattedra fu solen-nemente portata in processione nella Cappella Gregoriana, dove fu collocata sopra l’altare. Dai diari dell’epoca sappiamo che sull’altare era stato predisposto un piedistallo ed era stata coperta con un drappo la miracolosa immagine della Madonna del Soccorso. In tale collocazione la Cattedra rimase no al 9 luglio, consentendo a moltissimi pellegrini di slare davanti ad essa ottenendo, secondo l’antica tradi-zione, oggetti che avevano toccato quel venerato seggio (fasce di stoa, medaglie, corone, rosari, immagini di Santi e del Papa). Anche alcuni vescovi vollero far toccare la Cattedra con i loro anelli e croci episcopali, mentre nel po-meriggio del 7 luglio lo stesso Pio IX si recò a venerare e ad osservare minutamente la Cattedra. Il celebre archeologo Giovan Battista de Rossi ebbe l’opportunità di “esaminare con ogni cura e da ogni lato la cat-tedra vaticana”, privilegio che ebbe poi anche il Padre Raaele Garrucci S.J. la sera del 6 luglio. Risalgono a tale data le prime fotograe della Cattedra. Più approfondite ricer-che vennero in seguito condotte in occasione della ricognizione della Cattedra (1968-1974) durante il ponticato di Paolo VI. OggiLa Cattedra di San Pietro è stata nuovamente esposta presso l’altare maggiore della Basilica Vaticana domenica 27 ottobre 2024, in occasione della Santa Messa per la conclusione del Sinodo 53 dei Vescovi, no all’8 dicembre 2024. Prima della sua ricollocazione nel monumento berniniano al termi-ne del restauro, la Cattedra di San Pietro sarà sottoposta ad una serie di meticolose indagini diagnostiche e conoscitive svolte in collaborazione e in sinergia con il Gabinetto di Ri-cerche Scientiche applicate ai Beni Culturali dei Musei Vaticani. n La Cattedra esposta in occasione del Sinodo dei Vescovi‘‘ Sui ponteggiUn momento dei lavori di restauroManlio Falcioni / Fabbrica di San PietroGIUBILEO 2025
28prezioso seggio ligneo fu estratto dal monumento berniniano per essere esposto alla venerazione dei fedeli in occasione del 18° centenario del mar-tirio degli Apostoli Pietro e Paolo. Il 28 giugno di quell’anno, in cui fu indetto dal Beato Pio IX il Concilio Vaticano I, si aprì la grata sotto il trono di bronzo del monumento del Bernini e la Cattedra fu solen-nemente portata in processione nella Cappella Gregoriana, dove fu collocata sopra l’altare. Dai diari dell’epoca sappiamo che sull’altare era stato predisposto un piedistallo ed era stata coperta con un drappo la miracolosa immagine della Madonna del Soccorso. In tale collocazione la Cattedra rimase no al 9 luglio, consentendo a moltissimi pellegrini di slare davanti ad essa ottenendo, secondo l’antica tradi-zione, oggetti che avevano toccato quel venerato seggio (fasce di stoa, medaglie, corone, rosari, immagini di Santi e del Papa). Anche alcuni vescovi vollero far toccare la Cattedra con i loro anelli e croci episcopali, mentre nel po-meriggio del 7 luglio lo stesso Pio IX si recò a venerare e ad osservare minutamente la Cattedra. Il celebre archeologo Giovan Battista de Rossi ebbe l’opportunità di “esaminare con ogni cura e da ogni lato la cat-tedra vaticana”, privilegio che ebbe poi anche il Padre Raaele Garrucci S.J. la sera del 6 luglio. Risalgono a tale data le prime fotograe della Cattedra. Più approfondite ricer-che vennero in seguito condotte in occasione della ricognizione della Cattedra (1968-1974) durante il ponticato di Paolo VI. OggiLa Cattedra di San Pietro è stata nuovamente esposta presso l’altare maggiore della Basilica Vaticana domenica 27 ottobre 2024, in occasione della Santa Messa per la conclusione del Sinodo 53 dei Vescovi, no all’8 dicembre 2024. Prima della sua ricollocazione nel monumento berniniano al termi-ne del restauro, la Cattedra di San Pietro sarà sottoposta ad una serie di meticolose indagini diagnostiche e conoscitive svolte in collaborazione e in sinergia con il Gabinetto di Ri-cerche Scientiche applicate ai Beni Culturali dei Musei Vaticani. n La Cattedra esposta in occasione del Sinodo dei Vescovi‘‘ Sui ponteggiUn momento dei lavori di restauroManlio Falcioni / Fabbrica di San PietroGIUBILEO 2025
30 31Intervista a Brad Smith, Vice chair e presidente di Microsoft, società che ha partecipato come partner centrale al progetto sulla Basilica di San Pietro in vista del prossimo Giubileo a RomaLa prima volta che un Pontece ha partecipato ad un summit mondiale, come il G7 in Puglia, ha concentrato la sua attenzione sull’in-telligenza articiale, e ha impegnato la Santa Sede in una profonda analisi del fenomeno, le sue implicazioni pratiche ma anche morali, che poi è il confronto e l’incontro tra fede e scienza. E ieri lo ha fatto anche durante l’udienza al Palazzo Aposto-lico dove ha ricevuto tutti i protago-nisti del progetto “La Basilica di San Pietro – AI Enhanced Experience”, la missione digitale della Basilica.Un progetto che per la prima volta nella storia restituisce un gemello digitale del più grande tempio cristiano del mondo. E che rappresenta il para-digma di un uso della tecnologia al servizio dell’uomo. Incontriamo Brad Smith, Vice Chair and Presi-dent Microsoft, che ha partecipato come partner centrale al progetto sulla basilica. Partiamo dal concetto di fondo: come condividere l’IA con più persone possibile? E come far passare il concetto che non è un aare per pochi? Sorride Brad, la domanda è da anni che gli viene ri-volta, da molti leader della politica e dell’industria. Oggi è il Vaticano, ha incontrato il Santo Padre cui sono stati illustrati i risultati del progetto.Come è possibile fare questo?Beh, innanzitutto concentrandoci sui valori etici per fare in modo che i creatori dell’intelligenza articiale diano maggior peso all’attuazione di tali principi, e che li condividano con tutte le persone del mondo. È una parte importante del nostro Paolo Benanti TOR, professore della Ponticia Università Gregoriana e presidente della Commissione intelligenza articiale per l’InformazioneAl lavoroIn apertura: vista della Basilica di San Pietro generata dall’Intelligenza Articiale. Sopra, in alto: Andrea Louis, fotografa di Iconem, al lavoro. A destra: Brad Smith e il Cardinale Mauro GambettiIntelligenza Articiale: strumento per creare opportunitàTECNOLOGIA
30 31Intervista a Brad Smith, Vice chair e presidente di Microsoft, società che ha partecipato come partner centrale al progetto sulla Basilica di San Pietro in vista del prossimo Giubileo a RomaLa prima volta che un Pontece ha partecipato ad un summit mondiale, come il G7 in Puglia, ha concentrato la sua attenzione sull’in-telligenza articiale, e ha impegnato la Santa Sede in una profonda analisi del fenomeno, le sue implicazioni pratiche ma anche morali, che poi è il confronto e l’incontro tra fede e scienza. E ieri lo ha fatto anche durante l’udienza al Palazzo Aposto-lico dove ha ricevuto tutti i protago-nisti del progetto “La Basilica di San Pietro – AI Enhanced Experience”, la missione digitale della Basilica.Un progetto che per la prima volta nella storia restituisce un gemello digitale del più grande tempio cristiano del mondo. E che rappresenta il para-digma di un uso della tecnologia al servizio dell’uomo. Incontriamo Brad Smith, Vice Chair and Presi-dent Microsoft, che ha partecipato come partner centrale al progetto sulla basilica. Partiamo dal concetto di fondo: come condividere l’IA con più persone possibile? E come far passare il concetto che non è un aare per pochi? Sorride Brad, la domanda è da anni che gli viene ri-volta, da molti leader della politica e dell’industria. Oggi è il Vaticano, ha incontrato il Santo Padre cui sono stati illustrati i risultati del progetto.Come è possibile fare questo?Beh, innanzitutto concentrandoci sui valori etici per fare in modo che i creatori dell’intelligenza articiale diano maggior peso all’attuazione di tali principi, e che li condividano con tutte le persone del mondo. È una parte importante del nostro Paolo Benanti TOR, professore della Ponticia Università Gregoriana e presidente della Commissione intelligenza articiale per l’InformazioneAl lavoroIn apertura: vista della Basilica di San Pietro generata dall’Intelligenza Articiale. Sopra, in alto: Andrea Louis, fotografa di Iconem, al lavoro. A destra: Brad Smith e il Cardinale Mauro GambettiIntelligenza Articiale: strumento per creare opportunitàTECNOLOGIA
32 33lavoro perché ci sentiamo un po’ gli araldi di questo messaggio per la ducia che il cardinal Mauro Gambetti, Arciprete della Basilica ha riposto in noi nel progetto sulla Basilica di San Pietro. Ma il Papa ha parlato anche di come l’intelligenza articiale può servire al mondo. Dobbiamo chiederci come l’IA si de-clina e come può risolvere i problemi del mondo, in particolare i problemi dei poveri del mondo. Quindi ci chiediamo: cos’è che può fare l’Ia per risolvere ad esempio il problema del cibo, dell’agricoltura e del clima? Sicuramente il nostro obiettivo è quello di utilizzare la tecnologia per creare un mondo migliore e su questo ci sono ragioni per un cauto ottimismo. Tra cinque anni l’intelli-genza articiale sarà in grado di fare più cose e con più precisione. È un programma certamente straordinario, che ci dà speranza. Ma come, in un clima così divisi-vo come quello attuale, pensa che si possa costruire un mondo mi-gliore, nelle sue varie declinazioni sociali, politiche ed economiche, grazie alla tecnologia? È necessario considerare tre aspet-ti: il primo è quello di portare al mondo l’intelligenza articiale. Ricordo sempre che 150 anni fa è stata scoperta l’elettricità. Tuttavia ancora oggi 750 milioni di persone nel mondo, il 43% della popolazione africana, non ha accesso all’elettrici-tà. Ecco, noi dovremo raccogliere la sda di portare internet nel mondo non in quindici decadi ma in una soltanto. In secondo luogo dob-biamo utilizzare l’IA per la salute, per un migliore accesso alle risorse alimentari, per creare maggiori opportunità. Inoltre l’intelligenza articiale dovrà essere al servizio dei valori della famiglia umana: do-vranno essere le persone a decidere quando l’IA sarà accessibile o se verrà usata per il bene o per il male. Eppure l’IA ha bisogno di elet-tricità (e molta) per funzionare, è un tema questo che ricorre spesso quando parla di decarbonizza-zione e quindi di superamento dei combustibili fossili, e non solo per l’IA. Non si rischia una sorta di cortocircuito? Qual è il rapporto con le nuove fonti energetiche? L’IA avrà bisogno di elettricità per fare il suo lavoro. Nei prossimi decenni avremo bisogno di più fonti di elettricità per la nostra economia, anche per l’IA. Cosa signica? Beh, in primo luogo, credo signichi che, in quanto aziende tecnologiche del settore, dobbiamo impegnarci – e lo stiamo davvero facendo - per trovare più fonti di elettricità. Inoltre, dob-biamo concentrarci su più fonti di energia senza emissioni di carbonio, più energia eolica, più energia solare, in alcuni casi, più energia idroelettrica e anche, aggiungo, nuove fonti di energia nucleare. Credo che dobbia-mo farlo basandoci sulla prossima ge-nerazione di energia nucleare, i cosid-detti piccoli reattori modulari. Sono i tipi di reattori che sono stati a lungo nei sottomarini o nelle portaerei che sono entrati nei porti tutto il tempo, e la gente non si preoccupa perché sono sicuri. Avremo nuove forme di energia nucleare che dobbiamo svi-luppare in modo sicuro. La terza cosa a cui penso e a cui dobbiamo pre-stare molta attenzione è che, mentre cerchiamo nuove fonti di elettricità, anche per alimentare l’intelligenza ar-ticiale, dobbiamo farlo in modo da mantenere invariate le attuali tarie. Quindi, quando arriviamo a costruire un nuovo data center, penso che uno dei principi a cui dobbiamo attenerci è che se ci sono miglioramenti ne-cessari nella rete elettrica, dobbiamo farcene carico in modo che i costi non ricadano sulla comunità. Un tema molto importante per la Santa Sede, che ha istituito la Fondazione RenAissance, è la questione fondamentale dell’al-goretica, di come garantire un uso etico dei big data. Qual è su questo punto è la posizione di Microsoft? Credo che ci siano alcune aree in cui dovremmo riservare tali decisioni agli esseri umani. Il futuro non può essere previsto per un individuo o per un intero Paese o società semplicemente prendendo dati dal passato e dando per scontato che continuerà nello stesso modo. Ed è per questo che, come Microsoft, ci siamo a lungo detti che ci sono alcune aree in cui non crediamo che si debba usare l’intelligenza articia-le per prendere decisioni. Ci sono un insieme di principi o valori che più in generale dovrebbero guidare l’etica degli algoritmi. Si tratta di ri-spettare anzitutto la dignità umana e il diritto alla privacy. Gli individui hanno diritto alla privacy e noi dobbiamo proteggerli. Garantire la Immagini suggestiveUna sezione dei sotterranei della Basilica di San Pietro generata dall’Intelligenza ArticialeL’intelligenza articiale dovrà essere al servizio dei valori della famiglia umana ‘‘TECNOLOGIA
32 33lavoro perché ci sentiamo un po’ gli araldi di questo messaggio per la ducia che il cardinal Mauro Gambetti, Arciprete della Basilica ha riposto in noi nel progetto sulla Basilica di San Pietro. Ma il Papa ha parlato anche di come l’intelligenza articiale può servire al mondo. Dobbiamo chiederci come l’IA si de-clina e come può risolvere i problemi del mondo, in particolare i problemi dei poveri del mondo. Quindi ci chiediamo: cos’è che può fare l’Ia per risolvere ad esempio il problema del cibo, dell’agricoltura e del clima? Sicuramente il nostro obiettivo è quello di utilizzare la tecnologia per creare un mondo migliore e su questo ci sono ragioni per un cauto ottimismo. Tra cinque anni l’intelli-genza articiale sarà in grado di fare più cose e con più precisione. È un programma certamente straordinario, che ci dà speranza. Ma come, in un clima così divisi-vo come quello attuale, pensa che si possa costruire un mondo mi-gliore, nelle sue varie declinazioni sociali, politiche ed economiche, grazie alla tecnologia? È necessario considerare tre aspet-ti: il primo è quello di portare al mondo l’intelligenza articiale. Ricordo sempre che 150 anni fa è stata scoperta l’elettricità. Tuttavia ancora oggi 750 milioni di persone nel mondo, il 43% della popolazione africana, non ha accesso all’elettrici-tà. Ecco, noi dovremo raccogliere la sda di portare internet nel mondo non in quindici decadi ma in una soltanto. In secondo luogo dob-biamo utilizzare l’IA per la salute, per un migliore accesso alle risorse alimentari, per creare maggiori opportunità. Inoltre l’intelligenza articiale dovrà essere al servizio dei valori della famiglia umana: do-vranno essere le persone a decidere quando l’IA sarà accessibile o se verrà usata per il bene o per il male. Eppure l’IA ha bisogno di elet-tricità (e molta) per funzionare, è un tema questo che ricorre spesso quando parla di decarbonizza-zione e quindi di superamento dei combustibili fossili, e non solo per l’IA. Non si rischia una sorta di cortocircuito? Qual è il rapporto con le nuove fonti energetiche? L’IA avrà bisogno di elettricità per fare il suo lavoro. Nei prossimi decenni avremo bisogno di più fonti di elettricità per la nostra economia, anche per l’IA. Cosa signica? Beh, in primo luogo, credo signichi che, in quanto aziende tecnologiche del settore, dobbiamo impegnarci – e lo stiamo davvero facendo - per trovare più fonti di elettricità. Inoltre, dob-biamo concentrarci su più fonti di energia senza emissioni di carbonio, più energia eolica, più energia solare, in alcuni casi, più energia idroelettrica e anche, aggiungo, nuove fonti di energia nucleare. Credo che dobbia-mo farlo basandoci sulla prossima ge-nerazione di energia nucleare, i cosid-detti piccoli reattori modulari. Sono i tipi di reattori che sono stati a lungo nei sottomarini o nelle portaerei che sono entrati nei porti tutto il tempo, e la gente non si preoccupa perché sono sicuri. Avremo nuove forme di energia nucleare che dobbiamo svi-luppare in modo sicuro. La terza cosa a cui penso e a cui dobbiamo pre-stare molta attenzione è che, mentre cerchiamo nuove fonti di elettricità, anche per alimentare l’intelligenza ar-ticiale, dobbiamo farlo in modo da mantenere invariate le attuali tarie. Quindi, quando arriviamo a costruire un nuovo data center, penso che uno dei principi a cui dobbiamo attenerci è che se ci sono miglioramenti ne-cessari nella rete elettrica, dobbiamo farcene carico in modo che i costi non ricadano sulla comunità. Un tema molto importante per la Santa Sede, che ha istituito la Fondazione RenAissance, è la questione fondamentale dell’al-goretica, di come garantire un uso etico dei big data. Qual è su questo punto è la posizione di Microsoft? Credo che ci siano alcune aree in cui dovremmo riservare tali decisioni agli esseri umani. Il futuro non può essere previsto per un individuo o per un intero Paese o società semplicemente prendendo dati dal passato e dando per scontato che continuerà nello stesso modo. Ed è per questo che, come Microsoft, ci siamo a lungo detti che ci sono alcune aree in cui non crediamo che si debba usare l’intelligenza articia-le per prendere decisioni. Ci sono un insieme di principi o valori che più in generale dovrebbero guidare l’etica degli algoritmi. Si tratta di ri-spettare anzitutto la dignità umana e il diritto alla privacy. Gli individui hanno diritto alla privacy e noi dobbiamo proteggerli. Garantire la Immagini suggestiveUna sezione dei sotterranei della Basilica di San Pietro generata dall’Intelligenza ArticialeL’intelligenza articiale dovrà essere al servizio dei valori della famiglia umana ‘‘TECNOLOGIA
34responsabilità dei computer a tutta la famiglia umana è un nostro obiet-tivo fondamentale. Andiamo al cuore di uno dei rischi forse tra i maggiori che possono venire dall’uso della IA, quello che le decisioni, e parliamo di qualsiasi tipo di decisione, possano essere prese sulla base dei dati. La questione è davvero centrale, sono d’accordo con voi. Credo che ci siano alcune aree in cui non dovremmo sentirci a nostro agio nel permettere all’IA di prendere decisioni basate sui dati, e dovremmo riservare tali decisioni agli esseri umani. Il futu-ro non può essere semplicemente previsto per un individuo o per un intero Paese o società semplicemente prendendo dati dal passato e dando per scontato che continuerà. Ed è per questo che anche come azienda Microsoft, abbiamo a lungo detto che ci sono alcune aree in cui non crediamo che si debba usare l’intelli-genza articiale per prendere decisio-ni. E il secondo aspetto a cui penso è che questo punto è un insieme di principi o valori che più in generale dovrebbero guidare sia l’etica dell’IA sia l’algoritmica dell’IA. Gli individui hanno diritto alla privacy e penso che dobbiamo proteggerli, pensare alla sicurezza delle persone, all’inclusione per le persone in tutta la famiglia umana. Tutti questi temi toccano aspetti sensibili, ma serve uno scena-rio di fondo solido per il futuro. Cosa può davvero fare l’IA per la prosperità del mondo, per ridur-re le disuguaglianze, per coltivare un terreno fertile per la pace, che sono gli obiettivi che qui, nel centro della cristianità, abbiamo più a cuore? In primo luogo, al suo meglio, l’IA è, a mio avviso, uno strumento che può espandere la prosperità, creare opportunità per più persone, rendere più facile per le persone apprendere nuove competenze, renderle più incisive nel loro lavoro, aiutarle ad avviare un’impresa. Ci sono molti modi in cui l’IA può essere utilizzata, credo, per colmare il divario tra, ad esempio, i più ricchi e i più poveri in tutto il mondo, non solo all’interno di una comunità, ma soprattutto il divario, ad esempio, tra il Nord e il Sud del mondo. In secondo luogo, penso che fonda-mentalmente dipenderà in parte dal fatto che le aziende tecnologiche stesse, noi stessi, agiscano con la responsabilità che penso abbiamo. Penso che siamo amministratori della tecnologia al servizio delle persone. E se operiamo tenendo presente questo principio, possiamo costruire sistemi di governance più forti. Possiamo proteggere i diritti delle persone, le elezioni e la de-mocrazia stessa. Questo è qualcosa che in Microsoft abbiamo reso una priorità per tutto il 2024, utiliz-zando l’intelligenza articiale per proteggere i candidati e le campagne politiche dalla disinformazione, so-prattutto da parte di attori stranieri. Ma dipenderà in parte dal fatto che coloro che hanno il potere, la tecno-logia, le risorse nanziarie decidano di utilizzare quelle risorse per servire il bene del mondo, e penso che dobbiamo farlo. Ma l’IA, specie per chi ha mag-giori possibilità di utilizzo, può dare anche un enorme potere, e questo è sempre un rischio, specie in fase storica di riaccensione di conitti. Nessuno deve essere al di sopra della legge, ovvio, e questo include natu-ralmente anche qualsiasi azienda, qualsiasi tecnologia. Ma signica che abbiamo bisogno di leggi che si applichino e governino questa tecnologia. Abbiamo bisogno di leggi che consentano all’innovazione di progredire, ma anche di leggi che consentano l’innovazione e proteg-gano il pubblico, la sicurezza delle persone e l’integrità della democrazia stessa. E in un certo senso, questa è una nuova sda. nNel futuroYves Ubelmann, di Iconem, mentre illustra il progettoTECNOLOGIAArcadia, laboratorio specializzato in analisichimiche, microbiologiche e fisiche delGruppo Fratelli Visconti, opera da anni inambito ambientale, acquisendo unanotevole esperienza nell’esecuzione dicampionamenti, monitoraggi ed analisi indiversi settori:Arcadia, offre consulenze in campo ecologico e ambientale, nonchè nell’ambitodella salute e della sicurezza degli ambienti dilavoro.Scopri di più www.laboratorioarcadia.comStrada Vicinale della Bellaria, snc Tromello (PV) T.0382 86 81 06 • info@laboratorioarcadia.comAcqueRifiutiTerreniMonitoraggio inquinanti equalità dell’ariaAmiantoEmissioni gassose in atmosferaIndagini fonometriche edelettromagneticheIdoneità di biomasse in ingressoed in uscita dall’impianto ditrattamento per uso agricoloAnalisi di ammendanti,correttivi, concimi, fertilizzantiper uso agricolo
34responsabilità dei computer a tutta la famiglia umana è un nostro obiet-tivo fondamentale. Andiamo al cuore di uno dei rischi forse tra i maggiori che possono venire dall’uso della IA, quello che le decisioni, e parliamo di qualsiasi tipo di decisione, possano essere prese sulla base dei dati. La questione è davvero centrale, sono d’accordo con voi. Credo che ci siano alcune aree in cui non dovremmo sentirci a nostro agio nel permettere all’IA di prendere decisioni basate sui dati, e dovremmo riservare tali decisioni agli esseri umani. Il futu-ro non può essere semplicemente previsto per un individuo o per un intero Paese o società semplicemente prendendo dati dal passato e dando per scontato che continuerà. Ed è per questo che anche come azienda Microsoft, abbiamo a lungo detto che ci sono alcune aree in cui non crediamo che si debba usare l’intelli-genza articiale per prendere decisio-ni. E il secondo aspetto a cui penso è che questo punto è un insieme di principi o valori che più in generale dovrebbero guidare sia l’etica dell’IA sia l’algoritmica dell’IA. Gli individui hanno diritto alla privacy e penso che dobbiamo proteggerli, pensare alla sicurezza delle persone, all’inclusione per le persone in tutta la famiglia umana. Tutti questi temi toccano aspetti sensibili, ma serve uno scena-rio di fondo solido per il futuro. Cosa può davvero fare l’IA per la prosperità del mondo, per ridur-re le disuguaglianze, per coltivare un terreno fertile per la pace, che sono gli obiettivi che qui, nel centro della cristianità, abbiamo più a cuore? In primo luogo, al suo meglio, l’IA è, a mio avviso, uno strumento che può espandere la prosperità, creare opportunità per più persone, rendere più facile per le persone apprendere nuove competenze, renderle più incisive nel loro lavoro, aiutarle ad avviare un’impresa. Ci sono molti modi in cui l’IA può essere utilizzata, credo, per colmare il divario tra, ad esempio, i più ricchi e i più poveri in tutto il mondo, non solo all’interno di una comunità, ma soprattutto il divario, ad esempio, tra il Nord e il Sud del mondo. In secondo luogo, penso che fonda-mentalmente dipenderà in parte dal fatto che le aziende tecnologiche stesse, noi stessi, agiscano con la responsabilità che penso abbiamo. Penso che siamo amministratori della tecnologia al servizio delle persone. E se operiamo tenendo presente questo principio, possiamo costruire sistemi di governance più forti. Possiamo proteggere i diritti delle persone, le elezioni e la de-mocrazia stessa. Questo è qualcosa che in Microsoft abbiamo reso una priorità per tutto il 2024, utiliz-zando l’intelligenza articiale per proteggere i candidati e le campagne politiche dalla disinformazione, so-prattutto da parte di attori stranieri. Ma dipenderà in parte dal fatto che coloro che hanno il potere, la tecno-logia, le risorse nanziarie decidano di utilizzare quelle risorse per servire il bene del mondo, e penso che dobbiamo farlo. Ma l’IA, specie per chi ha mag-giori possibilità di utilizzo, può dare anche un enorme potere, e questo è sempre un rischio, specie in fase storica di riaccensione di conitti. Nessuno deve essere al di sopra della legge, ovvio, e questo include natu-ralmente anche qualsiasi azienda, qualsiasi tecnologia. Ma signica che abbiamo bisogno di leggi che si applichino e governino questa tecnologia. Abbiamo bisogno di leggi che consentano all’innovazione di progredire, ma anche di leggi che consentano l’innovazione e proteg-gano il pubblico, la sicurezza delle persone e l’integrità della democrazia stessa. E in un certo senso, questa è una nuova sda. nNel futuroYves Ubelmann, di Iconem, mentre illustra il progettoTECNOLOGIAArcadia, laboratorio specializzato in analisichimiche, microbiologiche e fisiche delGruppo Fratelli Visconti, opera da anni inambito ambientale, acquisendo unanotevole esperienza nell’esecuzione dicampionamenti, monitoraggi ed analisi indiversi settori:Arcadia, offre consulenze in campo ecologico e ambientale, nonchè nell’ambitodella salute e della sicurezza degli ambienti dilavoro.Scopri di più www.laboratorioarcadia.comStrada Vicinale della Bellaria, snc Tromello (PV) T.0382 86 81 06 • info@laboratorioarcadia.comAcqueRifiutiTerreniMonitoraggio inquinanti equalità dell’ariaAmiantoEmissioni gassose in atmosferaIndagini fonometriche edelettromagneticheIdoneità di biomasse in ingressoed in uscita dall’impianto ditrattamento per uso agricoloAnalisi di ammendanti,correttivi, concimi, fertilizzantiper uso agricolo
