Message CANTI DALLA CASA DEI VIVENTISPEVI IZ HIŠE ŽIVIHOpera-glasbena recitaca v desetih slikahza recitatorje, mezzosopran in instrumentalno skupino Opera-Melologo in dieci quadriper voci recitanti, mezzosoprano ed ensemble Canti dalla frontiera: ogni pietra una voce, ogni voce una storiaIniziativa per GO! 2025 Nova Gorica - Gorizia Capitale Europea della CulturaSONGS FROM THE HOUSE OF THE LIVINGOpera-Melologue in ten scenesfor reciting voices, mezzosoprano and ensembleSongs from the Border:every stone a voice, every voice a storyInitiative for GO!2025 Nova Gorica-Gorizia European Capital of CultureMejni spevi: vsakemu kamnu glas, vsakemu glasu zgodbaGO! 2025 Nova Gorica - Gorica evropski prestolnici kulture
2PremessaUn’antica massima cara alla cultura ebraica ricorda che “la terra è delle genti che vi abitano e che sono disponibili a unirsi a coloro che vi giungono migrando”, dimostrando una sapienza del vivere che molto potrebbe e dovrebbe insegnare anche a noi, oggi, così tanto smarriti e spaventati dal confronto con tutto ciò che reputiamo diverso da ciò che siamo o che supponiamo di essere. La storia della presenza ebraica in terra friulana è antichissima. Si comincia da Aquileia fra il III e il IV secolo d.C., epoca in cui vengono attestate dalle fonti le prime presenze, per risalire nella topograa degli insediamenti che toccarono, intorno al secolo XIII, le terre di Gorizia, Trieste e Cividale, di Udine, Venzone e Gemona, di Pordenone e di Porcia, per giungere inne, tra i secoli XIV e XVI, nelle ville patriarcali di San Vito al Tagliamento e di San Daniele. L’esistenza operosa dei vivi si intrecciò presto alla necessità di preservare la memoria dei loro morti, il cui corpo venne adato alla terra mentre lo spirito avrebbe riposato nel grembo di Abramo. Si aprirono così i cancelli della Bet ha-hayyim, ossia “Casa della vita” o “Casa dei viventi”, o ancora Bet ‘olamim, “Casa dell’eternità”, come vengono chiamati i cimiteri nella cultura ebraica. Dove i morti hanno quella voce sommessa che un distratto visitatore potrebbe confondere con il soo della bora. O il fruscio dell’erba sotto il piede che la calpesta.Lo spettacolo si congura come un melologo capace di unire alla musica composta per l’occasione parole, suggestioni ed emozioni che intrecciano una topograa frastagliata di storie raccolte su di una molteplice frontiera incerta e “trasgressiva”, nel senso che deve essere trasgredita per acquisire un signicato profondo, dal momento che abbraccia e interseca vita e morte, geograe ed erranze, malinconie e risate. Il tutto raccolto con occhio meravigliato tra le lapidi del cimitero
3ebraico di Gorizia, appena fuori dal conne che oggi delimita due stati. Un tempo due blocchi contrapposti e vigilati da una “cortina di ferro”. Ma non fu sempre così. Lì dentro, in quella minuscola “casa dei viventi” si è sedimentata l’identità plurale di un’Europa complessa, ferita e devastata ma anche meraviglioso esempio di complessa bellezza e di ricchezza culturale, che ancora oggi tenta di parlarci, di farci comprendere che tutti i conni sono fatti per essere scontti. Perno quello che apparentemente divide i vivi dai morti.
4La casa dei Viventi. Per una Spoon River ebraica sulla frontieraAngelo FloramoC’è un cimitero schiacciato sotto un cavalcavia, a Rošna Dolina. Di notte le luci di un mostruoso ipermercato ne abbagliano i silenzi, di giorno le automobili - o peggio la febbre concitata dei centri commerciali – gli vomita addosso l’inquietudine tutta occidentale della velocità, del rumore, dell’acquisto pago bancomat dei carrelli della spesa che imbottiscono cofani bulimici di cose inutili. Le lapidi della “Beth ha Hayyim” sono lì, su quell’incerta frontiera che separa due stati, la Slovenia e l’Italia. La vita e la morte. Il presente e l’eterno. Sanno ancora parlare, e hanno parole scolpite nel sasso. La casa dei viventi è infatti una scatola magica in cui risuonano le memorie di chi si è addormentato sotto le zolle della sua terra, sulla quale nessun conne può vantare diritti di proprietà: perché essa appartiene solo a loro. Al tempo. Le sue steli di pietra guardano sconnesse e sbilenche ad Oriente, cercano Gerusalemme. Disegnano topograe di un’Europa Sefardita, e i sentieri che le hanno portate n qui partono da lontano: il Rynek di Cracovia, le guglie dorate di Praga che risplendono sopra l’ombra di Josefov, le mura ricoperte di edera di Lublino.Lo spettacolo si congura come una “Spoon River” ebraica, dove ogni pietra diventa voce e la voce una storia. Come quella di Malakah, la vedova che morì la notte di venerdì 23 del mese di Marheswan, nell’anno 5566 da che Dio impastò la Terra, nel giardino della sua delizia. La pietra di Refà, invece, sussurra al viandante che si sia avventurato dentro al sacro recinto di fermarsi un poco a parlare con lei, ricordandogli che alla ne di un uomo
5giunge sempre la morte: “Sappi che solo la rettitudine consola i giorni della giovinezza”. Poco più avanti ci si inciampa in una supplica gentile: “Fai piano. Qui dorme un bambino. Si chiama Hayyim, glio di Sabbetay. Morì il giorno del suo compleanno, all’età di otto anni, nell’anno 5618 dalla creazione del Mondo. Non piangere. La sua anima è legata per sempre al vincolo della vita”. Le steli più antiche sono bellissime e meritano una visita attenta: spesso riportano fregi oreali, sono incorniciate dentro il prolo delle tavole della legge, adombrate da racemi di palma scolpiti nel marmo. Le iscrizioni sono in ebraico, in alcuni casi alternate ai caratteri latini. Alcune raccontano nella morte la bellezza e l’intensità della vita, lasciando il visitatore incantato e sospeso. Così di Ester si dice: “Ester, tu che fosti una signora di spirito elevato, / fra il procreare esseri e i dolori della tua vita, / guarda: il tuo Dio un santuario per abitare, / splendente di luce, ha preparato nel giardino dell’Eden. / Ecco che egli, a bene per la tua anima, la sofferenza che hai patito sulla terra / ha volto, e tu hai acquistato lo splendore e la delizia del cielo”. O ancora, passeggiando tra le altre lapidi, ci si commuove leggendo: “Pietra / sepolcrale dell’onorata signora Na‘omi / moglie dell’onorato nostro maestro il RabbinoYa‘aqov Capriles, /possa Dio preservarlo, che è dipartita per la sua eterna dimora il giorno 15 / del mese di Adar I 559 / Questa è Na‘omi, venuta nel giardino dei cieli, / l’ha meritato per la sua anima candida come lana, / pura come la luce del sole e il chiarore dell’aurora / nel tempo in cui (Dio) addensa le nuvole (benedette) cariche d’acqua / e nel giorno in cui il giglio, nell’età della gioia, / raccoglierà fra i gigli la ricompensa del suo germoglio”. E come non commuoversi davanti a tali parole: “E morì Sara (Gen. 23,2), / moglie dell’onorato nostro maestro il signor Rafa’el Luzzatto, / e suo glio con lei durante il suo travaglio perché le si rivolsero contro / i dolori del parto il 23 del mese di Ševat dell’anno / 5564 della creazione (5 febbraio 1804) e [il bambino] fu sepolto fra / le braccia di sua madre il giorno 25 del mese / sopracitato sotto questa stele che è / la pietra sepolcrale di Sara no ad / oggi e sia la sua anima legata nel vincolo della vita. / Ahimè, è scomparsa la mia sposa, splendore del regno (Dan.11,20), / e per questo io chiamerò il suo nome Quercia del pianto (Gen. 35,8)”.