36 37Uno dei più devastanti pericoli che la cultura odierna corre è stato ecacemente descritto dallo scrittore del Novecento Clive Staples Lewis con l’espressione di chronological snobbery, per signicare l’accettazione acritica di quel che succede semplicemente perché esso appartiene al trend intellettuale del presente. È questo il caso di quelle ingiustizie sociali che si manifestano nell’au-mento endemico e sistemico delle di-suguaglianze, e delle quali sappiamo ormai quasi tutto: come si misurano (tante sono le metriche della disugua-glianza); dove sono massimamente presenti; quali eetti vanno produ-cendo su una pluralità di fronti, da quello economico a quello politico a quello culturale; quali ne sono i fat-tori causali principalmente responsa-bili la tipologia delle disuguaglianze: di reddito, di ricchezza, di genere, politiche, culturali e altro ancora. Non sappiamo però concettualizzar-le, perché non ne conosciamo l’onto-logia, e quindi niamo per prenderle come qualcosa di connaturato alla condizione umana oppure come una sorta di male necessario per consenti-re ulteriori balzi in avanti delle nostre società, dal momento che le inegua-glianze di risultato sarebbero necessa-rie - così si argomenta - per spronare gli individui a migliorarsi sempre più. Insomma, come qualcosa con cui imparare a convivere, così come in altre epoche storiche il genere umano L’impegno per trasformare strutture radicate e riscoprire il valore del bene comune Povertà in ItaliaSecondo i dati dell’Istat, pubblicati ad ottobre 2024, nel 2023 la condizione di povertà assoluta ha investito poco più di 2,2 milioni di famiglie e quasi 5,7 milioni di individui. L’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie con almeno uno straniero è stata pari al 30,4%, si è fermata invece al 6,3% per le famiglie composte solamente da italiani. L’incidenza di povertà relativa familiare, si è attestata al 10,6%, stabile rispetto al 2022; si contano oltre 2,8 milioni di famiglie sotto la soglia. In lieve crescita l’incidenza di povertà relativa individuale che è arrivata al 14,5% dal 14,0% del 2022, coinvolgendo quasi 8,5 milioni di individui.Ansa/Luca ZennaroDiseguaglianze strutturali e giustizia sociale ECONOMIA SOCIALEha saputo fare con le vicissitudini e le “stravaganze” della natura (il celebre economista Vilfredo Pareto vedeva nella disuguaglianza addirittura una sorta di legge ferrea cui il genere umano mai si sarebbe potuto sottrar-re). L’accettazione supina del factum toglie così ali e respiro al faciendum. E infatti assai modeste sono state nora le proposte credibili per porvi rimedio. Eppure, le diseguaglianze non sono un dato di natura da accettare come qualcosa di ineluttabile né come qualcosa di impossibile da arontare. Vi è una cesura nel modo di concepi-re l’ideale della giustizia sociale noto come paradosso di Bossuet: gli uomini tendono a deplorare in generale ciò cui acconsentono in particolare. È così che si nisce con l’accettare, più o meno sconsolatamente, la realtà della disuguaglianza, pur essendo vero che una simile condizione viene percepita come socialmente pericolo-sa e moralmente inaccettabile.È vero che la povertà non è una tragica caratteristica di questi tempi, ma ciò che la rende oggi scandalosa e perciò intollerabile, è il fatto che essa non è la conseguenza di una production failure, a livello mondiale, di una incapacità cioè del sistema produttivo di assicurare il necessario a tutti, come accadeva nel passato. Non è pertanto la scarsità di risorse, a livello globale, a causare fame e deprivazioni varie. È piuttosto una istitutional failure, la mancanza cioè di adeguate istituzioni, economiche e giuridiche, il principale fattore responsabile di ciò. Con intuizione profetica, papa Giovanni Paolo II, nella sua Sollicitudo Rei Socialis (1987), aveva parlato a tale riguardo di “strutture di peccato”.Contro l’ingiustiziaCome dare conto di ciò? La Dottri-na sociale della Chiesa non esita a individuare la causa nella credenza, oggi più che mai, diusa, nei dogmi dell’ingiustizia. Di due, in particolare, mette conto dire. Il primo aerma che la società nel suo insieme verreb-be avvantaggiata se ciascun individuo agisse per perseguire solamente il proprio interesse personale. Il che è doppiamente falso. In primo luogo, perché l’argomento smithiano della mano invisibile postula, per la sua validità, che i mercati siano vicini all’ideale della libera concorrenza, in cui non vi sono né monopoli né oligopoli, né asimmetrie informative. Ma tutti sanno che le condizioni per avere mercati di concorrenza perfetta non possono essere soddisfatte nella realtà, e quindi la mano invisibile non può operare. Secondariamente, dato Stefano Zamagni, Università di Bologna; Johns Hopkins University,SAIS Europe
36 37Uno dei più devastanti pericoli che la cultura odierna corre è stato ecacemente descritto dallo scrittore del Novecento Clive Staples Lewis con l’espressione di chronological snobbery, per signicare l’accettazione acritica di quel che succede semplicemente perché esso appartiene al trend intellettuale del presente. È questo il caso di quelle ingiustizie sociali che si manifestano nell’au-mento endemico e sistemico delle di-suguaglianze, e delle quali sappiamo ormai quasi tutto: come si misurano (tante sono le metriche della disugua-glianza); dove sono massimamente presenti; quali eetti vanno produ-cendo su una pluralità di fronti, da quello economico a quello politico a quello culturale; quali ne sono i fat-tori causali principalmente responsa-bili la tipologia delle disuguaglianze: di reddito, di ricchezza, di genere, politiche, culturali e altro ancora. Non sappiamo però concettualizzar-le, perché non ne conosciamo l’onto-logia, e quindi niamo per prenderle come qualcosa di connaturato alla condizione umana oppure come una sorta di male necessario per consenti-re ulteriori balzi in avanti delle nostre società, dal momento che le inegua-glianze di risultato sarebbero necessa-rie - così si argomenta - per spronare gli individui a migliorarsi sempre più. Insomma, come qualcosa con cui imparare a convivere, così come in altre epoche storiche il genere umano L’impegno per trasformare strutture radicate e riscoprire il valore del bene comune Povertà in ItaliaSecondo i dati dell’Istat, pubblicati ad ottobre 2024, nel 2023 la condizione di povertà assoluta ha investito poco più di 2,2 milioni di famiglie e quasi 5,7 milioni di individui. L’incidenza della povertà assoluta fra le famiglie con almeno uno straniero è stata pari al 30,4%, si è fermata invece al 6,3% per le famiglie composte solamente da italiani. L’incidenza di povertà relativa familiare, si è attestata al 10,6%, stabile rispetto al 2022; si contano oltre 2,8 milioni di famiglie sotto la soglia. In lieve crescita l’incidenza di povertà relativa individuale che è arrivata al 14,5% dal 14,0% del 2022, coinvolgendo quasi 8,5 milioni di individui.Ansa/Luca ZennaroDiseguaglianze strutturali e giustizia sociale ECONOMIA SOCIALEha saputo fare con le vicissitudini e le “stravaganze” della natura (il celebre economista Vilfredo Pareto vedeva nella disuguaglianza addirittura una sorta di legge ferrea cui il genere umano mai si sarebbe potuto sottrar-re). L’accettazione supina del factum toglie così ali e respiro al faciendum. E infatti assai modeste sono state nora le proposte credibili per porvi rimedio. Eppure, le diseguaglianze non sono un dato di natura da accettare come qualcosa di ineluttabile né come qualcosa di impossibile da arontare. Vi è una cesura nel modo di concepi-re l’ideale della giustizia sociale noto come paradosso di Bossuet: gli uomini tendono a deplorare in generale ciò cui acconsentono in particolare. È così che si nisce con l’accettare, più o meno sconsolatamente, la realtà della disuguaglianza, pur essendo vero che una simile condizione viene percepita come socialmente pericolo-sa e moralmente inaccettabile.È vero che la povertà non è una tragica caratteristica di questi tempi, ma ciò che la rende oggi scandalosa e perciò intollerabile, è il fatto che essa non è la conseguenza di una production failure, a livello mondiale, di una incapacità cioè del sistema produttivo di assicurare il necessario a tutti, come accadeva nel passato. Non è pertanto la scarsità di risorse, a livello globale, a causare fame e deprivazioni varie. È piuttosto una istitutional failure, la mancanza cioè di adeguate istituzioni, economiche e giuridiche, il principale fattore responsabile di ciò. Con intuizione profetica, papa Giovanni Paolo II, nella sua Sollicitudo Rei Socialis (1987), aveva parlato a tale riguardo di “strutture di peccato”.Contro l’ingiustiziaCome dare conto di ciò? La Dottri-na sociale della Chiesa non esita a individuare la causa nella credenza, oggi più che mai, diusa, nei dogmi dell’ingiustizia. Di due, in particolare, mette conto dire. Il primo aerma che la società nel suo insieme verreb-be avvantaggiata se ciascun individuo agisse per perseguire solamente il proprio interesse personale. Il che è doppiamente falso. In primo luogo, perché l’argomento smithiano della mano invisibile postula, per la sua validità, che i mercati siano vicini all’ideale della libera concorrenza, in cui non vi sono né monopoli né oligopoli, né asimmetrie informative. Ma tutti sanno che le condizioni per avere mercati di concorrenza perfetta non possono essere soddisfatte nella realtà, e quindi la mano invisibile non può operare. Secondariamente, dato Stefano Zamagni, Università di Bologna; Johns Hopkins University,SAIS Europe
38 39che le persone hanno talenti e abilità diverse, si ha che se le regole del gioco vengono forgiate in modo da esaltare, comportamenti opportunistici, diso-nesti, immorali ecc., accadrà che quei soggetti la cui costituzione morale è caratterizzata da tali tendenze niran-no con lo schiacciare gli altri.L’altro dogma dell’ingiustizia è la cre-denza che l’elitarismo vada incorag-giato perché eciente e ciò nel senso che il benessere dei più crescerebbe maggiormente se si promuovessero le abilità dei pochi. E dunque risorse, attenzioni, incentivi, devono andare ai più dotati, perché è all’impegno di costoro che si deve il progresso della società. Ne deriva che l’esclu-sione dall’attività economica – nella forma, ad esempio, di precariato e/o disoccupazione – dei meno dotati è qualcosa di necessario se si vuole aumentare il tasso di crescita del si-stema economico. Il che è una auten-tica fake truth (verità ingannevole), dovuta all’insegnamento riprovevole di darwinisti sociali quali Francis Galton e Thomas Henry Huxley.È dalla diusione a macchia d’olio nella cultura contemporanea di questi due miti che ha preso ali, nelle società dell’Occidente avan-zato, l’aporofobia (letteralmente: la paura, il disprezzo per l’indigente, il povero). Si pensi alle tante forme di aggressività e di odio nei confronti di chi è diseguale. L’aparofobia è una chiamata ad innalzare muri e crea uno stigma. E uno stigma è sempre lo stigma dell’altro, in special modo degli “scarti umani” del progresso, come li chiama Papa Francesco.Stato, Mercato e ComunitàDi quali trasformazioni (non di meri cambiamenti)la nostra società ha oggi grandemente bisogno, se non si è disposti ad accettare l’icastica aer-mazione di Trasimaco: «La giustizia è l’utile del più forte»? Ne indico solo alcune per ragioni di spazio. Primo, il passaggio dal modello bipolare di ordine sociale fondato su Stato e Mercato, e quindi sulle due categorie del pubblico e del privato, al modello tripolare Stato, Mercato, Comunità, che accanto alle due ca-tegorie appena indicate ponga quella del civile. Solamente attuando una tale trasformazione è possibile dare ali al principio di sussidiarietà, secondo quanto contemplato dall’art.118 della Carta Costituzionale, e dalla innova-tiva sentenza 131/2020 della Corte Costituzionale. (Si badi che la versio-ne piena della sussidiarietà è quella circolare, non quella orizzontale. Non solo, ma il passaggio, da tutti invoca-to, dall’obsoleto modello di Welfare State a quello di Welfare Society mai potrà essere realizzato restando entro lo schema Stato-Mercato. Un welfare delle capacità di vita, in sostituzione dell’attuale welfare delle condizioni di vita, esige la messa in opera in con-dizioni di piena autonomia, dei corpi intermedi della società). Secondo, l’impianto del nostro assetto economico è ancora preva-lentemente di tipo estrattivo. È di istituzioni economiche inclusive ciò di cui la nostra società ha bisogno, se si vuole ridurre signicativamente l’area della rendita che, nell’ultimo mezzo secolo, si è andata espandendo a danno sia del protto sia del salario. La stanchezza della cultura impren-ditoriale (e il conseguente declino dei livelli di produttività), oltre che il na-nismo del sistema di impresa trovano in questo la loro causa principale. Lo stesso dicasi della condizione di soerenza delle famiglie, soprattutto di quelle numerose, ingiustamente penalizzate. Se si crede che è il lavoro, nella duplice dimensione acquisitiva ed espressiva, il fattore decisivo di li-bertà, oltre che di benessere, occorre dire che è l’impresa che “crea” lavoro. Ma l’impresa nella molteplicità delle sue forme: capitalistiche, cooperati-ve, sociali, società benet. Invero, va respinta sia la prosperità senza inclu-sione sia l’inclusività senza prosperi-tà. A tale scopo, è urgente superare la concezione ancora prevalente, che identica il valore con il prezzo di mercato. Si tratta di una concezione Per stradaUna homeless in una dimora di fortuna realizzata con cartoni trova riparo nella galleria Umberto a Napoli, 16 gennaio 2023 Ansa / Ciro FuscoPovertà nel mondoIn alto: due bambine afghane mentre lavorano in una fornace di mattoni nel distretto di Deh Sabz, a nord-est di Kabul, Afghanistan.L’Indice Globale della Povertà Multidimensionale (MPI) del 2024 evidenzia che 1,1 miliardi di persone nel mondo vivono in povertà estrema, oltre la metà delle quali ha meno di 18 anni.Epa/Samiullah PopalIl più disonesto nirà per schiacciare l’altro‘‘obsoleta, conseguenza di un basso livello di cultura economica, che non considera, nel calcolo del PIL, la esistenza dei beni relazionali, dei beni di cura, dei beni comuni: beni questi essenziali per il bisogno di felicità che ogni essere umano avverte.Terzo. Le autorità governative devono riaermare il loro ruolo di soggetti cui compete la ssazione delle regole del gioco economico e nanziario in vista del bene comune ECONOMIA SOCIALEECONOMIA SOCIALE
38 39che le persone hanno talenti e abilità diverse, si ha che se le regole del gioco vengono forgiate in modo da esaltare, comportamenti opportunistici, diso-nesti, immorali ecc., accadrà che quei soggetti la cui costituzione morale è caratterizzata da tali tendenze niran-no con lo schiacciare gli altri.L’altro dogma dell’ingiustizia è la cre-denza che l’elitarismo vada incorag-giato perché eciente e ciò nel senso che il benessere dei più crescerebbe maggiormente se si promuovessero le abilità dei pochi. E dunque risorse, attenzioni, incentivi, devono andare ai più dotati, perché è all’impegno di costoro che si deve il progresso della società. Ne deriva che l’esclu-sione dall’attività economica – nella forma, ad esempio, di precariato e/o disoccupazione – dei meno dotati è qualcosa di necessario se si vuole aumentare il tasso di crescita del si-stema economico. Il che è una auten-tica fake truth (verità ingannevole), dovuta all’insegnamento riprovevole di darwinisti sociali quali Francis Galton e Thomas Henry Huxley.È dalla diusione a macchia d’olio nella cultura contemporanea di questi due miti che ha preso ali, nelle società dell’Occidente avan-zato, l’aporofobia (letteralmente: la paura, il disprezzo per l’indigente, il povero). Si pensi alle tante forme di aggressività e di odio nei confronti di chi è diseguale. L’aparofobia è una chiamata ad innalzare muri e crea uno stigma. E uno stigma è sempre lo stigma dell’altro, in special modo degli “scarti umani” del progresso, come li chiama Papa Francesco.Stato, Mercato e ComunitàDi quali trasformazioni (non di meri cambiamenti)la nostra società ha oggi grandemente bisogno, se non si è disposti ad accettare l’icastica aer-mazione di Trasimaco: «La giustizia è l’utile del più forte»? Ne indico solo alcune per ragioni di spazio. Primo, il passaggio dal modello bipolare di ordine sociale fondato su Stato e Mercato, e quindi sulle due categorie del pubblico e del privato, al modello tripolare Stato, Mercato, Comunità, che accanto alle due ca-tegorie appena indicate ponga quella del civile. Solamente attuando una tale trasformazione è possibile dare ali al principio di sussidiarietà, secondo quanto contemplato dall’art.118 della Carta Costituzionale, e dalla innova-tiva sentenza 131/2020 della Corte Costituzionale. (Si badi che la versio-ne piena della sussidiarietà è quella circolare, non quella orizzontale. Non solo, ma il passaggio, da tutti invoca-to, dall’obsoleto modello di Welfare State a quello di Welfare Society mai potrà essere realizzato restando entro lo schema Stato-Mercato. Un welfare delle capacità di vita, in sostituzione dell’attuale welfare delle condizioni di vita, esige la messa in opera in con-dizioni di piena autonomia, dei corpi intermedi della società). Secondo, l’impianto del nostro assetto economico è ancora preva-lentemente di tipo estrattivo. È di istituzioni economiche inclusive ciò di cui la nostra società ha bisogno, se si vuole ridurre signicativamente l’area della rendita che, nell’ultimo mezzo secolo, si è andata espandendo a danno sia del protto sia del salario. La stanchezza della cultura impren-ditoriale (e il conseguente declino dei livelli di produttività), oltre che il na-nismo del sistema di impresa trovano in questo la loro causa principale. Lo stesso dicasi della condizione di soerenza delle famiglie, soprattutto di quelle numerose, ingiustamente penalizzate. Se si crede che è il lavoro, nella duplice dimensione acquisitiva ed espressiva, il fattore decisivo di li-bertà, oltre che di benessere, occorre dire che è l’impresa che “crea” lavoro. Ma l’impresa nella molteplicità delle sue forme: capitalistiche, cooperati-ve, sociali, società benet. Invero, va respinta sia la prosperità senza inclu-sione sia l’inclusività senza prosperi-tà. A tale scopo, è urgente superare la concezione ancora prevalente, che identica il valore con il prezzo di mercato. Si tratta di una concezione Per stradaUna homeless in una dimora di fortuna realizzata con cartoni trova riparo nella galleria Umberto a Napoli, 16 gennaio 2023 Ansa / Ciro FuscoPovertà nel mondoIn alto: due bambine afghane mentre lavorano in una fornace di mattoni nel distretto di Deh Sabz, a nord-est di Kabul, Afghanistan.L’Indice Globale della Povertà Multidimensionale (MPI) del 2024 evidenzia che 1,1 miliardi di persone nel mondo vivono in povertà estrema, oltre la metà delle quali ha meno di 18 anni.Epa/Samiullah PopalIl più disonesto nirà per schiacciare l’altro‘‘obsoleta, conseguenza di un basso livello di cultura economica, che non considera, nel calcolo del PIL, la esistenza dei beni relazionali, dei beni di cura, dei beni comuni: beni questi essenziali per il bisogno di felicità che ogni essere umano avverte.Terzo. Le autorità governative devono riaermare il loro ruolo di soggetti cui compete la ssazione delle regole del gioco economico e nanziario in vista del bene comune ECONOMIA SOCIALEECONOMIA SOCIALE
40In fabbricaGiovanni Paolo II in compagnia degli operai della Solvay. Il 19 Marzo del 1982 Papa Wojtyla, durante una visita pastorale alla Diocesi di Livorno, volle incontrare i lavoratori della Solvay di Rosignano. Anche il Pontece, all’età di ventuno anni, era stato un operaio dell’azienda chimico-farmaceutica per quattro anni presso la sede polacca della multinazionale. Ansa Archivioe non (come invece avviene) degli interessi di particolari gruppi di agenti. Come sottolinea con forza Papa Francesco nel capitolo V della Fratelli Tutti, non è accettabile, né sostenibile, una società in cui la poli-tica è al servizio dei poteri forti della nanza globale. È in vista di ciò che il modello di democrazia da implemen-tare non può che essere quello della democrazia deliberativa, che va ben oltre la democrazia rappresentativa. La cifra della democrazia deliberati-va, infatti, è il “governo del” popolo e “per” il popolo. Una salvezza sufcienteInne, occorre porre mano alla vexata quaestio della comunanza etica nella società del pluralismo. Il pluralismo contemporaneo per de-nizione riuta l’idea di un’etica unica. Al tempo stesso, la vita associata – e soprattutto la politica – esige una comunanza (la koinotes di Aristote-le) fondata su principi etici se non vuole ridursi a mero proceduralismo. Quando questo avviene, ci si rifugia nel relativismo, nella convinzione che il metodo dello svincolo (avoidance) sia l’unica strada percorribile per evi-tare il conitto e per assicurare una parvenza di pace sociale. Che si tratti di bearda illusione dovrebbe essere compreso da tutti perché chi crede di sapere, non sapendo di credere, non si fa, né fa mai domande, da cui il relativismo oggi dilagante. Ebbene, la ricerca di una via attenta al rispetto del pluralismo etico e al tempo stesso capace di suggerire una comunanza etica signicativa è la grande mis-sione deicristiani in questo tempo. Il riconoscimento, che è una forma originaria dell’umano, non avviene nonostante le diversità e nemmeno a prescindere da esse. Una società del pluralismo non può certo essere sorretta da un’etica univoca, ma può aspirare ad una inter-etica genera-ta dall’incontro di quelle varietà culturali che abitano la stessa, ma ad una condizione, quella di riutare decisamente l’orizzonte hobbesiano (purtroppo tuttora in auge) secon-do cui l’agire politico è solamente concentrato dentro le istituzioni rappresentative. Il modello hobbesia-no non funziona più, ma continua a produrre ruoli di sistema. Dobbiamo invece riprendere la prospettiva rina-scimentale, che ci sprona all’incontro per incrociare lo sguardo di chi ci è a anco o di chi viene verso di noi.Per chiudere. Il Cristianesimo si di-sinteressa così poco del temporale, da presumere che “nel tempo” si decida addirittura il destino per l’eternità. Occorre, dunque, che l’uomo si costituisca come libero, esista e operi come tale, sia un soggetto attivo e non solo un oggetto passivo. Il co-stituirsi dell’uomo come libero è ciò che può dirsi la “salvezza naturale” dell’uomo. Salvezza mai assoluta, mai perfetta, mai suciente, e tuttavia indispensabile al realizzarsi della stessa salvezza sovrannaturale. Non riducibile ad essa, ma non trascura-bile: perché se non ci fosse un uomo libero, la salvezza sovrannaturale non avrebbe a chi rivolgersi. Ciò che avviene in questa vita ci interessa dunque in positivo, non sempli-cemente come qualcosa da negare – come Papa Francesco ci esorta a considerare. (In latino, esortare signica sia “incitare con forza” sia “consolare, rialzare”). L’evangelo è, per denizione, un messaggio di spe-ranza, ma non esclude, anzi esige che ve ne siano altri, su un piano diverso. Nello svolgere il suo compito, infatti, la Chiesa cerca e incontra la risposta di un uomo soggetto alle onde della storia. Come viva quest’uomo, quali siano le sue possibilità di realizzarsi, di esplicare la sua libertà, non sono fatti estranei e indierenti all’evange-lizzazione, poiché da essi dipende la risposta che l’uomo darà. È per que-sto che quello della Chiesa non è un messaggio solo spirituale per le sfere intime dell’esistenza, ma è un messag-gio pubblico, storico che attraversa le istituzioni sacre e profane. nPER ADULTI E BAMBINISONO DISPOSITIVI MEDICI 0373 Leggere attentamente le avvertenze e le istruzioni per l’uso. Aut. Min. del 06/08/2024Aboca è una Società Benet ed è certicata B Corp www.aboca.com/bene-comuneAboca S.p.A. Società Agricola Sansepolcro (AR)che calma rapidamentereflusso, acidità e difficoltà digestive.Per il mio stomacoho scelto un prodottoNeoBianacid agisce sui disturbi dello stomacoformando una barriera protettiva e rispettando il tuo organismo. ANCHE INGRAVIDANZA1ANNOsenza lattosioDisponibile al gusto menta e limoneAZIONE RAPIDA