6Appena il tempo di una suggestione: un Golem a Rožna DolinaLa luna ha una capacità straniante sulle lapidi grigie dell’antico cimitero ebraico di Gorizia, che ancora resta oltre il conne, quello che no a ieri, da Danzica a Trieste, ha spaccato il Mondo in due blocchi contrapposti: un passo di qua l’Occidente, un passo di là l’Est degli slavi, a perdita d’occhio, no alla taiga siberiana, ai suoi silenzi, alle sue gelide assenze. Guardano tutte Gerusalemme, le lapidi, la stella del mattino. L’Oriente è la dimensione prevalente di questo luogo.Qui il fango, la terra e la pietra sono le anime che impastano una linea di frontiera che serpeggia ovunque: una traccia invisibile, ormai solo immaginata, eppure percepita nei segni che si annidano ovunque, negli sguardi delle donne, nelle nuvole sottili di tabacco, nell’odore dell’ombra. Tutto è rete sottile di ibride intersezioni: il profumo intenso di cipolla che svapora dalle cucine, la parlata slovena con i suoi morbidi accenti, che si mescolano ai brandelli di quelli friulani, curvando alla dolcezza i toni di una parlata che ama le contaminazioni. Dall’altra parte, sulla collina che dà il nome alla città (Gorica) il Castello, e l’antico seminario con le sue alte e bianchissime mura; potresti dire di essere a Praga, la magica città d’oro che dorme cullata dalla Moldava sotto i tetti rossi delle sue piccole vie, se la ferita grigia di un cavalcavia non ti lacerasse il sogno. Sulle arche più antiche mani ignote hanno lasciato qualche sasso, un inciampo alla memoria dei viventi, a ricordare che le preghiere degli uomini sono pietre che rimangono a segnare il cammino dei morti. In questo frammento di Mitteleuropa nel 1991 volarono bassi i mig di Belgrado. Qualcuno sparò. Qualcuno rimase ucciso. Ma nelle goštilne si beve ancora forte, generoso è il bicchiere. E si canta. Dell’Amore e della Morte. Perché qui la losoa ha le labbra rosse e accese di una bellissima donna senza pietà che ti succhia la vita nella febbre di un bacio.Carlo Michelstädter si risveglia dal lungo torpore. Veglia e sogno sono le dimensioni che delimitano uno scenario fortemente connotato da una componente ibrida fortissima, che avvolge la scena permeata di una bruma attraversata da sciabolate di luce surreale. Tutto sembra ispirato
7al teatro di Ibsen, che Carlo amò e conobbe come pochi. Il poeta e losofo che si sparò a soli ventitré anni, a ragione denito uno dei più intensi autori mitteleuropei per il breve spazio che gli fu concesso, è rannicchiato in posizione fetale sotto la sua lapide. È lui stesso l’essenza del ripiegamento del pensiero sulla spirale della propria solitudine. Un cardine della sua riessione losoca. Se ne sta accoccolato nel grembo del tempo, gravido di un parto che ha il sapore di un incubo spaventoso, e con gli occhi socchiusi profetizza la dissoluzione del Mondo nella folle e macabra danza della Morte, rappresentata da una fanciulla che danza lasciva tra le lapidi: un destino che di lì a quattro anni cavalcherà sul Mondo. In una specie di febbre Faustiana, il giovane intellettuale goriziano evoca dalla notte gli spettri di Ibsen, di Kafka e di Egon Schiele, che persi nel loro solipsismo (tema caro a Michelstädter) sovrappongono le loro voci (scelta di letture signicativamente tratte dai loro pensieri) in una successione di echi, citazioni, parole, tutte volte a celebrare il funerale dell’Europa, la nascita di qualcosa di orribile che sta germinando nel suo fango: lo spirito stesso del Nazismo, che come il Nosferatu di Murnau (le citazioni al cinema espressionista sono una chiave di lettura della scena) ha qui le fattezze di un enorme Golem, come quello raccontato dalla penna visionaria di Meyrnik. Un gigante scomposto, fatto di tanti pezzi ricuciti in maniera posticcia, un Frankenstein del ghetto: tutto e niente, mezzo slavo, ebreo, tedesco zingaro, italiano, friulano, parla tutte le lingue e nessuna lingua. È lo spirito stesso della dissoluzione babelica e sulfurea dell’Umanità davanti alla Gaia Apocalisse, metafora di una Mitteleuropa che non è più in grado di salvarsi con la gentilezza della Cultura e sente solo la sete dell’autodistruzione. Questo Golem enorme indossa una maschera antigas che ne deforma il viso. Lo nasconde no alla ne della scena. Quando poi si disvela si scopre avere le stesse identiche fattezze di Michelstädter. Lo sgomento diventa disperazione e la disperazione assume la cruda eco di uno sparo. Il suicidio del singolo, secondo la Torah ebraica, equivale alla dissoluzione del Mondo intero.