40In fabbricaGiovanni Paolo II in compagnia degli operai della Solvay. Il 19 Marzo del 1982 Papa Wojtyla, durante una visita pastorale alla Diocesi di Livorno, volle incontrare i lavoratori della Solvay di Rosignano. Anche il Pontece, all’età di ventuno anni, era stato un operaio dell’azienda chimico-farmaceutica per quattro anni presso la sede polacca della multinazionale. Ansa Archivioe non (come invece avviene) degli interessi di particolari gruppi di agenti. Come sottolinea con forza Papa Francesco nel capitolo V della Fratelli Tutti, non è accettabile, né sostenibile, una società in cui la poli-tica è al servizio dei poteri forti della nanza globale. È in vista di ciò che il modello di democrazia da implemen-tare non può che essere quello della democrazia deliberativa, che va ben oltre la democrazia rappresentativa. La cifra della democrazia deliberati-va, infatti, è il “governo del” popolo e “per” il popolo. Una salvezza sufcienteInne, occorre porre mano alla vexata quaestio della comunanza etica nella società del pluralismo. Il pluralismo contemporaneo per de-nizione riuta l’idea di un’etica unica. Al tempo stesso, la vita associata – e soprattutto la politica – esige una comunanza (la koinotes di Aristote-le) fondata su principi etici se non vuole ridursi a mero proceduralismo. Quando questo avviene, ci si rifugia nel relativismo, nella convinzione che il metodo dello svincolo (avoidance) sia l’unica strada percorribile per evi-tare il conitto e per assicurare una parvenza di pace sociale. Che si tratti di bearda illusione dovrebbe essere compreso da tutti perché chi crede di sapere, non sapendo di credere, non si fa, né fa mai domande, da cui il relativismo oggi dilagante. Ebbene, la ricerca di una via attenta al rispetto del pluralismo etico e al tempo stesso capace di suggerire una comunanza etica signicativa è la grande mis-sione deicristiani in questo tempo. Il riconoscimento, che è una forma originaria dell’umano, non avviene nonostante le diversità e nemmeno a prescindere da esse. Una società del pluralismo non può certo essere sorretta da un’etica univoca, ma può aspirare ad una inter-etica genera-ta dall’incontro di quelle varietà culturali che abitano la stessa, ma ad una condizione, quella di riutare decisamente l’orizzonte hobbesiano (purtroppo tuttora in auge) secon-do cui l’agire politico è solamente concentrato dentro le istituzioni rappresentative. Il modello hobbesia-no non funziona più, ma continua a produrre ruoli di sistema. Dobbiamo invece riprendere la prospettiva rina-scimentale, che ci sprona all’incontro per incrociare lo sguardo di chi ci è a anco o di chi viene verso di noi.Per chiudere. Il Cristianesimo si di-sinteressa così poco del temporale, da presumere che “nel tempo” si decida addirittura il destino per l’eternità. Occorre, dunque, che l’uomo si costituisca come libero, esista e operi come tale, sia un soggetto attivo e non solo un oggetto passivo. Il co-stituirsi dell’uomo come libero è ciò che può dirsi la “salvezza naturale” dell’uomo. Salvezza mai assoluta, mai perfetta, mai suciente, e tuttavia indispensabile al realizzarsi della stessa salvezza sovrannaturale. Non riducibile ad essa, ma non trascura-bile: perché se non ci fosse un uomo libero, la salvezza sovrannaturale non avrebbe a chi rivolgersi. Ciò che avviene in questa vita ci interessa dunque in positivo, non sempli-cemente come qualcosa da negare – come Papa Francesco ci esorta a considerare. (In latino, esortare signica sia “incitare con forza” sia “consolare, rialzare”). L’evangelo è, per denizione, un messaggio di spe-ranza, ma non esclude, anzi esige che ve ne siano altri, su un piano diverso. Nello svolgere il suo compito, infatti, la Chiesa cerca e incontra la risposta di un uomo soggetto alle onde della storia. Come viva quest’uomo, quali siano le sue possibilità di realizzarsi, di esplicare la sua libertà, non sono fatti estranei e indierenti all’evange-lizzazione, poiché da essi dipende la risposta che l’uomo darà. È per que-sto che quello della Chiesa non è un messaggio solo spirituale per le sfere intime dell’esistenza, ma è un messag-gio pubblico, storico che attraversa le istituzioni sacre e profane. nPER ADULTI E BAMBINISONO DISPOSITIVI MEDICI 0373 Leggere attentamente le avvertenze e le istruzioni per l’uso. Aut. Min. del 06/08/2024Aboca è una Società Benet ed è certicata B Corp www.aboca.com/bene-comuneAboca S.p.A. Società Agricola Sansepolcro (AR)che calma rapidamentereflusso, acidità e difficoltà digestive.Per il mio stomacoho scelto un prodottoNeoBianacid agisce sui disturbi dello stomacoformando una barriera protettiva e rispettando il tuo organismo. ANCHE INGRAVIDANZA1ANNOsenza lattosioDisponibile al gusto menta e limoneAZIONE RAPIDA
42P10IL PUNTO DI…ECOLOGIA INTEGRALE E FRATERNITÀI progetti di formazione per i giovaniIn Vaticano le due encicliche Lau-dato si’ e Fratelli tutti non sono rimaste sulla carta o nel web. Ma, in qualche modo, si sono fatte carne. Proprio nel nome delle due encicliche “sociali” di Papa Francesco sono infat-ti venute alla luce altrettante iniziative che hanno coinvolto, e coinvolgono, giovani che vengono introdotti nel mondo del lavoro in un contesto di “ecologia integrale” e fraternità.Stiamo parlando della Scuola delle Arti e dei Mestieri messa in cantiere dalla Fabbrica di San Pietro con la Fondazione Fratelli Tutti e del Centro di Alta Formazione Laudato si’ nelle Ville Ponticie di Castelgandolfo.Cominciamo con la Scuola promossa dalla Fabbrica di San Pietro guidata dal cardinale Mauro Gambetti. La Scuola ha come scopo quello di «restituire vi-talità e dignità alla tradizione artigiana, che ha lasciato in eredità un prezioso patrimonio artistico del passato da preservare e consegnare intatto alle fu-ture generazioni». Ed è arrivata ormai alla terza edizione. Il 4 novembre sono iniziati infatti i corsi per i venti nuovi allievi che hanno superato le selezioni dei mesi scorsi. Si tratta di tredici ra-gazze e sette ragazzi tra i 18 e i 25 anni, provenienti da diverse regioni d’Italia, ma anche da Malta e dagli Stati Uniti. L’oerta formativa per questo nuovo semestre, che terminerà l’ultima set-timana di aprile 2025, prevede cicli di lezioni frontali, seminari, visite guida-te, sopralluoghi di studio e, soprattut-to, attività laboratoriali nelle ocine della Fabbrica di San Pietro. Quattro i corsi: per scalpellini e marmisti; per mosaicisti; per muratori, stuccatori e decoratori; per falegnami. La Scuola è gratuita e il sapere viene trasmesso ai giovani aspiranti artigiani dalle miglio-ri maestranze della Basilica. Non solo. Essa unisce all’aspetto pratico anche una componente umana e spirituale, con un approccio integrale che abbrac-cia tutte le dimensioni della persona. I ragazzi, infatti, condivideranno anche gli alloggi messi a disposizione gratu-itamente per l’intera durata dei corsi, «proprio nell’ottica di favorire anche la dimensione comunitaria e relazio-nale». Grazie a questa Scuola poi è stata possibile, per la prima volta dopo oltre 500 anni di attività, l’assunzione da parte della Fabbrica di due donne nell’organico del corpo dei sanpietrini manutentori della Basilica Vaticana. Sono Lisa, 26 anni, della provincia di Padova, e Mariana, 21 anni, di Reggio Calabria. Insieme a loro, la scorsa estate, è entrato a far parte del corpo dei sanpietrini manutentori Stefa-no, un altro ex allievo della Scuola. Annunciando questa storica assun-zione è stato ricordato che la presenza delle donne non è nuova nella lunga e antica esperienza di lavoro e di arte della Fabbrica, ma in nessun caso nora maestranze femminili erano entrate in pianta stabile nel corpo dei sanpietrini, mentre da anni è conso-lidata la presenza di mosaiciste nello Studio del Mosaico Vaticano annesso alla Fabbrica.Passiamo ora al Centro di Alta Forma-zione Laudato si’, che Papa Francesco ha adato a padre Fabio Baggio, il sottosegretario del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano inte-grale che lo stesso Pontece ha voluto creare cardinale nel Concistoro ssato per il 7 dicembre elevandolo anche alla dignità episcopale. Parlando con L’Osservatore Romano il religioso ha spiegato come funziona il Borgo Lau-dato si’, nato nei 55 ettari di giardini e zona agricola della magnica residenza estiva dei Ponteci che Francesco ha voluto diventasse un luogo dove ren-dere concreti i principi contenuti della sua enciclica “verde”. Il Borgo si pre-senta come «un progetto a 360 gradi, realmente integrale, che coniuga eco-logia, economia, giustizia e solidarietà, includendo l’apertura alla trascenden-za e alla spiritualità». Con l’obiettivo di diventare «un modello di conver-sione ecologica per tutti, anche per coloro che non vivono un’esperienza di fede». E in questo quadro non po-teva mancare la formazione al lavoro, «particolarmente importante per l’in-clusione e per garantire il rispetto della dignità». Nel Borgo Laudato si’ si è già svolto un primo corso di giardinaggio, cui hanno partecipato dieci perso-ne. Un corso che, come i successivi, viene «oerto gratuitamente grazie a sponsorizzazioni e alla generosità di persone» che credono nel progetto. Così da settembre, dopo una breve pausa estiva, sono ripartiti altri corsi di giardinaggio, potatura, agricoltura, allevamento e trasformazione di pro-dotti. I corsi, sempre oerti a numeri ristretti di candidati, sono di 100 o 160 ore. Tutti i corsisti saranno poi accompagnati personalmente per un anno per l’inserimento nel mondo del lavoro e durante i primi mesi del loro impiego. I corsi sono aperti a tutti e tutte ma, spiega Baggio, «in ottempe-ranza al nostro mandato, e al desiderio del Papa, diamo priorità alle categorie più vulnerabili: migranti, rifugiati, persone con diverse abilità, ex detenu-ti, vittime di violenza, giovani e adulti inoccupati». nGianni Cardinale, giornalista
42P10IL PUNTO DI…ECOLOGIA INTEGRALE E FRATERNITÀI progetti di formazione per i giovaniIn Vaticano le due encicliche Lau-dato si’ e Fratelli tutti non sono rimaste sulla carta o nel web. Ma, in qualche modo, si sono fatte carne. Proprio nel nome delle due encicliche “sociali” di Papa Francesco sono infat-ti venute alla luce altrettante iniziative che hanno coinvolto, e coinvolgono, giovani che vengono introdotti nel mondo del lavoro in un contesto di “ecologia integrale” e fraternità.Stiamo parlando della Scuola delle Arti e dei Mestieri messa in cantiere dalla Fabbrica di San Pietro con la Fondazione Fratelli Tutti e del Centro di Alta Formazione Laudato si’ nelle Ville Ponticie di Castelgandolfo.Cominciamo con la Scuola promossa dalla Fabbrica di San Pietro guidata dal cardinale Mauro Gambetti. La Scuola ha come scopo quello di «restituire vi-talità e dignità alla tradizione artigiana, che ha lasciato in eredità un prezioso patrimonio artistico del passato da preservare e consegnare intatto alle fu-ture generazioni». Ed è arrivata ormai alla terza edizione. Il 4 novembre sono iniziati infatti i corsi per i venti nuovi allievi che hanno superato le selezioni dei mesi scorsi. Si tratta di tredici ra-gazze e sette ragazzi tra i 18 e i 25 anni, provenienti da diverse regioni d’Italia, ma anche da Malta e dagli Stati Uniti. L’oerta formativa per questo nuovo semestre, che terminerà l’ultima set-timana di aprile 2025, prevede cicli di lezioni frontali, seminari, visite guida-te, sopralluoghi di studio e, soprattut-to, attività laboratoriali nelle ocine della Fabbrica di San Pietro. Quattro i corsi: per scalpellini e marmisti; per mosaicisti; per muratori, stuccatori e decoratori; per falegnami. La Scuola è gratuita e il sapere viene trasmesso ai giovani aspiranti artigiani dalle miglio-ri maestranze della Basilica. Non solo. Essa unisce all’aspetto pratico anche una componente umana e spirituale, con un approccio integrale che abbrac-cia tutte le dimensioni della persona. I ragazzi, infatti, condivideranno anche gli alloggi messi a disposizione gratu-itamente per l’intera durata dei corsi, «proprio nell’ottica di favorire anche la dimensione comunitaria e relazio-nale». Grazie a questa Scuola poi è stata possibile, per la prima volta dopo oltre 500 anni di attività, l’assunzione da parte della Fabbrica di due donne nell’organico del corpo dei sanpietrini manutentori della Basilica Vaticana. Sono Lisa, 26 anni, della provincia di Padova, e Mariana, 21 anni, di Reggio Calabria. Insieme a loro, la scorsa estate, è entrato a far parte del corpo dei sanpietrini manutentori Stefa-no, un altro ex allievo della Scuola. Annunciando questa storica assun-zione è stato ricordato che la presenza delle donne non è nuova nella lunga e antica esperienza di lavoro e di arte della Fabbrica, ma in nessun caso nora maestranze femminili erano entrate in pianta stabile nel corpo dei sanpietrini, mentre da anni è conso-lidata la presenza di mosaiciste nello Studio del Mosaico Vaticano annesso alla Fabbrica.Passiamo ora al Centro di Alta Forma-zione Laudato si’, che Papa Francesco ha adato a padre Fabio Baggio, il sottosegretario del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano inte-grale che lo stesso Pontece ha voluto creare cardinale nel Concistoro ssato per il 7 dicembre elevandolo anche alla dignità episcopale. Parlando con L’Osservatore Romano il religioso ha spiegato come funziona il Borgo Lau-dato si’, nato nei 55 ettari di giardini e zona agricola della magnica residenza estiva dei Ponteci che Francesco ha voluto diventasse un luogo dove ren-dere concreti i principi contenuti della sua enciclica “verde”. Il Borgo si pre-senta come «un progetto a 360 gradi, realmente integrale, che coniuga eco-logia, economia, giustizia e solidarietà, includendo l’apertura alla trascenden-za e alla spiritualità». Con l’obiettivo di diventare «un modello di conver-sione ecologica per tutti, anche per coloro che non vivono un’esperienza di fede». E in questo quadro non po-teva mancare la formazione al lavoro, «particolarmente importante per l’in-clusione e per garantire il rispetto della dignità». Nel Borgo Laudato si’ si è già svolto un primo corso di giardinaggio, cui hanno partecipato dieci perso-ne. Un corso che, come i successivi, viene «oerto gratuitamente grazie a sponsorizzazioni e alla generosità di persone» che credono nel progetto. Così da settembre, dopo una breve pausa estiva, sono ripartiti altri corsi di giardinaggio, potatura, agricoltura, allevamento e trasformazione di pro-dotti. I corsi, sempre oerti a numeri ristretti di candidati, sono di 100 o 160 ore. Tutti i corsisti saranno poi accompagnati personalmente per un anno per l’inserimento nel mondo del lavoro e durante i primi mesi del loro impiego. I corsi sono aperti a tutti e tutte ma, spiega Baggio, «in ottempe-ranza al nostro mandato, e al desiderio del Papa, diamo priorità alle categorie più vulnerabili: migranti, rifugiati, persone con diverse abilità, ex detenu-ti, vittime di violenza, giovani e adulti inoccupati». nGianni Cardinale, giornalista
44 45L’Enciclica Dilexit nos di Papa Francesco è un inno al cuoreLA NUOVA ENCICLICALa Lettera Enciclica Dilexit nos, Sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo, pubblicata il 24 ottobre 2024, nasce dall’esperienza spirituale di Papa Francesco, che avverte il dramma delle enormi soerenze prodotte dalle guerre e dalle tante violenze in corso e vuol farsi vicino a chi sore proponendo il messaggio dell’amore divino che viene a salvarci. Si potrebbe aerma-re che si tratta di una vera e propria “lettera d’amore” che scaturisce dal cuore del Santo Padre e si rivolge al cuore di ciascuno e di tutti: lo è per il suo oggetto, l’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo, come recita il sottotitolo; lo è per il mittente divino, il Dio che è Amore, e per quello umano, il Suo Servo, il Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, innamorato del Signore e delle Sue creature; lo è per i destinatari, che comprendono non solo i fedeli cattolici, ma l’intera famiglia umana; e lo è inne per le conseguenze che l’amore di cui parla comporta nelle relazioni fra gli uo-mini e il loro rapporto con il creato.Proprio così l’Enciclica ore la chiave di lettura dell’intero magistero di questo Papa, come dichiara lui stesso: «Ciò che questo documento esprime permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbe-verandoci a questo amore, diventia-mo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune» (n. 217). Lungi dall’essere un magi-stero “schiacciato” sul sociale, come a volte è stato maldestramente inteso, il messaggio che Papa Francesco ha dato e dà alla Chiesa e all’intera famiglia umana nasce da un’unica sorgente, presentata qui nella manie-ra più esplicita: Cristo Signore e il Suo amore per tutta l’umanità. È la verità per cui Jorge Mario Bergoglio ha giocato tutta la Sua vita e con-tinua a spenderla con passione nel Suo ministero di Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. L’Enciclica inizia col sottolineare l’importanza del cuore in partico-lare alla luce della Bibbia, dove con “cuore” s’intende il centro unicato-re della persona. Perciò è importante ritornare al cuore (nn. 9-16): è il cuore che unisce i frammenti (nn. 17-23) della vita vissuta, realizzando l’armonia di tutta la persona. Grandi voci nella storia della fede hanno evi-denziato l’importanza del cuore: San Bonaventura, ad esempio, invita a interrogare la vera fonte che illumina e che è «non la luce, ma il cuore» (n. 26); Sant’Ignazio di Loyola pone a base degli Esercizi spirituali l’aectus, che sta all’origine del nuovo ordina-mento da dare alla vita a partire dal cuore. John Henry Newman, poi, assume come suo motto l’espressio-ne “cor ad cor loquitur”, indicando come solo il cuore metta la persona in atteggiamento di obbedienza amo-rosa davanti al Mistero (cf. n. 27). Il Concilio Vaticano II, a sua volta, aerma che «gli squilibri di cui sore il mondo contemporaneo si collega-Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-VastoUn messaggio d’amoreUna notte con i volontariIl lavoro dei volontari della Croce Rossa è quello di ascolto dei senza tetto, fornendo loro anche informazioni sanitarie utili o indicazioni per i dormitori e le mense. Per contrastare l’emergenza freddo la Croce Rossa Italiana, sezione di Torino, organizza un servizio denominato Unità di Strada attraverso cui portano coperte e cibo caldo ai clochard della città. Sono circa 600 le persone assistite. Ansa/Jessica Pasqualon
44 45L’Enciclica Dilexit nos di Papa Francesco è un inno al cuoreLA NUOVA ENCICLICALa Lettera Enciclica Dilexit nos, Sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo, pubblicata il 24 ottobre 2024, nasce dall’esperienza spirituale di Papa Francesco, che avverte il dramma delle enormi soerenze prodotte dalle guerre e dalle tante violenze in corso e vuol farsi vicino a chi sore proponendo il messaggio dell’amore divino che viene a salvarci. Si potrebbe aerma-re che si tratta di una vera e propria “lettera d’amore” che scaturisce dal cuore del Santo Padre e si rivolge al cuore di ciascuno e di tutti: lo è per il suo oggetto, l’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo, come recita il sottotitolo; lo è per il mittente divino, il Dio che è Amore, e per quello umano, il Suo Servo, il Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, innamorato del Signore e delle Sue creature; lo è per i destinatari, che comprendono non solo i fedeli cattolici, ma l’intera famiglia umana; e lo è inne per le conseguenze che l’amore di cui parla comporta nelle relazioni fra gli uo-mini e il loro rapporto con il creato.Proprio così l’Enciclica ore la chiave di lettura dell’intero magistero di questo Papa, come dichiara lui stesso: «Ciò che questo documento esprime permette di scoprire che quanto è scritto nelle Encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbe-verandoci a questo amore, diventia-mo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune» (n. 217). Lungi dall’essere un magi-stero “schiacciato” sul sociale, come a volte è stato maldestramente inteso, il messaggio che Papa Francesco ha dato e dà alla Chiesa e all’intera famiglia umana nasce da un’unica sorgente, presentata qui nella manie-ra più esplicita: Cristo Signore e il Suo amore per tutta l’umanità. È la verità per cui Jorge Mario Bergoglio ha giocato tutta la Sua vita e con-tinua a spenderla con passione nel Suo ministero di Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. L’Enciclica inizia col sottolineare l’importanza del cuore in partico-lare alla luce della Bibbia, dove con “cuore” s’intende il centro unicato-re della persona. Perciò è importante ritornare al cuore (nn. 9-16): è il cuore che unisce i frammenti (nn. 17-23) della vita vissuta, realizzando l’armonia di tutta la persona. Grandi voci nella storia della fede hanno evi-denziato l’importanza del cuore: San Bonaventura, ad esempio, invita a interrogare la vera fonte che illumina e che è «non la luce, ma il cuore» (n. 26); Sant’Ignazio di Loyola pone a base degli Esercizi spirituali l’aectus, che sta all’origine del nuovo ordina-mento da dare alla vita a partire dal cuore. John Henry Newman, poi, assume come suo motto l’espressio-ne “cor ad cor loquitur”, indicando come solo il cuore metta la persona in atteggiamento di obbedienza amo-rosa davanti al Mistero (cf. n. 27). Il Concilio Vaticano II, a sua volta, aerma che «gli squilibri di cui sore il mondo contemporaneo si collega-Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-VastoUn messaggio d’amoreUna notte con i volontariIl lavoro dei volontari della Croce Rossa è quello di ascolto dei senza tetto, fornendo loro anche informazioni sanitarie utili o indicazioni per i dormitori e le mense. Per contrastare l’emergenza freddo la Croce Rossa Italiana, sezione di Torino, organizza un servizio denominato Unità di Strada attraverso cui portano coperte e cibo caldo ai clochard della città. Sono circa 600 le persone assistite. Ansa/Jessica Pasqualon
46 47Riproporre tra guerre e conflitti la buona novella dell’amore di Diosignica ricordare a tutti la fraternità checi unisce‘‘no con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo» (Gaudium et Spes, 10 e 14). Nasce da queste constatazioni l’appello di Papa Francesco: «Andia-mo al Cuore di Cristo… che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano» (n. 30). Risponde a questo invito la seconda parte dell’Enciclica, intitola-ta Gesti e parole d’amore (nn. 32-47). Aerma il Papa: «Dio non ci ama a parole, si avvicina e nel suo starci vicino ci dà il suo amore con tutta la tenerezza possibile» (n. 36). Questo punto viene esplicitato in maniera toccante: «Quando ci sembra che tutti ci ignorino, che nessuno sia in-teressato a ciò che ci accade, che non siamo importanti per nessuno, Lui è attento a noi» (n. 40). Nella parte successiva dell’Enciclica, intitolata Questo è il cuore che ha tanto amato (nn. 48-91), Papa Francesco precisa che «la devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separa-to dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore» (n. 48). Un’immagine che «ci parla di carne umana, di terra, e perciò anche di Dio che ha voluto entrare nella nostra condizione stori-ca, farsi storia e condividere il nostro cammino terreno» (n. 58). La devozione al Sacro Cuore ci aiuta a mettere al centro di tutto l’amore: occorre, allora, ritornare al Cuore, proponendo a tutta la Chiesa «un nuovo approfondimento sull’amore di Cristo rappresentato dal sacro Cuore» (n. 89). In un’ora storica segnata da guerre e conitti che sembravano un lontano ricordo e che invece sono divenuti in poco tempo una tragica realtà, riproporre la buona novella dell’amore di Dio per ciascun essere umano signica ricordare a tutti la fraternità che ci unisce davanti all’unico Padre e l’amore che cambia il cuore e la vita di chiunque voglia accoglierlo in sé. Veramente «il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo» (n. 83) e il frutto più profondo della devozione al Cuore di Cristo è di farci sentire amati da Lui e resi capaci di amare in unione al Suo Cuore umano e divino. Da tutto questo deriva una peculiare visione della missione al servizio del Vangelo: essa «richiede missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmet-tere questo amore che ha cambiato la loro vita» (n. 209). È qui che va collocato il ruolo decisivo della Chiesa: «Non si deve pensare a questa missione di co-municare Cristo come se fosse solo una cosa fra me e Lui. La si vive in comunione con la propria comunità e con la Chiesa» (n. 212). In questa comunione riveste un posto speciale la Vergine Maria: la devozione al Suo cuore di Madre di Gesù e nostra «nulla toglie all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, anzi la stimola» (n. 176), aiutandoci ad amare meglio e di più. L’invito nale è a chiedere al Signore questo amore: «Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi umi di acqua viva per guarire le fe-rite che ci iniggiamo, per raorzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a cammina-re insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo no a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armo-nizzerà tutte le nostre dierenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sem-pre benedetto!» (n. 220). nUn cuore grandeQui a anco: Gli ormai noti “Angeli del fango”, sempre in attività dopo ogni emergenza climatica. L’espressione usata per descrivere le persone, in prevalenza giovani, che volontariamente corrono in soccorso delle popolazioni colpite da alluvioni. Per la prima volta fu usata dal giornalista orentino Giovanni Grazzini in un articolo sul Corriere della Sera del 10 novembre 1966, in riferimento ai giovani volontari in azione dopo l’alluvione di Firenze del 1966.Ansa/Tino RomanoSotto: Soccorritori a lavoro dopo che una bomba ha colpito degli edici residenziali a Kharkiv, Ucraina, l’8 novembre 2024, nel corso di un attacco rosso. Epa/Sergey KozlovLA NUOVA ENCICLICA