8La comunità ebraica di Gorizia e il progetto di recupero e valorizzazione del cimitero di Valdirose Andrea MorpurgoA Gorizia, come in altre città della Mitteleuropa, la presenza ebraica ha radici antiche, attestate sin dal XVI secolo, ed in passato la fama della comunità era tale che l’intera città era conosciuta anche come la “Piccola Gerusalemme sull’Isonzo”. La comunità ebraica goriziana ha lasciato, infatti, numerosi segni della sua presenza e donato alla città personaggi illustri, come il rabbino Isacco Samuele Reggio, il glottologo Graziadio Isaia Ascoli, la giornalista Carolina Sabbadini Coen Luzzatto e il losofo Carlo Michelstaedter. La vitale comunità ebraica fu praticamente cancellata con le deportazioni e lo sterminio nei lager tra il 1943 e il 1944. Nonostante ciò l’antico ghetto, istituito nel 1698 e la sinagoga, costruita nel 1756, situati lungo quella che oggi è via Ascoli, sono stati nel dopoguerra oggetto di importanti lavori di restauro e rappresentano oggi una delle più importanti mete turistico-culturali della città di Gorizia. A testimonianza della presenza ebraica a Gorizia resta inoltre l’antico cimitero di Valdirose, ora in territorio sloveno poiché nel 1947, al momento della divisione della città tra Italia e Jugoslavia, il cimitero rimase a un passo dalla linea di conne. Nonostante negli anni scorsi siano stati restaurati il muro di cinta, l’ex camera mortuaria ed alcune tombe di personaggi illustri, il cimitero, in cui sono presenti circa 900 sepolture e pregevoli lapidi la più antica delle quali risale al 1371, si trova in uno stato di grave degrado e molte pietre tombali risultano poco leggibili, rotte, o cadute e rimaste sepolte sotto lo strato superciale dell’area.
9Nel 2016 la Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia ha iniziato ad interessarsi alle problematiche ma anche alle rilevanti potenzialità politiche e culturali che avrebbe avuto la promozione di un progetto di restauro e valorizzazione del cimitero, subito individuato come luogo “speciale” su cui lavorare. Alla ne del 2019 un importante sostegno nanziario ricevuto da parte della fondazione Benecentia Stiftung ha quindi permesso di avviare il progetto, che ha un costo complessivo di circa 500.000 euro e si svilupperà sostanzialmente in due direzioni: la prima riguarderà il restauro architettonico del cimitero e delle tombe, attività che prevede il massimo coinvolgimento delle locali realtà artigianali ed educative, italiane e slovene, e la seconda riguarderà una serie di azioni atte a consolidare e valorizzare maggiormente il sistema turistico culturale ebraico di questo territorio. La realizzazione del progetto di restauro del cimitero ebraico di Valdirose, in sinergia con il Comune di Nova Gorica, il Comune di Gorizia e tutte le varie componenti culturali, sociali ed economiche del territorio saprà quindi essere un rilevante volano in grado di arricchire questa realtà geograca multiforme e rappresentare un simbolo della nuova identità europea basata sui valori di dialogo, comprensione, tutela, rispetto e valorizzazione delle speciche identità culturali, linguistiche e religiose.
10CANTI DALLA CASA DEI VIVENTI brevi note sulla musicaCarlo GalanteCanti dalla casa dei viventi è un’opera melologo in dieci scene con un prologo e un epilogo. La denizione Opera è da considerarsi in qualche modo metaforica perché lo spettacolo non ha una trama univoca come vuole la tradizione, ma segue l’evocazione di dieci lapidi del piccolo cimitero ebraico di Valdirose. Dieci fantasmi raccontano la loro storia.La struttura archetipica dell’opera (recitativo-azione; aria-riessione) è mantenuta, ma trasformata e profondamente ripensata: la parte dell’azione, ovvero del racconto, è adata a due attori che agiscono su una base musicale che drammatizza i loro interventi e questa è denita melologo, mentre quella della riessione emotiva e lirica è adata alla voce di un mezzo-soprano; molte delle lapidi terminano la loro narrazione proprio in una canzone.L’ensemble strumentale è formato da sei esecutori (oboe/corno inglese; clarinetto/clarinetto basso; sarmonica; violino, viola e violoncello). Ogni strumento oltre a fare da “orchestra” è chiamato a interpretare i vari personaggi, doppiandone la voce e donandogli il proprio timbro per interrogarne i sentimenti: il corno inglese presta la sua voce malinconica al bambino di Sabbatey, il violoncello è il drammatico alter ego di Karl, il losofo suicida, il violino canta angelicamente per il dottore della Cabala e così via.Il materiale musicale è in parte desunto dalla ricchissima musica popolare ebraica, ma rimane come il cuore nascosto della composizione, si avverte tra le sue pieghe. A volte si percepisce con maggiore evidenza, ma mai nella forma della citazione, piuttosto in quella della continua rielaborazione e trasgurazione.
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12PredgovorStaro vodilno načelo, ki je drago judovski kulturi pravi, da je “zemlja last ljudi, ki na njej prebivajo in ki so pripravljeni se združiti s priseljenci«. V tem tiči dokaz o modrosti življenja, ki bi lahko in bi moral biti poduk tudi za nas danes, ko delujemo zgubljeno in se bojimo soočanja z vsem tem, kar imamo za drugačno od tistega, kar smo, ali predpostavljamo, da smo. Zgodba o prisotnosti Judov v Furlani je zelo stara. Vse se prične v Ogleju med 3. in 4. stoletjem po K. Gre za obdobje, v katerem so pojavo dokazi o virih prvih prisotnostih. Kasneje se izoblikuje topografske nastanitve, ki okrog 13. stoletja, zadevajo ozemlja Gorice, Trsta, Čedada, Vidma, Pušje vasi, Humina, Pordenona in Porcie, da bi nato, med 14. in 16. stoletjem, prispeli v patriarhalne četrtri v krajih San Vito al Tagliamento in San Daniele. Aktivna prisotnost živih, se je kmalu srečala s potrebo po varstvu spomina na njihove mrtve, katerih truplo je bilo položeno v zemljo, medtem ko bi njihov duh počival v Abrahamovem naročju. Tako so odprli vrata Bet ha-hayyima, oz. „Hiše življenja“, ali „Hiše živih“. Tu je še Bet 'olamim, oz. „Hiša večnosti“, kot Judje imenujejo svoja pokopališča. Tam imajo mrtvi njihov tihi glas, ki bi ga nepazljivi obiskovalec lahko zamenjal s pišem vetra, mogoče tudi s šelestom trave pod njegovimi nogami.Predstava se odva kot melolog, ki je sposoben povezati glasbo, ki je bila napisana za to priložnost, z besedami, sugestami in občutki, ki se prepletajo v členoviti topograji zgodb. Le-te izhajajo iz razvejanega a neznanega, negotovega in tudi „oporečniškega“. Oporekati v tem slučaju pomeni tudi pridobiti globok pomen, ker se predstava dotika in se prepleta med življenjem in smrtjo, med opisi in blodnjami, malinholami in smejanjem. Vse to je bilo s pozornim in začudenim očesom zbrano
13med nagrobnimi kamni goriškega judovskega pokopališča, komajda preko meje, ki označuje razmejitev med dvema državama. Nekoč je bilo območje razdeljeno na dva bloka, ki ju je varovala „železna zavesa“. Ni pa bilo vedno tako. Tam notri, v tisti mali „hiši živečih“ se je ustalila pestra identiteta zapletene, ranjene in razrušene Evrope; gre pa tudi za čudovit primer raznovrstne lepote in kulturnega bogastva, ki nas še danes nagovarja in nam skuša dopovedati, da lahko premagamo vse obstoječe meje. Celo tiste, ki navidezno ločujejo žive od mrtvih.
14Hiša živečih. Za judovsko Spoon River na mejiAngelo FloramoV Rožni dolini se pod nadvozom stiska pokopališče. Ponoči mu luči pošastne veleblagovnice osvetljujejo tišino, podnevi pa avtomobili – ali še huje mrzlica, ki jo oddajajo trgovski centri – bruhajo nanj ves nemir zapadnjaškega sveta, ki se odraža v hitrosti, hrupu, nakupu z bankomati in nakupovalnih vozičkih, ki polno požrešne prtljažnike z nepotrebnimi stvarmi. Nagrobni kamni pokopališča „Beth ha Hayyim“ so tam, na tisti nejasni meji, ki loči dve edržavi, Sloveno in Italo. Življenje in smrt. Sedanjost in neskončnost. Še znajo govoriti in imajo črke, ki so vklesane v kamen. Hiša živečih je namreč neka čudežna šatulja, v kateri odmevajo spomini tistih, ki so zaspali pod prstjo njihove zemlje, nad katero si nobena meja ne more lastiti pravice do lastnine; ona pripada samo njim. V času. Njeni kamniti nagrobniki gledajo nepovezano in nagnjeni postrani na Vzhod; iščejo Jeruzalem. Rišejo značilnosti Sefarditske Evrope in poti, ki so jih prinesle do sem in se začenjajo daleč: Rynek iz Krakova, pozlačene ale iz Prage, ki se bleščo nad Josefovo senco, z bršljanom prekriti zidovi Lublina.Predstava se prikaže kot nekaka judovska „Spoon River“, kjer vsak kamen postane glas in glas postane zgodba. Kot tista Malakahine, vdove, ki je umrla ponoči v petek 23 meseca Marsheswan, leta 5566, ko je Bog v rajskem vrtu ustvaril Zemljo. Kamen Rafà pa popotniku, ki je vstopil v posvečeni prostor, prišepne da se za hip ustavi, se z njim pogovori in ga spomni, da se konec človeka vedno zaključi s smrtjo: „Vèdi, da samo poštenost tolaži dneve mladosti“. Nekoliko naprej se spotaknemo ob ljubeznivo prošnjo: „Hodi potiho. Tu spi otrok. Ime mu je Hayyim in je sin Sabbetaya. Umrl je na dan svojega
15rojstnega dne, star osem let, v letu 5618 stvaritve Sveta. Ne joči. Njegova duša je za vedno povezana z življenjem“. Starejše stele so prekrasne in si zaslužo pozoren ogled. Večkrat jih kraso cvetni okraski, ki jih uokvirjajo proli plošč božjih zapovedi, nad njimi pa so v marmorju vklesani grozdi palme. Napisi so v hebrejščini, le v nekaterih primerih so dodane še črke v latinici. Nekateri pripovedujejo, da je v smrti lepota in moč življenja. Ob tem obiskovalec ostane očaran in neodločen. Napis o Esteri se tako glasi: „Ester, ti ki si bila gospa visokih duhovnih vrlin, / med rojevanjem bit in bolečin tvojega življenja, / glej: tvoj Bog je svetišče, v katerem prebivati, / blišč svetlobe je pripravljen v vrtovih Raja. / Tako je on, v dobro tvoje duše, in trpljenje, ki si ga doživljala na zemlji / upodobljen, in ti si pridobila saj in užitek nebes“. Ali še, med sprehodom mimo drugih nagrobnih kamnov, ganjeno prebereš: „Nagrobni / kamen