46 47Riproporre tra guerre e conflitti la buona novella dell’amore di Diosignica ricordare a tutti la fraternità checi unisce‘‘no con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo» (Gaudium et Spes, 10 e 14). Nasce da queste constatazioni l’appello di Papa Francesco: «Andia-mo al Cuore di Cristo… che è una fornace ardente di amore divino e umano ed è la massima pienezza che possa raggiungere l’essere umano» (n. 30). Risponde a questo invito la seconda parte dell’Enciclica, intitola-ta Gesti e parole d’amore (nn. 32-47). Aerma il Papa: «Dio non ci ama a parole, si avvicina e nel suo starci vicino ci dà il suo amore con tutta la tenerezza possibile» (n. 36). Questo punto viene esplicitato in maniera toccante: «Quando ci sembra che tutti ci ignorino, che nessuno sia in-teressato a ciò che ci accade, che non siamo importanti per nessuno, Lui è attento a noi» (n. 40). Nella parte successiva dell’Enciclica, intitolata Questo è il cuore che ha tanto amato (nn. 48-91), Papa Francesco precisa che «la devozione al Cuore di Cristo non è il culto di un organo separa-to dalla Persona di Gesù. Ciò che contempliamo e adoriamo è Gesù Cristo intero, il Figlio di Dio fatto uomo, rappresentato in una sua immagine dove è evidenziato il suo cuore» (n. 48). Un’immagine che «ci parla di carne umana, di terra, e perciò anche di Dio che ha voluto entrare nella nostra condizione stori-ca, farsi storia e condividere il nostro cammino terreno» (n. 58). La devozione al Sacro Cuore ci aiuta a mettere al centro di tutto l’amore: occorre, allora, ritornare al Cuore, proponendo a tutta la Chiesa «un nuovo approfondimento sull’amore di Cristo rappresentato dal sacro Cuore» (n. 89). In un’ora storica segnata da guerre e conitti che sembravano un lontano ricordo e che invece sono divenuti in poco tempo una tragica realtà, riproporre la buona novella dell’amore di Dio per ciascun essere umano signica ricordare a tutti la fraternità che ci unisce davanti all’unico Padre e l’amore che cambia il cuore e la vita di chiunque voglia accoglierlo in sé. Veramente «il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo» (n. 83) e il frutto più profondo della devozione al Cuore di Cristo è di farci sentire amati da Lui e resi capaci di amare in unione al Suo Cuore umano e divino. Da tutto questo deriva una peculiare visione della missione al servizio del Vangelo: essa «richiede missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmet-tere questo amore che ha cambiato la loro vita» (n. 209). È qui che va collocato il ruolo decisivo della Chiesa: «Non si deve pensare a questa missione di co-municare Cristo come se fosse solo una cosa fra me e Lui. La si vive in comunione con la propria comunità e con la Chiesa» (n. 212). In questa comunione riveste un posto speciale la Vergine Maria: la devozione al Suo cuore di Madre di Gesù e nostra «nulla toglie all’adorazione unica dovuta al Cuore di Cristo, anzi la stimola» (n. 176), aiutandoci ad amare meglio e di più. L’invito nale è a chiedere al Signore questo amore: «Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi umi di acqua viva per guarire le fe-rite che ci iniggiamo, per raorzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a cammina-re insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo no a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armo-nizzerà tutte le nostre dierenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sem-pre benedetto!» (n. 220). nUn cuore grandeQui a anco: Gli ormai noti “Angeli del fango”, sempre in attività dopo ogni emergenza climatica. L’espressione usata per descrivere le persone, in prevalenza giovani, che volontariamente corrono in soccorso delle popolazioni colpite da alluvioni. Per la prima volta fu usata dal giornalista orentino Giovanni Grazzini in un articolo sul Corriere della Sera del 10 novembre 1966, in riferimento ai giovani volontari in azione dopo l’alluvione di Firenze del 1966.Ansa/Tino RomanoSotto: Soccorritori a lavoro dopo che una bomba ha colpito degli edici residenziali a Kharkiv, Ucraina, l’8 novembre 2024, nel corso di un attacco rosso. Epa/Sergey KozlovLA NUOVA ENCICLICA
48 49Se parlo con mia nonna, lei direbbe: adesso io ho voce in capitolo». Questa è la “sinodalità” per il cardinale Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo. Lo abbiamo incontrato alla ne di questi quattro anni di ascolto e di presenza per rilanciare la missione, la comunione e la parte-cipazione nella vita della Chiesa. Il Sinodo ha coinvolto le realtà cristiane di tutto il mondo, vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, e molti fedeli laici, in particolare le donne e i giovani. Grech, in questa intervista, dopo aver citato la nonna, così spiega, rispon-dendo alla domanda sui cambiamenti dopo questo Sinodo: «Questo è un Sinodo per tutta la Chiesa e Papa Francesco ha voluto ascoltare e dare la possibilità di intervenire a tutti i battezzati. Perché? Proprio a causa del battesimo, noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo non è una prerogativa di pochi, ma di tutti. Allora tutti possiamo contribu-ire per conoscere la volontà di Dio e il Sinodo è una esperienza della Chiesa per trovare la volontà del Signore».Prima del Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa si identi-cava soprattutto con la gerarchia. Oggi com’è entrato il popolo di Dio in questo Sinodo?«Ma è il Concilio che ha fatto questa rivoluzione, diciamo così. La gerarchia è importante per la guida del popolo di Dio, ma tutto il popolo santo di Dio è la Chiesa. E tutti hanno il dovere e il diritto di partecipare alla vita della Chiesa e alla sua missione. Non dimen-tichiamo che il tema di questo Sinodo è la missione della Chiesa sinodale. Se la Chiesa raorza la sua sinodalità, sarà in grado di annun-ciare il Vangelo di Gesù nel mondo di oggi».In questi anni il Sinodo si è svol-to in un mondo inammato dalle guerre e dall’odio, quale novità è riuscito a portare per fermare i conitti? «La Chiesa vuole orire al mondo, inammato di violenza e di guerre, questa proposta: possiamo arrivare ad una soluzione condivisa se ci met-tiamo insieme, a camminare insie-me, se riusciamo insieme a metterci al tavolo, dove la voce di tutti ha un valore. Ascoltando l’uno e l’altro, saremo in grado di arrivare ad una soluzione condivisa». Le donne, i giovani, i fedeli laici hanno avuto un grande ruolo in questo Sinodo. Che futuro avran-no nella leadership della Chiesa?«Già partecipano alla leadership della Chiesa. Se noi ascoltiamo l’esperienze delle Chiese locali, tro-viamo dei tesori. Se non ci fossero i giovani e i laici, non saremmo stati in grado di celebrare questo Sinodo. Li abbiamo ascoltati, hanno con-tribuito. Certamente ci sono altri spazi, che tutti insieme cerchiamo di trovare, proprio per dare più voce a tutti».La nuova Enciclica del Papa è dedicata al cuore. Ma nel suo cuo-re, cardinale Grech, che desiderio ha per la Chiesa dopo questo Sinodo?«Che la Chiesa veramente faccia esperienza dell’amore di Dio e della misericordia del Signore. E saremo in grado di metterci insieme per annunciarlo, per fare in modo che l’uomo di oggi possa gustare l’amore e la misericordia del Signore». nSinodoA sinistra: la Messa Solenne di apertura del Sinodo dei Vescovi in Piazza San Pietro, Città del Vaticano, 4 ottobre 2023. Ansa/Giuseppe LamiA destra: Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi nella sala Paolo VI, Città del Vaticano, 12 ottobre 2024. Ansa/Fabio FrustaciCamminare insiemeSINODOCardinale Mario Grech: «Tutti hanno il dovere e il diritto di partecipare alla vita della Chiesa e alla sua missione».Piero Damosso, giornalista
48 49Se parlo con mia nonna, lei direbbe: adesso io ho voce in capitolo». Questa è la “sinodalità” per il cardinale Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo. Lo abbiamo incontrato alla ne di questi quattro anni di ascolto e di presenza per rilanciare la missione, la comunione e la parte-cipazione nella vita della Chiesa. Il Sinodo ha coinvolto le realtà cristiane di tutto il mondo, vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, e molti fedeli laici, in particolare le donne e i giovani. Grech, in questa intervista, dopo aver citato la nonna, così spiega, rispon-dendo alla domanda sui cambiamenti dopo questo Sinodo: «Questo è un Sinodo per tutta la Chiesa e Papa Francesco ha voluto ascoltare e dare la possibilità di intervenire a tutti i battezzati. Perché? Proprio a causa del battesimo, noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo non è una prerogativa di pochi, ma di tutti. Allora tutti possiamo contribu-ire per conoscere la volontà di Dio e il Sinodo è una esperienza della Chiesa per trovare la volontà del Signore».Prima del Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa si identi-cava soprattutto con la gerarchia. Oggi com’è entrato il popolo di Dio in questo Sinodo?«Ma è il Concilio che ha fatto questa rivoluzione, diciamo così. La gerarchia è importante per la guida del popolo di Dio, ma tutto il popolo santo di Dio è la Chiesa. E tutti hanno il dovere e il diritto di partecipare alla vita della Chiesa e alla sua missione. Non dimen-tichiamo che il tema di questo Sinodo è la missione della Chiesa sinodale. Se la Chiesa raorza la sua sinodalità, sarà in grado di annun-ciare il Vangelo di Gesù nel mondo di oggi».In questi anni il Sinodo si è svol-to in un mondo inammato dalle guerre e dall’odio, quale novità è riuscito a portare per fermare i conitti? «La Chiesa vuole orire al mondo, inammato di violenza e di guerre, questa proposta: possiamo arrivare ad una soluzione condivisa se ci met-tiamo insieme, a camminare insie-me, se riusciamo insieme a metterci al tavolo, dove la voce di tutti ha un valore. Ascoltando l’uno e l’altro, saremo in grado di arrivare ad una soluzione condivisa». Le donne, i giovani, i fedeli laici hanno avuto un grande ruolo in questo Sinodo. Che futuro avran-no nella leadership della Chiesa?«Già partecipano alla leadership della Chiesa. Se noi ascoltiamo l’esperienze delle Chiese locali, tro-viamo dei tesori. Se non ci fossero i giovani e i laici, non saremmo stati in grado di celebrare questo Sinodo. Li abbiamo ascoltati, hanno con-tribuito. Certamente ci sono altri spazi, che tutti insieme cerchiamo di trovare, proprio per dare più voce a tutti».La nuova Enciclica del Papa è dedicata al cuore. Ma nel suo cuo-re, cardinale Grech, che desiderio ha per la Chiesa dopo questo Sinodo?«Che la Chiesa veramente faccia esperienza dell’amore di Dio e della misericordia del Signore. E saremo in grado di metterci insieme per annunciarlo, per fare in modo che l’uomo di oggi possa gustare l’amore e la misericordia del Signore». nSinodoA sinistra: la Messa Solenne di apertura del Sinodo dei Vescovi in Piazza San Pietro, Città del Vaticano, 4 ottobre 2023. Ansa/Giuseppe LamiA destra: Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi nella sala Paolo VI, Città del Vaticano, 12 ottobre 2024. Ansa/Fabio FrustaciCamminare insiemeSINODOCardinale Mario Grech: «Tutti hanno il dovere e il diritto di partecipare alla vita della Chiesa e alla sua missione».Piero Damosso, giornalista
50 51In principio fu san Francesco che, nel 1223, realizzò a Grec-cio la prima rappresentazione della Natività. Poi, nel ’400, l’iconograa del presepe, sulla scia di ciò che aveva fatto il Poverello di Assisi, passò all’interno delle chiese, nelle quali riprodurre la scena della nascita di Gesù con statuine ed ele-menti tratti dall’ambiente naturale diventò un rito irrinunciabile.Nel ’700 si diusero i presepi nelle case. Addirittura a Napoli si scatenò una vera e propria competizione tra famiglie su chi possedeva il presepe più bello e sfarzoso: i nobili impe-gnavano per la loro realizzazione intere camere dei propri apparta-menti, ricoprendo le statue di tessuti pregiati e scintillanti gioielli auten-tici. Lo stesso re Carlo, capostipite della dinastia dei Borbone, aveva una vera passione per il presepe, tanto da partecipare personalmente e da coinvolgere sia la famiglia che la corte nel suo allestimento a palazzo reale, nonché nella realizzazione e vestizione dei pastori. Da qui la tradizione del presepe napoletano, ormai famosa in tutto il mondo.Su queste pagine, però, vogliamo occuparci del presepe e dell’albero di Natale realizzati in Piazza San Pietro. È Grado, storica città in provincia di Gorizia, che ha donato quest’anno il presepe allestito in occasione delle festività natalizie. L’artistica opera di Grado è ambientata nella grande Il presepe e l’albero di Natale del PapaDal 1982, ininterrottamente, essi diffondono il messaggio di gioia e di pace. Rileggiamone la storia e il signicato spirituale e “giubilare”Giuseppe Falanga, teologo e giornalistalaguna vivente, ricca di oltre un cen-tinaio di mote, cioè di piccoli isolotti, che si estende accanto all’isola, e la Natività trova spazio all’interno di un casóne, caratteristica costruzione di canne abitata dai pescatori. Il paesaggio è quello dei primi anni del secolo scorso, quando in laguna abitavano ancora diverse centinaia di gradesi: uno scenario d’indiscutibile bellezza e straordinaria ricchezza na-turale, con la vegetazione autoctona e l’avifauna locale.Proviene invece da Ledro, in pro-vincia di Trento, il maestoso abete rosso, alto 29 metri, che si innalza accanto al presepe nella splendida cornice del colonnato del Bernini. A tutta la realizzazione ha presieduto il Governatorato della Città del Vati-cano, che si è avvalso dell’opera delle maestranze interne.Da dove nasce la tradizione del pre-sepe e dell’albero di Natale in Piazza?Era il 1982 quando un contadino polacco, con il suo camion, trasportò un abete no in Vaticano. Quell’abe-te era un dono per Giovanni Paolo II. Da allora, per espresso volere del Papa polacco e dei suoi successori, viene rinnovata la rappresentazione del presepe ai piedi dell’obelisco con accanto l’albero di Natale.Le statue della rappresentazione della Natività, no allo scorso decennio, erano sempre a grandezza naturale e avevano raggiunto il numero di 17 personaggi a disposizione, di cui Come da tradizioneL’albero di Natale in Piazza San Pietro lo scorso annoAnsa/Fabio FrustaciACCADE IN PIAZZALe luci che incantano la Piazza, la Basilica e il Palazzo Apostolico‘‘
50 51In principio fu san Francesco che, nel 1223, realizzò a Grec-cio la prima rappresentazione della Natività. Poi, nel ’400, l’iconograa del presepe, sulla scia di ciò che aveva fatto il Poverello di Assisi, passò all’interno delle chiese, nelle quali riprodurre la scena della nascita di Gesù con statuine ed ele-menti tratti dall’ambiente naturale diventò un rito irrinunciabile.Nel ’700 si diusero i presepi nelle case. Addirittura a Napoli si scatenò una vera e propria competizione tra famiglie su chi possedeva il presepe più bello e sfarzoso: i nobili impe-gnavano per la loro realizzazione intere camere dei propri apparta-menti, ricoprendo le statue di tessuti pregiati e scintillanti gioielli auten-tici. Lo stesso re Carlo, capostipite della dinastia dei Borbone, aveva una vera passione per il presepe, tanto da partecipare personalmente e da coinvolgere sia la famiglia che la corte nel suo allestimento a palazzo reale, nonché nella realizzazione e vestizione dei pastori. Da qui la tradizione del presepe napoletano, ormai famosa in tutto il mondo.Su queste pagine, però, vogliamo occuparci del presepe e dell’albero di Natale realizzati in Piazza San Pietro. È Grado, storica città in provincia di Gorizia, che ha donato quest’anno il presepe allestito in occasione delle festività natalizie. L’artistica opera di Grado è ambientata nella grande Il presepe e l’albero di Natale del PapaDal 1982, ininterrottamente, essi diffondono il messaggio di gioia e di pace. Rileggiamone la storia e il signicato spirituale e “giubilare”Giuseppe Falanga, teologo e giornalistalaguna vivente, ricca di oltre un cen-tinaio di mote, cioè di piccoli isolotti, che si estende accanto all’isola, e la Natività trova spazio all’interno di un casóne, caratteristica costruzione di canne abitata dai pescatori. Il paesaggio è quello dei primi anni del secolo scorso, quando in laguna abitavano ancora diverse centinaia di gradesi: uno scenario d’indiscutibile bellezza e straordinaria ricchezza na-turale, con la vegetazione autoctona e l’avifauna locale.Proviene invece da Ledro, in pro-vincia di Trento, il maestoso abete rosso, alto 29 metri, che si innalza accanto al presepe nella splendida cornice del colonnato del Bernini. A tutta la realizzazione ha presieduto il Governatorato della Città del Vati-cano, che si è avvalso dell’opera delle maestranze interne.Da dove nasce la tradizione del pre-sepe e dell’albero di Natale in Piazza?Era il 1982 quando un contadino polacco, con il suo camion, trasportò un abete no in Vaticano. Quell’abe-te era un dono per Giovanni Paolo II. Da allora, per espresso volere del Papa polacco e dei suoi successori, viene rinnovata la rappresentazione del presepe ai piedi dell’obelisco con accanto l’albero di Natale.Le statue della rappresentazione della Natività, no allo scorso decennio, erano sempre a grandezza naturale e avevano raggiunto il numero di 17 personaggi a disposizione, di cui Come da tradizioneL’albero di Natale in Piazza San Pietro lo scorso annoAnsa/Fabio FrustaciACCADE IN PIAZZALe luci che incantano la Piazza, la Basilica e il Palazzo Apostolico‘‘
52 539 originali provenienti dal presepe allestito nel 1842 da San Vincen-zo Pallotti per la chiesa romana di Sant’Andrea della Valle e le altre rivestite con abiti confezionati dalle suore della Floreria Apostolica Vaticana. Con il tempo, poi, si è passati ai pastori di diverse grandezze e fattezze, che spesso rimandano alle città o regioni italiane che orono il presepe al Santo Padre, mentre l’abete proviene ogni anno da una diversa regione montana dell’Europa. Si tratta, insomma, di uno scenario decisamente unico e suggestivo: il presepe e l’albero che, all’imbrunire, si illuminano portando un tocco di vivacità al complesso monumentale della Piazza, della Basilica e del Palaz-zo Apostolico e diondendo, anche a distanza, il messaggio di gioia e di pace e del Santo Natale. Ci piace ora soermarci sul signicato spirituale dell’albero e del presepe. Da sempre, in tutte le culture, l’albero è stato considerato il simbolo della vita. L’abete ha un particolare signicato gurativo, perché esso è verde e ri-goglioso quando le altre piante sono spoglie e sembrano morte. Nella Chiesa antica c’era già la tradizione di decorare con rami e corone le case per la festa del 6 gennaio; questa usanza, però, era legata ai riti pagani degli alberi e al solstizio d’inverno. Un col-legamento tra creazione e redenzione determina, successivamente, l’origine dell’albero di Natale. Esso esprime un convincimento: il peccato dell’uomo – associato nella Bibbia all’albero del Paradiso e al suo frutto che suscita la tentazione – viene espiato nella notte del 24 dicembre con l’ingresso di Cristo nel mondo; egli è l’«albero della vita» (Gen 2,9) che rinsalda la comunione tra Dio e l’uomo infranta da Adamo ed Eva nel giardino dell’E-den. L’abete sempreverde, inoltre, ci riconduce simbolicamente al Figlio dell’uomo, «il Vivente» (Ap 1,18), e rappresenta la vita eterna. Riguar-do al presepe, l’Admirabile signum come lo deniscela lettera aposto-lica donataci da Papa Francesco nel dicembre 2019, ci piace ricordare che fare il presepe è dire il Vangelo, ovvero far sentire la vicinanza del Dio bambino alla nostra storia concreta, alle gioie, ai dolori e alle angosce del nostro presente. L’amore dei fedeli al presepe, peraltro, è nato da grandi evangelizzatori: tra questi San Ga-etano da Thiene e quel gigante che fu Sant’Alfonso Maria de Liguori, autore di canti ovunque conosciuti e amati per celebrare la gioia della nascita del Figlio di Dio, Festa dell’in-tera creazione. Alfonso, il più santo dei napoletani e il più napoletano dei santi, è stato un grande teologo, non a caso proclamato poi Dottore della Chiesa. Nel testo di Tu scendi dalle stelle, in 7 strofe, egli mette in risalto con semplicità alcuni concetti a lui cari: l’abbassamento di un Dio che scende dalle stelle, dall’alto, e si fa uomo per amore dell’uomo, cam-biando così la storia. C’è la sorpresa di essere fatti oggetto di questo amore, che si esprime nella domanda e risposta: «perché tanto patir? Per amor mio!». Sant’Alfonso, poi, tiene sapientemente insieme il Natale e la Pasqua, come quando dice: «Deh, mio bello e puro Agnello, a che pen-si? dimmi tu. O amore immenso, un dì morir per te, rispondi, io penso». Ecco l’amore gratuito di Dio che, in Gesù, viene e fa nuove tutte le cose!Inne, un accento “giubilare”. Il presepe e l’albero del 2024, che accompagnano l’apertura della Porta Santa, ci invitano a riettere sul tema del pellegrinaggio e della speranza che ci guiderà durante il Giubileo. Anche Maria e Giuseppe sono stati pellegrini; lo sono stati i pastori; si sono fatti pellegrini i magi condotti dalla stella. Tutti, a loro modo, portavano in cuore una speranza: la nascita di un glio, l’Emmanuele; vedere il Salvatore; trovare il re. Come la Vergine Madre e il Custode fedele, come i pastori, come i magi, allora, facciamoci anche noi pellegrini di speranza ben conoscendo la meta del nostro cam-mino: Gesù Cristo, Signore della vita e della storia, che ci ha amati e vuole il nostro vero bene. nFare il presepeè dire il Vangelo, ovvero far sentirela vicinanza del Dio bambino‘‘L’affresco di AssisiA sinistra: La rappresentazione della Natività che mise in scena Francesco a Greccio la notte di Natale del 1223, “raccontata” da Giotto nel ciclo degli affreschi che narrano la vita del Santo. Chiesa superiore delle Basilica di San Francesco in AssisiNella pagina a anco: Il presepe di Grado (Friuli Venezia Giulia) ph Ivan Regolin_familygo.euACCADE IN PIAZZA
52 539 originali provenienti dal presepe allestito nel 1842 da San Vincen-zo Pallotti per la chiesa romana di Sant’Andrea della Valle e le altre rivestite con abiti confezionati dalle suore della Floreria Apostolica Vaticana. Con il tempo, poi, si è passati ai pastori di diverse grandezze e fattezze, che spesso rimandano alle città o regioni italiane che orono il presepe al Santo Padre, mentre l’abete proviene ogni anno da una diversa regione montana dell’Europa. Si tratta, insomma, di uno scenario decisamente unico e suggestivo: il presepe e l’albero che, all’imbrunire, si illuminano portando un tocco di vivacità al complesso monumentale della Piazza, della Basilica e del Palaz-zo Apostolico e diondendo, anche a distanza, il messaggio di gioia e di pace e del Santo Natale. Ci piace ora soermarci sul signicato spirituale dell’albero e del presepe. Da sempre, in tutte le culture, l’albero è stato considerato il simbolo della vita. L’abete ha un particolare signicato gurativo, perché esso è verde e ri-goglioso quando le altre piante sono spoglie e sembrano morte. Nella Chiesa antica c’era già la tradizione di decorare con rami e corone le case per la festa del 6 gennaio; questa usanza, però, era legata ai riti pagani degli alberi e al solstizio d’inverno. Un col-legamento tra creazione e redenzione determina, successivamente, l’origine dell’albero di Natale. Esso esprime un convincimento: il peccato dell’uomo – associato nella Bibbia all’albero del Paradiso e al suo frutto che suscita la tentazione – viene espiato nella notte del 24 dicembre con l’ingresso di Cristo nel mondo; egli è l’«albero della vita» (Gen 2,9) che rinsalda la comunione tra Dio e l’uomo infranta da Adamo ed Eva nel giardino dell’E-den. L’abete sempreverde, inoltre, ci riconduce simbolicamente al Figlio dell’uomo, «il Vivente» (Ap 1,18), e rappresenta la vita eterna. Riguar-do al presepe, l’Admirabile signum come lo deniscela lettera aposto-lica donataci da Papa Francesco nel dicembre 2019, ci piace ricordare che fare il presepe è dire il Vangelo, ovvero far sentire la vicinanza del Dio bambino alla nostra storia concreta, alle gioie, ai dolori e alle angosce del nostro presente. L’amore dei fedeli al presepe, peraltro, è nato da grandi evangelizzatori: tra questi San Ga-etano da Thiene e quel gigante che fu Sant’Alfonso Maria de Liguori, autore di canti ovunque conosciuti e amati per celebrare la gioia della nascita del Figlio di Dio, Festa dell’in-tera creazione. Alfonso, il più santo dei napoletani e il più napoletano dei santi, è stato un grande teologo, non a caso proclamato poi Dottore della Chiesa. Nel testo di Tu scendi dalle stelle, in 7 strofe, egli mette in risalto con semplicità alcuni concetti a lui cari: l’abbassamento di un Dio che scende dalle stelle, dall’alto, e si fa uomo per amore dell’uomo, cam-biando così la storia. C’è la sorpresa di essere fatti oggetto di questo amore, che si esprime nella domanda e risposta: «perché tanto patir? Per amor mio!». Sant’Alfonso, poi, tiene sapientemente insieme il Natale e la Pasqua, come quando dice: «Deh, mio bello e puro Agnello, a che pen-si? dimmi tu. O amore immenso, un dì morir per te, rispondi, io penso». Ecco l’amore gratuito di Dio che, in Gesù, viene e fa nuove tutte le cose!Inne, un accento “giubilare”. Il presepe e l’albero del 2024, che accompagnano l’apertura della Porta Santa, ci invitano a riettere sul tema del pellegrinaggio e della speranza che ci guiderà durante il Giubileo. Anche Maria e Giuseppe sono stati pellegrini; lo sono stati i pastori; si sono fatti pellegrini i magi condotti dalla stella. Tutti, a loro modo, portavano in cuore una speranza: la nascita di un glio, l’Emmanuele; vedere il Salvatore; trovare il re. Come la Vergine Madre e il Custode fedele, come i pastori, come i magi, allora, facciamoci anche noi pellegrini di speranza ben conoscendo la meta del nostro cam-mino: Gesù Cristo, Signore della vita e della storia, che ci ha amati e vuole il nostro vero bene. nFare il presepeè dire il Vangelo, ovvero far sentirela vicinanza del Dio bambino‘‘L’affresco di AssisiA sinistra: La rappresentazione della Natività che mise in scena Francesco a Greccio la notte di Natale del 1223, “raccontata” da Giotto nel ciclo degli affreschi che narrano la vita del Santo. Chiesa superiore delle Basilica di San Francesco in AssisiNella pagina a anco: Il presepe di Grado (Friuli Venezia Giulia) ph Ivan Regolin_familygo.euACCADE IN PIAZZA