častitljive gospe Na'omi / žene našega prečastitega rabina Ya'aqova Caprilesa / da bi ga Bog ohranil, ki je odšla v svoje večno prebivališče dne 15. meseca Adarja I 559 / Na'omi, je prišla v nebeške vrtove, / to si je zaslužila zaradi njene, kot volna čiste in brezmadežne duše, jasne kot sončna svetlova in s jutranje zarje / v času, ko (Bog) zgosti (blagoslovljene) oblake polne vode / in dne, ko lila, v razcvetu, / bo med lile sprejela nagrado njenih brsti“. In kako naj ne ostanemo ganjeni ob teh besedah: „Umrla je Sara (Gen. 23,2), / žena našega prečastitega učitelja, gospoda Rafa'ela Luzzatta, / in z njo njenega sina med mukami, ki so ji bile usodne / porodne bolečine dne 23. meseca Ševat leta / 5564 stvaritve (5. februar 1804) in (otrok) je bil pokopan / v naročju njene mame dne 25. zgoraj navedenega meseca na tej steli, ki je / Sarin nagrobni kamen / vse do danes in naj bo njena duša povezana z življenjem. / Joj, odšla je moja nevesta, blišč božjega kraljestva (Dan.11,20), / in zato bom jaz njeno ime poimenoval v Hrast objokovanja (Gen. 35,8)“.Pravšnji čas za razmislek: Golem v Rožni doliniLuna ima odtujevalni učinek nad sivimi nagrobnimi klamni starega goriškega judovskega pokopališča, ki ostaja za mejo, tisto mejo, ki je še do včeraj od Gdanska do Trsta ločevala svet na dva nasprotna bloka:
16korak sem Zapad, korak tja slovanski Vzhod, ki se v nedogled razprostira do sibirske tajge, do njenih zamrnjenih tišin. Vsi nagrobniki gledajo proti Jeruzalemu, proti jutranji zvezdi. Na tem kraju prevladuje dimenza Vzhoda. Blato, zemlja in kamen so odraz duš, ki oblikujejo mejo, ki se vuga tam naokrog: gre za navidezno sled, ki jo le domnevamo, a jo vendar zaznamo v znamenjih, ki se skrivajo povsod, v pogledih žensk, v tankih oblakih, v vonjavah senc. Vse se skriva v tankem omrežju hibridnih medčlenov: oster vonj čebule, ki se ve iz kuhinj, slovenska govorica z njenimi rahlimi naglasi, ki se mešajo s krpicami furlanščine in se v sladkih tonih nagibajo h govorici, ki si rada izposoja tuje besede. Na drugi strani meje, na griču, ki je dal ime Gorici, se nahaja grad in staro semenišče s svojimi visokimi in belimi stenami. Lahko bi rekel, da si v Pragi, čarobnem zlatem mestu, ki počiva ob zibanju Vltave. Mesto se ve pod rdečimi strehami njegovih zakotnih uličic, škoda le, da mu sanjski videz kvari siva rana cestnega nadvoza.Na najstarejših grobovih je neznana roka pustila kak kamen, tlakovec v spomin živih in da obiskovalec dojame, da so molitve ljudi kamni, ki bodo zaznamovali pot mrtvih.Ta delček Srednje Evrope so leta 1991 nizko preletavala letala Beograda. Prišlo je do streljanja in do smrti ljudi. Toda v gostilnah se še pe iz polnih kozarcev. In se tudi prepeva. O Ljubezni in o Smrti. Zato, ker tu ima lozoja živo rdeče ustnice izredno lepe ženske, ki ti z mrzličnim poljubom brez milosti srka življenje.Carlo Michelstaedter se porebudi iz dolge otrplosti. Bedenje in sanje so dimenze, ki določajo scenar, ki ga močno zaznamuje poudarjena hibridna komponenta. Le-ta objame sceno, ki jo prepoji gosta megla in jo prečo snopi nadrealistične svetlobe. Izgleda, kot bi se vse zgledovalo po Ibsenovem teatru, ki ga je Carlo ljubil in poznal, kot malokdo. Pesnik in lozof, ki se je ustrelil pri samih 23. letih, in ga upravičeno imajo za enega najbolj prodornih srednjeevropskih avtorjev v zelo kratkem času njegovega življenja, leži sključen v pozici fetusa pod nagrobnim kamnom. On sam je bistvo umika misli v spiralo lastne samote. Gre za temelj
17njegovega lozofskega razmišljanja. Tam je, čepi v naročju časa, rojen s porodom, ki ima priokus strahovite more in ki s priprtimi očmi prerokuje razkroj Sveta v divjem in grozljivem plesu Smrti, ki ga predstavlja dekle, ki pleše opolzki ples med nagrobniki. Usoda, ki bo čez štiri leta jezdila nad Svetom. Podobno Faustovi mrzlici, mladi goriški intelektualec prikliče iz teme prikazni Ibsena, Kafke in Egona Schieleja, ki izgubljeni v lastnem silipsizmu (Mechelstaedter je rad imel to temo) pristavo svoje glasove (izbor besedil, ki so pomensko izšla iz njihovih misli) v sosledju odmevov, citatov, besed, ki se nagibajo k proslavljanju pogreba Evrope. Rojeva se nekaj strašnega, ki brsti v lastnem blatu: sam duh Nacizma, ki kot Murnauov Nosferatu (navedbe v ekspresionističnih lmih so ključ pri dojemanju scene), ima tu poteze velikanskega Golema, podobnega tistemu, ki ga vizionarsko opisuje Meyrnik. Gre za nerodnega velikana, ki je sestavljen iz mnogih med seboj zašitih delčkov na umeten način, nekak Frankesten iz geta: vse in nič, pol Slovan, Jud, Nemec, Cigan, Italan, Furlan: govori vse jezike in nobenega. Sam duh babilonskega in žveplastega razkroja Človeštva pred Veselo Apokalipso, ki je metafora neke Srednje Evrope, ki ni več v stanju, da bi se rešila s pomočjo Kulture in čuti samo žejo po samouničenju. Ta velikanski Golem nosi plinsko masko, ki mu popači obraz. Skriva ga do konca prizora. Ko pa potem sname masko, vidimo, da ima iste poteze kot Michelstaedter. Preplašenost se prele v obup in obup se prelevi v krut odmev pištolinega strela. Samomor posameznika je, po judovski Tori, enak razkroju celotnega Sveta.