54 55L’Archivio Storico Ge-nerale della Fabbrica di San Pietro conserva la memoria storica della costruzione della nuova Basilica Vaticana dai primi anni del 1500 no ai nostri giorni e, con essa, conserva e tramanda anche la storia di quell’Istituzione preposta a tale ricostruzione, ovvero la “Fabbrica di San Pietro”. La sua attività ha prodotto nel corso dei secoli una serie di documenti, conservati oggi proprio nel suo Archivio Storico. Ubicato all’interno della Basilica in due splendide Sale Ottagonali, ne costituisce un supporto fondamen-tale per l’attività di conservazione e decoro della Basilica Vaticana, alla quale la Fabbrica di San Pietro è ancora oggi chiamata a pensare. In particolare in occasione degli eventi giubilari, la documentazione si arricchisce di tutte quelle notizie che ben tramandano questi particolari momenti storici, a partire dal Giu-bileo del 1525, le cui informazioni sono riportate nel “Libro Pavonaz-zo”, così chiamato perché rilegato con una pergamena color porpora. Dopo queste prime testimonianze ne seguono innumerevoli altre, come quella riportata in un registro di decreti della Fabbrica del 1600 del 12 gennaio 1624. In essa papa Urbano VIII Barberini (1623-1644), preoccupato dal grande usso di pellegrini che sarebbe entrato di lì a poco in Basilica, comunicava al Ber-nini di non far levare assolutamente la Porta Santa, che doveva invece rimanere al suo posto, e lo invitava a preparare un riparo che la proteggesse dall’impeto della moltitudine del popolo. O, ancora, il racconto scritto dall’Abate Vincenzo Canori del dicembre del 1749, con la descrizio-ne dettagliata di quanto si fece per smurare la Porta Santa e prepararla per l’apertura del Giubileo del 1750, e con l’elencazione puntuale di tutti i lavori eettuati dai sanpietrini in Tra le pagine della storiaL’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro e gli Anni SantiARTESimona Turriziani, Responsabile Archivio Storico Generale Fabbrica di San PietroLa memoria storica della costruzione della nuova Basilica Vaticana, dai primi anni del ’500 ad oggi‘‘
54 55L’Archivio Storico Ge-nerale della Fabbrica di San Pietro conserva la memoria storica della costruzione della nuova Basilica Vaticana dai primi anni del 1500 no ai nostri giorni e, con essa, conserva e tramanda anche la storia di quell’Istituzione preposta a tale ricostruzione, ovvero la “Fabbrica di San Pietro”. La sua attività ha prodotto nel corso dei secoli una serie di documenti, conservati oggi proprio nel suo Archivio Storico. Ubicato all’interno della Basilica in due splendide Sale Ottagonali, ne costituisce un supporto fondamen-tale per l’attività di conservazione e decoro della Basilica Vaticana, alla quale la Fabbrica di San Pietro è ancora oggi chiamata a pensare. In particolare in occasione degli eventi giubilari, la documentazione si arricchisce di tutte quelle notizie che ben tramandano questi particolari momenti storici, a partire dal Giu-bileo del 1525, le cui informazioni sono riportate nel “Libro Pavonaz-zo”, così chiamato perché rilegato con una pergamena color porpora. Dopo queste prime testimonianze ne seguono innumerevoli altre, come quella riportata in un registro di decreti della Fabbrica del 1600 del 12 gennaio 1624. In essa papa Urbano VIII Barberini (1623-1644), preoccupato dal grande usso di pellegrini che sarebbe entrato di lì a poco in Basilica, comunicava al Ber-nini di non far levare assolutamente la Porta Santa, che doveva invece rimanere al suo posto, e lo invitava a preparare un riparo che la proteggesse dall’impeto della moltitudine del popolo. O, ancora, il racconto scritto dall’Abate Vincenzo Canori del dicembre del 1749, con la descrizio-ne dettagliata di quanto si fece per smurare la Porta Santa e prepararla per l’apertura del Giubileo del 1750, e con l’elencazione puntuale di tutti i lavori eettuati dai sanpietrini in Tra le pagine della storiaL’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro e gli Anni SantiARTESimona Turriziani, Responsabile Archivio Storico Generale Fabbrica di San PietroLa memoria storica della costruzione della nuova Basilica Vaticana, dai primi anni del ’500 ad oggi‘‘
56 57quell’anno. O, ancora, la narrazio-ne di quanto volle fare per l’Anno Giubilare del 1825 Papa Leone XII Della Genga (1823-1829), facendo rinnovare tutti i confessionali e ador-nare e impreziosire tutta la Basilica, il Portico e la Loggia delle Benedizio-ni con damaschi rossi, tende rica-mate e preziosi arazzi. Ma l’Archivio ci continua a dare testimonianza attraverso i suoi documenti di tutti i Giubilei celebrati in Basilica, no all’ultimo “Giubileo della Misericor-dia”, indetto da Papa Francesco nel 2015. Per tali importanti avveni-menti la Fabbrica ha sempre prov-veduto a predisporre la Basilica nel migliore dei modi possibili, facendo eseguire ogni necessario lavoro per una maggiore fruibilità della stessa. Quest’anno 2024, in preparazione del prossimo “Giubileo della Speran-za” del 2025, la Fabbrica ha voluto dare il via ad una serie di interventi particolarmente signicativi quali: l’importante restauro del Baldacchi-no del Bernini, che è tornato al suo antico splendore, poi quello del mo-numento berniniano della Cattedra di San Pietro, anch’esso restituito alla sua originale bellezza. Oltre a questi due rilevanti interventi, ne sono stati eseguiti tanti altri e ancora nuovi ne seguiranno, fra i quali quel-li riguardanti l’apertura della Porta Santa. E l’Archivio accompagna tutti questi lavori dietro le quinte, nel silenzio dei suoi luoghi e fra le sue preziose carte.Una serie di documenti che raccontano il Giubileo‘‘I tesori della FabbricaA pag.55: veduta della Basilica da una nestra dell’Archivio. In queste pagine, la fabbrica di San Pietro in Vaticano. Grande, a sinistra: il ciborio di Sisto IV all’ingresso; sopra, dall’alto: la cupola della Cappella della Madonna della Colonna; il manoscritto dell’Abate Vincenzo Canori; il libro PavonazzoFoto di Marco Andreozzi
56 57quell’anno. O, ancora, la narrazio-ne di quanto volle fare per l’Anno Giubilare del 1825 Papa Leone XII Della Genga (1823-1829), facendo rinnovare tutti i confessionali e ador-nare e impreziosire tutta la Basilica, il Portico e la Loggia delle Benedizio-ni con damaschi rossi, tende rica-mate e preziosi arazzi. Ma l’Archivio ci continua a dare testimonianza attraverso i suoi documenti di tutti i Giubilei celebrati in Basilica, no all’ultimo “Giubileo della Misericor-dia”, indetto da Papa Francesco nel 2015. Per tali importanti avveni-menti la Fabbrica ha sempre prov-veduto a predisporre la Basilica nel migliore dei modi possibili, facendo eseguire ogni necessario lavoro per una maggiore fruibilità della stessa. Quest’anno 2024, in preparazione del prossimo “Giubileo della Speran-za” del 2025, la Fabbrica ha voluto dare il via ad una serie di interventi particolarmente signicativi quali: l’importante restauro del Baldacchi-no del Bernini, che è tornato al suo antico splendore, poi quello del mo-numento berniniano della Cattedra di San Pietro, anch’esso restituito alla sua originale bellezza. Oltre a questi due rilevanti interventi, ne sono stati eseguiti tanti altri e ancora nuovi ne seguiranno, fra i quali quel-li riguardanti l’apertura della Porta Santa. E l’Archivio accompagna tutti questi lavori dietro le quinte, nel silenzio dei suoi luoghi e fra le sue preziose carte.Una serie di documenti che raccontano il Giubileo‘‘I tesori della FabbricaA pag.55: veduta della Basilica da una nestra dell’Archivio. In queste pagine, la fabbrica di San Pietro in Vaticano. Grande, a sinistra: il ciborio di Sisto IV all’ingresso; sopra, dall’alto: la cupola della Cappella della Madonna della Colonna; il manoscritto dell’Abate Vincenzo Canori; il libro PavonazzoFoto di Marco Andreozzi
58 59Piazza San Pietro è un luogo unico al mondo. È il centro della spiritualità cattolica, ma anche simbolo universale di incontro e dialogo, aperto a persone di ogni credo e cultura. La piazza, con il suo monumentale colonnato di Berni-ni, sembra già abbracciare chi vi entra, accogliendo pellegrini, visitatori, fedeli e curiosi da ogni angolo del mondo. Se mi chiedessero di ripensare Piazza San Pietro, non cambierei nulla di ciò che già esiste, poiché ogni elemento del luogo è parte della sua storia e del suo signicato. Ciò che farei, invece, sarebbe aggiungere qualcosa di mio: un grande Terzo Paradiso sul selciato intorno all’obelisco centrale, un sim-bolo di armonia universale e creazione.È una forma che rappresenta il processo creativo e la coesistenza degli opposti. Consiste in due cerchi, ciascuno simbolo di elementi contra-stanti che, invece di annullarsi, si uni-scono per generare un terzo cerchio centrale. Questo cerchio rappresenta la creazione di un nuovo elemento inatteso, che nasce dall’unione di forze opposte e complementari. In Piazza San Pietro, il Terzo Paradiso prenderebbe forma direttamente sul pavimento, realizzato con le pietre stesse della piazza, come disegno per-manente che diventi parte della strut-tura del luogo e del suo signicato simbolico. È un segno che, secondo me, parlerebbe all’umanità intera, ricordandoci il valore dell’armonia, dell’accoglienza, e della possibilità di superare ogni divisione.L’abbraccio del colonnato berninia-no, che circonda Piazza San Pietro, è già di per sé un simbolo di inclusione e unità, un invito alla comunità e alla Una visione di armonia e creazione universale Michelangelo Pistoletto, artistaconvivenza pacica. Aggiungere il Terzo Paradiso al centro della piazza signicherebbe esaltare ulteriormen-te questo messaggio, creando uno spazio visivo e mentale in cui la storia e la tradizione possano incontrarsi con la contemporaneità e l’arte. Il cer-chio centrale di questo simbolo non rappresenta un vuoto come potrebbe sembrare; al contrario, è il luogo dove gli opposti trovano spazio per incontrarsi. È un vuoto creativo, un vuoto che contiene tutte le possibilità della creazione stessa, un luogo dove tutte le dierenze possono coesistere senza eliminarsi a vicenda. Questo spazio centrale, apparentemente vuo-to, rappresenta in realtà un punto di incontro in cui tutto è possibile, dove l’umanità è chiamata a riconoscere la propria interdipendenza e comple-mentarità.In un mondo come quello attua-le, segnato da guerre e conitti, il signicato di questo simbolo appare più che mai necessario. Parliamo spesso di guerre fatte di armi, ma non dobbiamo dimenticare che esistono anche guerre fatte di parole, di parole che attaccano e dividono invece di costruire ponti. Le parole oggi sembrano sempre più strumen-ti di conitto, piuttosto che mezzi per comprendere l’altro. L’opera vorrebbe inviare un messaggio diverso, ricordando che è possibile armonizzare gli opposti senza annul-lare le dierenze. Al centro di questo simbolo non vi è la distruzione, ma la creazione, l’incontro, e la nascita di una nuova forma, di un nuovo signicato, che non esisteva prima. È un invito a riettere su come pos-siamo costruire una società che non L’artistaIn foto Michelangelo PistolettoAl centro di questo simbolo non vi è la distruzione, ma la creazione, l’incontro, e la nascita di una nuova forma ‘‘Farei il Terzo Paradiso sul selciato di Piazza San PietroLA PAROLA A...Michelangelo Pistoletto, artista
58 59Piazza San Pietro è un luogo unico al mondo. È il centro della spiritualità cattolica, ma anche simbolo universale di incontro e dialogo, aperto a persone di ogni credo e cultura. La piazza, con il suo monumentale colonnato di Berni-ni, sembra già abbracciare chi vi entra, accogliendo pellegrini, visitatori, fedeli e curiosi da ogni angolo del mondo. Se mi chiedessero di ripensare Piazza San Pietro, non cambierei nulla di ciò che già esiste, poiché ogni elemento del luogo è parte della sua storia e del suo signicato. Ciò che farei, invece, sarebbe aggiungere qualcosa di mio: un grande Terzo Paradiso sul selciato intorno all’obelisco centrale, un sim-bolo di armonia universale e creazione.È una forma che rappresenta il processo creativo e la coesistenza degli opposti. Consiste in due cerchi, ciascuno simbolo di elementi contra-stanti che, invece di annullarsi, si uni-scono per generare un terzo cerchio centrale. Questo cerchio rappresenta la creazione di un nuovo elemento inatteso, che nasce dall’unione di forze opposte e complementari. In Piazza San Pietro, il Terzo Paradiso prenderebbe forma direttamente sul pavimento, realizzato con le pietre stesse della piazza, come disegno per-manente che diventi parte della strut-tura del luogo e del suo signicato simbolico. È un segno che, secondo me, parlerebbe all’umanità intera, ricordandoci il valore dell’armonia, dell’accoglienza, e della possibilità di superare ogni divisione.L’abbraccio del colonnato berninia-no, che circonda Piazza San Pietro, è già di per sé un simbolo di inclusione e unità, un invito alla comunità e alla Una visione di armonia e creazione universale Michelangelo Pistoletto, artistaconvivenza pacica. Aggiungere il Terzo Paradiso al centro della piazza signicherebbe esaltare ulteriormen-te questo messaggio, creando uno spazio visivo e mentale in cui la storia e la tradizione possano incontrarsi con la contemporaneità e l’arte. Il cer-chio centrale di questo simbolo non rappresenta un vuoto come potrebbe sembrare; al contrario, è il luogo dove gli opposti trovano spazio per incontrarsi. È un vuoto creativo, un vuoto che contiene tutte le possibilità della creazione stessa, un luogo dove tutte le dierenze possono coesistere senza eliminarsi a vicenda. Questo spazio centrale, apparentemente vuo-to, rappresenta in realtà un punto di incontro in cui tutto è possibile, dove l’umanità è chiamata a riconoscere la propria interdipendenza e comple-mentarità.In un mondo come quello attua-le, segnato da guerre e conitti, il signicato di questo simbolo appare più che mai necessario. Parliamo spesso di guerre fatte di armi, ma non dobbiamo dimenticare che esistono anche guerre fatte di parole, di parole che attaccano e dividono invece di costruire ponti. Le parole oggi sembrano sempre più strumen-ti di conitto, piuttosto che mezzi per comprendere l’altro. L’opera vorrebbe inviare un messaggio diverso, ricordando che è possibile armonizzare gli opposti senza annul-lare le dierenze. Al centro di questo simbolo non vi è la distruzione, ma la creazione, l’incontro, e la nascita di una nuova forma, di un nuovo signicato, che non esisteva prima. È un invito a riettere su come pos-siamo costruire una società che non L’artistaIn foto Michelangelo PistolettoAl centro di questo simbolo non vi è la distruzione, ma la creazione, l’incontro, e la nascita di una nuova forma ‘‘Farei il Terzo Paradiso sul selciato di Piazza San PietroLA PAROLA A...Michelangelo Pistoletto, artista
60 61viva di contrapposizioni distruttive, ma che sia capace di includere e valorizzare ogni diversità.In Piazza San Pietro, il Terzo Paradiso potrebbe rappresentare una sorta di nuova educazione alla pace, un simbo-lo che ispiri non solo chi visita il luogo, ma l’intera umanità. È un insegna-mento che vorrei vedere nelle scuole, tra i bambini, anché imparino a rispettare e accogliere l’altro. Credo sia fondamentale trasmettere ai più giovani la consapevolezza che la vita è fatta di opposti: c’è il positivo e il ne-gativo, così come ogni persona ha lati diversi, a volte in contrasto. Questo concetto di dualità è ciò che rende la vita ricca e complessa, e solo imparan-do ad accettarlo n da piccoli si può arrivare a costruire una società adulta capace di vivere in equilibrio. Educare i bambini a questa comprensione potrebbe aiutarli a superare i conitti e a sviluppare una visione di pace che li accompagnerà per tutta la vita.Abbiamo la fortuna di vivere in un’epoca in cui c’è un Papa che comprende a fondo l’importanza di un messaggio di pace e armonia. Papa Francesco incarna l’idea di un dialogo aperto, di una fede che non teme di abbracciare il diverso, e di un’umanità che trova la propria for-za nell’unità e nella condivisione. A lui faccio i miei più sinceri auguri di lunga vita, anché possa continuare a guidare l’umanità verso un futuro di speranza, dove la pace e l’equili-brio possano prevalere sul conitto.In denitiva, la mia visione di Piazza San Pietro non prevede cambiamen-ti materiali, perché ogni pietra e ogni colonna del luogo sono testimo-nianza viva di una storia millenaria. Quello che mi piacerebbe aggiun-gere è un simbolo di speranza, una forma che ci ricordi l’importanza di incontrarsi a metà strada, di lasciare spazio al diverso, e di trovare una via di armonia tra gli opposti. Il concetto di dualità è ciò che rende la vita ricca e complessa Titolo didascalia?A sinistra: La rappresentazione della Natività che mise in scena Francesco a Greccio la notte di Natale del 1223, “raccontata” da Giotto nel ciclo degli affreschi che raccontano la vita del Santo. Chiesa superiore delle Basilica di San Francesco in AssisiNella pagina a anco: Il presepe di Grado (Friuli Venezia Giulia) in Piazza San Pietroph Ivan Regolin_familygo.euACCADE IN PIAZZA‘‘
60 61viva di contrapposizioni distruttive, ma che sia capace di includere e valorizzare ogni diversità.In Piazza San Pietro, il Terzo Paradiso potrebbe rappresentare una sorta di nuova educazione alla pace, un simbo-lo che ispiri non solo chi visita il luogo, ma l’intera umanità. È un insegna-mento che vorrei vedere nelle scuole, tra i bambini, anché imparino a rispettare e accogliere l’altro. Credo sia fondamentale trasmettere ai più giovani la consapevolezza che la vita è fatta di opposti: c’è il positivo e il ne-gativo, così come ogni persona ha lati diversi, a volte in contrasto. Questo concetto di dualità è ciò che rende la vita ricca e complessa, e solo imparan-do ad accettarlo n da piccoli si può arrivare a costruire una società adulta capace di vivere in equilibrio. Educare i bambini a questa comprensione potrebbe aiutarli a superare i conitti e a sviluppare una visione di pace che li accompagnerà per tutta la vita.Abbiamo la fortuna di vivere in un’epoca in cui c’è un Papa che comprende a fondo l’importanza di un messaggio di pace e armonia. Papa Francesco incarna l’idea di un dialogo aperto, di una fede che non teme di abbracciare il diverso, e di un’umanità che trova la propria for-za nell’unità e nella condivisione. A lui faccio i miei più sinceri auguri di lunga vita, anché possa continuare a guidare l’umanità verso un futuro di speranza, dove la pace e l’equili-brio possano prevalere sul conitto.In denitiva, la mia visione di Piazza San Pietro non prevede cambiamen-ti materiali, perché ogni pietra e ogni colonna del luogo sono testimo-nianza viva di una storia millenaria. Quello che mi piacerebbe aggiun-gere è un simbolo di speranza, una forma che ci ricordi l’importanza di incontrarsi a metà strada, di lasciare spazio al diverso, e di trovare una via di armonia tra gli opposti. Il concetto di dualità è ciò che rende la vita ricca e complessa Titolo didascalia?A sinistra: La rappresentazione della Natività che mise in scena Francesco a Greccio la notte di Natale del 1223, “raccontata” da Giotto nel ciclo degli affreschi che raccontano la vita del Santo. Chiesa superiore delle Basilica di San Francesco in AssisiNella pagina a anco: Il presepe di Grado (Friuli Venezia Giulia) in Piazza San Pietroph Ivan Regolin_familygo.euACCADE IN PIAZZA‘‘
62 63Se il titolo Life, su cui campeg-gia un primo piano di Papa Francesco, già fa capire che il tema delle pagine sarà la vita del Pontece; il sottotitolo La mia storia nella Storia, inquadra perfet-tamente come le “storie” si intrec-ciano e quanto la Storia inuenzi e inuisca sulla storia. Sia del Papa che di ognuno di noi.Quando e come nasce l’idea di lavorare all’autobiograa di Papa Francesco?L’idea è partita da me, nell’aprile del 2023. Da giornalista mi incuriosiva sapere dove si trovasse Papa Fran-cesco quando è nita la Seconda guerra mondiale oppure quando c’è stato lo sbarco sulla Luna. O ancora come ha vissuto il cardinale Bergoglio il momento degli attacchi terroristici del 2001 negli Stati Uniti o le dimissioni di Benedetto XVI. E così gli ho proposto di raccontare la storia della sua vita, intrecciandola agli eventi più signicativi che ha vissuto l’umanità. Lui ci ha messo il cuore e io la penna! Abbiamo lavorato per quasi un anno, sia con incontri di persona sia con telefo-nate ed email. Ed è venuto fuori un racconto straordinario in cui il Papa si rivolge principalmente ai giovani, perché non si ripetano più gli errori del passato. Durante il primo in-contro mi disse: «Io sono anziano, posso dare la testimonianza di ciò che ho visto con i miei occhi, con la speranza che possa esser d’aiuto soprattutto per i ragazzi e le ragazze che si aacciano alla vita».Come ha reagito il Papa alla tua proposta?Ricordo che mi ha telefonato un pomeriggio e mi ha chiesto di rac-contargli meglio l’idea. Non credevo alle mie orecchie! Mi ha chiesto di inviargli una proposta di indice e mi ha anche raccomandato di non fare un libro in cui a parlare fosse soltanto lui, ma che ci fosse anche una contestualizzazione storica degli eventi che stava raccontando. Così per i lettori sarebbe stato più semplice entrare nel racconto. E così ho fatto anche da narratore.Che ritratto emerge del Pontece?Emerge molto la profondità del Papa e la sua semplicità, il suo essere “una persona normale”: non è un libro di soli aneddoti come tanti altri, il Papa ha voluto raccontare la sua vita ma allo stesso tempo scendere più nel profondo per lanciare dei forti messaggi su temi come la pace, il cambiamento climatico, il dialogo interreligioso, la fede. Lo ha fatto consapevole che il libro sarebbe stato letto in tutto il mondo.Nel corso della scrittura ti sei confrontato continuamente col Papa, ci racconti cosa avveniva? Che tipo è Francesco nella veste di “amico”?Non mi permetto di denirmi “ami-co”, ritengo che l’amicizia sia qual-cosa di molto profondo e che rientri nella sfera privatissima del Pontece. Mi ritengo però un privilegiato, una persona che ha il grande onore di poter parlare con il Papa. Per Life abbiamo lavorato in una prima fase con incontri di persona a Santa Marta, soprattutto per la raccolta del materiale: nelle varie sessioni il Pontece riapriva lo scrigno dei ricordi e raccontava tutti i momenti più importanti della sua vita. Non ha voluto omettere nulla, nemmeno episodi privati che riguardano se stesso o la sua famiglia d’origine. Nella seconda fase abbiamo lavora-to telefonicamente: gli mandavo i vari capitoli appena pronti e lui mi richiamava dopo qualche giorno per fare la correzione. Mi ha segnalato anche i refusi! Durante queste tele-fonate di lavoro sentivo provenire dal suo studio, in sottofondo, un bel tango o della musica classica! Oltre alle correzioni mi dava anche qual-che aggiunta o qualche precisazione riguardo agli episodi raccontati. Quali sono stati i momenti e gli aneddoti che più ti hanno colpito della sua vita? Che siano essi divertenti o meno.Non potrò mai dimenticare il suo racconto della ne della Seconda guerra mondiale, Papa Francesco era davvero commosso nel ricordare le lacrime della mamma, lacrime di gioia perché era nita la guerra. E poi il racconto degli anni più bui, quelli dell’esilio a Cordoba: il Papa racconta di aver avuto un periodo dicile, quasi di depressione. Il racconto del conclave del 2013 è molto emozionante, perché quel pomeriggio, inconsciamente, non voleva entrare nella Cappella Sistina, avendo capito che i cardinali aveva-no deciso di eleggerlo. Rimase fuori a parlare col cardinale Ravasi, nché non è arrivato un cerimoniere che ha chiesto a entrambi di accomodarsi ai propri posti. E poi i momenti più gioiosi per la vittoria dell’Argentina ai mondiali del 1986: l’allora cin-quantenne Jorge Bergoglio si trovava in Germania e nel libro racconta che non volle guardare la nale, preferì andare vicino al ume Reno per recitare il rosario.È una bella responsabilità aver lavorato all’autobiograa del Papa…Ne sono consapevole! Il Papa mi ha dato ducia e non nirò mai di rin-graziarlo per questo gesto di grande generosità. Quando con l’editore Har-perCollins gli abbiamo consegnato a Santa Marta la prima copia stampata, il Papa ha visto tutte le copertine nelle varie lingue e ci ha detto: «Sincera-mente non pensavo che venisse fuori un lavoro così importante!». Ma ha ricordato a tutti noi quanto sia fondamentale fare memoria e riaprire ogni tanto il libro della nostra vita per fare una revisione di tutto ciò che è stato. Questo esercizio ha voluto farlo anche lui, donando davvero il suo cuore a tutti i lettori. Non è una cosa da poco, io ho fatto da tramite e non lo dimenticherò mai. n«Vi racconto com’è nato il libro di Papa Francesco»INVITO ALLA LETTURAA colloquio con Fabio Marchese Ragona, vaticanista di Mediaset e co-autore di Life, la prima autobiograa del PonteceFrancesco Bastianini, giornalistaNelle varie sessioni di scrittura, il Pontece riapriva lo scrigno dei ricordi e raccontava tutti i momenti più importanti della sua vita‘‘Gli autoriFabio Marchese Ragona, co-autore di Life, insieme a Papa Francesco.
62 63Se il titolo Life, su cui campeg-gia un primo piano di Papa Francesco, già fa capire che il tema delle pagine sarà la vita del Pontece; il sottotitolo La mia storia nella Storia, inquadra perfet-tamente come le “storie” si intrec-ciano e quanto la Storia inuenzi e inuisca sulla storia. Sia del Papa che di ognuno di noi.Quando e come nasce l’idea di lavorare all’autobiograa di Papa Francesco?L’idea è partita da me, nell’aprile del 2023. Da giornalista mi incuriosiva sapere dove si trovasse Papa Fran-cesco quando è nita la Seconda guerra mondiale oppure quando c’è stato lo sbarco sulla Luna. O ancora come ha vissuto il cardinale Bergoglio il momento degli attacchi terroristici del 2001 negli Stati Uniti o le dimissioni di Benedetto XVI. E così gli ho proposto di raccontare la storia della sua vita, intrecciandola agli eventi più signicativi che ha vissuto l’umanità. Lui ci ha messo il cuore e io la penna! Abbiamo lavorato per quasi un anno, sia con incontri di persona sia con telefo-nate ed email. Ed è venuto fuori un racconto straordinario in cui il Papa si rivolge principalmente ai giovani, perché non si ripetano più gli errori del passato. Durante il primo in-contro mi disse: «Io sono anziano, posso dare la testimonianza di ciò che ho visto con i miei occhi, con la speranza che possa esser d’aiuto soprattutto per i ragazzi e le ragazze che si aacciano alla vita».Come ha reagito il Papa alla tua proposta?Ricordo che mi ha telefonato un pomeriggio e mi ha chiesto di rac-contargli meglio l’idea. Non credevo alle mie orecchie! Mi ha chiesto di inviargli una proposta di indice e mi ha anche raccomandato di non fare un libro in cui a parlare fosse soltanto lui, ma che ci fosse anche una contestualizzazione storica degli eventi che stava raccontando. Così per i lettori sarebbe stato più semplice entrare nel racconto. E così ho fatto anche da narratore.Che ritratto emerge del Pontece?Emerge molto la profondità del Papa e la sua semplicità, il suo essere “una persona normale”: non è un libro di soli aneddoti come tanti altri, il Papa ha voluto raccontare la sua vita ma allo stesso tempo scendere più nel profondo per lanciare dei forti messaggi su temi come la pace, il cambiamento climatico, il dialogo interreligioso, la fede. Lo ha fatto consapevole che il libro sarebbe stato letto in tutto il mondo.Nel corso della scrittura ti sei confrontato continuamente col Papa, ci racconti cosa avveniva? Che tipo è Francesco nella veste di “amico”?Non mi permetto di denirmi “ami-co”, ritengo che l’amicizia sia qual-cosa di molto profondo e che rientri nella sfera privatissima del Pontece. Mi ritengo però un privilegiato, una persona che ha il grande onore di poter parlare con il Papa. Per Life abbiamo lavorato in una prima fase con incontri di persona a Santa Marta, soprattutto per la raccolta del materiale: nelle varie sessioni il Pontece riapriva lo scrigno dei ricordi e raccontava tutti i momenti più importanti della sua vita. Non ha voluto omettere nulla, nemmeno episodi privati che riguardano se stesso o la sua famiglia d’origine. Nella seconda fase abbiamo lavora-to telefonicamente: gli mandavo i vari capitoli appena pronti e lui mi richiamava dopo qualche giorno per fare la correzione. Mi ha segnalato anche i refusi! Durante queste tele-fonate di lavoro sentivo provenire dal suo studio, in sottofondo, un bel tango o della musica classica! Oltre alle correzioni mi dava anche qual-che aggiunta o qualche precisazione riguardo agli episodi raccontati. Quali sono stati i momenti e gli aneddoti che più ti hanno colpito della sua vita? Che siano essi divertenti o meno.Non potrò mai dimenticare il suo racconto della ne della Seconda guerra mondiale, Papa Francesco era davvero commosso nel ricordare le lacrime della mamma, lacrime di gioia perché era nita la guerra. E poi il racconto degli anni più bui, quelli dell’esilio a Cordoba: il Papa racconta di aver avuto un periodo dicile, quasi di depressione. Il racconto del conclave del 2013 è molto emozionante, perché quel pomeriggio, inconsciamente, non voleva entrare nella Cappella Sistina, avendo capito che i cardinali aveva-no deciso di eleggerlo. Rimase fuori a parlare col cardinale Ravasi, nché non è arrivato un cerimoniere che ha chiesto a entrambi di accomodarsi ai propri posti. E poi i momenti più gioiosi per la vittoria dell’Argentina ai mondiali del 1986: l’allora cin-quantenne Jorge Bergoglio si trovava in Germania e nel libro racconta che non volle guardare la nale, preferì andare vicino al ume Reno per recitare il rosario.È una bella responsabilità aver lavorato all’autobiograa del Papa…Ne sono consapevole! Il Papa mi ha dato ducia e non nirò mai di rin-graziarlo per questo gesto di grande generosità. Quando con l’editore Har-perCollins gli abbiamo consegnato a Santa Marta la prima copia stampata, il Papa ha visto tutte le copertine nelle varie lingue e ci ha detto: «Sincera-mente non pensavo che venisse fuori un lavoro così importante!». Ma ha ricordato a tutti noi quanto sia fondamentale fare memoria e riaprire ogni tanto il libro della nostra vita per fare una revisione di tutto ciò che è stato. Questo esercizio ha voluto farlo anche lui, donando davvero il suo cuore a tutti i lettori. Non è una cosa da poco, io ho fatto da tramite e non lo dimenticherò mai. n«Vi racconto com’è nato il libro di Papa Francesco»INVITO ALLA LETTURAA colloquio con Fabio Marchese Ragona, vaticanista di Mediaset e co-autore di Life, la prima autobiograa del PonteceFrancesco Bastianini, giornalistaNelle varie sessioni di scrittura, il Pontece riapriva lo scrigno dei ricordi e raccontava tutti i momenti più importanti della sua vita‘‘Gli autoriFabio Marchese Ragona, co-autore di Life, insieme a Papa Francesco.
64 65Servono spazi pacici di dialogoIl Libano sta soffrendo un’emergenza che richiede l’aiuto di tuttiIl dramma in LibanoSecondo il governo locale 1,2 milioni di persone sono gli sfollati interni nel Paese. Chi non trova un alloggio si rifugia nelle aree pubbliche o nelle proprie auto. (fonte: Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo)César Essayan OFMConv, Vicario Apostolico di Beirut«Padre, non riesco a sentire empatia per gli sfollati! Come fac-cio ad essere fedele a Cristo e all’amore?». La domanda di questo giovane libanese è sincera. La guerra civile (1975-1990) ha sca-vato profonde divisioni in seno alla popolazione. Per molti anni, nutriti da ideologie partigiane, i pregiudizi hanno impedito il dialogo.Una serie di tragedie, di cui que-sta guerra è l’ultima, ha portato il popolo libanese allo stremo: la crisi socioeconomica del 2019 perdura, la povertà coinvolge più dell’85% della popolazione, poi l’esplosione del porto di Beirut, il numero crescente dei profughi siriani, la paralisi del Parlamento e la corruzione ai più alti livelli dei dirigenti. Uno studio del 2022 pubblicato sul giornale libanese L’Orient-Le-Jou aerma che più di due terzi dei libanesi vivono in uno stato di depressione.Nonostante ciò, le case dei libanesi cristiani, le strutture degli istituti religiosi (case di accoglienza, scuole e altre strutture) sono state aperte per accogliere chi si trova oggi senza DALLE PERIFERIE DEL MONDOcasa, senza un tetto, sprovvisto di tutto e “nudo”, a causa della guerra e dei missili israeliani. Ma l’accoglienza è anche un rischio: a volte arrivano sfollati armati o ricercati da Israele. A che condizioni accogliere? Diversi hanno già pagato con il sangue il prezzo di un’accoglienza incondi-zionata. Chi riesce oggi a fermare i missili che arrivano dall’altro lato della frontiera? Come fare di fronte a un gigante sostenuto da altri gigan-ti della comunità internazionale? In guerra, siamo tutti colpevoli. Una guerra si prepara nel tempo; lo stesso tempo che si sarebbe potuto sfrutta-re per una pace giusta e duratura.Oggi il confronto tra chi accoglie e chi è accolto (soprattutto sciiti) diventa spesso irrispettoso, peggio,
64 65Servono spazi pacici di dialogoIl Libano sta soffrendo un’emergenza che richiede l’aiuto di tuttiIl dramma in LibanoSecondo il governo locale 1,2 milioni di persone sono gli sfollati interni nel Paese. Chi non trova un alloggio si rifugia nelle aree pubbliche o nelle proprie auto. (fonte: Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo)César Essayan OFMConv, Vicario Apostolico di Beirut«Padre, non riesco a sentire empatia per gli sfollati! Come fac-cio ad essere fedele a Cristo e all’amore?». La domanda di questo giovane libanese è sincera. La guerra civile (1975-1990) ha sca-vato profonde divisioni in seno alla popolazione. Per molti anni, nutriti da ideologie partigiane, i pregiudizi hanno impedito il dialogo.Una serie di tragedie, di cui que-sta guerra è l’ultima, ha portato il popolo libanese allo stremo: la crisi socioeconomica del 2019 perdura, la povertà coinvolge più dell’85% della popolazione, poi l’esplosione del porto di Beirut, il numero crescente dei profughi siriani, la paralisi del Parlamento e la corruzione ai più alti livelli dei dirigenti. Uno studio del 2022 pubblicato sul giornale libanese L’Orient-Le-Jou aerma che più di due terzi dei libanesi vivono in uno stato di depressione.Nonostante ciò, le case dei libanesi cristiani, le strutture degli istituti religiosi (case di accoglienza, scuole e altre strutture) sono state aperte per accogliere chi si trova oggi senza DALLE PERIFERIE DEL MONDOcasa, senza un tetto, sprovvisto di tutto e “nudo”, a causa della guerra e dei missili israeliani. Ma l’accoglienza è anche un rischio: a volte arrivano sfollati armati o ricercati da Israele. A che condizioni accogliere? Diversi hanno già pagato con il sangue il prezzo di un’accoglienza incondi-zionata. Chi riesce oggi a fermare i missili che arrivano dall’altro lato della frontiera? Come fare di fronte a un gigante sostenuto da altri gigan-ti della comunità internazionale? In guerra, siamo tutti colpevoli. Una guerra si prepara nel tempo; lo stesso tempo che si sarebbe potuto sfrutta-re per una pace giusta e duratura.Oggi il confronto tra chi accoglie e chi è accolto (soprattutto sciiti) diventa spesso irrispettoso, peggio,
66aggressivo tanto che si vive con la paura di una nuova guerra civile. In questo senso, le ideologie della mor-te potrebbero vincere ancora una volta su quelle della vita per la quale non abbiamo cessato di lottare ogni giorno, con ogni soo che il Signo-re ci ha dato. Per questo oggi noi, la Chiesa, e tutti gli uomini di buona volontà, siamo impegnati quotidia-namente a creare spazi pacici di dialogo.L’attività del VicariatoIl Vicariato Apostolico di Beirut è impegnato in prima linea nel cercare di portare possibili risposte ai diversi bisogni. Parlare di vicariato, signica: una Chiesa di rito romano cattolico, con il vescovo, parroci, diaconi e fedeli; più di 40 istituti religiosi origi-nari di diverse nazioni con 950 preti, frati e suore distribuiti in 200 con-venti su tutto il territorio libanese, al servizio di scuole, ospedali, ambula-tori, centri sociali e molto altro. Venerdì 25 ottobre 2024, ci sia-mo ritrovati con più di 60 preti e religiosi insieme al nunzio Paolo Borgia per condividere il lavoro che è stato fatto in aiuto degli sfollati, le domande per il domani e i nuovi passi da intraprendere insieme. Fino ad oggi il 25% dei palazzi del Sud sono stati distrutti. L’Unicef parla di un bambino che muore ogni giorno in Libano, altre decine i bimbi feriti. I missili al fosforo hanno eetti disa-strosi sulla salute della gente. Sono sempre più numerosi coloro che hanno perso il lavoro a Beirut, nella Bekaa e in altre regioni oltre al Sud. Anche se ci fosse oggi un cessate il fuoco, ci vorranno anni per aronta-re le sde del Paese.Sarà fondamentale ricostruire il tes-suto sociale. Non si tratta soltanto di evitare una possibile guerra civile (che crediamo uno degli scopi della guerra attuale che purtroppo trova complici all’interno del Libano.) Siamo chiamati come Chiesa ad an-nunciare il Vangelo con tutta la sua freschezza e soprattutto a liberarlo C’è gente senza casa, senza un tetto, a causa della guerra e dei missili
66aggressivo tanto che si vive con la paura di una nuova guerra civile. In questo senso, le ideologie della mor-te potrebbero vincere ancora una volta su quelle della vita per la quale non abbiamo cessato di lottare ogni giorno, con ogni soo che il Signo-re ci ha dato. Per questo oggi noi, la Chiesa, e tutti gli uomini di buona volontà, siamo impegnati quotidia-namente a creare spazi pacici di dialogo.L’attività del VicariatoIl Vicariato Apostolico di Beirut è impegnato in prima linea nel cercare di portare possibili risposte ai diversi bisogni. Parlare di vicariato, signica: una Chiesa di rito romano cattolico, con il vescovo, parroci, diaconi e fedeli; più di 40 istituti religiosi origi-nari di diverse nazioni con 950 preti, frati e suore distribuiti in 200 con-venti su tutto il territorio libanese, al servizio di scuole, ospedali, ambula-tori, centri sociali e molto altro. Venerdì 25 ottobre 2024, ci sia-mo ritrovati con più di 60 preti e religiosi insieme al nunzio Paolo Borgia per condividere il lavoro che è stato fatto in aiuto degli sfollati, le domande per il domani e i nuovi passi da intraprendere insieme. Fino ad oggi il 25% dei palazzi del Sud sono stati distrutti. L’Unicef parla di un bambino che muore ogni giorno in Libano, altre decine i bimbi feriti. I missili al fosforo hanno eetti disa-strosi sulla salute della gente. Sono sempre più numerosi coloro che hanno perso il lavoro a Beirut, nella Bekaa e in altre regioni oltre al Sud. Anche se ci fosse oggi un cessate il fuoco, ci vorranno anni per aronta-re le sde del Paese.Sarà fondamentale ricostruire il tes-suto sociale. Non si tratta soltanto di evitare una possibile guerra civile (che crediamo uno degli scopi della guerra attuale che purtroppo trova complici all’interno del Libano.) Siamo chiamati come Chiesa ad an-nunciare il Vangelo con tutta la sua freschezza e soprattutto a liberarlo C’è gente senza casa, senza un tetto, a causa della guerra e dei missili
68camminato tre giorni per raggiun-gere un luogo sicuro. Conosciamo molte altre storie che assomigliano a quella di Rebecca.Al di là di tutto, ci prepariamo ad essere Pellegrini di Speranza in comunione con tutta la Chiesa. Oso dire che la Speranza è ormai aare nostro. A chi ci chiede: «Dove trovate la vostra speranza?», abbia-mo imparato a guardare a Cristo e ri-spondere assieme a Lui: «Noi siamo la Speranza». Perciò, rimbocchiamo-ci le maniche, preghiamo, lavoriamo e facciamo comunione con tutti.Natale è alle porte. Sono circa 50 anni che il Libano vive in una crisi costante: una notte quasi continua con poche luci…Sembra quella di Natale. Ogni tenebra, ogni notte è propizia per celebrare l’amore inni-to del Signore della vita che nell’in-carnazione viene a condividere la nostra vita e salvarci. Se la soluzione può sembrare venire dalle azioni de-gli uomini, la salvezza è sicuramente e soltanto opera di Gesù Cristo. ndalle nostre paure e dalle ideologie dei partiti o gruppi che cercano di prenderlo in ostaggio. Perciò, abbiamo preso l’impegno dell’ado-razione eucaristica regolare nelle nostre chiese e cappelle secondo uno schema formativo comune. Un altro impegno, oltre al coordinamento delle nostre azioni e all’adorazione, è doppio: ricostruire il tessuto iden-titario libanese e lanciare un appello di sostegno alla Chiesa universale.Le nostre strutture accolgono più di 35.000 sfollati, cristiani, musulmani, libanesi e non. Abbiamo una specia-le attenzione per chi viene discrimi-nato, cioè gli stranieri migranti che lavorano nel nostro paese e che si trovano spesso in situazione irregola-re: Rebecca, una ragazza della Sierra Leone, faceva la domestica in un appartamento nel Sud del Libano. La famiglia che serviva è fuggita a Beirut e l’ha lasciata da sola a guardia della casa. Ad un certo punto anche lei è scappata. Non poteva più sopportare missili ed esplosioni. Ha Il dramma in LibanoAlcune delle iniziative di accoglienza e sostegno messe in atto dal Vicariato Apostolico di BeirutCesar ESSAYAN photo
68camminato tre giorni per raggiun-gere un luogo sicuro. Conosciamo molte altre storie che assomigliano a quella di Rebecca.Al di là di tutto, ci prepariamo ad essere Pellegrini di Speranza in comunione con tutta la Chiesa. Oso dire che la Speranza è ormai aare nostro. A chi ci chiede: «Dove trovate la vostra speranza?», abbia-mo imparato a guardare a Cristo e ri-spondere assieme a Lui: «Noi siamo la Speranza». Perciò, rimbocchiamo-ci le maniche, preghiamo, lavoriamo e facciamo comunione con tutti.Natale è alle porte. Sono circa 50 anni che il Libano vive in una crisi costante: una notte quasi continua con poche luci…Sembra quella di Natale. Ogni tenebra, ogni notte è propizia per celebrare l’amore inni-to del Signore della vita che nell’in-carnazione viene a condividere la nostra vita e salvarci. Se la soluzione può sembrare venire dalle azioni de-gli uomini, la salvezza è sicuramente e soltanto opera di Gesù Cristo. ndalle nostre paure e dalle ideologie dei partiti o gruppi che cercano di prenderlo in ostaggio. Perciò, abbiamo preso l’impegno dell’ado-razione eucaristica regolare nelle nostre chiese e cappelle secondo uno schema formativo comune. Un altro impegno, oltre al coordinamento delle nostre azioni e all’adorazione, è doppio: ricostruire il tessuto iden-titario libanese e lanciare un appello di sostegno alla Chiesa universale.Le nostre strutture accolgono più di 35.000 sfollati, cristiani, musulmani, libanesi e non. Abbiamo una specia-le attenzione per chi viene discrimi-nato, cioè gli stranieri migranti che lavorano nel nostro paese e che si trovano spesso in situazione irregola-re: Rebecca, una ragazza della Sierra Leone, faceva la domestica in un appartamento nel Sud del Libano. La famiglia che serviva è fuggita a Beirut e l’ha lasciata da sola a guardia della casa. Ad un certo punto anche lei è scappata. Non poteva più sopportare missili ed esplosioni. Ha Il dramma in LibanoAlcune delle iniziative di accoglienza e sostegno messe in atto dal Vicariato Apostolico di BeirutCesar ESSAYAN photo
70 71Interrompiamo il consueto per un cammino positivo‘‘Lo stadio Olimpico di Roma con migliaia di persone se-dute come se fosse stata una partita di calcio. Piazza San Pietro una marea colorata il giorno dopo. La prima edizione della Gior-nata Mondiale dei Bambini (a Roma il 25 e 26 maggio 2024) è stata un successo oltre ogni aspettativa. In at-tesa della seconda edizione, che Papa Francesco ha annunciato essere il 27 e 28 settembre 2026, abbiamo parlato con Aldo Cagnoli, attualmente Comandante di Airbus A 320 family, ideatore e organizzatore (con padre Enzo Fortunato) della Giornata. Dopo la prima Giornata Mondia-le dei Bambini del maggio 2024, l’appuntamento è al 2026. Cosa possiamo aspettarci?Come tutte le esperienze ed i lavori di alto cabotaggio, l’analisi più accurata, reale, va fatta a posteriori con calma e discernimento. È stato, al netto di alcune imperfezioni, un evento straordinario; grazie allo sfor-zo e alla passione di tutti: comitato organizzatore, volontari, sponsor. Un losofo contemporaneo deni-sce l’evento: «un qualcosa di scioc-cante, fuori dal coro, che compare all’improvviso e interrompe il usso consueto delle cose». Speriamo che questa interruzione del consueto, del “normale”, non sia solo tempo-ranea, ma che inneschi un processo, un cammino irreversibile e positivo come piace tanto a Sua Santità.Il Papa per la prossima edizione ha auspicato una maggiore internazio-nalizzazione dei partecipanti e un maggior coinvolgimento di donne nell’organizzazione: lavoriamo in queste direzioni.La magia, il segreto per realizzare tutto in quattro mesi scarsi di lavoro?Con convinzione, discernimento e un po’ di follia. In tre parole: Fede, Amo-re e Coraggio. Fede e Amore sono due sentimenti di attesa, sempre vincenti. Sono valori forti, rassicuranti e grani-tici, ma allo stesso tempo mansueti. La fede è legata alla speranza, alla mo-tivazione, al credere in modo estensi-vo in qualcosa. Senza la fede, neanche partiamo, non c’è inizio. L’amore è connaturato alla passione, quindi al desiderio, al pensiero, alla nostalgia. Curare le piante anché germoglino.Per il fare, scelgo senza esitazioni il Coraggio, che cela in sé il limite dell’imprevedibilità, non sappiamo se sarà vincente o no. Importante è stata anche la capacità di coinvolgere tutti facendoli sentire parte integran-te del progetto.L’ispirazione di tutta la GMB, è stata una sorta di pragmatismo etico, sullo stile del pragmatismo america-no di inizio Novecento, con James e Pierce. La capacità di valutare le conseguenze e la validità delle nostre idee, tenendo ben presente che il ne non giustica i mezzi.In questo modo padre Enzo Fortu-nato ed io stavamo già costruendo un cammino, un nuovo percorso. Se guardiamo a ciò che sta accadendo ai nostri adolescenti verichiamo con preoccupazione che i riferimenti at-tuali stanno cambiando rapidamente: non più la famiglia, la scuola, la par-rocchia: ma inuencer spesso improv-visati, tiktoker o youtuber che vogliate, che hanno migliaia, se non milioni di follower. In pochi si domandano se questi “nuovi profeti” dei nuovi media, non abbiano in realtà riempito un vuoto lasciato da noi adulti.Una parola, un argomento anche non supportato da nessuna veri-ca o addirittura palesemente falso diventa il verbo e raggiunge tutti con grande rapidità e questa è una cosa assolutamente nuova nella storia dell’umanità. È in essere un tenta-tivo di omologare culturalmente le nuove generazioni. Il vero pericolo è la perdita di individualità, di identità critica e di capacità di analisi.Non so se tutto ciò sia un prodotto di “laboratorio” o quanto semplice-mente conseguenza delle incalzanti dinamiche sociali e della ipervelocità che ormai le caratterizza; in ogni caso dare la parola ai bambini, mettendosi in ascolto e rendendoli protagonisti è sicuramente un antidoto contro la distruzione del loro pensiero critico.Sarà servita anche un po’ di follia…L’uomo è un mammifero abitudina-rio, non solo nelle azioni quotidiane, ma anche nel suo modo di pensare, giudicare e comprendere. Ogni pa-rola evoca per riesso nel suo spirito un’immagine sempre uguale. Se una parola acquista un nuovo senso ecco che il nostro intelletto è costretto a fare uno sforzo enorme, a rinnovare tutto ciò che è contenuto nei nostri piccoli cassetti cerebrali.Nella maggior parte dei casi non avrà il coraggio di fare volontariamente questa operazione e aspetterà che le nuove abitudini si insedino. Ecco perché alcuni cambiamenti sociali sono così lenti e dicili da attuare. C’è una conclamata resistenza al rea-le, una incrollabile pigrizia mentale.Fu così anche per il cinema. Pensia-mo al mondo del sonoro agli albori degli anni Trenta, inizialmente fu ignorato dai maggiori produttori, attori e registi dell’epoca.Era assimilabile ad una parola nuo-va, richiedeva sforzo e per il modo di pensare dell’epoca il cinema era un’arte visuale, legata ai soli occhi; il sonoro, il rumore era un elemento ignoto e nuovo. Non accettato.Ecco perché amo il coraggio dei «Valutiamo le conseguenze delle nostre idee», spiega Aldo Cagnoli, co-ideatore della GiornataFrancesco Bastianini, giornalistaLa folla per il PapaAlcuni momenti della Giornata Mondiale dei Bambini allo stadio Olimpico e in Piazza San Pietro, 25 - 26 maggio 2024Un seme di speranza per tuttiVERSO LA GMB 2026