18Goriška judovska skupnost in projekt obnovitve ter ovrednotenja pokopališča v Rožni doliniAndrea MorpurgoV Gorici, kot tudi v drugih mestih Srednje Evrope, ima judovska prisotnost starodavne korenine, ki segajo v XVI stoletje. V preteklosti je bil sloves te skupnosti tak, da so celotno mesto poznali pod imenom “Mali Jeruzalem ob Soči”. Judovska skupnost je za sabo pustila mnoge sledi svoje prisotnosti in je mestu nudila pomembne osebnosti, kot so bili rabin Isacco Samuele Reggio, glotolog Graziadio Isaia Ascoli, časnikarka Carolina Sabbadini Coen Luzzatto in lozof Carlo Michelstaester.Živahna judovska skupnost je bila popolnoma uničena z deportacami v taborišča med leti 1943 in 1944. Kljub temu sta stari geto, ustanovljen leta 1698 in sinagoga, ki so jo zgradili leta 1756 in se nahajata vzdolž današnje ulice Ascoli, bila po vojni deležna dokajšnjih obnovitvenih del in danes predstavljata pomembno turistično-kulturno točko mesta Gorica.V dokaz judovske prisotnosti v Gorici, je prav gotovo starodavno pokopališče v Rožni dolini, zdaj v Sloveni. Leta 1947, po razmejitvi teritora med Italo in Sloveno, se je pokopališče znašlo le streljaj od državne meje. Pred leti so popravili zid okrog pokopališča, bivšo mrliško vežo in nekatere grobove pomembnih osebnosti. Tam je pokopanih približno 900 preminulih. Lahko vidimo zanimive nagrobne kamne, me katerimi je najstarejši iz leta 1371, a vsemu temu navkljub, se počivališče mrtvih nahaja v propadajočem stanju in mnogi nagrobni kamni so skoraj nečitljivi, polomljeni in prekriti s plastjo zemlje.Leta 2016 se je Fundaca za judovske kulturne dobrine v Itali (Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia) začela zanimati za to priblematiko in tudi za številne možnosti na političnem in
19kulturnem področju, ki bi spodbudile nastanek projekta za obnovitev in ovrednotenje pokopališča. Projekt je izpadel kot »posebnost«, na katerem graditi nadaljne posege. Ob koncu leta 2019 je projekt bil deležen pomembnega nančnega prispevka s strani fundace Benecentia Stiftung, kar je omogočilo, da je zadeva dobila zagon. Strošek projekta znaša kakih 500.000 Evrov; odval se bo v dveh smereh: najprej bi stekla arhitektonska obnova pokopališča in grobov; vsa te posege bi opravila krajevna slovenska in italanska obrtniška podjetja, z vključevanjem vzgojno-izobraževalnih stvarnosti. Druga faza pa bo predvidela niz dejavnosti, ki bodo omogočile utrditev in maksimalno ovrednotenje turistične in kulturne ponudbe glede judovsta na Goriškem.V sodelovanju z občinama Nova Gorica in Gorica ter tukajšnjih kulturnih, družbenih in gospodarskih krogov, bo uresničitev projekta za obnovo judovskega pokopališča v Rožni dolini predstavljala močan zagon, ki bo nedvomno obogatil geografsko raznovrstnost teritora. Obenem bi se zadeva predstavila kot simbol nove evropske identitete, ki sloni na dialogu, razumevanju, zaščiti, spoštovanju in vrednotenju posameznih kulturnih, jezikovnih in verskih istovetnosti.
20SPEVI HIŠE ŽIVIHkratke opombe o glasbiCarlo GalanteSpevi hiše živih je melološka opera z 10 prizori, z uvodom in epilogom. Denico Opera lahko na nek način imamo za metaforično, kajti predstava nima enolične zasnove, kot je to v navadi, temveč sledi obuditvi desetih nagrobnih kamnov majhnega judovskega pokopališča v Rožni dolini. Deset prikazni pripoveduje svojo zgodbo.Obdržana je svojevrstna struktura opere (recitacsko-akcska; ara-razmišljanje), je pa spremenjena in globoko premišljena: akcski del, oz. pripovedni, je zaupan dvema igralcema, ki nastopata na glasbeni osnovi, ki dramatizira njune posege. To spada v melolog. Emotivno in lirično razmišljanje pa je zaupano glasu mezzosopranistke. Mnogi nagrobni kamni zaključo svojo zgodbo prav s pesmo.Glasbeni ansambel sestavlja šest glasbenikov (oboa/angleški rog, klarinet/bas klarinet, harmonika, violina in violončelo). Poleg tega, da instrumenti skupaj sodeluje v orkestru, nastopo tudi v vlogi raznik likov s tem, da sinhronizirajo glas in mu ponudo barvo zvoka, ki razvname čustva. Angleški rog posodi svoj melanholični glas otroku iz Sabbateya, violončelo je dramatični alter ego Karla, lozofa samomorilca, violina angelsko poje za doktorja Cabale in tako naprej.Glasbeno gradivo je deloma povzeto iz bogate ljudske judovske glasbe, ki ostane kot skrito srce kompozice in ga občutimo med njenimi gubami. Včasih jo zaznamo bolj očitno, nikoli pa ne v obliki omembe, temveč rajši v obliki trajne predelave in preobrazbe.
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22ForewordAn ancient maxim dear to Jewish culture reminds us that “the land belongs to the people who inhabit it and who are willing to integrate those who migrate there”, showing deep wisdom and knowledge of how to live, which could and should still teach us today, so lost and frightened by the comparison with all that we consider different from what we are or presume to be. The history of Jewish presence on Friulian soil is very ancient. It starts in Aquileia between the third and fourth centuries A.D., the period during which the rst Jews are referred to by reliable sources, and can be traced, according to the topography of the settlements that around the 13th century touched on the lands of Gorizia, of Trieste and Cividale, of Udine, of Venzone and Gemona, of Pordenone and of Porcia, to nally reach, between the 14th and 16th centuries, the patriarchal villas of San Vito al Tagliamento and of San Daniele. The industrious existence of the living soon became entwined with the need to preserve the memory of their dead, whose bodies were entrusted to the earth while their spirits would rest in Abraham’s bosom. There opened therefore the gates of Bet ha-hayyim, i.e. “House of Life” or “House of the Living”, or also Bet ‘olamim, “House of Eternity”, as cemeteries are called in Jewish culture. Where the dead have that hushed voice that a distracted visitor might mistake for the breath of the bora. Or the rustle of the grass under the foot that treads upon it. The performance takes the form of a melologue, which is able to combine words, suggestions and emotions with the music composed for the occasion, weaving a rough topography of stories collected on a an uncertain and “transgressive” multiple border, in the sense that it has to be transgressed so as to acquire a profound meaning, as it embraces and
23intersects life and death, geographies and wanderings, melancholy and laughter. All collected, with an astonished eye, among the tombstones of the Jewish cemetery in Gorizia, just outside the border that today marks the boundary between two states. Once, two opposing blocks guarded by an “iron curtain”. However, it was not always so. In there, inside that tiny “house of the living”, has settled the plural identity of a complex, wounded and devastated Europe, but also a marvellous example of complex beauty and cultural richness, which still today tries to speak to us, to make us understand that all borders are made to be defeated. Even that which apparently separates the living from the dead.