70 71Interrompiamo il consueto per un cammino positivo‘‘Lo stadio Olimpico di Roma con migliaia di persone se-dute come se fosse stata una partita di calcio. Piazza San Pietro una marea colorata il giorno dopo. La prima edizione della Gior-nata Mondiale dei Bambini (a Roma il 25 e 26 maggio 2024) è stata un successo oltre ogni aspettativa. In at-tesa della seconda edizione, che Papa Francesco ha annunciato essere il 27 e 28 settembre 2026, abbiamo parlato con Aldo Cagnoli, attualmente Comandante di Airbus A 320 family, ideatore e organizzatore (con padre Enzo Fortunato) della Giornata. Dopo la prima Giornata Mondia-le dei Bambini del maggio 2024, l’appuntamento è al 2026. Cosa possiamo aspettarci?Come tutte le esperienze ed i lavori di alto cabotaggio, l’analisi più accurata, reale, va fatta a posteriori con calma e discernimento. È stato, al netto di alcune imperfezioni, un evento straordinario; grazie allo sfor-zo e alla passione di tutti: comitato organizzatore, volontari, sponsor. Un losofo contemporaneo deni-sce l’evento: «un qualcosa di scioc-cante, fuori dal coro, che compare all’improvviso e interrompe il usso consueto delle cose». Speriamo che questa interruzione del consueto, del “normale”, non sia solo tempo-ranea, ma che inneschi un processo, un cammino irreversibile e positivo come piace tanto a Sua Santità.Il Papa per la prossima edizione ha auspicato una maggiore internazio-nalizzazione dei partecipanti e un maggior coinvolgimento di donne nell’organizzazione: lavoriamo in queste direzioni.La magia, il segreto per realizzare tutto in quattro mesi scarsi di lavoro?Con convinzione, discernimento e un po’ di follia. In tre parole: Fede, Amo-re e Coraggio. Fede e Amore sono due sentimenti di attesa, sempre vincenti. Sono valori forti, rassicuranti e grani-tici, ma allo stesso tempo mansueti. La fede è legata alla speranza, alla mo-tivazione, al credere in modo estensi-vo in qualcosa. Senza la fede, neanche partiamo, non c’è inizio. L’amore è connaturato alla passione, quindi al desiderio, al pensiero, alla nostalgia. Curare le piante anché germoglino.Per il fare, scelgo senza esitazioni il Coraggio, che cela in sé il limite dell’imprevedibilità, non sappiamo se sarà vincente o no. Importante è stata anche la capacità di coinvolgere tutti facendoli sentire parte integran-te del progetto.L’ispirazione di tutta la GMB, è stata una sorta di pragmatismo etico, sullo stile del pragmatismo america-no di inizio Novecento, con James e Pierce. La capacità di valutare le conseguenze e la validità delle nostre idee, tenendo ben presente che il ne non giustica i mezzi.In questo modo padre Enzo Fortu-nato ed io stavamo già costruendo un cammino, un nuovo percorso. Se guardiamo a ciò che sta accadendo ai nostri adolescenti verichiamo con preoccupazione che i riferimenti at-tuali stanno cambiando rapidamente: non più la famiglia, la scuola, la par-rocchia: ma inuencer spesso improv-visati, tiktoker o youtuber che vogliate, che hanno migliaia, se non milioni di follower. In pochi si domandano se questi “nuovi profeti” dei nuovi media, non abbiano in realtà riempito un vuoto lasciato da noi adulti.Una parola, un argomento anche non supportato da nessuna veri-ca o addirittura palesemente falso diventa il verbo e raggiunge tutti con grande rapidità e questa è una cosa assolutamente nuova nella storia dell’umanità. È in essere un tenta-tivo di omologare culturalmente le nuove generazioni. Il vero pericolo è la perdita di individualità, di identità critica e di capacità di analisi.Non so se tutto ciò sia un prodotto di “laboratorio” o quanto semplice-mente conseguenza delle incalzanti dinamiche sociali e della ipervelocità che ormai le caratterizza; in ogni caso dare la parola ai bambini, mettendosi in ascolto e rendendoli protagonisti è sicuramente un antidoto contro la distruzione del loro pensiero critico.Sarà servita anche un po’ di follia…L’uomo è un mammifero abitudina-rio, non solo nelle azioni quotidiane, ma anche nel suo modo di pensare, giudicare e comprendere. Ogni pa-rola evoca per riesso nel suo spirito un’immagine sempre uguale. Se una parola acquista un nuovo senso ecco che il nostro intelletto è costretto a fare uno sforzo enorme, a rinnovare tutto ciò che è contenuto nei nostri piccoli cassetti cerebrali.Nella maggior parte dei casi non avrà il coraggio di fare volontariamente questa operazione e aspetterà che le nuove abitudini si insedino. Ecco perché alcuni cambiamenti sociali sono così lenti e dicili da attuare. C’è una conclamata resistenza al rea-le, una incrollabile pigrizia mentale.Fu così anche per il cinema. Pensia-mo al mondo del sonoro agli albori degli anni Trenta, inizialmente fu ignorato dai maggiori produttori, attori e registi dell’epoca.Era assimilabile ad una parola nuo-va, richiedeva sforzo e per il modo di pensare dell’epoca il cinema era un’arte visuale, legata ai soli occhi; il sonoro, il rumore era un elemento ignoto e nuovo. Non accettato.Ecco perché amo il coraggio dei «Valutiamo le conseguenze delle nostre idee», spiega Aldo Cagnoli, co-ideatore della GiornataFrancesco Bastianini, giornalistaLa folla per il PapaAlcuni momenti della Giornata Mondiale dei Bambini allo stadio Olimpico e in Piazza San Pietro, 25 - 26 maggio 2024Un seme di speranza per tuttiVERSO LA GMB 2026
72 73visionari, di chi riesce a superare rapidamente le proprie cattive o obsolete abitudini.Il coraggio di tutte le persone con le quali ho lavorato alacremente per costruire la giornata mondiale dei bam-bini, che hanno creduto fortemente nel paradigma: impariamo dai bambini – rieduchiamo il mondo degli adulti.C’è stato anche un cortometrag-gio girato con i Manetti Bros.Il cinema è uno strumento di bellezza e di armonia molto potente e concre-to, in grado di lasciare il segno più di tante parole, per la forza delle imma-gini e per il suo potere di trasmissione “orizzontale”, che si dirama in tutte le direzioni. Forte di questa convinzio-ne, ho pensato fosse necessario fare uno sforzo ulteriore e lasciare il segno anche in questo campo nuovo per noi ma aascinante, come il cinema, per dare ancora più senso al nostro ciclopico lavoro sulla GMB. Quali i temi più importanti della prossima edizione?Proseguiamo sull’ascolto dei bam-bini, sull’ecologia e sulla fraternità. Lavoreremo con forza anche sulla denuncia dello sfruttamento del lavoro minorile ad ogni livello. Sul sentiero del fare, della concretezza, ci proporremo come volano per stimolare le organizzazioni interna-zionali ed i governi dei paesi poveri più coinvolti ad implementare le leggi contro lo sfruttamento dei minori.Ci saranno tappe di avvicinamento?Dopo il coinvolgimento delle diocesi di tutto il mondo, stiamo provan-do a organizzare un incontro di riessione con i leader mondiali per l’inverno 2025. Presenteremo uno spaccato sulla situazione dei bambini nel mondo e la domanda sarà, quale futuro e quale pianeta vogliamo lasciare in eredità.Perché è bello che i bambini si riuniscono da tutto il mondo per incontrare il Papa?La Chiesa ha il suo centro spirituale a Roma, ma Roma e tutto l’occiden-te non sono il centro assoluto del mondo. Abbiamo tanto da imparare da culture diverse dalle nostre, da quelle che il Santo Padre chiama pe-riferie del mondo. L’incontro fa bene al Papa, ai bambini e fa riettere gli adulti. Un seme di speranza per tutti.Cosa sogna per i bambini di tut-to il mondo ?Mi viene in mente una storia che mi ha raccontato una mia cara amica, una giornalista italiana che vive in Argentina. Lei bambina durante la Seconda guerra mondiale, sentiva spesso ripetere la parola pace ed un giorno chiese a sua madre: «Mam-ma che cos’è la pace?».Immagino un mondo futuro, dove una bambina, al contrario, si avvicina alla mamma e le domanda: «Mamma mi racconti cos’era la guerra?». n‘‘«Mamma mi racconti cos’era la guerra?»: questa è la domanda che vorrei sentireVERSO LA GMB 2026
72 73visionari, di chi riesce a superare rapidamente le proprie cattive o obsolete abitudini.Il coraggio di tutte le persone con le quali ho lavorato alacremente per costruire la giornata mondiale dei bam-bini, che hanno creduto fortemente nel paradigma: impariamo dai bambini – rieduchiamo il mondo degli adulti.C’è stato anche un cortometrag-gio girato con i Manetti Bros.Il cinema è uno strumento di bellezza e di armonia molto potente e concre-to, in grado di lasciare il segno più di tante parole, per la forza delle imma-gini e per il suo potere di trasmissione “orizzontale”, che si dirama in tutte le direzioni. Forte di questa convinzio-ne, ho pensato fosse necessario fare uno sforzo ulteriore e lasciare il segno anche in questo campo nuovo per noi ma aascinante, come il cinema, per dare ancora più senso al nostro ciclopico lavoro sulla GMB. Quali i temi più importanti della prossima edizione?Proseguiamo sull’ascolto dei bam-bini, sull’ecologia e sulla fraternità. Lavoreremo con forza anche sulla denuncia dello sfruttamento del lavoro minorile ad ogni livello. Sul sentiero del fare, della concretezza, ci proporremo come volano per stimolare le organizzazioni interna-zionali ed i governi dei paesi poveri più coinvolti ad implementare le leggi contro lo sfruttamento dei minori.Ci saranno tappe di avvicinamento?Dopo il coinvolgimento delle diocesi di tutto il mondo, stiamo provan-do a organizzare un incontro di riessione con i leader mondiali per l’inverno 2025. Presenteremo uno spaccato sulla situazione dei bambini nel mondo e la domanda sarà, quale futuro e quale pianeta vogliamo lasciare in eredità.Perché è bello che i bambini si riuniscono da tutto il mondo per incontrare il Papa?La Chiesa ha il suo centro spirituale a Roma, ma Roma e tutto l’occiden-te non sono il centro assoluto del mondo. Abbiamo tanto da imparare da culture diverse dalle nostre, da quelle che il Santo Padre chiama pe-riferie del mondo. L’incontro fa bene al Papa, ai bambini e fa riettere gli adulti. Un seme di speranza per tutti.Cosa sogna per i bambini di tut-to il mondo ?Mi viene in mente una storia che mi ha raccontato una mia cara amica, una giornalista italiana che vive in Argentina. Lei bambina durante la Seconda guerra mondiale, sentiva spesso ripetere la parola pace ed un giorno chiese a sua madre: «Mam-ma che cos’è la pace?».Immagino un mondo futuro, dove una bambina, al contrario, si avvicina alla mamma e le domanda: «Mamma mi racconti cos’era la guerra?». n‘‘«Mamma mi racconti cos’era la guerra?»: questa è la domanda che vorrei sentireVERSO LA GMB 2026
74 75Se vi capita in basilica di vedere un frate correre verso il battistero, vestito del suo saio bigio con una cotta e una grande stola che gli penzola da un lato, state certi che vi siete imbat-tuti nel parroco di San Pietro. Al fonte della Basilica tradizione e fede si incontrano e numerosi romani ancora, in segno di devozione verso l’apostolo Pietro e di aetto al Santo Padre, tengono qui i loro pargoli a battesimo. A nessuno si nega l’accesso al Sacra-mento, quello che ci fa entrare nella Chiesa con il titolo di “glio”. Le suore dell’Ucio Parrocchiale di San Pietro rispondono generosamente a mail o a richieste fatte direttamente al loro sportello, sempre aollato di coppie con carrozzine e neonati provenienti da ogni parte. Pochi do-cumenti necessari e si trova una data utile per favorire la partecipazione di familiari ed amici. Per me battezzare a San Pietro è un’occasione per catechizzare soprattutto i presenti leggendo nel meraviglioso repertorio icono-graco a disposizione. Così che le persone seguono parte della celebra-zione con il naso all’insù guardando la ragurazione dei continenti nei pennacchi della cupola: l’Africa ragurata da una donna con la pelle scura seduta su un elefantino; le Americhe sono una donna piena di magniche piume; l’Asia che reca in mano un turibolo con l’incenso e l’Europa dai capelli biondi. Man-ca il Nuovo Mondo, l’Oceania… talmente nuovo da non comparire in questi mosaici del XVIII seco-lo. Dunque non importa da dove vieni, quale lingua parli né quale sia il colore della tua pelle, quale sia la tua condizione sociale o economica o il tuo sesso, la tua etnia o il tuo grado di istruzione, con il Battesi-mo non c’è alcun impedimento per entrare a far parte della Chiesa che è il Corpo del Signore. Nella Chiesa cattolica - cioè universale - non ci sono barriere di sorta. Neanche la morte costituisce una barriera perché si invocano i santi che sono tutti morti ma viventi in Cristo: la Basilica è infatti tutta costellata di statue di santi. Mi piace far notare ai presenti che non esiste al mondo una realtà che si possa paragonare al mistero della Chiesa in cui vive e si annuncia il Regno di Dio inaugura-to da Gesù. In alto, nelle lunette centrali, è ra-gurato Gesù che battezza san Pietro. È un’immagine davvero insolita! Accanto Papa Silvestro battezza Co-stantino. È evidente il riferimento a Gesù come origine e fondamento di tutti i sacramenti. Allo stesso tempo è indicata la missione di santicare i credenti per mezzo dei segni sacramentali a Pietro, primo tra gli apostoli, e ai suoi successori: Papa Silvestro. Ascendendo al cielo Gesù aveva detto: fate discepole tutte le genti e battezzatele. Mi sarete testimoni no agli estremi conni della terra. Battezzare Costantino, il primo imperatore romano cristiano, è il compimento di questa parola di Gesù. Dall’umile Galilea no a Roma, da Roma al mondo.Ed il mondo viene al fonte di San Pietro, ricavato nel coperchio della grande urna di pordo che racchiuse le ceneri dell’imperatore Adriano, il graeculus. La Basilica di San Pietro e Castel Sant’Angelo sono una di fronte all’altro. Pochi ricordano che il Castello è il grande Mausoleo di Adriano dove furono deposte le sue ceneri. L’Urbe risorta nell’Umanesi-mo e nel Rinascimento, la Città che milioni di persone vengono a visitare non risplende più della gloria dei Cesari ma della gloria degli apostoli Pietro e Paolo, fondatori della Chie-sa di Roma. La celebrazione del rito del battesi-mo prevede delle interrogazioni ai genitori, ai padrini e alle madrine, prima di fare la professione di fede e portare al fonte i bambini. Si invita a rinunciare al peccato per vivere nella libertà dei gli di Dio, per non essere dominati dal peccato, di rinunciare a Satana che è origine di ogni peccato. Tra il popolo si dice “peccato” ogni volta che ci sia uno spreco, qualcosa che non vada a segno. Trovo che sia una bellissima sintesi! La vita di ciascuno deve andare a segno e il bersaglio è una vita piena e felice. Ma perché questo sia possibile è neces-sario che chi si prende cura di questi bambini insegni bene dove orientare le scelte, quali valori fondamentali debbano accompagnare la loro vita. Dopo essere stati battezzati i bam-bini sono unti con il crisma sulla fronte, un olio misto a balsamo profumato che è segno dello Spirito Santo, della consacrazione battesi-male che hanno ricevuto divenendo gli nel Figlio. E come il Figlio eredi-tano un carattere sacerdotale, regale e profetico. Questi sono i regali che il Padre fa a tutti i rinati nel Batte-simo. I segni esplicativi sono pieni di signicato: viene consegnata una veste bianca e una candela, accesa al cero pasquale simbolo di Cristo risorto: è la luce della fede con cui ogni cristiano deve vivere da illumi-nato. Rivestiti di Cristo e illuminati dalla sua luce immortale aronta-no il cammino della vita, istruiti e accompagnati dai loro cari impare-ranno a scegliere il bene e a riutare il male, a riconoscere la voce del Maestro interiore e ad essere guidati dallo Spirito Santo, vivranno da gli e non da servi il loro rapporto con il Padre, nella Chiesa. Con la preghiera dei gli, il Padre nostro, si conclude il rito. Ma a San Pietro non mi faccio sfuggire una possibilità straordinaria: faccio girare tutti verso la Pietà di Michelange-lo. Perché noi diventassimo gli, il Figlio si è fatto nostro fratello per mezzo di Maria. Ed è lei che ce lo mostra, assorta, mentre contempla il suo bambino già dato per noi. È il meraviglioso scambio di cui parla Papa san Leone Magno: il Verbo ha assunto la nostra umanità e, in cam-bio, la natura umana è stata elevata alla dignità divina. Ed è a Lei, alla Vergine Maria, che con un’ultima preghiera adiamo questi bambini appena battezzati perché vada a bersaglio la vita di grazia ricevuta al fonte, a Lei che in San Pietro vene-riamo particolarmente sotto il titolo di Madre della Chiesa. Fede e incontro tra il mondo e la ChiesaAgnello Stoia OFMConv, parroco della Basilica Papale di San PietroIl Battesimo, inizio di una vita nuova in Cristo, aperta a tutti FOCUSLa Pietà di Michelangelo racconta come il Figlio si è fatto nostro fratello per mezzo di Maria‘‘Battistero della Basilica di San PietroIl Fonte battesimale composto da una conca di pordo rosso che, secondo la tradizione, proveniva dalla tomba dell’imperatore Adriano
74 75Se vi capita in basilica di vedere un frate correre verso il battistero, vestito del suo saio bigio con una cotta e una grande stola che gli penzola da un lato, state certi che vi siete imbat-tuti nel parroco di San Pietro. Al fonte della Basilica tradizione e fede si incontrano e numerosi romani ancora, in segno di devozione verso l’apostolo Pietro e di aetto al Santo Padre, tengono qui i loro pargoli a battesimo. A nessuno si nega l’accesso al Sacra-mento, quello che ci fa entrare nella Chiesa con il titolo di “glio”. Le suore dell’Ucio Parrocchiale di San Pietro rispondono generosamente a mail o a richieste fatte direttamente al loro sportello, sempre aollato di coppie con carrozzine e neonati provenienti da ogni parte. Pochi do-cumenti necessari e si trova una data utile per favorire la partecipazione di familiari ed amici. Per me battezzare a San Pietro è un’occasione per catechizzare soprattutto i presenti leggendo nel meraviglioso repertorio icono-graco a disposizione. Così che le persone seguono parte della celebra-zione con il naso all’insù guardando la ragurazione dei continenti nei pennacchi della cupola: l’Africa ragurata da una donna con la pelle scura seduta su un elefantino; le Americhe sono una donna piena di magniche piume; l’Asia che reca in mano un turibolo con l’incenso e l’Europa dai capelli biondi. Man-ca il Nuovo Mondo, l’Oceania… talmente nuovo da non comparire in questi mosaici del XVIII seco-lo. Dunque non importa da dove vieni, quale lingua parli né quale sia il colore della tua pelle, quale sia la tua condizione sociale o economica o il tuo sesso, la tua etnia o il tuo grado di istruzione, con il Battesi-mo non c’è alcun impedimento per entrare a far parte della Chiesa che è il Corpo del Signore. Nella Chiesa cattolica - cioè universale - non ci sono barriere di sorta. Neanche la morte costituisce una barriera perché si invocano i santi che sono tutti morti ma viventi in Cristo: la Basilica è infatti tutta costellata di statue di santi. Mi piace far notare ai presenti che non esiste al mondo una realtà che si possa paragonare al mistero della Chiesa in cui vive e si annuncia il Regno di Dio inaugura-to da Gesù. In alto, nelle lunette centrali, è ra-gurato Gesù che battezza san Pietro. È un’immagine davvero insolita! Accanto Papa Silvestro battezza Co-stantino. È evidente il riferimento a Gesù come origine e fondamento di tutti i sacramenti. Allo stesso tempo è indicata la missione di santicare i credenti per mezzo dei segni sacramentali a Pietro, primo tra gli apostoli, e ai suoi successori: Papa Silvestro. Ascendendo al cielo Gesù aveva detto: fate discepole tutte le genti e battezzatele. Mi sarete testimoni no agli estremi conni della terra. Battezzare Costantino, il primo imperatore romano cristiano, è il compimento di questa parola di Gesù. Dall’umile Galilea no a Roma, da Roma al mondo.Ed il mondo viene al fonte di San Pietro, ricavato nel coperchio della grande urna di pordo che racchiuse le ceneri dell’imperatore Adriano, il graeculus. La Basilica di San Pietro e Castel Sant’Angelo sono una di fronte all’altro. Pochi ricordano che il Castello è il grande Mausoleo di Adriano dove furono deposte le sue ceneri. L’Urbe risorta nell’Umanesi-mo e nel Rinascimento, la Città che milioni di persone vengono a visitare non risplende più della gloria dei Cesari ma della gloria degli apostoli Pietro e Paolo, fondatori della Chie-sa di Roma. La celebrazione del rito del battesi-mo prevede delle interrogazioni ai genitori, ai padrini e alle madrine, prima di fare la professione di fede e portare al fonte i bambini. Si invita a rinunciare al peccato per vivere nella libertà dei gli di Dio, per non essere dominati dal peccato, di rinunciare a Satana che è origine di ogni peccato. Tra il popolo si dice “peccato” ogni volta che ci sia uno spreco, qualcosa che non vada a segno. Trovo che sia una bellissima sintesi! La vita di ciascuno deve andare a segno e il bersaglio è una vita piena e felice. Ma perché questo sia possibile è neces-sario che chi si prende cura di questi bambini insegni bene dove orientare le scelte, quali valori fondamentali debbano accompagnare la loro vita. Dopo essere stati battezzati i bam-bini sono unti con il crisma sulla fronte, un olio misto a balsamo profumato che è segno dello Spirito Santo, della consacrazione battesi-male che hanno ricevuto divenendo gli nel Figlio. E come il Figlio eredi-tano un carattere sacerdotale, regale e profetico. Questi sono i regali che il Padre fa a tutti i rinati nel Batte-simo. I segni esplicativi sono pieni di signicato: viene consegnata una veste bianca e una candela, accesa al cero pasquale simbolo di Cristo risorto: è la luce della fede con cui ogni cristiano deve vivere da illumi-nato. Rivestiti di Cristo e illuminati dalla sua luce immortale aronta-no il cammino della vita, istruiti e accompagnati dai loro cari impare-ranno a scegliere il bene e a riutare il male, a riconoscere la voce del Maestro interiore e ad essere guidati dallo Spirito Santo, vivranno da gli e non da servi il loro rapporto con il Padre, nella Chiesa. Con la preghiera dei gli, il Padre nostro, si conclude il rito. Ma a San Pietro non mi faccio sfuggire una possibilità straordinaria: faccio girare tutti verso la Pietà di Michelange-lo. Perché noi diventassimo gli, il Figlio si è fatto nostro fratello per mezzo di Maria. Ed è lei che ce lo mostra, assorta, mentre contempla il suo bambino già dato per noi. È il meraviglioso scambio di cui parla Papa san Leone Magno: il Verbo ha assunto la nostra umanità e, in cam-bio, la natura umana è stata elevata alla dignità divina. Ed è a Lei, alla Vergine Maria, che con un’ultima preghiera adiamo questi bambini appena battezzati perché vada a bersaglio la vita di grazia ricevuta al fonte, a Lei che in San Pietro vene-riamo particolarmente sotto il titolo di Madre della Chiesa. Fede e incontro tra il mondo e la ChiesaAgnello Stoia OFMConv, parroco della Basilica Papale di San PietroIl Battesimo, inizio di una vita nuova in Cristo, aperta a tutti FOCUSLa Pietà di Michelangelo racconta come il Figlio si è fatto nostro fratello per mezzo di Maria‘‘Battistero della Basilica di San PietroIl Fonte battesimale composto da una conca di pordo rosso che, secondo la tradizione, proveniva dalla tomba dell’imperatore Adriano
76 77Santo Padre,sono una nonna di tre nipotini, il loro arrivo è stato un grande dono che ha portato tanta gioia a noi nonni e alle nostre due glie. L’ultima nipotina di 5 anni, molto aettuosa e vivace, non è stata battezzata perché i genitori, sposati civilmente, si sono allontanati dal Signore durante il loro periodo adolescenziale. Tuttora non è presente in loro il desiderio di ricercarlo e render-lo presente nella loro vita.Tutto ciò è fonte di grande soerenza per me perché so quanto importante è avere il Signore al nostro anco, pregarlo, ascoltarlo e accogliere il suo amore.Immagino la mia nipotina senza questo grande dono, senza il Sacramento del Battesimo, lei così curiosa di conoscere la storia di Gesù con tante sue domande.Cosa penserà Gesù di tutto ciò? Continuerò a pregare perché ci aiuti ad aprire il cuore dei suoi genitori, e possa aancare la mia nipotina nelle prove della vita, essere suo amico e compagno di viaggio.Mi rivolgo a Lei Santo Padre per avere conforto e consi-glio, duciosa che il Signore ci indicherà la giusta strada da percorrere per aiutare la nostra nipotina.Con Fede, Oliva da Bergamo Cara Oliva, capisco la Vostra soerenza e Vi sono vicino. Il Battesimo è un grande dono che possiamo fare ai più piccoli, perché è il primo dei sacramenti, è la porta che permette a Cristo Signore e allo Spirito Santo di abitare, di prendere dimora, nella nostra persona. Io stesso ho battezzato molti bambini in questi anni a San Pietro, negli ospe-dali, ed è sempre una gioia grande.Se i genitori si sono allontanati dalla fede, non biso-gna perdere la ducia. La preghiera può fare tanto. Fa miracoli. Pregate con più fede. Pensate a santa Monica e alle sue preghiere incessanti per la conversio-ne del glio Agostino, poi diventato un santo vescovo. Con la preghiera, amate con la speranza della resur-rezione. L’amore autentico e disinteressato crea legami forti, che possono essere sorprendenti.Alcuni pensano: ma perché battezzare un bambino che non capisce? Quando sarà adulto sarà lui a decidere. Ebbi modo di rispondere a questa domanda, ma vo-lentieri la riprendo. Mi dà l’opportunità di invitare i genitori a donare qualcosa di straordinario ai bambi-ni, di bello, di buono: sentirsi gli di Dio, che è Padre e che ci accompagnerà sempre nella vita. Non pensate troppo alle feste mondane, perché questo è uno dei motivi che a volte porta tanti ad allontanarsi dalla fede. Vivete insieme, in parrocchia, con gli altri questa attesa. Vivetela nella semplicità. Battezzare un bambino signica aver ducia nel Signore, nello Spirito Santo, perché quando noi battez-ziamo un bambino, in quel bambino entra lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo fa crescere in quel bambino, da bambino, delle virtù cristiane che poi oriranno. Ma il Battesimo non si può comunque imporre a ge-nitori che non lo vogliono per i propri gli. Voi nonni, tuttavia, con il vostro esempio, potete aprire tanti cuori che sembrano chiusi. Portate avanti il dialogo sempre, mi raccomando sempre, con speranza, con mitezza e con carità. Accompagnate i vostri gli, parlate con loro, ma senza insistere con la proposta del Battesimo. L’amore gratuito è più persuasivo di tante parole. L’a-more di Dio semina futuro, amicizia, ricerca di Lui, e i tempi noi non li conosciamo. La preghiera vi aiuterà certamente. Vedrete. Coraggio, avanti insieme e non vi dimenticate di pregare per me.Risponde FrancescoQUALE FUTURO PER I GIOVANI?Carissimo Padre Enzo,sono Annarita, ci siamo conosciuti n dalle prime dirette Facebook 4 anni fa e poi ad Assisi e a Tren-to insieme alla mia famiglia dove Damiano, il cuoco contadino, e la sorella Margherita ti hanno portato una lettera in cui esprimevano la loro forte eco-ansia.Tutti i giorni devo consolare questi gli che vivono questo momento sociale molto dicile. Damiano dice che i giovani non hanno un futuro per diversi motivi ma soprattutto, lui che fa il contadino, non riesce a capire perché è così lento il cambia-mento che porta ad inquinare di meno. Gli scienziati parlano chiaro, ma il potere delle produzioni è più forte e tutto volge ad un futuro dove ci vedrà tutti ammalati.Annarita da San Protaso (PC)Carissima Annarita,il cuore si rattrista nel sentire quan-to i giovani, e in particolare Damia-no, siano preoccupati per un futuro che sembra sempre più segnato da incertezze e dalla crescente degra-dazione della nostra casa comune. Il mondo in cui viviamo è davvero a rischio, e il cambiamento che vediamo in atto è troppo lento per dare una vera speranza a chi, come i giovani, si fa carico delle soerenze del pianeta. Proprio nell’ultima Cop29, il Segretario Generale dell’ONU, An-tonio Guterres, ha esortato i leader mondiali ad ascoltare il “ticchettìo dell’orologio” perché siamo arriva-ti al punto del conto alla rovescia nale.Tuttavia, nel cuore della nostra fede cristiana, c’è una verità che non possiamo dimenticare: Dio è sempre all’opera, anche nelle dicoltà più grandi. Papa Francesco, nella risposta alla lettera di questo primo numero della Rivista, ci invita a non perdere la ducia e a pregare perché la preghiera può fare tanto. Fa miracoli.Auguro ogni bene a te, Damiano e Margherita!SPERO CHE QUESTA RIVISTA MI AIUTIBuongiorno, ho appreso dalla TV che uscirà la Rivista e che su richie-sta viene inviata a titolo gratuito. Sono un padre di famiglia che 5 mesi fa ha perso il lavoro. Sto trovando tanta dicoltà a ritrovarlo. Rice-verla e leggerla mi farà piacere e mi darà più forza per arontare i miei problemi.Grazie Papa Francesco!Luigi da MateraCaro Luigi,innanzitutto, ti esprimo la mia vici-nanza e la mia preghiera in questo momento di dicoltà. Il lavoro, per uomini e donne, è una parte fon-damentale della propria dignità. Comprendo che questo periodo che stai arontando rappresenta una grande prova. Tuttavia, come cristiani, sappiamo che anche nelle dicoltà possiamo trovare forza in Dio. La nostra fede ci invita a non disperare, ma a condare nella Provvidenza.Ti consiglio di parlarne anche con il tuo Parroco, sono certo che saprà starti accanto in questo periodo dicile. La tua lettera mi dà l’occasione di sottolinearlo ancora una volta: chi de-sidera questa Rivista gratuitamente, può chiedercelo attraverso gli appositi canali. Siamo sempre con te nella preghiera, non sei solo.Scrivi la tua lettera a lettere@piazzasanpietro.vaPer abbonarti scrivi a: abbonamenti@piazzasanpietro.vaDIALOGO CON I LETTORIDialogo con i lettori