24The House of the Living. For a Jewish Spoon River on the borderAngelo FloramoThere is a cemetery squeezed under a yover, in Rošna Dolina. At night, the lights of a monstrous hypermarket dazzle its silences; during the day, the cars – or worse still – the frenzied fever of the shopping centres – spew upon it the typically Western restlessness of speed, noise, cash card purchasing, and shopping trolleys stung bulimic car boots with useless things. The tombstones of the “Beth ha Hayyim” are there, on that uncertain border that separates two states, Slovenia and Italy. Life and death. The present and the eternal. They can still speak, and they have words carved in stone. The house of the living is indeed a magic box in which the memories of those who have fallen asleep under the clods of their land still resonate, and of which no border can claim the ownership rights: because it belongs to them alone. To time. Its stone steles, disjointed and lopsided, look to the East, seeking Jerusalem. They draw topographies of a Sephardic Europe, and the paths that brought them here start from afar: the Rynek of Cracovia, the golden spires of Prague shining above the shadow of Josefov, the ivy-covered walls of Lublin. The performance takes the form of a Jewish “Spoon River”, where each stone becomes a voice and the voice a story. Like that of Malakah, the widow who died on the night of Friday the 23rd of the month of Marheswan, in the year 5566 from when God kneaded the Earth, in the garden of his delight. The stone of Refà, on the other hand, whispers to the traveller who has ventured inside the sacred enclosure to stop a while and talk to her, reminding him that at a man’s ending, death
25always comes: “Know that only righteousness consoles the days of youth”. A little further ahead, he stumbles upon a gentle plea: “Be quiet. A child sleeps here. His name is Hayyim, son of Sabbetay. He died on his birthday, at the age of eight, in the year 5618 from the creation of the World. Do not weep. His soul is forever bound to the bond of life”. The oldest steles are beautiful and deserve a careful visit: they often bear oral friezes, they are framed within the outline of the tablets of the law, overshadowed by palm branches carved in marble. The inscriptions are in Hebrew, in some cases alternating with Latin characters. Some tell of the beauty and intensity of life in death, leaving the visitor spellbound and suspended. Thus, of Esther it is said: “Esther, thou who hast been a lady of lofty spirit, / amid the procreation of beings and the sorrows of thy life, / look: thy God a sanctuary to dwell in, / shining with light, has prepared in the garden of Eden. / Behold, he, for thy soul’s sake, the suffering thou hast endured on earth / has turned, and thou hast acquired the splendour and delight of heaven”. Or again, walking among the other gravestones, one is moved by reading: “Burial stone / of the honoured lady Na‘omi / wife of our honoured master RabbiYa‘aqov Capriles, / may God preserve him, who departed for his eternal abode on the 15th day / of the month of Adar I 559 / This is Na‘omi, who came to the garden of heaven, / she has deserved it for her soul as white as wool, / pure as sunlight and dawn’s glow / in the time when (God) thickens the (blessed) clouds laden with water / and on the day when the lily, in the age of joy, / shall reap among the lilies the reward of its bud”. And how can one not be moved by such words: “And Sarah died (Gen. 23,2), / wife of our honoured master Mr. Rafa’el Luzzatto, / and her son with her during her labour because the pains of childbirth came upon her / on the 23rd day of the month of Ševat in the year / 5564 of creation (5 February 1804) and [the child] was buried in / his mother’s arms on the 25th day of the month / mentioned above under this stele which is / Sarah’s burial stone / this day and may his soul be bound in the bond of life. / Alas, my bride is gone, splendour of the kingdom (Dan.11,20), / and therefore I shall call her name Oak of weeping (Gen. 35,8)”.
26Just the time for an impression: a Golem at Rožna DolinaThe moon has an alienating power on the grey tombstones of the ancient Jewish cemetery in Gorizia, which still remains beyond the border, that which until yesterday, from Danzica to Trieste, split the World into two opposing blocks: a step in this direction the West, a step in that direction the East of the Slavs, as far as the eye can see, as far as the Siberian taiga, to its silences, to its icy absences. They all look towards Jerusalem, the tombstones, the morning star. The East is the prevailing dimension of this place. Here, mud, earth and stone are the souls kneading a borderline that meanders everywhere: an invisible line, now only imagined, and yet perceived in the signs lurking everywhere, in the gazes of the women, in the thin clouds of tobacco, in the smell of the shade. Everything is a subtle network of hybrid intersections: the intense smell of onions wafting from the kitchens, the Slovenan vernacular with its soft accents, mingling with the shreds of the Friulian ones, bending to the sweetness of a tongue that loves contamination. On the other side, on the hill that gives the town its name (Gorica), with its Castle, and the ancient seminary with its high white walls; you could say you were in Prague, the magical golden city that sleeps cradled by the Vltava under the red roofs of its little streets - if the grey scar of an overpass didn’t lacerate the dream. On the oldest arches, unknown hands have left a few stones, a stumbling block to the memory of the living, a reminder that the prayers of men are stones that remain to mark the path of the dead. In this fragment of Mitteleuropa in 1991 the migs of Belgrade ew low. Someone red. Someone was killed. But in the goštilne they still drink hard, the glass is generous. And they sing. Of Love and Death. Because here philosophy has the burning red lips of a beautiful merciless woman who sucks the life out of you in the fever of a kiss. Carlo Michelstädter awakens from his long torpor. Waking and dreaming are the dimensions that delimit a scenario strongly characterised by a very strong hybrid component, which envelops the scene permeated by a mist pierced through by a streak of surreal light.
27It all seems inspired by the theatre of Ibsen, which Carlo loved and knew like few others. The poet and philosopher who shot himself at only twenty-three years of age, rightly dened as one of the most intense Central European authors for the brief space he was granted, is curled up in a foetal position under his tombstone. He himself is the essence of the withdrawal of thought into the spiral of his own loneliness. A cornerstone of his philosophical reection. He lies curled up in the womb of time, which is gravid with a birth like a dreadful nightmare, and with half-closed eyes predicts the demise of the World in the mad macabre dance of Death, represented by a maiden dancing lasciviously among the tombstones: a destiny that four years later will ride upon the World. In a sort of Faustian fever, the young Gorizian intellectual evokes from the night the spectres of Ibsen, Kafka and Egon Schiele who, lost in their solipsism, (a theme dear to Michelstädter) superimpose their voices (a choice of readings signicantly taken from their thoughts) in a succession of echoes, quotations, words, all aimed at celebrating the funeral of Europe, the birth of something horrible that is germinating in its mud: the very spirit of Nazism, which like Murnau’s Nosferatu (the quotations in expressionist cinema are a key to interpreting the scene) has here the features of an enormous Golem, like that described by Meyrnik’s visionary pen. A broken-up giant, made of many pieces stitched together in a contrived manner, a Frankenstein of the ghetto: all and nothing, half Slavic, Jewish, German, Romany, Italian, Friulian, he speaks every language and none. He is the very spirit of the Babelic sulphorous dissolution of Humanity before the Gaia Apocalypse, a metaphor for a Mitteleuropa that is no longer able to save itself with the kindness of Culture and feels only the thirst for self-destruction. This enormous Golem wears a gas mask that deforms his face. He hides it until the end of the scene. When he later reveals it, it turns out to have the same identical features as Michelstädter. Dismay becomes despair, and desperation takes on the stark echo of a gunshot. The suicide of the individual, according to the Jewish Torah, is equivalent to the dissolution of the whole World.
28The Jewish community of Gorizia, and the Project for the restoration and enhancement of Valdirose CemeteryAndrea MorpurgoIn Gorizia, as in other cities of Mitteleuropa (Central Europe), the Jewish presence has ancient roots which have been substantiated since the sixteenth century, and in the past, the fame of the community was such that the entire city was also known as “the little Jerusalem on the Isonzo”. In fact, Gorizia’s Jewish community has left numerous signs of its presence and donated to the city such illustrious gures as Rabbi Isacco Samuele Reggio - glottologist, Graziadio Isaia Ascoli -journalist, Carolina Sabbadini Coen Luzzatto - and philosopher, Carlo Michelstaedter. The vital Jewish community was virtually wiped out by deportations, and extermination in the concentration camps between 1943 and 1944. Even so, the ancient ghetto established in 1698, and the synagogue built in 1756, located along what is now Via Ascoli, underwent major restoration work after the war, and today represent one of the most important cultural tourism destinations in the city of Gorizia. Evidence of the Jewish presence in Gorizia also remains in the ancient cemetery of Valdirose, which is now in Slovenian territory, as in 1947 at the time when the city was divided between Italy and Yugoslavia, the cemetery ended up just a short distance over the border. Although the boundary wall, the former mortuary and some graves of famous people have been restored in recent years, the cemetery, in which there are approximately 900 graves and valuable tombstones, the oldest of which dates back to 1371, is in a state of serious disrepair and many tombstones
29are barely legible, broken, or have fallen over and remained buried under the surface layer there. In 2016, the Foundation for Jewish Cultural Heritage in Italy began to take an interest in this problem but also in the considerable political and cultural potentiality of the promotion of a project to restore and enhance the cemetery, immediately identied as a “special” place to work on. At the end of 2019, the substantial nancial backing received on behalf of the Benecentia Stiftung foundation therefore made it possible to launch the project, which has a total cost of 500,000 euro and will be developed substantially in two ways: the rst will concern the architectural restoration of the cemetery and the tombs, an activity which will imply the maximum involvement of local craftsmen and academics, both Italian and Slovenian, and the second will concern a series of actions aimed at consolidating and further enhancing the Jewish cultural tourism system in this area. The realisation of the project for the restoration of the Jewish cemetery in Valdirose, in synergy with the Municipality of Nova Gorica, the Municipality of Gorizia and all the various cultural, social and economic components in the area, will therefore be a signicant driving force capable of enriching this multiform geographical reality and representing a symbol of the new European identity based on the values of dialogue, understanding, protection, respect and the appreciation of specic cultural, linguistic and religious identities.
30SONGS FROM THE HOUSE OF THE LIVING short notes on the musicCarlo GalanteCanti dalla casa dei viventi (Songs from the House of the Living) is a melologue opera in 10 scenes with a prologue and an epilogue. The denition “Opera” is to be considered somewhat metaphorical because the performance does not have a single plot as tradition dictates but follows the evocation of ten tombstones in the small Jewish cemetery of Valdirose. Ten ghosts tell their story. The archetypal structure of the opera (recitative-action; aria-reection) is maintained, but transformed and profoundly rethought: the part of the action, i.e. the storytelling, is entrusted to two actors who act to a musical accompaniment which dramatises their recitation, and this is called melologue, while that of the emotional and lyrical reection is entrusted to the voice of a mezzo-soprano; many of the tombstones end their narration precisely in a song. The instrumental ensemble is made up of six players (oboe/English horn; clarinet/bass clarinet; accordion; violin, viola and cello). Each instrument is not only part of an “orchestra” but is also called upon to interpret the various characters, dubbing their voices and giving them its own timbre to examine their feelings: the English horn lends its melancholic voice to Sabbatey’s child, the cello is the dramatic alter ego of Karl, the suicidal philosopher, the violin sings angelically for the doctor of the Kabbala, and so on. The musical material is partly taken from the very rich Jewish folk music, but it remains as the hidden heart of the composition, can be heard between the folds. Sometimes it is heard more clearly, never in the form of a quotation, but rather in that of a continuous reinterpretation and transguration.
Traduzioni in sloveno a cura di Vili PrinćićTraduzioni in inglese a cura di Pauline Tacey26 giugno 2024 ore 20.30 CORMONS21 luglio 2024 ore 20.30 VIPAVSKI KRIŽ (Slovenia)4 settembre 2024 ore 21 GORIZIA26 settembre 2024 ore 21 SACILE6 ottobre 2024 ore 20.30 DESKLE (Slovenia)CANTI DALLA CASA DEI VIVENTICANTI DALLA CASA DEI VIVENTIOpera-Melologo in dieci quadri per voci recitanti, mezzosoprano ed ensemble Musica di Carlo GalanteTesto di Angelo FloramoCommissione della Storica Società Operaia di PordenoneSerena Ervas, Stefano Indrigo, Christian Mariotti,Morena Pajer, Paola Tomasellavoci recitanti del Piccolo Teatro Città di Sacile (preparatore Edoardo Fainello)Gaja Filač, Matej Zemljič voci recitantiCecilia Bernini mezzosopranoSilvia Regazzo mezzosopranoGO! Borderless Orchestra Gabriele Bressan oboe/corno inglese, Davide Teodoro clarinetto/clarinetto bassoLudovica Borsatti sarmonica, Mojca Batič violino,Barbara Grahor Vovk viola, Vida Furlan violoncello
CON IL SOSTEGNO DII NOSTRI ARTISTIPARTNERKogojevi Dnevi