76 77Santo Padre,sono una nonna di tre nipotini, il loro arrivo è stato un grande dono che ha portato tanta gioia a noi nonni e alle nostre due glie. L’ultima nipotina di 5 anni, molto aettuosa e vivace, non è stata battezzata perché i genitori, sposati civilmente, si sono allontanati dal Signore durante il loro periodo adolescenziale. Tuttora non è presente in loro il desiderio di ricercarlo e render-lo presente nella loro vita.Tutto ciò è fonte di grande soerenza per me perché so quanto importante è avere il Signore al nostro anco, pregarlo, ascoltarlo e accogliere il suo amore.Immagino la mia nipotina senza questo grande dono, senza il Sacramento del Battesimo, lei così curiosa di conoscere la storia di Gesù con tante sue domande.Cosa penserà Gesù di tutto ciò? Continuerò a pregare perché ci aiuti ad aprire il cuore dei suoi genitori, e possa aancare la mia nipotina nelle prove della vita, essere suo amico e compagno di viaggio.Mi rivolgo a Lei Santo Padre per avere conforto e consi-glio, duciosa che il Signore ci indicherà la giusta strada da percorrere per aiutare la nostra nipotina.Con Fede, Oliva da Bergamo Cara Oliva, capisco la Vostra soerenza e Vi sono vicino. Il Battesimo è un grande dono che possiamo fare ai più piccoli, perché è il primo dei sacramenti, è la porta che permette a Cristo Signore e allo Spirito Santo di abitare, di prendere dimora, nella nostra persona. Io stesso ho battezzato molti bambini in questi anni a San Pietro, negli ospe-dali, ed è sempre una gioia grande.Se i genitori si sono allontanati dalla fede, non biso-gna perdere la ducia. La preghiera può fare tanto. Fa miracoli. Pregate con più fede. Pensate a santa Monica e alle sue preghiere incessanti per la conversio-ne del glio Agostino, poi diventato un santo vescovo. Con la preghiera, amate con la speranza della resur-rezione. L’amore autentico e disinteressato crea legami forti, che possono essere sorprendenti.Alcuni pensano: ma perché battezzare un bambino che non capisce? Quando sarà adulto sarà lui a decidere. Ebbi modo di rispondere a questa domanda, ma vo-lentieri la riprendo. Mi dà l’opportunità di invitare i genitori a donare qualcosa di straordinario ai bambi-ni, di bello, di buono: sentirsi gli di Dio, che è Padre e che ci accompagnerà sempre nella vita. Non pensate troppo alle feste mondane, perché questo è uno dei motivi che a volte porta tanti ad allontanarsi dalla fede. Vivete insieme, in parrocchia, con gli altri questa attesa. Vivetela nella semplicità. Battezzare un bambino signica aver ducia nel Signore, nello Spirito Santo, perché quando noi battez-ziamo un bambino, in quel bambino entra lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo fa crescere in quel bambino, da bambino, delle virtù cristiane che poi oriranno. Ma il Battesimo non si può comunque imporre a ge-nitori che non lo vogliono per i propri gli. Voi nonni, tuttavia, con il vostro esempio, potete aprire tanti cuori che sembrano chiusi. Portate avanti il dialogo sempre, mi raccomando sempre, con speranza, con mitezza e con carità. Accompagnate i vostri gli, parlate con loro, ma senza insistere con la proposta del Battesimo. L’amore gratuito è più persuasivo di tante parole. L’a-more di Dio semina futuro, amicizia, ricerca di Lui, e i tempi noi non li conosciamo. La preghiera vi aiuterà certamente. Vedrete. Coraggio, avanti insieme e non vi dimenticate di pregare per me.Risponde FrancescoQUALE FUTURO PER I GIOVANI?Carissimo Padre Enzo,sono Annarita, ci siamo conosciuti n dalle prime dirette Facebook 4 anni fa e poi ad Assisi e a Tren-to insieme alla mia famiglia dove Damiano, il cuoco contadino, e la sorella Margherita ti hanno portato una lettera in cui esprimevano la loro forte eco-ansia.Tutti i giorni devo consolare questi gli che vivono questo momento sociale molto dicile. Damiano dice che i giovani non hanno un futuro per diversi motivi ma soprattutto, lui che fa il contadino, non riesce a capire perché è così lento il cambia-mento che porta ad inquinare di meno. Gli scienziati parlano chiaro, ma il potere delle produzioni è più forte e tutto volge ad un futuro dove ci vedrà tutti ammalati.Annarita da San Protaso (PC)Carissima Annarita,il cuore si rattrista nel sentire quan-to i giovani, e in particolare Damia-no, siano preoccupati per un futuro che sembra sempre più segnato da incertezze e dalla crescente degra-dazione della nostra casa comune. Il mondo in cui viviamo è davvero a rischio, e il cambiamento che vediamo in atto è troppo lento per dare una vera speranza a chi, come i giovani, si fa carico delle soerenze del pianeta. Proprio nell’ultima Cop29, il Segretario Generale dell’ONU, An-tonio Guterres, ha esortato i leader mondiali ad ascoltare il “ticchettìo dell’orologio” perché siamo arriva-ti al punto del conto alla rovescia nale.Tuttavia, nel cuore della nostra fede cristiana, c’è una verità che non possiamo dimenticare: Dio è sempre all’opera, anche nelle dicoltà più grandi. Papa Francesco, nella risposta alla lettera di questo primo numero della Rivista, ci invita a non perdere la ducia e a pregare perché la preghiera può fare tanto. Fa miracoli.Auguro ogni bene a te, Damiano e Margherita!SPERO CHE QUESTA RIVISTA MI AIUTIBuongiorno, ho appreso dalla TV che uscirà la Rivista e che su richie-sta viene inviata a titolo gratuito. Sono un padre di famiglia che 5 mesi fa ha perso il lavoro. Sto trovando tanta dicoltà a ritrovarlo. Rice-verla e leggerla mi farà piacere e mi darà più forza per arontare i miei problemi.Grazie Papa Francesco!Luigi da MateraCaro Luigi,innanzitutto, ti esprimo la mia vici-nanza e la mia preghiera in questo momento di dicoltà. Il lavoro, per uomini e donne, è una parte fon-damentale della propria dignità. Comprendo che questo periodo che stai arontando rappresenta una grande prova. Tuttavia, come cristiani, sappiamo che anche nelle dicoltà possiamo trovare forza in Dio. La nostra fede ci invita a non disperare, ma a condare nella Provvidenza.Ti consiglio di parlarne anche con il tuo Parroco, sono certo che saprà starti accanto in questo periodo dicile. La tua lettera mi dà l’occasione di sottolinearlo ancora una volta: chi de-sidera questa Rivista gratuitamente, può chiedercelo attraverso gli appositi canali. Siamo sempre con te nella preghiera, non sei solo.Scrivi la tua lettera a lettere@piazzasanpietro.vaPer abbonarti scrivi a: abbonamenti@piazzasanpietro.vaDIALOGO CON I LETTORIDialogo con i lettori
78INSIEME LA CROCE È PIÙ LEGGERACaro padre Enzo, ad ottobre abbia-mo festeggiato 41 anni di matrimo-nio. Abbiamo due splendidi gli, una nipotina e un altro in arrivo per Natale. Certo non è stata una passeggiata, anzi… Proprio quando tutto sembrava andare per il meglio ecco arrivare una malattia estrema-mente invalidante per mio marito. Non ci siamo abbattuti ma insieme abbiamo lottato... Il “segreto” del nostro matrimonio è: insieme la Croce è più leggera! Le riessioni quotidiane del Vangelo ci aiutano a vivere. Ci benedica. Grazia e Flavio da AnconaCara Grazia, caro Flavio,le vostre parole sono piene di spe-ranza e di fede, e mi hanno pro-fondamente commosso. 41 anni di matrimonio sono un vero dono, ma soprattutto sono una testimonianza di amore che, come tu sottolinei, è sempre più forte quando si vive una delle parole più belle: condivisione. È bello che tu e Flavio abbiate trovato la forza di arontare la malattia insieme, mano nella mano, nella fede e nel coraggio. Il matrimonio cristiano è proprio questo: un cammino che si fa insie-me, nella gioia e nel dolore. Nella vostra unione, con la dolcezza e la solidarietà che ci raccontate, vedo la presenza di Dio e ritornano le parole del Vangelo di Matteo “il mio giogo è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,25-30).Dio vi benedica e vi dia la forza di andare avanti con speranza.CAPIRSI CON UNO SGUARDOCaro padre Enzo, alcuni giorni fa ci avevi chiesto qual è il “segreto” del matrimonio. Desidero risponderti brevemente. Innamorarsi è un mo-mento. Amarsi è un’intera esisten-za. Bisogna prendersi cura l’uno dell’altro. Con pazienza, a volte con spirito di sopportazione. Perdo-nando gli errori. Rispettandosi e proteggendosi a vicenda. Accet-tando che col tempo la passione si trasformi in dolcezza. Vivere sereni e cogliere attimi felici. Capirsi anche senza parole. Con sguardi e abbracci. E con tanto rispetto.Antonella da AstiCarissima Antonella,siete stati davvero in tanti a rispon-dere ad una delle domande che avevamo posto attraverso i social. E le tue brevi aermazioni ben sintetizzano le tante altre lettere che sono giunte in Redazione. L’amore vero, quello che dura nel tempo, è fatto di piccoli gesti, di attenzione reciproca, di pazienza e di perdono. È bello leggere che per te l’amore non si ferma ai momenti iniziali della passione, ma si trasforma in una dolcezza profonda, che si esprime nei silenzi e negli sguardi.San Francesco parlava di un “amore povero”, che non cerca ciò che è emero, ma che si nutre di ciò che è essenziale. E l’essenziale in un matrimonio è proprio quella cura reciproca, quell’amore che cresce nel tempo, che si manifesta nei piccoli gesti quotidiani. La serenità che descrivi è frutto di una relazione che non ha paura di arontare le sde, ma che le vive ancorate al Vangelo e, per chi non crede, assicurate ad un progetto di comunione da vivere insieme.Che Dio continui a benedire il vostro cammino, rendendo il vostro amore sempre più forte e radicato nella fede.PERCHÉ PAGARE PER VISITARE UNA CHIESA?Ciao padre Enzo sono Giuseppe, un comune cittadino di Milano. Girando come turista in Italia e all’estero mi imbatto quasi sempre a dover rinunciare ad entrare nella Casa di Nostro Signore in quan-to c’è sempre da pagare. La mia richiesta è semplice: essendo la casa di Dio di tutti, non vedo perché si debba pagare. Grazie per la vo-stra attenzione, spero che ritorni in vigore una vecchia abitudine: ognuno è libero di orire quando e quanto vuole.Giuseppe da MilanoCaro Giuseppe,una risposta la trovo già nella tua domanda: se andiamo nella Casa del Signore come turisti credo sia giusto dare un proprio contributo, necessario anche al suo manteni-mento e manutenzione; se invece vai per Nostro Signore – e dalle tue parole si evince che tu non vada solo da turista, ma anche da pellegrino, da fedele – in nessuna chiesa, e lo dico ad alta voce, dovrebbe essere richiesto un corrispettivo economico. È la Casa di tutti. Tradiremmo la nostra missione che prima di tutto è quella di essere pastori dalle braccia aperte, come il colonnato di San Pie-tro, e rappresentare quella Chiesa in uscita che vuole percorrere il cammi-no ascoltando e accogliendo tutti.Ti auguro ogni bene!DIALOGO CON I LETTORI
78INSIEME LA CROCE È PIÙ LEGGERACaro padre Enzo, ad ottobre abbia-mo festeggiato 41 anni di matrimo-nio. Abbiamo due splendidi gli, una nipotina e un altro in arrivo per Natale. Certo non è stata una passeggiata, anzi… Proprio quando tutto sembrava andare per il meglio ecco arrivare una malattia estrema-mente invalidante per mio marito. Non ci siamo abbattuti ma insieme abbiamo lottato... Il “segreto” del nostro matrimonio è: insieme la Croce è più leggera! Le riessioni quotidiane del Vangelo ci aiutano a vivere. Ci benedica. Grazia e Flavio da AnconaCara Grazia, caro Flavio,le vostre parole sono piene di spe-ranza e di fede, e mi hanno pro-fondamente commosso. 41 anni di matrimonio sono un vero dono, ma soprattutto sono una testimonianza di amore che, come tu sottolinei, è sempre più forte quando si vive una delle parole più belle: condivisione. È bello che tu e Flavio abbiate trovato la forza di arontare la malattia insieme, mano nella mano, nella fede e nel coraggio. Il matrimonio cristiano è proprio questo: un cammino che si fa insie-me, nella gioia e nel dolore. Nella vostra unione, con la dolcezza e la solidarietà che ci raccontate, vedo la presenza di Dio e ritornano le parole del Vangelo di Matteo “il mio giogo è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,25-30).Dio vi benedica e vi dia la forza di andare avanti con speranza.CAPIRSI CON UNO SGUARDOCaro padre Enzo, alcuni giorni fa ci avevi chiesto qual è il “segreto” del matrimonio. Desidero risponderti brevemente. Innamorarsi è un mo-mento. Amarsi è un’intera esisten-za. Bisogna prendersi cura l’uno dell’altro. Con pazienza, a volte con spirito di sopportazione. Perdo-nando gli errori. Rispettandosi e proteggendosi a vicenda. Accet-tando che col tempo la passione si trasformi in dolcezza. Vivere sereni e cogliere attimi felici. Capirsi anche senza parole. Con sguardi e abbracci. E con tanto rispetto.Antonella da AstiCarissima Antonella,siete stati davvero in tanti a rispon-dere ad una delle domande che avevamo posto attraverso i social. E le tue brevi aermazioni ben sintetizzano le tante altre lettere che sono giunte in Redazione. L’amore vero, quello che dura nel tempo, è fatto di piccoli gesti, di attenzione reciproca, di pazienza e di perdono. È bello leggere che per te l’amore non si ferma ai momenti iniziali della passione, ma si trasforma in una dolcezza profonda, che si esprime nei silenzi e negli sguardi.San Francesco parlava di un “amore povero”, che non cerca ciò che è emero, ma che si nutre di ciò che è essenziale. E l’essenziale in un matrimonio è proprio quella cura reciproca, quell’amore che cresce nel tempo, che si manifesta nei piccoli gesti quotidiani. La serenità che descrivi è frutto di una relazione che non ha paura di arontare le sde, ma che le vive ancorate al Vangelo e, per chi non crede, assicurate ad un progetto di comunione da vivere insieme.Che Dio continui a benedire il vostro cammino, rendendo il vostro amore sempre più forte e radicato nella fede.PERCHÉ PAGARE PER VISITARE UNA CHIESA?Ciao padre Enzo sono Giuseppe, un comune cittadino di Milano. Girando come turista in Italia e all’estero mi imbatto quasi sempre a dover rinunciare ad entrare nella Casa di Nostro Signore in quan-to c’è sempre da pagare. La mia richiesta è semplice: essendo la casa di Dio di tutti, non vedo perché si debba pagare. Grazie per la vo-stra attenzione, spero che ritorni in vigore una vecchia abitudine: ognuno è libero di orire quando e quanto vuole.Giuseppe da MilanoCaro Giuseppe,una risposta la trovo già nella tua domanda: se andiamo nella Casa del Signore come turisti credo sia giusto dare un proprio contributo, necessario anche al suo manteni-mento e manutenzione; se invece vai per Nostro Signore – e dalle tue parole si evince che tu non vada solo da turista, ma anche da pellegrino, da fedele – in nessuna chiesa, e lo dico ad alta voce, dovrebbe essere richiesto un corrispettivo economico. È la Casa di tutti. Tradiremmo la nostra missione che prima di tutto è quella di essere pastori dalle braccia aperte, come il colonnato di San Pie-tro, e rappresentare quella Chiesa in uscita che vuole percorrere il cammi-no ascoltando e accogliendo tutti.Ti auguro ogni bene!DIALOGO CON I LETTORI
80LA PAROLA AGLI ULTIMIUN CENTESIMO FA LA DIFFERENZALa storia di Vante, che incontravi tra le vetrine del lusso Vante aveva la barba curata e gli occhiali rotondi, d’inverno indossa-va un cappuccio pesante, d’estate un cappellino con la bandiera america-na. Quando pioveva si metteva una cerata ed era capace di stare immobi-le per ore, sotto l’acqua. Quando ti fermavi e ci parlavi era gentilissimo: ti raccontava che non aveva mai co-nosciuto i genitori, era cresciuto in una casa famiglia e soprattutto che non beveva da anni.Forse non era vero, certo Vante, in quel gennaio del 2009 faceva parte di una famiglia sterminata di homeless newyorkesi, che trovavi nelle notti di Manhattan, chiusi nei cartoni, anche sulla scalinata della chiesa presbite-riana, 200 metri più a sud, all’angolo con la 55esima, davanti al Peninsula, il più lussuoso dei grandi alberghi newyorkesi.Solo che Vante era uno che si arrangiava e aveva un diavolo di pazienza. Tirava fuori un boccione di plastica trasparente, come una grande damigiana, e stava lì con un campanello, a chiedere contributi e versamenti. Appunto: “un cente-simo fa la dierenza”. Chiedeva la carità, ma era una carità organizzata. Anzi per dimostrarlo mi faceva ve-dere carte e licenze dello Stato e della città di New York: «Tutto regolare, tutto autorizzato!», spiegava. E poi, all’ombra dei giardini pensili della torre di Trump, raccontava la sua visione del mondo: che il gover-no non era in grado di pensare ai vagabondi e che quindi «era molto meglio organizzarsi da soli». Era quasi un liberista della solidarietà. «In fondo», diceva, «io gioco sui rimorsi dei ricchi newyorkesi che aollano questo marciapiedi: chi ne può avere più di loro di centesimi e di sensi di colpa?» E così prendeva il suo campanello, e cominciava a urlare: «Salvate un homeless! Basta anche un solo centesimo!».Poi mi sono trasferito d’ucio, la mia redazione si è spostata in un altro indirizzo, meno caro. E Vante non l’ho più visto. L’ho cercato, anche anni dopo, quando ormai ero rientrato a Roma e tornavo sulla quinta strada solo da turista. Vante e il suo grido per un penny che doveva fare la dierenza non c’erano più. Quest’anno Louis Vuitton ha trasformato il suo negozio in una gigantesca valigia di lusso, alta come tutto l’edicio, mentre la popolazio-ne di homeless ha toccato un record storico, solo a New York, di 350 mila senza tetto, numero mai così alto dai tempi della Grande depressione. Sperare nei centesimi o nei rimorsi davanti alle vetrine più ricche del mondo purtroppo non bastava. Ep-pure Vante almeno ci aveva provato, ovunque sia adesso.Gerardo Greco, giornalista«Un centesimo fa la die-renza, solo un centesi-mo». Il grido rimbal-zava piuttosto insistente davanti alle vetrine di Tiany, la gioielleria delle colazioni di Audrey Hepburn, addobbate per le feste. Sulla Quinta avenue di New York, all’angolo con la 57esima strada, faceva freddo in un giorno di gennaio del 2009, molti anni fa. A quell’angolo, per non sbagliare, 10 metri più in là c’era (e c’è ancora) Bulgari e subito dopo il negozio di Louis Vuitton. In-somma, l’incrocio di tutte le vanità del mondo occidentale oerte in vetrina: 30mila dollari per un collier a sconto, 8 mila per una borsa in oerta. Vante Johnson, barbone di Brooklyn, arrivava puntuale, tutte le mattine alle 9 con un banchetto che si trascinava dietro. «Buongiorno signore, come sta oggi?», mi saluta-va ogni volta e io mi illudevo che mi riconoscesse perché in quegli anni lavoravo poco lontano e gli passavo davanti tutte le mattine.«Un centesimo cambia tutto». A New York, la popolazione di homeless ha toccato un record storico: 350 mila senza tetto, numero mai così alto dai tempi della Grande depressione‘‘
80LA PAROLA AGLI ULTIMIUN CENTESIMO FA LA DIFFERENZALa storia di Vante, che incontravi tra le vetrine del lusso Vante aveva la barba curata e gli occhiali rotondi, d’inverno indossa-va un cappuccio pesante, d’estate un cappellino con la bandiera america-na. Quando pioveva si metteva una cerata ed era capace di stare immobi-le per ore, sotto l’acqua. Quando ti fermavi e ci parlavi era gentilissimo: ti raccontava che non aveva mai co-nosciuto i genitori, era cresciuto in una casa famiglia e soprattutto che non beveva da anni.Forse non era vero, certo Vante, in quel gennaio del 2009 faceva parte di una famiglia sterminata di homeless newyorkesi, che trovavi nelle notti di Manhattan, chiusi nei cartoni, anche sulla scalinata della chiesa presbite-riana, 200 metri più a sud, all’angolo con la 55esima, davanti al Peninsula, il più lussuoso dei grandi alberghi newyorkesi.Solo che Vante era uno che si arrangiava e aveva un diavolo di pazienza. Tirava fuori un boccione di plastica trasparente, come una grande damigiana, e stava lì con un campanello, a chiedere contributi e versamenti. Appunto: “un cente-simo fa la dierenza”. Chiedeva la carità, ma era una carità organizzata. Anzi per dimostrarlo mi faceva ve-dere carte e licenze dello Stato e della città di New York: «Tutto regolare, tutto autorizzato!», spiegava. E poi, all’ombra dei giardini pensili della torre di Trump, raccontava la sua visione del mondo: che il gover-no non era in grado di pensare ai vagabondi e che quindi «era molto meglio organizzarsi da soli». Era quasi un liberista della solidarietà. «In fondo», diceva, «io gioco sui rimorsi dei ricchi newyorkesi che aollano questo marciapiedi: chi ne può avere più di loro di centesimi e di sensi di colpa?» E così prendeva il suo campanello, e cominciava a urlare: «Salvate un homeless! Basta anche un solo centesimo!».Poi mi sono trasferito d’ucio, la mia redazione si è spostata in un altro indirizzo, meno caro. E Vante non l’ho più visto. L’ho cercato, anche anni dopo, quando ormai ero rientrato a Roma e tornavo sulla quinta strada solo da turista. Vante e il suo grido per un penny che doveva fare la dierenza non c’erano più. Quest’anno Louis Vuitton ha trasformato il suo negozio in una gigantesca valigia di lusso, alta come tutto l’edicio, mentre la popolazio-ne di homeless ha toccato un record storico, solo a New York, di 350 mila senza tetto, numero mai così alto dai tempi della Grande depressione. Sperare nei centesimi o nei rimorsi davanti alle vetrine più ricche del mondo purtroppo non bastava. Ep-pure Vante almeno ci aveva provato, ovunque sia adesso.Gerardo Greco, giornalista«Un centesimo fa la die-renza, solo un centesi-mo». Il grido rimbal-zava piuttosto insistente davanti alle vetrine di Tiany, la gioielleria delle colazioni di Audrey Hepburn, addobbate per le feste. Sulla Quinta avenue di New York, all’angolo con la 57esima strada, faceva freddo in un giorno di gennaio del 2009, molti anni fa. A quell’angolo, per non sbagliare, 10 metri più in là c’era (e c’è ancora) Bulgari e subito dopo il negozio di Louis Vuitton. In-somma, l’incrocio di tutte le vanità del mondo occidentale oerte in vetrina: 30mila dollari per un collier a sconto, 8 mila per una borsa in oerta. Vante Johnson, barbone di Brooklyn, arrivava puntuale, tutte le mattine alle 9 con un banchetto che si trascinava dietro. «Buongiorno signore, come sta oggi?», mi saluta-va ogni volta e io mi illudevo che mi riconoscesse perché in quegli anni lavoravo poco lontano e gli passavo davanti tutte le mattine.«Un centesimo cambia tutto». A New York, la popolazione di homeless ha toccato un record storico: 350 mila senza tetto, numero mai così alto dai tempi della Grande depressione‘‘